Limite di soglia per riconoscimento benefici previdenziali ad esposti ad amianto, secondo la Cassazione

 

Cass., sez. lav., 20 settembre 2007, n. 19459

 

Rivalutazione previdenziale esposti ad amianto – Limite di soglia – Sussiste – E’ quello di cui all’art. 24 d.lgs. n. 277/91, pari a 0,1 fibre/cm3 (uguale a 100 ff/litro)

 

Il disposto della L. n. 257 del 1992, art. 13, comma 8, relativo all'attribuzione di un beneficio contributivo-pensionistico ai lavoratori esposti all'amianto per un periodo superiore a dieci anni, va interpretato nel senso che l'esposizione all'amianto ivi prevista è identificabile con un'esposizione superiore al valore di 0,1 fibre per centimetro cubo di cui al D.Lgs. n. 277 del 1991, art. 24, comma 3.

 

Svolgimento del processo

 

Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d'appello di Firenze, provvedendo sulla domanda proposta da C.M. contro l'Inps, diretta al riconoscimento del diritto alla rivalutazione contributiva a norma della L. n. 257 del 1992, art. 13, comma 8, e successive modifiche per un periodo ultradecennale di esposizione all'amianto, in parziale riforma della decisione di primo grado, ha affermato il diritto dell'assicurato alla chiesta rivalutazione per il periodo dal 1 febbraio 1975 al 1 marzo 1992.

Per quanto ancora rileva, è opportuno ricordare che la Corte d'appello, sulla base di un'ampia motivazione, ha espresso il convincimento che la L. n. 257 del 1992, art. 13, comma 8, non richiede il riferimento a valori di soglia di concentrazione dell'amianto aerodisperso ricavabili da specifiche fonti normative, ma un'esposizione "qualificata" all'amianto, dipendente dal concreto svolgimento di mansioni lavorative, che abbia esposto il lavoratore all'inalazione di fibre aerodisperse di amianto in misura notevolmente superiore a quella della popolazione in generale. Sulla base di tale principio di diritto la Corte di merito ha proceduto alla valutazione della concreta fattispecie e ha ritenuto sussistente il diritto del lavoratore alla rivalutazione contributiva per il periodo suindicato.

L'Inps propone ricorso per cassazione affidato ad un unico e articolato motivo di impugnazione.

L'assicurato resiste con controricorso.

Motivi della decisione

 

Il ricorso dell'Inps denuncia violazione e falsa applicazione della L. 27 marzo 1992, n. 257 art. 13, comma 8, in relazione al D.Lgs. 15 agosto 1991, n. 277, artt. 24 e 31; violazione e falsa applicazione dell'art. 2697 c.c., degli artt. 115 e 116 c.p.c. e vizi di motivazione. Si lamenta che il giudice di merito abbia interpretato il citato art. 13, comma 8, escludendo che esso faccia riferimento ai livelli di esposizione a rischio individuati dal D.Lgs. n. 277 del 1991, artt. 24 e 32, al riguardo si richiama la giurisprudenza di questa Corte e, in particolare, le considerazioni di Corte cost. n. 5/2000 e la circostanza che è la stessa L. n. 257 del 1992 a dare fondamento normativo all'esigenza di un'esposizione superiore ad una certa soglia, in quanto prevede con specifica disposizione (art. 3, poi sostituito dalla L. 24 aprile 1998, n. 128, art. 16) il limite di concentrazione al di sotto del quale le fibre di amianto devono ritenersi "respirabili" nell'ambiente di lavoro. Si contesta poi che al D.L. n. 269 del 2003, art. 47, possa attribuirsi il carattere di norma innovativa. Ribadita quindi l'inaccettabilità ai fini in esame della nozione di esposizione qualificata delineata dal giudice di merito, si sottolinea come nella specie sia mancato l'accertamento circa il superamento della soglia di esposizioni minima di cui al D.Lgs. n. 277 del 1991, artt. 24 e 31.

