Benefici previdenziali per i lavoratori esposti all'amianto: il caso dell'attività prestata nella Sede centrale dell'Istituto Mobiliare Italiano interamente coibentata d'amianto

Palazzo della Sede Centrale dell'IMI SpA - Viale dell'Arte 21-25 - Roma

Tribunale di Roma 9 febbraio 2001 (giudice unico di primo grado) – Est. Buonassisi – Saliola (avv. Angelozzi) c. Inps (avv. D’Agostino).

Previdenza – Assicurazione per I.V.S. – Contributi figurativi – Lavoratori esposti all’amianto – Maggiorazione ex art. 13, comma 8°, legge n. 257 del 1992 e successive modificazioni – Impiegati svolgenti attività in edificio con strutture in fero interamente coibentato con pannelli di asbesto – Reiterate ingiunzioni delle autorità sanitarie pubbliche per la scoibentazione e decontaminazione da parte dell’azienda -  Spettanza della maggiorazione di legge ai fini pensionistici.

Appurato ed incontestato che la lavoratrice ha prestato attività  di impiegata per oltre 10 anni nell’immobile Sede centrale dell’Istituto Mobiliare Italiano realizzato con strutture portanti in  ferro interamente coibentato con pannelli di asbesto sin dall’aprile 1970 – epoca di inaugurazione del palazzo – per il quale le pubbliche autorità sanitarie hanno reiteratamente prescritto, a partire dal 1987, la scoibentazione dell’edificio e la decontaminazione degli ambienti (effettuata da parte dell’azienda solo a fine  del 1991), sussiste  per la lavoratrice ricorrente (esposta all’inalazione di fibre d’amianto disperse nella stanza e nei locali aziendali) il diritto alla maggiorazione  dell’anzianità contributiva a fini pensionistici, di cui all’art. 13, comma 8°, l. n. 257/1992 e successive modificazioni (applicazione del coefficiente 1,5 sull’intero periodo lavorativo caratterizzato dall’esposizione).

Superati i 10 anni di esposizione, siano essi continuativi o per sommatoria di diversi periodi,  il diritto in questione si attualizza indipendentemente dal superamento di un qualsiasi limite di soglia dell’esposizione, atteso che l’amianto è un inquinante ubiquitario che si presenta in concentrazioni variabili a seconda dei luoghi ed è noto che non è possibile scientificamente dimostrare con certezza l’incidenza negativa per l’organismo umano di una tale o di una tal’altra concentrazione (cfr. Pret. Pistoia 31.12.’98, in Riv. crit. dir. lav. 1999, p. 729) - (con nota di commento di Mario Meucci)

 

Svolgimento del processo e motivi della decisione

 

Con ricorso ritualmente depositato la parte ricorrente in epigrafe indicata esponeva di essere stata esposta all'amianto in conseguenza dell'attività lavorativa svolta presso il palazzo dell'IMI in viale dell'Arte 25 per un periodo superiore ai dieci anni e chiedeva pertanto che fosse dichiarato il proprio diritto ai benefici previdenziali di cui all'articolo 13, comma VIII, della legge 27 marzo 1992 n. 257 e successive modificazioni ( maggiorazione per il coefficiente di 1,5 ai fini delle prestazioni pensionistiche dell'intero periodo lavorativo), con vittoria di spese ed onorari di causa.L'istituto Nazionale della Previdenza Sociale si costituiva eccependo preliminarmente l'improcedibilità del ricorso ex articolo 443 codice di procedura civile.  Nel merito il convenuto contestava il fondamento della domanda e ne chiedeva il rigetto.

Veniva disposta l'acquisizione dei verbali delle testimonianze escusse nel connesso procedimento Ricci/INPS.

Autorizzato il deposito di note, la causa veniva discussa e decisa come da dispositivo letto in udienza che si riporta in epigrafe.

Devono essere respinte tutte le eccezioni preliminari. Infatti dalla documentazione in atti si evince che è stata regolarmente proposta la domanda amministrativa nei confronti dell'istituto resistente volta a conseguire il beneficio di cui all'articolo 13 della legge n. 257 dei 1992 e che, non avendo dato alcuna risposta nei termini di legge il convenuto, è stato proposto ricorso al Comitato Provinciale il quale ultimo a tutt'oggi non ha emesso alcun provvedimento.  A norma dell'art. 1708 codice civile (norma applicabile anche alla procura ad litem ) la procura avente ad oggetto l'esperimento di una azione giudiziaria ex art. 442 c.p.c. comprende necessariamente tutti gli atti pregiudiziali (come la presentazione del ricorso e della domanda amministrativa). Inoltre è indiscutibile la legittimazione passiva dell' INPS e deve essere respinta l'istanza di integrazione dei contraddittorio nei confronti dell' INAIL le cui competenze sono limitate all'accertamento dei rischio e al rilascio della relativa attestazione. L'intero periodo deve essere soggetto all'assicurazione obbligatoria ma questo non vuol dire che solo l' INAIL possa fornire una simile prova.

Peraltro la giurisprudenza (si veda ad esempio Pretura di Firenze 11 luglio 1996 in Rivista Critica Diritto dei Lavoro 1996, pag. 1059) ha già avuto modo di evidenziare che la pretesa di subordinare l'attribuzione dei beneficio alla dichiarazione dell' lNAIL si pone in evidente contrasto con la ratio della legge, per la quale il beneficio è comunque dovuto anche se il datore di lavoro non abbia denunciato la lavorazione pericolosa . In altre parole , come si legge nella circolare INPS n. 219 del primo ottobre 1993 , “la legge 297 del 1992 ha subordinato il riconoscimento alla sola condizione che i lavoratori interessati siano stati esposti all'amianto per un periodo superiore ai dieci anni”. Il beneficio della contribuzione “aggiuntiva” riguarda tutti i lavoratori, compresi i dirigenti (Tribunale di Milano 15.11.1997 in Orientamenti della Giurisprudenza dei Lavoro 1997, pag. 1134).

Nel caso di specie è pacifico che la parte ricorrente ha lavorato nell'edificio di Viale dell'Arte 25 presso l' Istituto Mobiliare Italiano in un immobile realizzato con strutture portanti in ferro interamente coibentato con pannelli contenenti asbesto sin dall'aprile 1970, epoca di inaugurazione dei palazzo, per oltre dieci anni, ed è stata esposta quindi all'inalazione di fibre disperse nella stanza e nei locali dove prestava la sua attività lavorativa . Le deposizioni dei testi escussi nel procedimento connesso Ricci/INPS (di cui si è disposta l'acquisizione nel presente giudizio ) non lasciano dubbi a tale proposito. Del resto l'ufficio di Igiene Pubblica è dovuto intervenire nel 1987 ordinando la scoibentazione dell'edificio e la decontaminazione degli ambienti e la documentazione prodotta prova che un ente pubblico come la USL, all'esito delle risultanze dei sopralluoghi effettuati negli anni 1986 , 1987 e 1988 , ha accertato la presenza dell'amianto e ha elevato una contravvenzione diffidando l’IMI a procedere alla rimozione.  Quanto poi alla durata dell'esposizione i testi hanno confermato che solo nel 1991 nel palazzo furono completati i lavori di bonifica e che durante l'espletamento di essi permaneva la presenza del minerale nell'edificio (il periodo lavorativo  “ulteriore”da prendere in considerazione è quindi quello che va dall'aprile 80 sino alla fine del 1991).Gli stessi hanno anche riferito di casi di decesso per tumore al colon (tipica infermità correlata ad una simile esposizione).

Il convenuto ha anche eccepito l'inapplicabilità della legge 257 dei 1992 ai lavoratori che all'entrata in vigore della legge non fossero più dipendenti di imprese dei settore interessato (ad esempio Cassazione n. 6605/1998) , ma una simile eccezione è dei tutto infondata risultando la parte ricorrente a detta data dipendente dell'IMI.  In tal modo peraltro l' Istituto (Inps., nd.r.) finisce per riconoscere che il legislatore dei 1992 non ha dato una definizione precisa di quando un lavoratore possa essere considerato esposto all'amianto. I limiti di esposizione previsti dal decreto n. 277 del 1991 non sono applicabili al caso di specie e, più in generale, la legge non richiede la necessità di una certa dose di esposizione. Ciò è reso evidente dalla scelta discrezionale e insindacabile dei legislatore di utilizzare il parametro del decennio minimo di esposizione.  Il legislatore ha espressamente voluto riconoscere la c.d. “contribuzione figurativa” se il lavoratore è in attività “anche senza avere contratto malattia professionale”(art. 13, comma 8 ).

Pertanto il beneficio per cui è causa è stato esteso dalla legge n. 271 dei 1993 a tutti i lavoratori esposti all'amianto per più di dieci anni senza altra condizione.  Si tratta di un beneficio che opera sul piano contributivo (l'anzianità contributiva viene moltiplicata per il coefficiente di 1,5) e al quale non si applicano i limiti inerenti la diversa materia delle malattie professionali o della responsabilità dei datore di lavoro a norma dell'articolo 2087 dei codice civile Gli stessi richiamati parametri dei decreto n. 277/91 (art. 24) individuano , in attuazione di direttive comunitarie, una sorta di soglia del rischio allo scopo di stabilire le misure preventive e protettive che il datore di lavoro deve attuare . Non si tratta affatto di un limite assoluto e infatti il successivo art. 27 sancisce l'obbligo di predisporre le misure tecniche e organizzativi necessarie per quelle attività nelle quali vi sia l'esposizione all'amianto, indipendentemente dal superamento di una simile o di altra soglia. Del resto l'amianto è un inquinante ubiquitario che si presenta in concentrazioni variabili a seconda dei luoghi ed è noto che non è possibile scientificamente dimostrare con certezza l'incidenza negativa per l'organismo umano di una tale o di una tal altra concentrazione di fibre (così ad es. Pret. di Pistoia 31/12/1998 in Riv.  Crit.  Dir. Lav. 1999 , pagina 729) .

