Benefici previdenziali da esposizione ad inalazione fibre d'amianto

 

Tribunale Milano 15 marzo 2006, est. Scudieri, Lucilio (avv. Garlatti) c. Inps (avv. Cama).

 

Riconoscimento dei benefici previdenziali ex art 13 L. 257/92 - Esclusiva rilevanza dell'esposizione a concentrazioni pari o superiori a 0,1 ff/cc di cui all'art. 24 del D. Lgs. 277/91 - Sussistenza.

 

Ai fini del riconoscimento dell'accertamento della esposizione a rischio amianto ex art. 13 L. 27/3/92 n. 257, il Giudice deve accertare l'avvenuta esposizione ultradecennale a concentrazioni di polveri di amianto pari o superiori a 0,1 ff/cc ex art 24 D. Lgs. 15/8/91 n. 277 non essendo richiesta la dimostrazione del superamento di con­centrazioni diverse previste dall'art. 31 D. Lgs. 15/8/91 n. 277.

 

(...) Va preliminarmente ribadito il rigetto dell'istanza di chiamata in causa dell'Inail e dell'Ansaldo considerato che il soggetto tenuto alla rivalutazione del trattamento pensionistico è l'Inps, mentre all'lnail è riservato solamente un ruolo di certificazione nell'ambito del procedimento amministrativo diretto al riconoscimento del beneficio.

Il ricorso è fondato e merita accoglimento.

Il beneficio va riconosciuto a tutti i lavoratori per i quali sia provata un'effettiva esposizione ultradecennale ad amianto con modalità tali da far ritenere integrato un rischio morbigeno.

Dall'istruttoria svolta è emerso che il ricorrente nello svolgimento delle sue mansioni di progettista disegnatore, pur non essendo direttamente adibito alle macchine utilizzate per l'esecuzione dei prototipi (costruzione e riparazione), era presente presso il centro prototipi per controllare la corrispondenza ai disegni dei pezzi realizzati, per prendere atto delle modifiche eventualmente apportate e più in generale per coordinare le attività di attuazione del progetto.

Tale attività comportava una presenza giornaliera del progettista disegnatore nelcentro prototipi che andava dal 30% al 50% dell'orario di lavoro, con giornate nelle quali era necessaria la presenza nel reparto per intere notti (testi Riccardo Mirabella e Villa Giuliano).

Nel reparto prototipi venivano utilizzati materiali contenenti amianto (lastre in cemento amianto, manufatti di cemento amianto, amianto in treccia sotto forma di cordoni, materiale per frizione, rotoli di tessuto in amianto) sui quali venivano eseguite le operazioni di fresatura, taglio, foratura e soprattutto soffiatura mediante aria compressa (teste Riccardo Mirabella, relazione Ctu e relazione Inail Contarp del 10/6/03).

Dalla Ctu medico-legale affidata alla d.ssa Guerreri, che si è avvalsa sia delle risultanze dell'istruttoria testimoniale che della relazione Inail Contarp acquisita agli atti del giudizio, emerge che il ricorrente ha subito nel periodo dal 25/3/72 al 1989 un'esposizione cumulativa media giornaliera a fibre d'amianto non inferiore a 0,187 fibre/centimetro cubo di aria ambiente, giudizio che il consulente tecnico ha espresso calcolando soltanto l'attività di sovrintendenza e supervisione alle attività di montaggio e produzione dei prototipi. Lo stesso consulente dà poi atto della coerenza di tale risultato con quanto esposto nella relazione Inail Contarp sopra menzionata, nella quale si considerano esposti a concentrazioni superiori a 0,1 ff /cc i soggetti che abbiano svolto almeno per il 30% del tempo di lavoro attività di «aiuto montatore apparecchi elettromeccanici» e «tecnico di sala prove», attività assimilabili a quelle svolte dal ricorrente.

Sulla base della stima della dose cumulativa media giornaliera cui è stato esposto il ricorrente, la d.ssa Guerreri ha concluso che il Rizzi non è esente dal rischio di insorgenza di pneumoconiosi e/o di neoplasia pleurica e polmonare, anche se non è stata in grado di esprimere in termini quantitativi il rischio non essendo nota la dose reale cumulativa/anno di fibre inalate.