Deve rilevarsi che la Corte d'appello di Firenze ha aderito ad una interpretazione della normativa rilevante ai fini della decisione che è in contrasto con i principi ripetutamente affermati sulla materia da questa Corte, principi che, con alcune precisazioni, vengono ora ribaditi.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte: "Il disposto della L. n. 257 del 1992, art. 13, comma 8, va interpretato nel senso che il beneficio pensionistico ivi previsto va attribuito unicamente agli addetti a lavorazioni che presentano valori di rischio per esposizione a polveri d'amianto superiori a quelli consentiti dal D.Lgs. n. 277 del 1991, artt. 24 e 31; nell'esame della fondatezza della relativa domanda, il giudice di merito deve accertare - nel rispetto dei criteri di ripartizione dell'onere probatorio - se l'assicurato, dopo aver provato la specifica lavorazione praticata e l'ambiente dove ha svolto per più di dieci anni (periodo in cui vanno valutate anche le pause "fisiologiche", quali riposi, ferie e festività) detta lavorazione, abbia anche dimostrato che tale ambiente ha presentato una concreta esposizione al rischio alle polveri di amianto con valori limite superiori a quelli indicati nel D.Lgs. n. 277 del 1991" (Cass. n. 4913/2001, seguita da numerose altre pronunce che hanno confermato lo stesso principio, tra cui Cass. n. 8859/2001, 2926/2002, 7084/2002, 10185/2002, 997/2003, 16256/2003, 16118/2005, 16119/2005). E' stato anche precisato che, ai fini del superamento della soglia in questione, non può attribuirsi un valore autonomo agli atti di indirizzo del Ministero, previsti dalla L. n. 179 del 2002, i quali assolvono soltanto ad una funzione di supporto nei confronti dell'INAIL, a cui è deferito il compito di certificare la durata e la consistenza del rischio subito dal lavoratore in relazione alle mansioni da lui svolte (cfr. Cass. n. 15800/2006).

Come è noto, tale linea interpretativa si collega all'esigenza di individuare una soglia di esposizione a rischio che valga a dare concretezza alla nozione di esposizione all'amianto presa in considerazione dalla L. n. 257 del 1992, art. 13, comma 8, (nel testo di cui alla D.L. n. 169 del 1993, art. 1, convertito nella L. n. 271 del 1993), che non presenta gli elementi di delimitazione del rischio che invece sono rappresentati nella previsione del comma 6 dal particolare tipo di lavorazione (svolgimento del lavoro nelle cave o nelle miniere di amianto) e in quella del comma 7 dalla verificazione di una malattia professionale correlata all'esposizione stessa.

Appare significativo che l'esigenza di precisare l'effettiva portata della norma è condivisa, sia pure con uno sviluppo ermeneutico diverso, anche dal giudice di merito, la cui sentenza viene ora all'esame, ed è indubbiamente rilevante che l'opzione ermeneutica di questa Corte si correli con l'orientamento della Corte costituzionale, che con le sentenze n. 5 del 2000 (avente specificamente ad oggetto la questione della sufficiente determinazione della norma) e n. 434 del 2002, valutabili congiuntamente, ha rilevato che la norma in questione ha una portata delimitata dalla previsione del periodo temporale minimo di esposizione a rischio e dalla riferibilità a limiti quantitativi inerenti alle potenzialità morbigene dell'amianto contenuti nel D.Lgs. n. 277 del 1991 e successive modifiche.

Poiché il principio enunciato da questa Corte fa riferimento al D.Lgs. n. 277 del 1991, artt. 24 e 31, è opportuno ricordare che l'art. 24 indica al comma 3 - o meglio indicava (visto che tutto il capo 3^ del D.Lgs. n. 277 del 1991, comprendente sia l'art. 24 che l'art. 31, è stato abrogato dal D.Lgs. 25 luglio 2006, n. 257, art. 5, che ha dato attuazione alla direttiva comunitaria 2003/18/CE del 27 marzo 2003, inserendo la novellata disciplina della protezione dei lavoratori contro i rischi connessi all'esposizione all'amianto nel D.Lgs. n. 626 del 1994) - il valore di 0,1 fibre di amianto per centimetro cubo (in rapporto ad un periodo di riferimento di otto ore) quale soglia il cui superamento implica in sostanza la valutazione della relativa posizione di lavoro come esposta ad un rischio qualificato, che richiede l'adozione di apposite misure di prevenzione e monitoraggio, come l'obbligo di notifica all'organo di vigilanza; l'informazione con periodicità annuale al lavoratore circa i rischi cui è esposto; la delimitazione dei luoghi in cui sussistono le condizioni di esposizione a rischio, con restrizione di accesso ai medesimi e messa a disposizione dei lavoratori addetti dei mezzi individuali di protezione; misure particolari circa gli indumenti dei lavoratori e i servizi igienici a disposizione degli stessi; misurazioni periodiche dei livelli di esposizione;

l'inserimento del lavoratore in apposito registro, con periodica comunicazione dei relativi dati a organi di vigilanza e sanitari.

L'art. 31, d'altra parte, indicava (nel testo comprensivo delle modifiche L. n. 257 del 1992, ex art. 3) i valori medi limite di esposizione all'amianto nella misura di 0,2 fibre per centimetro cubo, salvo il superiore limite di 0,6 fibre per centimetro cubo in caso di esposizione a sole fibre di crisolito.