Nel caso in esame l'esposizione è stata continuativa per oltre 10 anni, ma niente esclude, in linea generale, che il decennio possa risultare dalla sommatoria di diversi periodi di esposizione.  Si spiega in tal modo anche il fatto che il beneficio sia stato esteso dalla legge 271193 ai lavoratori solo potenzialmente esposti al rischio e non solo ai dipendenti di imprese che utilizzano o estraggono amianto come previsto dall'originario testo dell'art. 13, 7° comma, della legge 257/92.

Il ricorso merita quindi integrale accoglimento e le spese come liquidate in dispositivo seguono la soccombenza.

 

NOTA

 

Principi esatti, applicazione aritmetica sbagliata o superata

 

La decisione sopra riportata risulta corretta in pressoché tutte le affermazioni di principio ma inciampa  per modo di dire nell’aritmetica (anche se per effetto dell’unico convincimento di principio errato) riconoscendo 5 anni e 6 mesi di maggiorazione contributiva (in luogo di 10 anni e 6 mesi) alla lavoratrice (esposta all’inalazione di fibre d’amianto nel palazzo Sede centrale dell’IMI per effetto di presenza di pannelli coibentati in amianto entrato in  polverizzazione e, conseguentemente, in circolazione ed inalato dai lavoratori per effetto dell’impianto centralizzato di  immissione negli uffici dell’aria normale, così come dell’aria  calda in inverno dell’aria condizionata in estate) che aveva prestato attività con esposizione all’asbesto per 21 anni (dall’aprile 1970 a dicembre 1991).

Il ragionamento che guida il  procedimento argomentativo  del magistrato è il seguente: atteso che la legge assicura il beneficio a chi si è trovato in esposizione per oltre 10 anni, e considerato che la lavoratrice è stata esposta per 21 anni continuativi (dal 1970 al 1991), il beneficio della maggiorazione opera solo sul periodo “ulteriore” eccedente i 10 anni (cioè a dire sui successivi 11 anni) in ragione del coefficiente di moltiplicazione 1,5  con la conseguenza – inesatta – di dar luogo ad una maggiorazione pari a 5 anni e 6 mesi.

Il magistrato considera cioè, erroneamente, i primi 10 anni in “franchigia”, mentre è oramai pacifico e assodato che il loro superamento è solo una condizione di procedibilità del diritto e dell’azione per il riconoscimento del diritto stesso che, ai sensi della legge, opera retroagendo per l’intero periodo lavorativo (primi 10 anni inclusi) di assoggettamento all’esposizione (nel caso di specie, 21 anni), con la diversa conseguenza della spettanza alla ricorrente di una contribuzione figurativa di 10,6 anni (e non già di soli 5,6 anni).

Dispone inequivocabilmente il comma 8°dell’art.13 della l. n. 257 (nel testo sostituito  dal D. L. 5 giugno 1993, n. 169,  poi convertito nella legge 4 agosto 1993, n. 271) che: “Per i lavoratori che siano stati esposti all’amianto per un periodo superiore a dieci anni, l’intero periodo lavorativo soggetto all’assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali derivanti dall’esposizione all’amianto, gestita dall’Inail, è moltiplicato per il coefficiente 1,5”. Ne consegue che, nel caso di specie, 21 anni di esposizione x 1,5 danno luogo ad una maggiorazione di 10,6 anni (giacché il periodo dei primi 10 anni va incluso nel computo in questione, una volta superato anche per un  solo mese, cosicché chi sia stato esposto ad es. per 10 anni e 6 mesi avrà diritto ad una maggiorazione di 5,3 anni e non già, seguendo il ragionamento del magistrato, a soli 3 mesi!).

La tesi del magistrato trova un vecchio e superatissimo precedente in un parere del Consiglio di Stato (Cons. Stato, sez. I, 24 marzo 1993, n. 271 – parere-  in Cons. Stato, 1994, I, p. 507), immediatamente abbandonata – anche e principalmente a seguito  dell’emanazione del D. L. 5 giugno 1993, n. 169 (convertito con modificazioni nella L. n. 271 del 4 agosto 1993) che chiarì come il beneficio spettasse per “l’intero periodo” di esposizione all’amianto -  da una più corretta  giurisprudenza successiva, pacificamente consolidata in ordine alle modalità di computo ed applicazione del coefficiente di maggiorazione (1,5) sull’intero periodo di esposizione al rischio, nonché dalla stessa prassi amministrativa dell’Inps che ai predetti criteri interpretativi si è dovuto attenere.

Dispiace veramente essersi imbattuti in questa interpretazione applicativa da parte di una sentenza condivisibilissima sul piano dei principi ed aderente ai principi garantistici più recenti quali quelli affermati  nella decisione n. 5 del 13 gennaio del 2000 della Corte Costituzionale (in Lav. prev. Oggi  2000, 993 e ss., con commento critico legittimo in un contesto di pluralismo di opinioni ma nient’affatto condivisibile da parte nostra), che ha rigettato le eccezioni di incostituzionalità giustappunto dell’art. 13, comma 8°, della legge n. 257 del 27 marzo 1992, come successivamente modificato. La Corte costituzionale si è fatta, invece, a nostro avviso apprezzare per la chiarezza con la quale ha sottolineato:

      a) che l’ equivocità dell’ originaria  dizione dell’art. 13 , 8° co., l. n. 257/’92 – occasionante divergenti interpretazioni (definite dalla Consulta “incertezze interpretative in ordine all’entità delle agevolazioni accordate dal legislatore”– è stata definitivamente “risolta da una disposizione, contenuta nell’articolo 1, comma 1, del decreto legge 5 giugno 1993, n 169, la quale, in sostituzione del comma 8 dell’articolo 13 della legge 27 marzo 1992, n. 257, stabiliva che ‘per i lavoratori dipendenti dalle imprese che estraggono amianto o utilizzano amianto come materia prima, anche se in corso di dismissione o sottoposte a procedure fallimentari o fallite o dismesse, che siano stati esposti all’amianto per un periodo superiore a dieci anni, l’intero periodo lavorativo soggetto all’assicurazione  obbligatoria  contro le malattie professionali derivanti dall’esposizione all’amianto, gestita  dall’Inail, è moltiplicato, ai fini delle prestazioni pensionistiche, per il coefficiente 1,5’. In sede di conversione del predetto provvedimento d’urgenza, la legge 4 agosto 1993, n. 271, ha soppresso la locuzione ‘dipendenti dalle imprese che estraggono amianto o utilizzano amianto come materia prima, anche se in corso di dismissione o sottoposto a procedure fallimentari o fallite o dismesse’, cosi intendendo soddisfare – come si evince dai lavori preparatori – l’esigenza di attribuire centralità, ai fini dell’applicazione  del beneficio previdenziale, all’assoggettamento dei lavoratori all’assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali derivanti dall’amianto, escludendo, al tempo stesso, ogni relazione che potesse derivare dal riferimento alla tipologia dell’attività produttiva del datore di lavoro”;    

      b) che “lo scopo della disposizione censurata, secondo quanto si evince dalla accennata ricostruzione della relativa vicenda normativa, va rinvenuto nella finalità di offrire, ai lavoratori esposti all’amianto per un apprezzabile periodo di tempo (almeno 10 anni), un beneficio correlato  alla possibile incidenza invalidante di lavorazioni che, in qualche modo, presentano potenzialità morbigene”;

      c) che “il concetto di esposizione  ultradecennale, coniugando l’elemento temporale con quello di attività lavorativa soggetta  al richiamato sistema di tutela previdenziale (art. 1 e 3 del DPR n. 1124 del 1965), viene ad implicare, necessariamente quello di rischio e, più precisamente, di rischio morbigeno rispetto alle patologie, quali esse siano, che l’amianto è capace di generare per la sua presenza nell’ambiente di lavoro; evenienza tanto pregiudizievole da indurre il legislatore, sia pure a fini di prevenzione, a fissare il valore massimo di concentrazione di amianto nell’ambiente lavorativo, che segna la soglia limite del rischio di esposizione (d.lgs. 15 agosto 1991, n. 227 e successive modifiche)”.

Tornando all’errore compiuto dal magistrato nella fattispecie di cui alla decisione in commento, vorrà dire che la ricorrente otterrà un’ applicazione correttiva in sede di appello incidentale, atteso che l’Inps – com’è solito fare– ricorrerà in secondo grado per sperimentare la modifica della sentenza di accoglimento emessa dal Tribunale (in primo grado).