Il Ctu ha anche affrontato la questione posta dal funzionario dell'Inail Giacomo Mazzoli, assunto in qualità di testimone nel presente giudizio, il quale nel dare conto delle ragioni in base alle quali aveva escluso i progettisti disegnatori del novero dei dipendenti dell'Ansaldo esposti a una quantità di amianto di 100 ff/litro, ha riferito di studi che parlano di abbattimento fino al 10% per le persone che si trovano a una distanza di 2 o 3 metri da chi direttamente lavora l'amianto. Sul punto la d.ssa Guerreri ha riferito non solo di non conoscere dati simili in letteratura, ma anche dell'esistenza di pubblicazioni che conducono a conclusioni opposte e ha in particolare fatto riferimento agli studi sulle lavorazioni di posa in opera di tubi per condotte idrauliche (pp. 25-26 Ctu).

Dato atto che il Ctu ha concluso per un'esposizione non inferiore al valore di 0,187 ff/cc, ma che ha anche precisato trattarsi di una misura largamente sottostimata, occorre dare conto della questione sollevata dall'Inps circa l'individuazione della soglia di esposizione ad amianto nell'ambiente di lavoro il cui superamento consente di ritenere acquisito il beneficio previsto dall'art. 13, 8° comma, L. 257/92. Sostiene l'ente convenuto che tale soglia va individuata non nei valori indicati nell'art. 24 D. Lgs. 277/91, superati secondo la stima eseguita dal Ctu, bensì nei limiti previsti dal successivo art. 31 e ciò ha fatto richiamandosi a quella giurisprudenza Cassazione che ha ritenuto che occorre dare prova, anche in termini di rilevante di probabilità, di una concentrazione nell'ambiente di lavoro di fibre di amianto superiore ai valori limite indicati nell'art. 3 L. 257/92 che a sua volta richiama e modifica l'art. 31 D. Lgs. 277/91 (Cass. sez. lav. 20464/04).

La tesi dell'Inps non appare condivisibile. . Depone in tal senso la differente ratio delle due norme del D. Lgs. 277/91 richiamate, l'art. 24 che individua quei limiti di concentrazione di fibre d'amianto il cui superamento fa scattare una serie di obblighi di prevenzione e protezione della dei lavoratori e l'art. 31 che invece individua quei limiti massimi superati i quali le lavorazioni non sono neppure consentite. È evidente, pertanto, che il superamento dei limiti indicati nella prima norma segna già la soglia oltre la quale il lavoratore,  se non adeguatamente tutelato, è esposto al rischio di contrarre malattie connesse all'uso dell'amianto, e che ciò a maggior ragione deve ritenersi nel caso di esposizione per una durata ultradecennale, senza che sia necessario richiedere il superamento di ulteriore soglia oltre la quale non è assolutamente consentito esporre il lavorate.

È lo stesso Ctu (pp. 6-7), inoltre, a dare conto dei risultati della ricerca scientifica in base ai quali il limite di 0,1 fibre/cc non tutela il lavoratore dal rischio oncogeno.

La conferma della correttezza di tale impostazione può rinvenirsi nella disciplina introdotta dall'art. 47 DL 269/03 che, pur avendo introdotto una disciplina restrittiva per il conseguimento del beneficio previdenziale in questione, ha espressamente previsto come limite di concentrazione media annua le 100 fibre/litro.

Va pertanto dichiarato che il ricorrente è stato esposto ad amianto con concentrazioni superiori alle 100 fibre/litro dal 23/5/72 al 31/12/87, considerato che dal 1987 è iniziata la graduale eliminazione dell'amianto, e che lo stesso ha diritto al beneficio della rivalutazione dell'anzianità contributiva ai sensi dell'art. 13 L. 257/92 per tale periodo. (...)