Il riferimento complessivo da parte della giurisprudenza al D.Lgs. n. 277 del 1991, artt. 24 e 31, per l'individuazione della soglia, che deve intendersi integrare la portata precettiva della L. n. 257 del 1992, art. 13, comma 8, implica in concreto, a ben vedere, il riferimento al valore meno elevato di cui all'art. 24, correlato peraltro, come è evidente, ad una situazione considerata dallo stesso legislatore come di rischio qualificato e molto concreto, come di recente puntualizzato da questa Corte (Cass. n. 400/2007). E in effetti è questa soglia di 0,1 fibre per centimetro cubo quella che risulta considerata rilevante dallo stesso Inps e che ha trovato riscontro concreto in talune precedenti pronunce di questa Corte (cfr. Cass. n. 16256/2003 e 16119/2005). E' opportuno anche ricordare che il D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 59 decies, introdotto dal D.Lgs. n. 257 del 2006, art. 2 (in attuazione, come si è già ricordato, della direttiva comunitaria 2003/18/CE), ha ormai fissato nel valore di 0,1 fibre per centimetro cubo il limite massimo di esposizione all'amianto.

Il dibattito circa l'interpretazione della L. n. 257 del 1992, art. 13, comma 8, coinvolge anche la valutazione degli eventuali elementi desumibili dalla modifica della disciplina dei benefici in questione attuata dal D.L. n. 269 del 2003, art. 47 - il cui testo è stato ampiamente modificato e integrato dalla Legge di Conversione n. 326 del 2003 e la cui portata è stata ulteriormente precisata dalla L. n. 350 del 2003, art. 3, comma 132 -, che, oltre a modificare la misura e la portata del beneficio contributivo accordato - riducendo il coefficiente di maggiorazione da 1,5 a 1,25 e limitando la sua incidenza alla determinazione della misura delle prestazioni pensionistiche, esclusa invece la sua rilevanza ai fini del diritto all'accesso alle prestazioni stesse -, precisa la fattispecie costitutiva nel senso che è richiesta l'esposizione all'amianto in concentrazione media annua non inferiore a 100 fibre/litro come valore medio su otto ore al giorno, concentrazione che corrisponde a quella di 0,1 fibre per centimetro cubo espressa con una diversa unità di misura dalla L. n. 277 del 1991, art. 24. La sentenza impugnata ritiene che rappresentino elementi di conferma del carattere innovativo anche di quest'ultima parte della disposizione sia il fatto stesso della sua introduzione, sia l'impiego della espressione secondo cui i benefici "sono concessi esclusivamente ai lavoratori che ...". In effetti appare più persuasiva l'opinione che la nuova disciplina confermi che anche precedentemente era richiesta un'esposizione superiore ad una determinata soglia di legge (Cass. n. 21257/2004 e 22422/2006), perché il legislatore del 2003 ha ritenuto congrua la previsione di una soglia di esposizione quantitativamente precisata. Né appare adeguatamente significativo il fatto che il legislatore del 2003 abbia indubbiamente, sotto altri aspetti, mirato a ridurre la portata dei benefici in questione, anche perché vi è il dato obiettivo che è mancata una norma di interpretazione autentica della disciplina previgente, pur in presenza di un già netto orientamento della giurisprudenza di cassazione.

La circostanza che la riforma del 2003 abbia espressamente fatto riferimento ad una precisa soglia di esposizione alle fibre di amianto contribuisce a far escludere la decisività delle obiezioni correlate alla difficoltà di provare il superamento di determinati livelli di esposizione in anni pregressi, per i quali possono mancare rilevazioni strumentali del tipo di quelle previste dalla normativa più recente. D'altra parte i numerosi precedenti di merito esistenti in materia confermano che sono possibili accertamenti tecnici basati sulla valutazione dei tipi di lavorazione e delle relative condizioni ambientali riscontrabili nelle varie epoche e nelle varie realtà aziendali.

E' appena il caso di rilevare che nel caso in esame non è in discussione la perdurante rilevanza delle norme vigenti anteriormente all'entrata in vigore del D.L. n. 269 del 2003 (in effetti opera virtualmente quanto meno la previsione di salvezza delle previgenti disposizioni a favore dei lavoratori che ottengano sentenze favorevoli per cause avviate entro la data del 2 ottobre 2003, contenuta nella L. n. 350 del 2003, art. 3, comma 132).

In conclusione, rilevato che il giudice di merito ha fatto applicazione di un erroneo principio di diritto e conseguentemente non ha accertato se vi sia stato, per il periodo minimo previsto dalla legge, l'esposizione all'amianto in misura superiore alla soglia in questione, la sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio della causa ad altro giudice (che si indica nella stessa Corte d'appello di Firenze in diversa composizione). Il quale si atterrà al seguente principio di diritto: "Il disposto della L. n. 257 del 1992, art. 13, comma 8, relativo all'attribuzione di un beneficio contributivo-pensionistico ai lavoratori esposti all'amianto per un periodo superiore a dieci anni, va interpretato nel senso che l'esposizione all'amianto ivi prevista è identificabile con un'esposizione superiore al valore di 0,1 fibre per centimetro cubo di cui al D.Lgs. n. 277 del 1991, art. 24, comma 3, (abrogato dal D.Lgs. n. 257 del 2006, art. 5)" ed espleterà, nell'ambito dei suoi poteri, tutti gli accertamenti opportuni al fine di verificare il superamento della suddetta soglia.