Sul tema dei benefici per l’amianto si veda l'ampio e documentato saggio di  Giometti, L'esposizione ultradecennale ad amianto e la rivalutazione contributiva, in D&L, Riv. crit. dir. lav. 2000, 29; Id., I benefici previdenziali per l'amianto al vaglio della Corte Costituzionale, ibidem 2000, 318 (nota a Corte cost. 12.1.2000, n. 5);  Niccolai,  Esposizione all’amianto e benefici previdenziali: oneri procedimentali veri e falsi, in Riv. crit. dir. lav. 1996, 1059; Monaco, L’esposizione ultradecennale all’amianto, ibidem 1999,730; Miscione, I benefici previdenziali per l’amianto, in Lav giur. 1996, 977 e ss.; in senso incondivisibilmente restrittivo (attesa anche la qualità di legali a difesa delle aziende, Enichem e Breda in fattispecie, e/o di membri dell’avvocatura dell’Inail): L. Spagnuolo Vigorita, L’orientamento della Cassazione sul tema della contribuzione aggiuntiva per esposizione all’amianto, in Mass. giur. lav. 1998, 978; Id., Rischio amianto. Contribuzione aggiuntiva - Responsabilità dell'impresa, in Alar (Associazione Lavoro e ricerche), Milano 1997; Casuccio, Amianto e benefici previdenziali: i giudici di merito raccolgono il monito della Cassazione, in Lav. prev. Oggi, 1999, 2150 e  Id., Amianto e benefici previdenziali: intervento chiarificatore (ma non troppo) della Corte Costituzionale, ibidem 2000, 1005. Nello stesso senso anche Tofacchi,  Benefici contributivi per l’amianto. I presupposti fissati dalla Corte costituzionale e le questioni irrisolte, in Mass. giur. lav. 2000, 552 (nota a Corte cost. n. 5/2000). Sul tema vedi anche: Verde - Ripanucci, Valutazione dell'esposizione ad amianto ai fini dei benefici previdenziali, in Riv. inf. mal. prof. 1996, I, 419.

 

Mario Meucci

Roma, 23 marzo 2001

 

Post-scriptum- - Dopo la stesura e la pubblicazione della sopra riportata nota a sentenza, ci è stato fatto prendere visione delle note conclusive redatte dalla difesa della ricorrente e sentiamo  pertanto  (per effetto del  dubbio che ci  è insorto) il dovere di ritirare le considerazioni critiche e gli addebiti di "errato convincimento", rifluente in una errata interpretazione del disposto legislativo, in capo al magistrato estensore (o quanto meno esclusivamente in capo ad esso). In effetti l'errore (o forse si è trattato di una strategia processuale di "captatio benevolentiae"?) è riconducibile alla difesa della ricorrente, la quale nel formulare e precisare le richieste del ricorso ha chiesto che la maggiorazione contributiva  per il coefficiente 1,5 venisse applicata "per il periodo (ulteriore rispetto ai 10 anni di esposizione) che va dall'aprile 1980 fino al 31.12.1991 epoca di ultimazione dei lavori di scoibentazione)...e per l'effetto ordinare all'INPS di maggiorare di 5 anni e mesi 6  l'anzianità contributiva..." in luogo dei dovuti 10 anni e 6 mesi per la doverosa inclusione (esclusa dal difensore della ricorrente) dei primi 10 anni di esposizione all'amianto (considerati  erroneamente in franchigia). Il magistrato avrebbe potuto, in verità  - per sottrarsi  con sicurezza e senza sospetto di dubbio alle nostre critiche - far trapelare nella motivazione un dissenso interpretativo, in linea di diritto,  in ordine alla misura ed entità "ridotta" dei benefici contributivi richiesta della difesa  (in ragione di un errore di interpretazione della legge o meglio della  evoluzione cui la stessa è andata soggetta) ma, probabilmente o la condivideva o non ne  ha sentito il bisogno e si è limitato ad accoglierla integralmente, preoccupandosi solo di  sottrarsi al  vizio  di concedere "ultra petita". 

 

Un'altra sentenza dell'agosto 2002 del Tribunale di Roma in tema di riconoscimento dell'esposizione ad amianto all'IMI

 

Tribunale di Roma, sezione lavoro (giudice unico di 1° grado) 3 agosto 2002 – Est. Cocchia – Marilungo (avv. Angelozzi) c. INPS (contumace)

 

Benefici previdenziali da esposizione ad amianto ex lege n. 257/92 – Dimostrazione da parte del lavoratore del superamento di determinati valori di concentrazione di fibre – Insussistenza – Inesistenza di previsione legislativa di valori di soglia – Attribuzione conseguente al magistrato della facoltà di formarsi altrimenti il convincimento  (per testi, in ragione della durata dei lavori di bonifica, ecc.) sulla esposizione qualificata.

 

Il punto nodale è quello di stabilire dei criteri razionali ed accettabili per distinguere tra esposizione "significativa" e quella minima, che il legislatore ha inteso non meritevole di considerazione, partendo dal rilievo non di poco conto che lo stesso legislatore ha volutamente omesso di fissare rigidi parametri di valutazione. L'omissione, ad avviso del giudicante, ha inteso lasciare all'interprete dì apprezzare prudentemente e caso per caso la soglia di esposizione da tutelare, in ragione del fatto che si tratta di valutare situazioni non più attuali ma risalenti nel tempo (vista la progressiva dismissione dell'amianto) con l'ovvia conseguenza dell'impossibilità dì procedere ex post a verifiche tecniche. In altri termini il legislatore si è reso conto che volere ancorare il beneficio all'accertamento di una precisa concentrazione di amianto dell'ambiente lavorativo, in modo costante e per almeno dieci anni, andando a riscontrare luoghi ormai modificati o inesistenti, sarebbe equivalso a rendere inapplicabile la disposizione medesima. Per tale motivo il giudicante - pur essendo consapevole della contraria opinione della giurisprudenza di legittimità (v. Cass 4913/’01), ritiene preferibile non  fare riferimento ai parametri fissati dal DLS 277/'91 (1 o 0,2 fibra per CM3) – che  sono obbiettivamente impossibili da verificare per tutto un arco di almeno un decennio - quanto piuttosto ad altri elementi presuntivi che conducono a considerare non trascurabile la concentrazione di amianto nell'ambiente del singolo lavoratore (nel caso,  le testimonianze, la diffida della Usl alla bonifica dei locali, le sanzioni irrogate, i lavori di bonifica la cui durata triennale induce alla presunzione di una concentrazione significativa).

Svolgimento del processo

Con ricorso depositato il 20/4/'00 il ricorrente in epigrafe -dipendente dell'IMI presso la sede di Via dell'Arte a Rorna- conveniva in giudizio l 'INPS chiedendo accertarsi il diritto all'applicazione dei benefici di cui all'art. 13 comma 8 L. 257/'92,con il favore delle spese da distrarsi.

Producevano documentazione attestante il vano esperimento dell'iter amministrativo. L'INPS non si costituiva in giudizio.

Espletata la prova testimoniale,la causa,previo deposito di note difensive, veniva decisa alla stregua dei seguenti:

Motivi

L'art. 13 comma 8 della L.257/'92 come modificato dalla L.271/'93 recita:«Per i lavoratori che siano stati esposti all'amianto per un periodo superiore a dieci anni, l'intero periodo assicurativo soggetto all'assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali derivanti dall'esposizione all'amianto,gestita dall'INAIL, è moltiplicato ai fini delle prestazioni pensionistiche per il coefficiente 1,5 ».

Nel caso in esame si tratta del riconoscimento di un beneficio contributivo ai fini del trattamento pensionistico, onde la legittimazione passiva spetta unicamente all’INPS, non essendo necessario chiamare in causa altri soggetti.

In particolare, per quanto concerne le circolari interne che prevedono il rilascio di una dichiarazione INAIL che attesti - previe verifiche tecniche - le mansioni, i reparti e i periodi di esposizione all'amianto, deve puntualizzarsi che in nessuna parte dell'impianto normativo il legislatore ha condizionato l'azione giudiziaria al preventivo assolvimento di tale procedura amministrativa e d'altra parte le certificazioni dell'INAIL ovvero la mancanza di esse non potrebbero vincolare l'accertamento giudiziario: in conclusione spetta al giudicante accertare la sussistenza dei presupposti per il beneficio contributivo in contraddittorio con le sole parti del rapporto assicurativo e cioè il lavoratore e l'INPS.

Per quanto concerne il requisito dell'assicurazione obbligatoria presso l'INAIL contro il rischio amianto, il giudicante è dell'opinione che dall'eventuale mancato assolvimento da parte dei datore di lavoro di tale obbligo assicurativo non può conseguire l'effetto pregiudizievole per il lavoratore di privarlo del beneficio previdenziale.

Soccorre a tal proposito il principio dell'automaticità delle prestazioni di cui all'art. 2116 c.c. anche in assenza di versamento contributivo, considerando inoltre che nella fattispecie, la prestazione (rectius supervalutazione del periodo contributivo) non è in stretta correlazione con il contributo specifico - che la legge ha imposto per altro genere di prestazioni, onde non v'è alcuna ragione giuridica per negare il beneficio a fronte di un inadempimento che grava sul datore di lavoro.

Quanto agli ulteriori requisiti pretesi dal legislatore, è necessario riscontrare che il lavoratore sia rimasto "esposto all'amianto". Tale aspetto comporta indubbiamente delicati problemi interpretativi.

Va subito osservato che l'art. 13 sembra predisporre una gradazione di tutele o benefici in relazione al grado di esposizione all'amianto: in particolare è da notare che i lavoratori che siano stati a diretto contatto con l'amianto (i lavoratori delle cave e miniere di amianto) ovvero coloro in cui l'intensità dell'esposizione è comprovata dall'aver contratto malattia professionale specifica (commi 6 e 7), godono dello stesso beneficio della supervalutazione dell' 1,5 senza limiti temporali.  Il  comma 8 attribuisce lo stesso beneficio a coloro che sono stati esposti all'amianto oltre il decennio.

La differenziazione posta dalla legge ha il significato di distinguere tra la gravità del rischio e di volere attribuire un beneficio anche a coloro che non sono stati intensamente esposti all'amianto.

