Abuso d'ufficio con mortificazione della personalità della dipendente

 

Cassazione, sezione VI penale,6 febbraio 2004 n.4945 6 febbraio 2004, n. 4945 –  O. A., Direttore del Laboratorio di Igiene e Profilassi della Provincia di Ragusa c. L. Virginia, dirigente di 1° livello.

 

Abuso d’ufficio da parte di pubblico ufficiale, ex art. 323 c.p. – Consistito in accantonamento del dirigente sottordinato per ritorsione a testimonianza resa contro il superiore – Motivo indegno, di natura vendicativa, mascherato da inadeguatezza tecnica del dirigente dipendente – Aggressione ingiusta alla sfera della  personalità – Sussistenza –  Conseguente rigetto (per infondatezza) del ricorso del ricorrente contro sentenza di condanna a 4 mesi di reclusione.

 

In tema di abuso d’ufficio, realizza l’evento del danno ingiusto ogni comportamento che determini un’aggressione ingiusta alla sfera della personalità, per come tutelata dai principi costituzionali. (Fattispecie in cui il pubblico ufficiale aveva emesso un ordine di servizio con cui revocava ogni incarico ad una dipendente, in modo indebito e come ritorsione per aver testimoniato contro di lui, determinandole oltre che un danno economico derivante dalla perdita dell’incremento dello straordinario, conseguente ai turni di disponibilità, anche una perdita di prestigio e decoro nei confronti dei colleghi di lavoro)

 

Svolgimento del processo.

Con sentenza in data 29/1/03 la Corte di Appello di Catania confermava la condanna inflitta a O. A. con sentenza in data 3/12/99 del Tribunale di Ragusa alla pena sospesa di mesi quattro di reclusione, oltre alla pena accessoria e al risarcimento del danno, in favore della costituita parte civile per il reato di cui all’art. 323 cp..

Era ascritto all’imputato di avere, quale Direttore del Laboratorio di Igiene e Profilassi della Provincia di Ragusa, adottato un ordine di servizio, con il quale revocava ogni incarico inerente le mansioni e i compiti di istituto, ivi compresi i turni di c.d. disponibilità (escludeva dai turni di c.d. pronta disponibilità per i mesi di Gennaio e Febbraio 1997), incarico precedentemente conferito alla dipendente L. Virginia, dirigente di 1° livello-sezione chimica, senza il preventivo nulla osta del Direttore Generale, ed in violazione della normativa regolante la materia, allo scopo di danneggiare la predetta dipendente, colpevole a suo avviso di aver testimoniato contro di lui in un procedimento penale relativo ad una indagine dei N.A.S. di Ragusa.

Ricorre avverso tale decisione l’imputato a mezzo del suo difensore, chiedendone l’annullamento, e deducendo con il primo motivo la nullità della sentenza per omessa notifica del decreto di citazione a giudizio alla parte offesa A.S.L., che i giudici del merito avevano disatteso per mancanza di interesse dell’imputato, laddove invece l’interesse era evidente, perché la presenza della P.A. di appartenenza lo sollevasse da ogni responsabilità, avendo sempre assentito e condiviso la condotta del dirigente; con il secondo motivo il vizio motivazionale nella valutazione del danno del reato, non essendosi la Corte di merito posto il problema se il danno, in cui consiste l’evento del reato, dovesse intendersi del soggetto passivo di esso o anche di altri che dal reato sono danneggiati, e non avendo comunque motivato in ordine alla esistenza di un danno economico dalla mancata inclusione della dipendente negli elenchi dei turni di disponibilità, tanto più che il provvedimento era inteso a cautelare l’ente di appartenenza a fronte della inadeguatezza tecnica del dipendente, non laureato in chimica; con il terzo motivo il vizio motivazionale nella valutazione della prova del dolo, non avendo i giudici del merito svolto alcuna indagine sull’elemento psicologico del reato, optando per una sorta di dolo in re ipsa; con il quarto e ultimo motivo la mancata individuazione nella fattispecie in esame delle norme violate, in cui consiste la previsione del reato.

 

Il ricorso non ha fondamento e va pertanto rigettato.

 

Quanto al primo motivo, vi è già adeguata risposta da parte di entrambi i giudici del merito, che si sono adeguati alla consolidata giurisprudenza di legittimità, qui pienamente condivisa, a mente della quale, nel sistema del nuovo codice di procedura penale, informato al principio generale della separazione del procedimento civile dal processo penale, deve escludersi che l’imputato abbia interesse ad eccepire la nullità del decreto di citazione a giudizio per omessa citazione della persona offesa dal reato, e che conseguentemente abbia interesse ad impugnare la sentenza di primo grado che tale citazione abbia disatteso: ciò in quanto è sempre fatta salva la facoltà dell’imputato di chiedere la citazione della parte offesa come teste (Cass. n. 38480 del 18/11/02 rv. 222793; Cass. 6° n. 6089 del 25/5/94 rv. 198494).