Lo stesso giudice provvederà anche per le spese del giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

 

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d'appello di Firenze, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di Cassazione.

Depositato in Cancelleria il 20 settembre 2007

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P.S.: In precedenza nello stesso senso, in sede di merito, Trib. Milano 15 marzo 2006 (est. Scudieri).

 

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Corte di Cassazione - Sezione lavoro - sentenza 13 gennaio 2009, n. 498 – Pres. Mercurio – Rel. Amoroso – Ricorrente: INPS.
 
Benefici previdenziali da esposizione ad amianto – Condizioni.
 
Il disposto dell'art. 13, ottavo comma, della legge n. 257 del 1992, relativo all'attribuzione di un beneficio contributivo-pensionistico ai lavoratori esposti all'amianto per un periodo superiore a dieci anni, va interpretato nel senso che l'esposizione all'amianto ivi prevista è identificabile con un'esposizione superiore al valore di 0,1 fibre per centimetro cubo di cui all'art. 24, terzo comma, del d.lgs. n. 277/1991 (abrogato dall'art. 5 del d.lgs. n. 257/2006).
Svolgimento del processo
1. Con sentenza del 14 dicembre 2005 - 22 febbraio 2006 la Corte d'appello di Milano confermava, in parte qua, la statuizione emessa dal Tribunale di Milano che aveva accolto la domanda di B. R. E. contro l'INPS, intesa ad ottenere la rivalutazione dei contributi relativi al periodo di esposizione all'amianto ai sensi della legge n. 257 del 1992, art. 13, comma 8. Condannava l'INPS al pagamento delle spese del grado.
In particolare la Corte territoriale negava in diritto la necessità del superamento di una determinata soglia di esposizione per ottenere il beneficio, assumendo che la soglia era stata introdotta solo dal D.L. n. 269 del 2003, art. 47, convertito in L. n. 326 del 2003 e dalla L. n. 350 del 2003, art. 3, comma 132 e 133, le quali disposizioni, per previsione espressa, non erano applicabili ai giudizi in corso.
2. Avverso detta sentenza l'Inps propone ricorso affidato ad un unico motivo.
Il lavoratore intimato resiste con controricorso.
Motivi della decisione
1. Il ricorso dell'Inps denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 13, comma 8, della legge 27 marzo 1992 n. 257 in relazione agli artt. 24 e 31 del d.lgs. 15 agosto 1991 n. 277; violazione e falsa applicazione dell'art. 2697 c.c., degli artt. 115 e 116 c.p.c. e vizi di motivazione. Si lamenta che il giudice di merito abbia interpretato il citato art. 13, comma 8, escludendo che esso faccia riferimento ai livelli di esposizione a rischio individuati dagli artt. 24 e 32 del d.lgs. n. 277/1991; al riguardo si richiama la giurisprudenza di questa Corte e, in particolare, le considerazioni di Corte cost. n. 5/2000 e la circostanza che è la stessa legge n. 257/1992 a dare fondamento normativo all'esigenza di un'esposizione superiore ad una certa soglia, in quanto prevede con specifica disposizione (art. 3, poi sostituito dall'art. 16 della l. 24 aprile 1998 n. 128) il limite di concentrazione al di sotto del quale le fibre di amianto devono ritenersi “respirabili” nell'ambiente di lavoro. Si contesta poi che all'art. 47 del d.l. n. 269/2003 possa attribuirsi il carattere di norma innovativa. Ribadita quindi l'inaccettabilità ai fini in esame della nozione di esposizione qualificata delineata dal giudice di merito, si sottolinea come nella specie sia mancato l'accertamento circa il superamento della soglia di esposizioni minima di cui agli artt. 24 e 31 del d.lgs. n. 277/1991.
2. Il ricorso dell'Inps merita accoglimento.
Deve rilevarsi che la Corte d'appello di Milano ha aderito ad una interpretazione della normativa rilevante ai fini della decisione che è in contrasto con i principi ripetutamente affermati sulla materia da questa Corte, principi che vengono ora ribaditi.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte: “Il disposto dell'art. 13, ottavo comma della legge n. 257 del 1992 va interpretato nel senso che il beneficio pensionistico ivi previsto va attribuito unicamente agli addetti a lavorazioni che presentano valori di rischio per esposizione a polveri d'amianto superiori a quelli consentiti dagli artt. 24 e 31 del d.lgs. n. 277/1991; nell'esame della fondatezza della relativa domanda, il giudice di merito deve accertare - nel rispetto dei criteri di ripartizione dell'onere probatorio – se l'assicurato, dopo aver provato la specifica lavorazione praticata e l'ambiente dove ha svolto per più di dieci anni (periodo in cui vanno valutate anche le pause “fisiologiche”, quali riposi, ferie e festività) detta lavorazione, abbia anche dimostrato che tale ambiente ha presentato una concreta esposizione al rischio alle polveri di amianto con