Il punto nodale è quello di stabilire dei criteri razionali ed accettabili per distinguere tra esposizione "significativa" e quella minima, che il legislatore ha inteso non meritevole di considerazione, partendo dal rilievo non di poco conto che lo stesso legislatore ha volutamente omesso di fissare rigidi parametri di valutazione. L'omissione, ad avviso del giudicante, ha inteso lasciare all'interprete dì apprezzare prudentemente e caso per caso la soglia di esposizione da tutelare, in ragione del fatto che si tratta di valutare situazioni non più attuali ma risalenti nel tempo (vista la progressiva dismissione dell'amianto) con l'ovvia conseguenza dell'impossibilità dì procedere ex post a verifiche tecniche. In altri termini il legislatore si è reso conto che volere ancorare il beneficio all'accertamento di una precisa concentrazione di amianto dell'ambiente lavorativo, in modo costante e per almeno dieci anni, andando a riscontrare luoghi ormai modificati o inesistenti, sarebbe equivalso a rendere inapplicabile la disposizione medesima. Per tale motivo il giudicante - pur essendo consapevole della contraria opinione della giurisprudenza di legittimità (v. Cass 4913/’01), ritiene preferibile non  fare riferimento ai parametri fissati dal DLS 277/'91 (1 o 0,2 fibra per CM3) – che  sono obbiettivamente impossibili da verificare per tutto un arco di almeno un decennio - quanto piuttosto ad altri elementi presuntivi che conducono a considerare non trascurabile la concentrazione di amianto nell'ambiente del singolo lavoratore.

Sono stati sentiti due testimoni che hanno riferito sulla permanenza del ricorrente nell'edificio di Via dell'Arte dal '70 al '91.

E' stata acquisita ampia documentazione comprovante che l'edificio IMI di Via dell'Arte fu oggetto di diffida e contravvenzione nel luglio '87, da parte della  ASL  RM 12, per la normativa e tutela degli ambienti di lavoro per la presenza di amianto nei locali; che furono imposti lavori straordinari di bonifica dell'edificio (v. provvedimento del 18/7/'87) .

Dalla deposizione testimoniale risulta che i lavori si protrassero per tre anni.

Pare al giudicante che vi siano elementi probatori certi per desumere che la concentrazione di amianto fosse costantemente di entità significativa, al punto da sollecitare nell' 87 l'intervento - sia sanzionatorio che di imposizione della bonifica - dell'autorità amministrativa allora preposta a verificare la  salubrità degli ambienti lavorativi.

Per quanto concerne la durata dell'esposizione, va considerato utile il periodo dal '70 al '91.

La domanda va pertanto accolta accordando il beneficio di cui all'art. 13 comma 8 L. 257/'92 per il periodo predetto.

Le spese di causa vanno compensate per la metà, tenuto dei contrasto giurisprudenziale sulla questione trattata.

Questi i motivi della decisione in epigrafe.

 

Roma 15/7/'02 (depositata in cancelleria il 3/8/’02)

 

Una sentenza dell'aprile 2004 di disconoscimento del beneficio previdenziale

 

Tribunale di Roma (1° grado, sezione lavoro) 20 aprile 2004 – Giud. Orrù – Alato ed altri (avv. Muggia) c. Inps (avv. Teti)

 

Benefici previdenziali per esposizione ad amianto – Necessità di esposizione qualificata oltre limiti di soglia di concentrazione fissati dagli artt. 24 e 31 d. lgs. n. 277 del 1991 – Mancata dimostrazione e comunque accertata insussistenza da parte CONTARP, in altra causa, per l’edificio di Viale dell’Arte 25 del S. Paolo IMI.

 

Come ritenuto in Cass. 28.6.2001 n° 8859 deve escludersi che il provvedimento normativo del 1992 abbia voluto attribuire il beneficio della rivalutazione a tutti i lavoratori comunque esposti ad inalazione di polveri di amianto anche di minima entità, abbia voluto cioè attribuire detto beneficio anche ad soggetti destinati a spiegare la loro attività in ambienti in cui fosse presente una concentrazione di fibre di amianto destinata a rimanere al di sotto dei valori limite legislativamente ritenuti a rischio. E questa conclusione riceve un decisivo avallo dalla considerazione che una diversa interpretazione finirebbe per legittimare un notevole sforamento di ogni pur attendibile previsione di spesa, portando perciò a ipotizzare quella violazione dell'art. 81 Cost. che la Corte Costituzionale ha escluso sulla base della tesi su esposta.[(Nella fattispecie risulta altresì dalla documentazione prodotta in atti per altri identici giudizi (v. R.G - 223730/2001 nella causa promossa da: APPOLLONI Luigia ALBINA c/ INPS) che l’INAIL ha effettuato i rilievi sui lavori di bonifica operati nei locali dell'Istituto S. Paolo IMI attraverso la Consulenza Tecnica Accertamento Rischi Professionali dalla quale è risultato un'esposizione a concentrazioni medie di amianto ponderate nell’arco dell’anno non superiori a 0,6 ff/ cc (fibre cm3) per la tipologia “Amianto di Serpentino" e non superiori a 0,2 ff/cc per la tipologia "Amianto di Anfibolo", ossia in misura inferiore ai limiti previsti dalla normativa del d..lgs. n. 277/1991)].

 

Svolgimento del processo

Con ricorso tempestivamente e ritualmente notificato i ricorrenti indicati in epigrafe ha convenuto in giudizio l'Istituto di Previdenza Sociale chiedendo di accertare e dichiarare l'esposizione ultra decennale alle fibre di amianto e per l'effetto: dichiarare il loro diritto al beneficio previdenziale ordinando di procedere alla rivalutazione secondo il calcolo di cui all'ari 13, comma 8, L. 257/92 ai fini delle prestazioni pensionistiche;

Hanno a tal fine sostenuto di avere lavorato presso l’ IMI presso l'edificio sito in Roma in via dell'Arte n° 25 ininterrottamente nei periodi indicati in ricorso e superiori al decennio; di essere stati esposti per oltre un decennio, in conseguenza della attività svolta, alla inalazione delle polveri di amianto presenti in misura notevole sul luogo di lavoro tanto da imporre un intervento di bonifica e decontaminazione.

Hanno proseguito specificando le circostanze di fatto e di diritto legittimanti la domanda precisando di aver fatto richiesta all'INPS senza esito,

Fissata l'udienza di discussione L'INPS si è costituito chiedendo il rigetto del ricorso.

La causa istruita con prova documentale è stata decisa all'odierna udienza con lettura del dispositivo in epigrafe.

Motivi della decisione.

Nel merito il ricorso non può essere accolto.

La questione in oggetto merita una breve digressione finalizzata a puntualizzare i numerosi interventi normativi e giurisprudenziali intervenuti nel corso del tempo.

La disposizione dell'art. 13, comma 8, della legge 27 marzo 1992 (Norme sulla cessazione dell'impiego dell'amianto) come modificato dal D.L. 5 giugno 1993, n. 169 conv. con modificazioni, nella legge 4 agosto 1993 n. 271, concede, ai "lavoratori che siano stati esposti all’amianto per un periodo superiore a dieci anni", il beneficio, da far valere "ai fini delle prestazioni pensionistiche", di una rivalutazione dei periodi assicurativi e ciò attraverso il meccanismo della moltiplicazione, "per il coefficiente di 1,5", dell'intero periodo lavorativo soggetto all'assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali derivanti dall'esposizione all'amianto, gestita dall'lNAIL".

Prima della legge 27 marzo 1992, n. 257, la disciplina comunitaria, già da tempo, consapevole della necessità di protezione contro i rischi connessi all'esposizione ad amianto sul luogo di lavoro (direttiva del Consiglio n. 477 del 1983, modificata dalla direttiva n. 382 del 1991), ha dettato "nonne relative alla cessazione dell'impiego" di tale sostanza, esplicitando, tra le proprie finalità, quelle della dismissione dalla produzione e dal commercio dell'amianto medesimo e dei relativi prodotti, nonché della decontaminazione e della bonifica ( art. 1 ), individuando altresì, i "valori limite" di concentrazione di fibre di amianto respirabili nei luoghi di lavoro, rinviando a tal fine a quelli fissati dall'art 31 del decreto legislativo 15 agosto 1991, n. 277, che ha provveduto essa stessa a modificare tramite l'art 3, comma 4, a sua volta recentemente sostituito dall'art. 16 della legge 24 aprile 1998, n. 128.

Nella stessa legge n. 257 del 1992 si rinvengono, inoltre, talune "misure di sostegno per i lavoratori" (capo IV, art 13), costituite da una diversificata gamma di benefici previdenziali, tra i quali quella di cui è causa prevista al comma 8, della rivalutazione dei periodi assicurativi in favore dei lavoratori che siano stati esposti all'amianto per un periodo superiore a 10 anni. La legge 4 agosto 1993, n. 271. in sede di conversione del menzionato D.L., ha soppresso, proprio con riferimento al beneficio in questione, la locuzione "dipendenti dalle imprese che estraggono amianto o utilizzano amianto come materia prima, anche se in corso di dismissione o sottoposte a procedure fallimentari o fallite o dismesse", così intendendo soddisfare, secondo quanto si evince dai lavori preparatori l'esigenza di attribuire centralità, ai fini dell'applicazione del beneficio previdenziale, all'assoggettamento dei lavoratori all'assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali derivanti dall'amianto, escludendo, al tempo stesso, ogni selezione che potesse derivare dal riferimento alla tipologia dell'attività produttiva del datore di lavoro.