Non sussistono poi i vizi motivazionali nella valutazione del danno e del dolo intenzionale, denunciati con il secondo e il terzo motivo, in quanto su questi due punti l’iter argomentativo seguito dal Giudice di merito si ravvisa congruo ed esaustivo, immune da vizi logici e giuridici, in quanto fa leva sull’umiliante mortificazione inferta alla dipendente con funzioni dirigenziali, che da un giorno all’altro si è vista, senza conoscerne le ragioni, letteralmente accantonata e costretta a recarsi ugualmente sul posto di lavoro ogni mattina, senza poter provvedere ad alcuna incombenza di ufficio, privata anche della possibilità di contare sulla partecipazione ai turni di pronta disponibilità, che consentivano a tutti gli impiegati a turno di integrare la retribuzione.

Il danno cui si riferisce la norma incriminatrice de qua non può intendersi limitato solo a situazioni soggettive di carattere patrimoniale e nemmeno a diritti soggettivi perfetti, ma riguarda anche l’aggressione ingiusta alla sfera della personalità per come tutelata dai principi costituzionali (Cass. Sez. 6° U.P. 2/10/98 Arcidiacono).

Nel caso in esame, a parte la perdita dell’incremento dello straordinario, derivante dai turni di disponibilità, non può negarsi il danno subito dalla L. Virginia in conseguenza alla perdita di prestigio e di decoro nei confronti dei propri colleghi di lavoro, strettamente connesso all’ordine di servizio emesso nei suoi confronti dall’imputato.

Quanto al dolo, non è inutile ricordare l’approdo cui è giunta la giurisprudenza di legittimità, secondo la quale, nella nuova formulazione, caratterizzata dalla necessità dell’evento, l’abuso è punito a titolo di dolo generico, caratterizzato dal requisito dell’intenzionalità, restringendosi, in tal modo, l’operatività del momento soggettivo al dolo di evento: con assoluta omogeneità quindi tra momento rappresentativo e momento volitivo (Cass. Sez. 6° U.P. 1/3/99 P.M. c. Menditto; U.P. 14/2/99 Chirico). Nel caso in esame, come correttamente annota il Giudice di primo grado, il provvedimento adottato dall’imputato non era ispirato dall’intento di cautelare l’ente di appartenenza a fronte di una pretesa, poi rilevatasi destituita di fondamento (inadeguatezza tecnica della dipendente laureata in farmacia e non in chimica), ma da un intento vendicativo per una testimonianza che la dipendente aveva reso contro l’imputato.

Non ha pregio infine la censura di cui all’ultimo motivo. Benvero la individuazione delle norme di legge e di regolamento violate non solo si evidenzia dalla lettura del capo di imputazione, ma anche dalla diffusa disamina compiuta dal Giudice di prime cure, che ha stigmatizzato la condotta criminosa posta in essere dall’imputato, rilevando come l’ordine di servizio si risolvesse non in un semplice atto di avocazione di compiti e responsabilità, ma in un provvedimento cautelare “abnorme” di sospensione retribuita dal servizio, non previsto, né ammesso da alcuna norma attinente alla regolamentazione dei procedimenti disciplinari e non; segnatamente confliggente per la sua carenza motivazionale con le norme di cui alla Legge n. 241/1990 sulla trasparenza degli atti amministrativi, per la sua arbitrarietà con la direttiva interna 23/2/1996, che stabiliva che tutte le disposizioni interne di servizio, adottate dagli organi gerarchici, compresi quelli apicali, dovevano essere previamente muniti del nulla osta e/o presa d’atto del Direttore Generale in ottemperanza alle disposizioni di cui all’art. 3 della Legge n. 502/1992 sul riordino della disciplina in materia sanitaria ed infine con l’art. 10 del D.P.R. n. 821/1984, recante norme sul Servizio Sanitario Nazionale, che riconosce al dirigente dell’unità operativa o dipartimentale il potere di avocare alla sua diretta responsabilità singole attività specifiche del dipendente, e non, come è avvenuto nel caso in esame, tutte le funzioni disimpegnate dalla L. Virginia.

Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e alla rifusione delle spese sostenute dalla costituita parte civile, che si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese di p.c. relative a questa fase, che liquida in complessivi euro 2.250, di cui euro 250 per esborsi, oltre I.V.A. e C.P.A. come per Legge.

 

Così deciso in Roma, il 15 gennaio 2004.

Depositato in Cancelleria il 6 febbraio 2004

 

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