valori limite superiori a quelli indicati nel d.lgs. n. 277 del 1991” (Cass. n. 4913/2001, seguita da numerose altre pronunce che hanno confermato lo stesso principio, tra cui Cass. n. 8859/2001, 2926/2002, 7084/2002, 10185/2002, 997/2003, 16256/2003, 16118/2005, 16119/2005). È stato anche precisato che, ai fini del superamento della soglia in questione, non può attribuirsi un valore autonomo agli atti di indirizzo del Ministero, previsti dalla legge n. 179 del 2002, i quali assolvono soltanto ad una funzione di supporto nei confronti dell'INAIL, a cui è deferito il compito di certificare la durata e la consistenza del rischio subito dal lavoratore in relazione alle mansioni da lui svolte (cfr. Cass. n. 15800/2006).
Come è noto, tale linea interpretativa si collega all'esigenza di individuare una soglia di esposizione a rischio che valga a dare concretezza alla nozione di esposizione all'amianto presa in considerazione dall'art. 13, comma 8, della legge n. 257/1992 (nel testo di cui all'art. 1 del d.l. n. 169/1993, convertito nella legge n. 271/1993), che non presenta gli elementi di delimitazione del rischio che invece sono rappresentati nella previsione del comma 6 dal particolare tipo di lavorazione (svolgimento del lavoro nelle cave o nelle miniere di amianto) e in quella del comma 7 dalla verificazione di una malattia professionale correlata all'esposizione stessa. Appare significativo che l'esigenza di precisare l'effettiva portata della norma è condivisa, sia pure con uno sviluppo ermeneutico diverso, anche dal giudice di merito, la cui sentenza viene ora all'esame, ed è indubbiamente rilevante che l'opzione ermeneutica di questa Corte si correli con l'orientamento della Corte costituzionale, che con le sentenze n. 5 del 2000 (avente specificamente ad oggetto la questione della sufficiente determinazione della norma) e n. 434 del 2002, valutabili congiuntamente, ha rilevato che la norma in questione ha una portata delimitata dalla previsione del periodo temporale minimo di esposizione a rischio e dalla riferibilità a limiti quantitativi inerenti alle potenzialità morbigene dell'amianto contenuti nel d.lgs. n. 277/1991 e successive modifiche.
Poiché il principio enunciato da questa Corte fa riferimento agli artt. 24 e 31 del d.lgs. n. 277/1991, è opportuno ricordare che l'art. 24 indica al comma 3 - o meglio indicava (visto che tutto il capo III del d.lgs. n. 277/1991, comprendente sia l'art. 24 che l'art. 31, è stato abrogato dall'art. 5 del d.lgs. 25 luglio 2006 n. 257, che ha dato attuazione alla direttiva comunitaria 2003/18/CE del 27 marzo 2003, inserendo la novellata disciplina della protezione dei lavoratori contro i rischi connessi all'esposizione all'amianto nel d.lgs. n. 626/1994) - il valore di 0,1 fibre di amianto per centimetro cubo (in rapporto ad un periodo di riferimento di otto ore) quale soglia il cui superamento implica in sostanza la valutazione della relativa posizione di lavoro come esposta ad un rischio qualificato, che richiede l'adozione di apposite misure di prevenzione e monitoraggio, come l'obbligo di notifica all'organo di vigilanza; l'informazione con periodicità annuale al lavoratore circa i rischi cui è esposto; la delimitazione dei luoghi in cui sussistono le condizioni di esposizione a rischio, con restrizione di accesso ai medesimi e messa a disposizione dei lavoratori addetti dei mezzi individuali di protezione; misure particolari circa gli indumenti dei lavoratori e i servizi igienici a disposizione degli stessi; misurazioni periodiche dei livelli di esposizione; l'inserimento del lavoratore in apposito registro, con periodica comunicazione dei relativi dati a organi di vigilanza e sanitari. L'art. 31, d'altra parte, indicava (nel testo comprensivo delle modifiche ex art. 3 l. n. 257/1992) i valori medi limite di esposizione all'amianto nella misura di 0,2 fibre per centimetro cubo, salvo il superiore limite di 0,6 fibre per centimetro cubo in caso di esposizione a sole fibre di crisolito.
Il riferimento complessivo da parte della giurisprudenza agli artt. 24 e 31 del d.lgs. n. 277/1991 per l'individuazione della soglia, che deve intendersi integrare la portata precettiva dell'art. 13, comma 8, della legge 257/1992, implica in concreto, a ben vedere, il riferimento al valore meno elevato di cui all'art. 24, correlato peraltro, come è evidente, ad una situazione considerata dallo stesso legislatore come di rischio qualificato e molto concreto, come di recente puntualizzato da questa Corte (Cass. n. 400/2007). E in effetti è questa soglia di 0,1 fibre per centimetro cubo quella che risulta considerata rilevante dallo stesso Inps e che ha trovato riscontro concreto in talune precedenti pronunce di questa Corte (cfr. Cass. n. 16256/2003 e 16119/2005). È opportuno anche ricordare che l'art. 59-decies del d.lgs. n. 626/1994, introdotto dall'art. 2 del d.lgs. n. 257/2006 (in attuazione, come si è già ricordato, della direttiva comunitaria 2003/18/CE), ha ormai fissato nel valore di 0,1 fibre per centimetro cubo il limite massimo di esposizione all'amianto.