NOTA

Benefìci previdenziali e accertamento delle soglie delle concentrazioni di polvere amianto

 

La sentenza in commento si segnala per la peculiarità della fattispecie: il beneficio è stato infatti riconosciuto anche a un progettista disegnatore, dipendente della ex Ansaldo Energia, stabilimento nel quale venivano progettate, realizzate in grande quantità apparecchiature elettriche con rilevante utilizzo di materiale amiantifero. Nel corso del giudizio l'Ente previdenziale contestava l'effettiva esposizione del lavoratore al rischio ed eccepiva che non era stata fornita la prova del superamento delle concentrazioni di fibre di amianto non già da individuarsi solo nell'art 24 del D. Lgs. 277/91 bensì nei limiti indicati nell’art. 31 della medesima disposizione. Secondo la tesi prospettata dall'Ente previdenziale, il lavoratore assicurato, ai fini del conseguimento dei benefici, sarebbe tenuto a fornire la dimostrazione in giudizio del superamento delle 600 ff /ll nel caso dell'esposizione ad amianto crisotilo e di 200 ff/ll in caso di esposizione a tutte le altre varietà di amianto. L'art. 24 del 277/91 prevede che in tutte le attività lavorative di cui all'art. 22 - ovvero in tutte quelle ove indistintamente sussiste rischio di esposizioni alla polvere proveniente dall'amianto o dai materiali contenenti amianto - «se l'esposizione personale dei lavoratori alla polvere di amianto, espressa come numero di fibre per centimetro cubo in rapporto a un periodo di riferimento di otto ore, supera 0,1 fibre litro per centimetro cubo, il datore di lavoro attua le disposizioni degli artt. 25,1° comma (notifica all'organo di vigilanza), 26, 2° comma (informazione ai lavoratori), 27, 2° comma (misure tecniche organizzative e procedurali), 28, 2° comma (misure igieniche), 30 (controllo sull'esposizione) e 35 (registrazione della polvere dei lavoratori)». Si tratta dunque di limiti che impongono una serie di obblighi procedurali per il datore di lavoro. L'art. 31 individua invece misure eccezionali, in quanto se si verifica il superamento delle soglie indicate dal 1° comma, il datore di lavoro «identifica e rimuove quanto prima la causa dell'evento (4° comma), fa proseguire eccezionalmente il lavoro solo in una zona circoscritta e se sono state adottate misure di protezione per i lavoratori (5° comma), procede a nuove misurazioni (6° comma), limita il periodo di esposizione al periodo strettamente necessario (7° comma), informa l'organo di vigilanza (8° comma) e i lavoratori oltre che le rappresentanze sindacali». Si tratta di concentrazioni che se superate non consentono neppure l'esecuzione delle lavorazioni. Motiva correttamente il Giudice nel senso che il supermento dei limiti indicati nella prima norma, segna già la soglia oltre la quale il lavoratore, se non adeguatamente tutelato, è esposto al rischio di contrarre malattie nell'uso dell'amianto, e che ciò a maggior ragione deve ritenersi nel caso di esposizione per una durata ultradecennale, senza che sia necessario richiedere il superamento di quella ulteriore soglia oltre la quale non è consentito assolutamente esporre il lavoratore». Esplicita conferma si trova anche nell'art. 47 del D. Lgs. 269/03 che, come noto, ha da ultimo ridisegnato restrittivamente la disciplina di accesso ai benefici previdenziali per il lavoratori esposti all'amianto. La norma prevede infatti che: «con la stessa decorrenza prevista al 1° comma, i benefici di cui al comma 1, sono concessi esclusivamente ai lavoratori che, per un periodo non inferiore a dieci anni, sono stati esposti all'amianto in concentrazione media annua non inferiore a 100 fibre/litro come valore medio su otto ore al giorno. I predetti limiti non si applicano ai lavoratori per i quali sia stata accertata una malattia professionale a causa dell'esposizione all'amianto, ai sensi del testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30/6/65 n. 1124». In termini esattamente conformi, l'Inail rilascia la certificazione di avvenuta esposizione a rischio amianto se vi sia stata esposizione a polveri di amianto in concentrazione non inferiore a 0,1 fibre litro per centimetro cubo.

Aldo Garlatti

(fonte: Riv. crit. dir. lav. 4/2006, 1261 e segg.)

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