Lo scopo della norma va rinvenuto - come recentemente affermato dalla Corte Costituzionale nella pronuncia n. 5 del 2000 - nella finalità di offrire, ai lavoratoti esposti all'amianto per un apprezzabile periodo di tempo (almeno 10 anni), un beneficio correlato alla possibile incidenza invalidante di lavorazioni che, in qualche modo, presentano potenzialità morbigene ed il criterio dell'esposizione decennale costituisce un dato di riferimento tutt'altro che indeterminato, specie se si considera il suo collegamento, contemplato dallo stesso art. 13, comma 8, al sistema generale di assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali derivanti dall'amianto, gestita dall'INAIL (il concetto di esposizione ultradecennale, coniuga l'elemento temporale con quello di attività lavorativa soggetta al richiamato sistema di tutela previdenziale - artt. 1 e 3 del d.P.R. n. 1124 del 1965- viene ad implicare, necessariamente, quello di rischio e, più precisamente, di rischio morbigeno rispetto alle patologie, quali esse siano, che l'amianto é capace di generare per la sua presenza nell'ambiente di lavoro; evenienza, questa, tanto pregiudizievole da indurre il legislatore, sia pure a fini di prevenzione, a fissare il valore massimo di concentrazione di amianto nell'ambiente lavorativo, che segna la soglia limite del rischio di esposizione - decreto legislativo 15 agosto 1991, n. 277 e successive modifiche: così C. Cost. n.. 5 del 2000.

La maggiorazione secondo il coefficiente 1,5, ai fini delle prestazioni pensionistiche, del periodo lavorativo soggetto ad assicurazione obbligatoria per le malattie professionali derivanti dall'esposizione dell'amianto, "per i lavoratori" per cui tale esposizione sia avvenuta per un periodo superiore a dieci anni, non é applicabile ai soggetti già" pensionati (anzianità o vecchiaia al momento della entrata in vigore della legge), in considerazione: del tenore letterale della disposizione (il quale deve essere valutato innanzitutto e principalmente nell'interpretazione delle norme giuridiche, ai sensi dell'art. 12 delle disposizioni sulla legge in generale); del carattere

eccezionale della disposizione; della finalità complessiva della legge, volta a favorire la dismissione della produzione dell'amianto, altamente morbigena, e ad assistere i lavoratori coinvolti da tale processo; della individuazione da parte della legge di precisi stanziamenti di spesa, che non possono essere dilatati in maniera incontrollata (Cass. nn. 6605/98, 6620/98,7407/98,10722/98,10557/2000).

Venendo alla fattispecie concreta va richiamata la pronuncia della Suprema Corte di Cassazione n° 4923 de 13.4.2001 che è di recente intervenuta esprimendo il seguente principio di diritto: " Il disposto del comma 8 dell'art. 13 della legge 27 marzo 1992 n. 257 ("Norme relative alla cessazione dell'impiego dell'amianto"), va interpretato, in ragione dei criteri ermeneutici letterale, sistematico e teleologico, nel senso che il beneficio stesso va attribuito unicamente agli addetti a lavorazioni che presentano valori di rischio per esposizione a polveri d'amianto superiori a quelli i consentiti dagli artt. 24 e 31 d. lgs. 15 agosto 1991 n. 277. Nell'esame della fondatezza della domanda di detto beneficio il giudice di merito deve accertare - nel rispetto dei criteri di ripartizione dell'onere probatorio ex art. 2697 c.c. - se colui che ha avanzato domanda del beneficio in esame, dopo avere provato la specifica lavorazione praticata e l'ambiente dove ha svolto per più di dieci anni (periodo in cui vanno valutate anche le pause "fisiologiche" proprie di tutti i lavoratori, quali riposi, ferie e festività) detta lavorazione, abbia anche dimostrato che tale ambiente ha presentato una concreta esposizione al rischio alle polveri dì amianto con valori limite superiori a quelli indicati nel suddetto decreto n. 277 del 1991".

La sentenza ha trovato conferma altresì in Cass. 28.6.2001 n° 8859.

Alla stregua di tale principio, quindi, non risulta possibile nella fattispecie accogliere la istanza della parte ricorrente che neppure ha allegato l'esposizione al rischio alle polveri di amianto con valori limite superiori a quelli indicati nel Decreto n° 277 del 1991.

Al contrario dalla documentazione in atti risulta che all'INAIL non è mai stata avanzata richiesta di riconoscimento di malattia professionale per esposizione allo specifico rischio. Né i ricorrenti risultano appartenere alle categorie dei lavoratori individuati dalla L. 257/92.

Risulta altresì dalla documentazione prodotta in atti per altri identici giudizi (v. R.G- 223730/2001 nella causa promossa da: APPOLLONI Luigia ALBINA c/ INPS) che l’INAIL ha effettuato i rilievi sui lavori di bonifica operati nei locali dell'Istituto S. Paolo IMI attraverso la Consulenza Tecnica Accertamento Rischi Professionali dalla quale è risultato un'esposizione a concentrazioni medie di amianto ponderate nell’arco dell’anno non superiori a 0,6 ff/ cc (fibre cm3) per la tipologia “Amianto di Serpentino" e non superiori a 0,2 ff/cc per la tipologia "Amianto di Anfibolo", ossia in misura inferiore ai limiti previsti dalla normativa citata.

Come ritenuto in Cass. 28.6.2001 n° 8859 deve escludersi che il provvedimento normativo del 1992 abbia voluto attribuire il beneficio della rivalutazione a tutti i lavoratori comunque esposti ad inalazione di polveri di amianto anche di minima entità, abbia voluto cioè attribuire detto beneficio anche ad soggetti destinati a spiegare la loro attività in ambienti in cui fosse presente una concentrazione di fibre di amianto destinata a rimanere al di sotto dei valori limite legislativamente ritenuti a rischio. E questa conclusione riceve un decisivo avallo dalla considerazione che una diversa interpretazione finirebbe per legittimare un notevole sforamento di ogni pur attendibile previsione di spesa, portando perciò a ipotizzare quella violazione dell'art. 81 Cost. che la Corte Costituzionale ha escluso sulla base della tesi su esposta.

L'interpretazione di rigore e restrittiva della disciplina in oggetto, costantemente fornita dalla giurisprudenza citata consente, pertanto, di ritenere non dimostrato nel presente giudizio l'ulteriore requisito della presenza nell'ambiente di lavoro di una concentrazione di fibre di amianto superiore ai valori limiti fissati dal Decreto n° 277 del 1991.

In relazione all'evoluzione giurisprudenziale e alla particolarità delle questioni trattate si ritiene sussistano giustificati motivi per compensare tra le parti le spese del giudizio.

Roma lì 16.1.2004 (depositata il 20 aprile 2004)

Il Giudice

Tiziana Orrù

Due successive sentenze di riconoscimento rischio e del beneficio previdenziale

 

Tribunale di Velletri,  19  marzo 2004 – Giud. Marrani – Marini R.M., Giangrazi R., Dezi R. (avv. Visco) c. Inps (avv. Gavioli)

 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

 

Con ricorsi depositati in data 22.9.2000 Marini Rosa Maria, Giangrazi Rosella, Dezi Raniero esponendo di prestare attività lavorativa alle dipendenze dell' IMI rispettivamente dal 1972, 1967 e 1978 presso l'edificio dell'IMI sito a Roma, Via dell'Arte 25, allegavano che il suddetto edificio, negli anni '60, era stato costruito con strutture portanti in ferro ignifugate con amianto spruzzato ed interamente coibentato con pannelli contenenti amianto, e che a causa della pericolosità del materiale utilizzato, idoneo con il tempo a rilasciare fibre di asbesto, sin dal febbraio 1987 il Servizio di Igiene Pubblica, Settore Prevenzione, Igiene e Sicurezza sul Lavoro, della USL RM/12 aveva certificato una concentrazione di fibre di amianto aerodisperse di valore medio superiore a quello stabilito dell'art. 31 D.Lgs. 277/91, per cui la USL aveva ordinato all'IMI di procedere alla scoibentazione dell'intero edificio e decontaminazione dei locali; che tale procedura veniva eseguita in un arco di tempo di circa quattro anni in costante presenza in ufficio degli operai; che l'alta tossicità dell'operazione era stata confermata dai tecnici dell'Istituto di Medicina del Lavoro che all’esito di accertamenti tecnici avevano individuato la causa nei pannelli, tramezzi e controsoffitti.

Richiedevano pertanto al giudice che venisse riconosciuto il loro diritto ai benefici previdenziali di cui all'art. 13, comma 8, della legge n. 257 del 1992, con conseguente accertamento dell'illegittimità del provvedimento dell'INPS di mancato riconoscimento del diritto.

Con deposito di memorie difensive si costituiva in giudizio l'Inps chiedendo il rigetto del ricorso.

Le cause venivano riunite ed istruite documentalmente, per cui all'odierna udienza la causa veniva decisa come da dispositivo in epigrafe.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Si dà preliminarmente atto che nel dispositivo, per mero errore di scrittura, il nome della ricorrente Giangrazi è stato indicato come "Rossella" anziché "Rosella". Inoltre nel medesimo dispositivo non si è dato atto della riunione al fascicolo portante recante n. R.G. 1968/00 anche del fascicolo recante il n. R.G. 1979/00 (ricorrente Dezi Raniero) - riunito ai sensi del provvedimento emesso all'udienza del 16.10.2001 - perché non risultante agli atti al momento della stesura del dispositivo.

Il ricorso appare fondato e deve pertanto essere accolto.

I ricorrenti hanno allegato di aver essere stati esposti per i rispettivi periodi, comunque  superiori ai dieci anni, alle fibre di amianto. Hanno proposto pertanto domanda diretta al riconoscimento del diritto alla rivalutazione, a fini pensionistici - ex art. 13, 8° comma, l. 27 marzo 1992 n. 257, come modificato dall'art. 1 d.l. 15 giugno 1993 n. 169, convertito, con modificazioni, nella l. 4 agosto 1993 n. 271 - della propria posizione contributiva nei suddetto periodo di asserita esposizione all'amianto.