Il dibattito circa l'interpretazione dell'art. 13, comma 8, l. n. 257/1992 coinvolge anche la valutazione degli eventuali elementi desumibili dalla modifica della disciplina dei benefici in questione attuata dall'art. 47 del d.l. n. 269/2003 - il cui testo è stato ampiamente modificato e integrato dalla legge di conversione n. 326/2003 e la cui portata è stata ulteriormente precisata dall'art. 3, comma 132, della legge n. 350/2003 -, che, oltre a modificare la misura e la portata del beneficio contributivo accordato - riducendo il coefficiente di maggiorazione da 1,5 a 1,25 e limitando la sua incidenza alla determinazione della misura delle prestazioni pensionistiche, esclusa invece la sua rilevanza ai fini del diritto all'accesso alle prestazioni stesse -, precisa la fattispecie costitutiva nel senso che è richiesta l'esposizione all'amianto in concentrazione media annua non inferiore a 100 fibre/litro come valore medio su otto ore al giorno, concentrazione che corrisponde a quella di 0,1 fibre per centimetro cubo espressa con una diversa unità di misura dall'art. 24 della legge n. 277/1991. La sentenza impugnata ritiene che rappresentino elementi di conferma del carattere innovativo anche di quest'ultima parte della disposizione sia il fatto stesso della sua introduzione, sia l'impiego della espressione secondo cui i benefici “sono concessi esclusivamente ai lavoratori che...”. In effetti appare più persuasiva l'opinione che la nuova disciplina confermi che anche precedentemente era richiesta un'esposizione superiore ad una determinata soglia di legge (Cass. n. 21257/2004 e 22422/2006), perché il legislatore del 2003 ha ritenuto congrua la previsione di una soglia di esposizione quantitativamente precisata. Né appare adeguatamente significativo il fatto che il legislatore del 2003 abbia indubbiamente, sotto altri aspetti, mirato a ridurre la portata dei benefici in questione, anche perché vi è il dato obiettivo che è mancata una norma di interpretazione autentica della disciplina previgente, pur in presenza di un già netto orientamento della giurisprudenza di cassazione.
La circostanza che la riforma del 2003 abbia espressamente fatto riferimento ad una precisa soglia di esposizione alle fibre di amianto contribuisce a far escludere la decisività delle obiezioni correlate alla difficoltà di provare il superamento di determinati livelli di esposizione in anni pregressi, per i quali possono mancare rilevazioni strumentali del tipo di quelle previste dalla normativa più recente. D'altra parte i numerosi precedenti di merito esistenti in materia confermano che sono possibili accertamenti tecnici basati sulla valutazione dei tipi di lavorazione e delle relative condizioni ambientali riscontrabili nelle varie epoche e nelle varie realtà aziendali.
È appena il caso di rilevare che nel caso in esame non è in discussione la perdurante rilevanza delle norme vigenti anteriormente all'entrata in vigore del d.l. n. 269/2003 (in effetti opera virtualmente quanto meno la previsione di salvezza delle previgenti disposizioni a favore dei lavoratori che ottengano sentenze favorevoli per cause avviate entro la data del 2 ottobre 2003, contenuta nell'art. 3, comma 132, della  legge n. 350/2003).
3. In conclusione, rilevato che il giudice di merito ha fatto applicazione di un erroneo principio di diritto e conseguentemente non ha accertato se vi sia stato, per il periodo minimo previsto dalla legge, l'esposizione all'amianto in misura superiore alla soglia in questione, la sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio della causa alla stessa Corte d'appello di Milano in diversa composizione, che si atterrà al seguente principio di diritto: “Il disposto dell'art. 13, ottavo comma, della legge n. 257 del 1992, relativo all'attribuzione di un beneficio contributivo-pensionistico ai lavoratori esposti all'amianto per un periodo superiore a dieci anni, va interpretato nel senso che l'esposizione all'amianto ivi prevista è identificabile con un'esposizione superiore al valore di 0,1 fibre per centimetro cubo di cui all'art. 24, terzo comma, del d.lgs. n. 277/1991 (abrogato dall'art. 5 del d.lgs. n. 257/2006)” ed espleterà, nell'ambito dei suoi poteri, tutti gli accertamenti opportuni al fine di verificare il superamento della suddetta soglia. Lo stesso giudice provvederà anche per le spese di questo giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte d'appello di Milano in diversa composizione.
Depositato il 13 gennaio 2009.