La normativa in esame, nello stabilire che «per i lavoratori che siano stati esposti all'amianto per un periodo superiore ai dieci anni, l'intero periodo lavorativo soggetto all'assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali derivanti da esposizione all'amianto gestita dall'INAIL, è moltiplicato, ai fini delle prestazioni pensionistiche, per 1,5», risponde allo scopo, come ha da ultimo ribadito la stessa Corte Costituzionale (cfr. C. Cost. 22 aprile 2002 n. 127) di offrire ai lavoratori esposti all'amianto un beneficio correlato alla possibile incidenza invalidante di lavorazioni che, in qualche modo, presentano potenzialità morbigene.

Tutto ciò evidenzia, in primo luogo, il difetto di legittimazione passiva dell'INAIL e dell'IPZS, come da ultimo confermato dal costante orientamento della giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. n. 8859/2001) posto che il beneficio richiesto è chiaramente di natura pensionistica e che l'unico soggetto tenuto, in linea teorica, ad operare la prevista rivalutazione non può che essere l'INPS. Nei confronti dell'INAIL e dell'IPZS deve essere pertanto dichiarata l'improponibilità della domanda per difetto di legittimazione passiva.

Quanto al merito della presente controversia, occorre premettere che nel caso di specie, una attenta valutazione della documentazione prodotta induce questo Giudicante, anche all'esito di una rivalutazione di precedenti, analoghe, ipotesi, a ritenere la domanda sufficientemente provata. Dalle certificazioni prodotte (ampia documentazione relativa alla coibentazione e decontaminazione) risulta infatti l'entità dell'esposizione al rischio amianto con una concentrazione di polveri superiori  alle 0,l fibre/cc. per otto ore al giorno, soglia minima di cui all'art. 24, 3° comma, d.lgs. n. 277 del 1991. Ebbene, pur ritenendo, come riferito dagli stessi ricorrenti, che i suddetti lavori abbiano avuto una  durata di circa quattro anni, considerata la decorrenza iniziale dell'esposizione all'amianto per  ciascuno dei ricorrenti, può dirsi comunque ultradecennale il periodo di complessiva e continuativa esposizione, dalle rispettive date del 1972, 1967 e 1978 fino, almeno, al 1988.

Deve pertanto dichiarasi il diritto dei ricorrenti al beneficio di cui all'art. 13, comma 8, della 1. n. 257/92 e succ. mod..

Le spese di lite seguono la soccombenza.

PQM

- dichiara che la ricorrente, in conseguenza delle attività svolte alle dipendenze dell'IMI nell'edificio sito in Roma, Via dell'Arte 25, dal 1.1.1972 sino ad oggi, è stata esposta all'amianto per un periodo superiore ai dieci anni;

- dichiara pertanto il diritto della ricorrente ai benefici previdenziali di cui all'art. 13, 8° comma, l. 257/92 e succ. mod;

- condanna l'INPS in persona del legale rappresentante, a rimborsare in favore del procuratore del ricorrente dichiaratosi antistatario le spese di lite che liquida in € 798,44 di cui € 338,28 per onorari,  e €  387,34 per diritti oltre IVA e CPA come per legge.

 

Velletri, 12.2.2004 (depositata il 19.3.2004).

Il Giudice

Batrice Marrani

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Trib. Roma, sez. lav., 17 dicembre 2004 – Giud. Falato -  Serino Francesca e altri (avv. Visco) c. INPS

 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso depositato l’11.2.2000 e rituaimente notificato parte ricorrente ha adito il Tribunale del lavoro di Roma e - premesso di aver lavorato alle dipendenze dell'IMI nel periodo e dunque per più di dieci anni, che ha svolto la propria attività presso l'edificio sito in Roma, via dell'Arte, 25; che si tratta di edifìcio in cui le concentrazioni di amianto sono superiori ai minimi tabellari di cui alla I. 257/92 - ha chiesto accertarsi e dichiararsi il proprio diritto all'applicazione dei benefici di cui all'art. 13 comma 8 1.257/92.

Costituitosi in giudizio, l'Inps ha contestato il fondamento della domanda e ne ha chiesto il rigetto.

Autorizzate le parti al deposito di note difensive, in data 17.12.2004 il Giudice ha deciso la causa come da separato dispositivo.

MOTIVI DELLA DECISIONE

La domanda va accolta.

Si premette che la controversia ha ad oggetto il riconoscimento di un beneficio contributivo ai fini del trattamento pensionistico: ne consegue che la legittimazione passiva va appuntata esclusivamente in capo all'lnps.

Il referente normativo che presiede alla controversia in esame va rinvenuto nell'art. 13 comma 8 I. 257/92, così come modificato dalla L. 271/1993, il quale così recita: "..per i lavoratori che siano stati esposti all'amianto per un periodo superiore a dieci anni, l'intero periodo assicurativo soggetto all'assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali derivanti dall'esposizione all'amianto, gestita dall’lnail, è moltiplicato, ai fini delle prestazioni pensionistiche, per il coefficiente 1,5 per ciascuna settimana di contribuzione inerente il periodo di esposizione con il conseguente diritto alla ricostituzione della pensione..".

Nel caso dì specie parte ricorrente ha depositato documentazione attestante l'esistenza del proprio rapporto di  lavoro  presso l’IMI,  nell'edificio di  via dell'Arte, e dunque l'esposizione (per un periodo ultradecennale) al rischio di inalazione di fibre di asbesto.

Va rilevato che ha formato oggetto di dibattito giurisprudenziale la tematica dei " grado di esposizione" all’amianto necessario ai fini del riconoscimento del benefìcio in esame; si evidenzia, infatti, che per alcuni lavoratori ( quelli delle cave e miniere di amianto e quelli che a causa dell'esposizione stessa hanno contratto malattia professionale specifica) la legge concede il beneficio senza alcun limite temporale. Il comma 8 invece, che qui rileva, attribuisce detto beneficio solo a chi è stato esposto all'amianto per più di dieci anni.

In proposito sembra comunque ragionevole ritenere e ribadire che la circostanza che il legislatore abbia solo parlato di esposizione "ultradecennale" deponga nel senso dell'irrilevanza del "grado" di esposizione nonché della "continuatività" dalla stessa. In tal senso si è espressa, unanime , la giurisprudenza, soprattutto di merito,

Si ricordano, ad es. la pronuncia de! Tribunale di Ravenna 13-04-2000 la quale ha ribadito che secondo la L. n. 257/1992, così come interpretata dalla corte costituzionale con la sentenza 12 gennaio 2000 n. 5, i benefici per l'esposizione all'amianto sono dovuti a tutti i lavoratori esposti per oltre dieci anni all'amianto - in funzione compensativo-risarcitoria - senza che sia necessario raggiungere una soglia di esposizione:il tutto in ottemperanza alla ratio perseguita dalla legge che è quella di accorciare i requisiti contributivi necessari per la pensione a favore di chi ha avuto accorciata presumibilmente la vita per l'esposizione all'amianto; ancora, la pronuncia del Tribunale di Milano 12-12-1998 la quale ha chiarito che l’art. 13, 8° comma. I. 27 marzo 1992 n. 257 non pretende che il lavoratore sia stato esposto, per tate periodo, continuativamente all'amianto ; la pronuncia della Pretura di Firenze 3-04-1999, la quale ha affermato che l’art 13, 8° comma, L. 257/1992. come modificato dalla l. 271/1993 menziona, quale presupposto legale della rivalutazione contributiva prevista, !a semplice «esposizione all’amianto», da intendersi come l'esposizione al rischio morbigeno costituito dal contatto diretto con fibre di amianto (aerodisperse), senza precisare alcuna percentuale di concentrazione della sostanza quale soglia minima al di sotto detta quale possa parlarsi di assenza di esposizione; la pronuncia citata fa esattamente rilevare che nella normativa in esame non viene richiamata la normativa di cui agli art. 22 seg. d.leg. 15 agosto 1991 n. 277, in particolare l'art. 24, 3° comma, il quale fa riferimento al limite delle zero virgola uno (0,1) Fibre per centimetro cubo (cm3) in rapporto alle otto ore lavorative); a sua volta la pronuncia del Pretore di Firenze 03-11-1998 la quale argomenta che l'articolo 13 cit. non richiede che l'amianto costituisca materia prima oggetto di estrazione, trasformazione e manipolazione, essendo sufficiente che questo venga impiegato anche in una lavorazione diversa quale materiale strumentale.

In conclusione, i benefici previdenziali previsti dalla L. n. 257 del 27 marzo 1992 (come modificata dalla L. n. 271/1993) per l'esposizione ultradecennale all'amianto vanno riconosciuti ai lavoratori che, per le mansioni e per l'ambiente di lavoro, siano stati esposti in modo diretto o indiretto all'amianto, anche a dosi inferiori a quelle che avrebbero determinato il pagamento del premio supplementare per l'asbestosi; pertanto, per il conseguimento dei benefici, è sufficiente provare che l'esposizione all'amianto sia durata oltre dieci anni ( cfr. sul punto, le argomentazioni specifiche di P. Ravenna 04-12-1997 nonché P. Padova, 09-06-1997).

Da ultimo si osserva che l'orientamento appena citato, secondo cui non occorre accertare in concreto una precisa concentrazione di amianto dell'ambiente lavorativo, risponde anche a criteri di ragionevolezza poiché nella stragrande maggioranza dei casi si tratterebbe di verifiche da effettuarsi in luoghi ormai inesistenti o comunque modificati. Ne deriva che diversamente opinando si finirebbe per vanificare l'intento perseguito dal legislatore.