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Cassazione,  sez.lav., 6 maggio 2009 n. 10437 – Pres. Ravagnani – Rel. Toffoli – INPS c. CO.PA.

 

Benefici previdenziali da esposizione ad amianto – Necessità dei due requisiti della esposizione ultradecennale  e dell’esposizione a “quantità” determinante rischio effettivo e non solo potenziale (cd. esposizione qualificata).

 

La Corte costituzionale, nella sentenza n. 5 del 2000, ha ritenuto non fondata la questione di costituzionalita' dell'articolo 13, comma 8 - sollevata (anche) sotto il profilo che la mancata determinazione del fattore rischio, cioe' della misura di esposizione rilevante, avrebbe portato, in violazione dell'articolo 3 Cost., a trattare in maniera uniforme situazioni di concreto pericolo e non - proprio in base ad un'interpretazione della norma atta a escludere l'intento di introdurre una indiscriminata rilevanza di qualsiasi tipo di esposizione, anche minima, purche' protrattasi per oltre dieci anni, presupponendo la norma stessa, invece, il superamento di una specifica soglia di rilevanza del rischio (quella appunto indicata dal Decreto Legislativo n. 277 del 1991 e successive modifiche), in quanto tale da connotare le lavorazioni di qualificate potenzialita' morbigene. La necessita' di subordinare l'applicazione della tutela alla presenza di un simile, piu' concreto rischio morbigeno, il rischio, cioe', per il lavoratore "esposto" di subire danni all'organismo per la obiettiva, qualificata, pericolosita' dell'attivita' lavorativa svolta, e' stata ribadita da C. cost. n. 127 del 2002 ed ancora il giudice delle leggi, nell'escludere che le provvidenze in questione abbiano carattere risarcitorio-indennitario per i lavoratori comunque esposti all'amianto, ha ravvisato la ratio del beneficio nell'intento di favorire il raggiungimento del diritto alla pensione per i lavoratori coinvolti nel processo di dismissione delle lavorazioni comportanti l'uso dell'amianto (C. cost. n. 369 del 2003), confermando cosi' la necessaria rilevanza di un'esposizione "qualificata".

 

MOTIVI

 

La Corte pronuncia in camera di consiglio ex articolo 375 c.p.c. a seguito di relazione ex articolo 380-bis.

L'impugnata sentenza della Corte d'appello di Napoli  ha confermato la sentenza di primo grado che aveva riconosciuto il diritto di Co. Pa. alla maggiorazione contributiva del 50% per esposizione all'amianto, prevista dalla Legge n. 257 del 1992, articolo 13, comma 8, in riferimento a tutto il periodo lavorativo sottoposto all'assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali derivanti dall'esposizione all'amianto, una volta accertata l'esposizione ultradecennale all'amianto. La Corte infatti, riferito che l'Inps aveva lamentato il riconoscimento di periodi non certificati dall'Inail e non sottoposti ad assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali, e la mancata considerazione della giurisprudenza in merito alle necessarie soglie di esposizione all'amianto, e ribadito che il giudice di primo grado aveva limitato il riconoscimento ai periodi sottoposti ad assicurazione specifica, rilevava che l'Inps non aveva formulato censure puntuali relativamente all'accertamento compiuto dal giudice di primo grado anche riguardo al superamento della soglia in questione.

La Corte di merito riteneva che il beneficio di legge dovesse riguardare il periodo lavorativo assoggettato all'assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali nella sua interezza.

L'Inps propone ricorso per cassazione, corredato di specifico quesito, con cui censura la pronuncia d'appello invocando il principio di diritto secondo cui la rivalutazione del 50% si applica solo al periodo contributivo durante il quale vi e' stata la richiesta esposizione alle fibre di amianto aerodisperse. L'intimato non si e' costituito.

Il ricorso deve ritenersi manifestamente fondato.