Nel caso di specie è stata acquisita ampia documentazione comprovante sia che l'edifìcio in questione è stato fatto oggetto di diffida e contravvenzione da parte delle autorità sanitarie (ASL) sia che, proprio in omaggio alla normativa a tutela degii ambienti di lavoro per la presenza di amianto, sono stati imposti lavori straordinari di bonifica dell'edificio de quo.

Le considerazioni di fatto e di diritto sopra esposte comportano il diritto di parte ricorrente al benefìcio di cui all'art. 13 comma 8 l. 257/92 peri il periodo indicato in dispositivo (1.1.’72-31.12.’91)

Spese di lite liquidate come da dispositivo secondo la soccombenza.

 

Roma 17.12.2004

Il Giudice

Mariaelena Falato

 

L'opinione della Corte d'Appello di Roma

Corte d’Appello di Roma, 30 agosto 2007 – Est. Scotto di Carlo – T. c. Inps
 
(omissis)
 
Giusta ordinanza in atti, reiterata all’udienza, è stata acquisita la documentazione, trasmessa dai competenti enti, su richiesta di ufficio in analogo giudizio, ovvero la documentazione relativa a certificazione INAIL, nonché il p.v. verbale di contravvenzione e diffida elevato dalla ex USL RM/12 del 9.7.87 e i successivi documenti dei lavori di bonifica eseguiti nei locali interessati.
 
MOTIVI DELLA DECISIONE
 
L’appellante censura la sentenza:
- Con il primo motivo per “errata applicazione dell’art. 13, comma 8, L. n. 257/92, in riferimento ai presupposti ritenuti necessari per la concessione del beneficio”, sostenendo con diffusa argomentazione la presunzione di rischio morbigeno contenuta nel disposto normativo;
- con il secondo motivo, per “erroneo riferimento ai valori massimi e minimi  di concentrazione di amianto prescritti dal d. lgs. 277/91, sostenendo la sufficienza della presenza di amianto e lamentando altresì la mancata ammissione di mezzi istruttori;
 
L’Inps sostiene invece la correttezza della decisione rammentando l’iter interpretativo della norma nella giurisprudenza costituzionale e di legittimità.
 