La giurisprudenza della Corte ha ripetutamente enunciato fin dalla sentenza 3 aprile 2001, n. 4913 (e, successivamente, tra tante, 27 febbraio 2002, n. 2926, 15 maggio 2002, n. 7084, 11 luglio 2002, n. 10114, 12 luglio 2002, n. 10185, 23 gennaio 2003, n. 997; 29 ottobre 2003, n. 16256; 13 febbraio 2004, n. 2849), il principio secondo il quale l'attribuzione dell'eccezionale beneficio della rivalutazione contributiva di cui alla Legge 27 marzo 1992, n. 257, articolo 13, comma 8, nel testo risultante dalle modifiche apportate dal Decreto Legge 5 giugno 1993, n. 169, articolo 1, comma 1, e dalla successiva Legge Conversione 4 agosto 1993, n. 271, presuppone l'adibizione ultradecennale del lavoratore a mansioni comportanti, per il lavoratore medesimo, un effettivo e personale rischio morbigeno, tale  da costituire un pericolo concreto per la salute a causa della presenza, nei luoghi di lavoro, di una concentrazione di fibre di amianto superiore ai valori limite indicati nella legislazione di prevenzione di cui al Decreto Legislativo 15 agosto 1991, n. 277, e successive modifiche. Si e' osservato tra l'altro che, se si ha riguardo alle altre misure di sostegno apprestate per i lavoratori nelle varie disposizioni dello stesso articolo 13, appare piu' che giustificata, per coloro che siano stati semplicemente esposti all'azione della sostanza nociva, la necessita' di una doppia "soglia" (riguardante cioe' sia la durata che la intensita' della esposizione) di accesso al beneficio previdenziale, tenuto conto della diversita' del rischio che, nel caso considerato dal comma 8, e' solo eventuale, mentre e' certo e ormai verificato nel caso (della malattia professionale) previsto dal comma 7, ed e' ancora eventuale ma con probabilita' massima di manifestazione nel caso (dei lavoratori delle miniere o delle cave di amianto) descritto nel comma 6; che la Corte costituzionale, nella sentenza n. 5 del 2000, ha ritenuto non fondata la questione di costituzionalita' dell'articolo 13, comma 8 - sollevata (anche) sotto il profilo che la mancata determinazione del fattore rischio, cioe' della misura di esposizione rilevante, avrebbe portato, in violazione dell'articolo 3 Cost., a trattare in maniera uniforme situazioni di concreto pericolo e non - proprio in base ad un'interpretazione della norma atta a escludere l'intento di introdurre una indiscriminata rilevanza di qualsiasi tipo di esposizione, anche minima, purche' protrattasi per oltre dieci anni, presupponendo la norma stessa, invece, il superamento di una specifica soglia di rilevanza del rischio (quella appunto indicata dal Decreto Legislativo n. 277 del 1991 e successive modifiche), in quanto tale da connotare le lavorazioni di qualificate potenzialita' morbigene; che la necessita' di subordinare l'applicazione della tutela alla presenza di un simile, piu' concreto rischio morbigeno, il rischio, cioe', per il lavoratore "esposto" di subire danni all'organismo per la obiettiva, qualificata, pericolosita' dell'attivita' lavorativa svolta, e' stata ribadita da C. cost. n. 127 del 2002 ed ancora il giudice delle leggi, nell'escludere che le provvidenze in questione abbiano carattere risarcitorio-indennitario per i lavoratori comunque esposti all'amianto, ha ravvisato la ratio del beneficio nell'intento di favorire il raggiungimento del diritto alla pensione per i lavoratori coinvolti nel processo di dismissione delle lavorazioni comportanti l'uso dell'amianto (C. cost. n. 369 del 2003), confermando cosi' la necessaria rilevanza di un'esposizione "qualificata".

La suddetta interpretazione e' stata poi sostanzialmente presupposta nei successivi sviluppi legislativi che hanno modificato la disciplina del beneficio in questione (Decreto Legge 30 settembre 2003, n. 269, articolo 47, convertito, con modificazioni, dalla Legge 24 novembre 2003, n. 326), peraltro inapplicabili alla controversia ratione temporis.

Sulla base di questi principi questa Corte ha ripetutamente ritenuto che l'articolo 13, comma 8, attraverso la convergenza degli ordinari criteri ermeneutici (letterale, sistematico e teleologico), deve essere interpretato nel senso che per "intero periodo lavorativo soggetto all'assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali derivanti dall'esposizione all'amianto, gestita dall'Inail" deve intendersi quello, necessariamente superiore ai dieci anni, connotato dal rischio morbigeno come sopra definito, restando esclusi i periodi lavorativi diversi (cosi' la giurisprudenza ormai consolidata di questa Corte: tra tante, Cass . sent. n. 517 del 2007, n. 27111 del 2006, n. 1140  del 2005, n. 21667 del 2004, n. 4950 del 2002).

In conclusione il ricorso deve essere accolto, con cassazione della sentenza impugnata e rinvio della causa ad altro giudice (la stessa Corte in diversa composizione), che si atterra' al gia' riportato principio di diritto e provvedera' anche alla regolazione delle spese del presente grado.

 

P.Q.M.

 

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese, alla Corte d'appello di Napoli  in diversa composizione.

 

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