All’esame delle censure vale premettere che nella presente controversia non ha diretto rilievo la legislazione sopravvenuta alla sentenza impugnata. Invero con riguardo alla nuova disciplina della materia di cui all’art. 47 del d.l. 30.9.03, n. 269, convertito in l. 24.11.03, n. 326, l’art. 3, co. 132, della l.  24.12.03, n.350 ha fatto salva l’applicabilità della precedente normativa (tra gli altri) agli assicurati che alla data del 2.10.03 abbiano avviato un procedimento amministrativo o giudiziario per l’accertamento del diritto alla rivalutazione contributiva (cfr. Cass. nn. 15800/06 – in motivazione – 15679/06 – 15008/05 – 21862/04, anche in motivazione). Nel caso di specie  il ricorso di primo grado è stato depositato il 5.9.2000, a seguito del negativo esperimento del procedimento amministrativo. Pertanto il giudizio della devoluta fattispecie deve essere condotto alla stregua delle disposizioni della legge n. 257 del 1992, applicabili ratione temporis.
Giova anche precisare che:
- l’istante in sede amministrativa ha avanzato domanda anche all’Inail, limitatamente all’esposizione al rischio (cfr. doc. 15 fascicolo 1° grado appellante);
- la certificazione negativa dell’Istituto, prodotta dallo stesso appellante (cfr. doc. 17, ibidem), non è ostativa, né vincolante e nessun rilievo assumono le mansioni del lavoratore (impiegato 1ˆcat. – cfr. doc. 12 fascicolo 1° grado appellante), nonché l’attività del datore di lavoro Imi, atteso che “in tema di benefici in favore  dei lavoratori esposti al rischio asbestosi, anche in virtù delle sentenze della Corte costituzionale n. 5 del 2000 e n. 127 del 2002, deve ritenersi che destinatari del beneficio previdenziale previsto dall’art. 13, ottavo comma, legge n. 257 del 1992, siano non soltanto i lavoratori che abbiano perso o siano esposti al rischio di perdere il posto di lavoro in conseguenza della soppressione delle lavorazioni dell’amianto, bensì, più in generale, tutti i lavoratori subordinati i quali – indipendentemente dall’oggetto dell’attività produttiva dell’impresa datrice di lavoro – abbiano subito una esposizione ‘qualificata’ ultradecennale all’azione morbigena delle fibre d’amianto, in quanto risulti accertata la presenza nell’ambiente di lavoro di una dispersione di fibre di amianto in concentrazione superiore ai valori indicati negli art. 24 e 31, d.lgs. n. 277 del 1991, essendo irrilevante che l’esposizione sia cessata alla data (28 aprile 1992) di entrata in vigore della legge n. 257 del 1992. L’accertamento dell’esistenza  di una esposizione “qualificata” richiede che il giudice verifichi – nel rispetto del criterio di ripartizione dell’onere sulla prova e, se del caso, avvalendosi dei poteri d’ufficio previsti nel rito del lavoro – se il lavoratore ha dimostrato che nell’ambiente nel quale si svolgeva la lavorazione vi era una concentrazione di polveri d’amianto superiore ai valori di rischio sopra indicati e che  egli è stato esposto al rischio per oltre dieci anni, computando in questo periodo anche le pause ‘fisiologiche’ dell’attività (riposi, ferie, festività) rientranti nella normale evoluzione del rapporto di lavoro, non rilevando in contrario il mancato rilascio, (ovvero il contenuto), delle dichiarazioni in ordine alla durata ed al grado di esposizione che l’INAIL ed il datore di lavoro devono rendere nella procedura amministrativa stabilita in sede congiunta da INPS, INAIL, Ministero del lavoro e parti sociali, esplicitata nella circolare INPS 13 dicembre 1995, n. 304, atteso che le suddette dichiarazioni esauriscono i propri effetti nell’ambito della suddetta procedura e non assumono carattere vincolante in ordine ai fatti attestati (così Cass. 997/03).
I motivi che si esaminano congiuntamente in quanto relativi alla medesima questione della cd. soglia di esposizione, sono infondati.
Vale richiamare il fermo orientamento sul punto della giurisprudenza di legittimità alle cui ampie e approfondite argomentazioni la Corte ritiene di aderir, in mancanza di contrari argomenti non esaminati.
Da ultimo, Cass. n. 15800/06, già citata, ha affermato che “in tema di benefici previdenziali in favore dei  lavoratori esposti all’amianto, alla stregua di un’interpretazione adeguatrice dell’art. 13 della legge 27 marzo 1992, n. 527 applicabile, nella specie, ‘ratione temporis’, per la concessione del beneficio non è necessario il superamento di una certa soglia di esposizione all’amianto, non occorrendo il relativo accertamento ove il diritto alla maggiorazione sia fondato sulle certificazioni INAIL, rilasciate prima o dopo l’entrata in vigore della legge n. 179 del 2002, emanate sulla base degli atti di indirizzo del Ministero del lavoro adottati nel corso dell’anno 2000, ai quali l’art. 39 della legge del 2002 ha conferito validità”.
In motivazione ha, tra l’altro, evidenziato che:
-Invero è la stessa l. n. 257 del 1992 a dare fondamento normativo alla esigenza di una esposizione superiore a una determinata ‘soglia’, prevedendo con specifica disposizione (art. 3, come sostituito dalla l. 24 aprile 1998, n. 128, art. 16) – che richiama, e in parte modifica, i valori indicati dal d. lgs,. n. 277 del 1991 – il limite di concentrazione al di sotto del quale le fibre di amianto devono ritenersi ‘respirabili’ nell’ambiente di lavoro (tanto da non obbligare all’adozione di misure protettive specifiche) e mostrando così di ritenere insufficiente, agli effetti dei benefici da attribuire ai lavoratori ‘esposti’, la presenza della sostanza in quantità tale da non superare il limite anzidetto e da non rappresentare, per tale ragione, un potenziale pericolo per la salute”;
-“la nuova disciplina …vale a confermare che anche … (la legge n. 257 del 1992) imponeva, per la concessione del beneficio, il superamento di una certa soglia di esposizione all’amianto. Sarebbe infatti del tutto irragionevole e contrario al principio costituzionale di uguaglianza ipotizzare che, mentre con la nuova disposizione il beneficio spetta solo nei casi di superamento della soglia viceversa, secondo le disposizioni anteriori, questa non venisse prevista…”.
Di uguale segno sono le precedenti decisioni di Cass. nn. 16119/05-16118/05, nonché quelle fino a n. 4913/01 richiamate nella stessa sentenza riportata.
Rimane stabilito, dunque, che pur in mancanza di specifica disposizione, la stessa legge n. 257 del 1992 fornisce positivo dato di riferimento (art. 3) per siffatta interpretazione del successivo art. 13, co. 8, d’altro canto la previsione dell’art. 47, co. 1, d.l. n. 269/03, conv. l. n. 326/03 imponendo interpretazione adeguatrice della predetta disposizione.
Allora, il superamento della cd. soglia di esposizione determina il rischio tutelato dalla norma invocata ed è quindi requisito del diritto ad essa correlato che non sussiste nel caso di concentrazioni inferiori; ciò, del resto, in ragione della esigenza di un’esposizione all’amianto “qualificata” per durata e per intensità, tale da rendere effettiva la ipotetica possibilità del manifestarsi di patologie che la sostanza è idonea a generare.
L’istante, secondo gli ordinari criteri, è onerato della allegazione e prova di tale circostanza, con la precisazione pure chiarita da citata Cass.16119/05 che «…al fine del riconoscimento di tale beneficio, non è necessario che il lavoratore fornisca la prova atta a quantificare con esattezza la frequenza e la durata dell’esposizione, potendo ritenersi sufficiente, qualora ciò non sia possibile, avuto riguardo al tempo trascorso e al mutamento delle condizioni di lavoro, che si accerti, anche a mezzo di consulenza tecnica, la rilevante probabilità di esposizione del lavoratore al rischio morbigeno, attraverso un giudizio di pericolosità dell’ambiente di lavoro, con un margine di approssimazione di ampiezza tale da indicare la presenza di un rilevante grado di probabilità di superamento della soglia massima di tollerabilità».
L’appello, in difetto di altre specifiche censure, già per ciò solo non merita accoglimento.
Ma anche a procedere oltre, l’applicazione di siffatti principi al caso di specie conduce a ritenere infondata la domanda per difetto se non di allegazione, quanto meno di prova circa il superamento della cd. soglia di esposizione.
Va sottolineato che in coerenza con la diversa lettura interpretativa della norma resa esplicita nel presente grado, nel ricorso introduttivo della lite il lavoratore si è limitato ad allegare che:
-“tale edificio…veniva realizzato…con strutture portanti in ferro, ignifugate con amianto ‘spruzzato’ ed interamente coibentate con pannelli contenenti amianto, e così pure i solai, controsoffitti, paratie, condotte, tubature etc.”; “detti materiali, con il passare del tempo, disperdono e diffondono nell’aria considerevoli quantità di fibre di asbesto per effetto sia della vetustà delle strutture che del funzionamento degli impianti termici la cui aerazione provocava il distacco delle fibre che si andavano via via depositando all’interno di ogni locale dell’edificio”;
- “nel febbraio 1987 …(la) USL RM/12 accertava e certificava il grave pericolo di danno alla salute dei lavoratori, anche a causa dell’usura della moquette che pavimentava gli uffici …”;
- “durante i lavori di sostituzione della moquette, che comportò tra l’altro lo spostamento di tramezzi e pannelli, si rinvenne all’interno degli stessi pannelli di rivestimento, una concentrazione di fibre di amianto aerodisperse di valore medio ben superiore a quello stabilito dal…d. lgs. n. 277…”;
-“per dirimere tale pericolo, …la USL RM/12 ordinava all’IMI di procedere alla coibentazione dell’intero edificio e alla decontaminazione degli ambienti”;
- “Si procedeva quindi ad una estesa  ed integrale sostituzione dei pannelli e dei controsoffitti …sempre alla costante presenza dei lavoratori …”;
- “L’elevata concentrazione tossica e nociva di fibre d’amianto, nel corso di tali lavori, veniva confermata poi all’esito di esami effettuati dai tecnici dell’Istituto di Medicina del lavoro che ne individuavano la causa nei pannelli, nei tramezzi e nei controsoffitti, siccome fabbricati in eternit, cd. cemento amianto”.
Quand’anche si ritenesse assolto l’onere di allegazione specifica (nonostante l’assunta irrilevanza quantitativa e con prospettazione soltanto delle caratteristiche di fabbricazione del luogo di lavoro e delle cause di dispersione dell’amianto nell’ambiente), l’esito dell’attività istruttoria documentale svolta nel presente grado non sostiene le ragioni dell’appellante e, anzi, corrobora la negativa certificazione Inail.
Risulta infatti dalla documentazione trasmessa dalla ASL RM C (in parte prodotta anche dall’appellante nel corso del presente grado) che:
- Imi ha appaltato a Saver Italia spa la “Esecuzione delle opere relative al risanamento e ricostruzione della protezione ignifuga dei solai” della sede di via dell’arte, come descritti nella specifica tecnico-operativa, ovvero “Rimozione dell’amianto esistente sulle travi e sui soffitti delle stanze e dei corridoi di ciascun piano” e “Trattamento antifuoco di tutte le parti componenti i soffitti (travi longitudinali-soffitti in cemento lamiera grecata esistenti, ecc)” (cfr. lettera Saver a USL 29.5.87 e allegata specifica – doc. 4);
- il verbale di contravvenzione  e diffida del 9.7.87 è stato elevato a carico (non dell’Imi ma) della Saver, per irregolarità del cantiere di bonifica da questa allestito (isolamento completo fino all’accertata agibilità delle zone considerate contaminate; procedure di decontaminazione per gli addetti), con sospensione dell’attività fino alla regolarizzazione di esso, avvenuta come da relazione di sopralluogo del 16.7.87 e contestuale autorizzazione alla ripresa dei lavori, di campionamenti ambientali delle fibre aerodisperse sia all’interno del cantiere per valutare l’esposizione dei lavoratori e quindi adottare idonee misure di protezione, sia all’esterno del cantiere per valutare l’efficacia  dei sistemi di confinamento ed isolamento adottati (doc. 1-5-7);
- altra violazione (detriti di amianto sparsi sul pavimento di un locale in zona già bonificata confinate col cantiere di bonifica, provenienti da apertura nel muro di confine e teli di confinamento staccati e sollevati consentendo l’acceso diretto al cantiere senza il passaggio attraverso la zona di decontaminazione) è stata accertata in data 14.7.88 come da relazione di sopralluogo e rapporto giudiziario del 15.7.88; tale rapporto contiene riassuntiva esposizione dell’intervento di bonifica, siccome consistito nella rimozione del rivestimento in amianto applicato a spruzzo sui soffitti dello stabile e la successiva applicazione di vernice intumescente, delle modalità di esso come da programma di lavoro sottoposto all’approvazione della USL, ovvero intervento successivo per semipiani contigui, previa verifica mediante campionamenti ambientali dell’avvenuta decontaminazione dell’area bonificata, confinamento artificiale dell’area di lavoro, con altresì unità di decontaminazione, particolarmente importante per la continuazione delle normali attività negli altri piani dell’edificio (doc. 8-9);
 le documentate analisi dei campioni non hanno dato, per quanto di interesse, esito significativo (doc. 2-3-10 e atti contenuti in separato fascicolo).
Dalla specifica tecnico-operativa (doc. 6, folii 7-8-9) si evince che:
-“Il confinamento dell’area di lavoro …avverrà a controsoffitto ancora installato, cioè senza pericolo di venire a contatto con l’agglomerato contenente amianto e pertanto non si rende necessario eseguire queste operazioni dotando il personale di respiratori e di indumenti protettivi particolari”;
- “la rimozione del controsoffitto e dei corpi illuminanti avverrà dopo che il confinamento dell’area sarà completato … Dovendo eseguire le operazioni di cui sopra senza andare a contato con il materiale contenente amianto si adopererà il respiratore Tipo 8810 …o respiratore equivalente”;
-“Le superfici ricoperte dal materiale contenente amianto saranno trattate con un prodotto imbibente specifico con lo scopo di ridurre la dispersione di fibre in ambiente …L’alto potere penetrante di questi tipi di prodotto agevola, oltre a bloccare le fibre di amianto, la rimozione dello stesso che nel …caso ha uno spessore ridotto (4-6 mm)”;
- “Rimozione dei materiali contenenti amianto …La rimozione sarà eseguita da personale ‘specializzato’ dotato di appropriate attrezzature meccaniche e immediato insaccamento del materiale rimosso per impedire all’amianto di seccarsi, con periodiche pulizie della zona di lavoro e insaccamento del materiale di risulta che impediranno una concentrazione pericolosa di fibre disperse”;
- “la protezione antifuoco …affidata al rivestimento con materiale contenente amianto …rimosso, viene ottenuta con l’applicazione di vernici intumescenti”.
Le successive specifiche tecnico-operative sono state integrate secondo prescrizione; i controlli effettuati non hanno riscontrato irregolarità (cfr. doc. da 12 a 20).
La ASL ha precisato nella nota di trasmissione che l bonifica ha avuto inizio nel giugno 1987 e si è conclusa nel marzo 1991, fino a settembre 1989 le analisi eseguite hanno riguardato i locali bonificati e sporadicamente campionamenti nelle aree confinanti, nonché da tale data anche tali zone per la verifica della tenuta del cantiere.
E’ rimasto accertato, dunque, che:
- l’amianto era stato utilizzato nell’immobile solo sulle travi e sui soffitti delle stanze e dei corridoi, per la protezione ignifuga dei solai, e non altrove; in particolare il controsoffitto non era stato realizzato con l’impiego di amianto, ma anzi separava la zona che conteneva la sostanza;
- il controsoffitto non era interessato dall’impianto termico ma solo dai corpi illuminanti;
- l’immobile era a 10 piani; la bonifica è stata eseguita per semipiani contigui e con confinamento dell’area interessata; i dipendenti Imi svolgevano la prestazione lavorativa in locali situati su piano diverso rispetto a quello dell’intervento; le operazioni sono state costantemente controllate dalla USL competente e salvo due violazioni (attinenti alla decontaminazione e/o prontamente eliminate), non sono state constatate irregolarità;
- le analisi dei campionamenti effettuati non hanno segnalato anomalie rispetto ai valori-limite.
Va da se che la questione risulta infondata anche sotto il profilo relativo alla sostituzione della moquette, siccome riproposto in appello, non trascurandosi peraltro di sottolineare che la prodotta documentazione non evidenzia altro che l’usura del rivestimento (cfr. Nota Servizio Igiene Pubblica del 2.2.87 – doc. 3 fascicolo 1 grado appellante).
In relazione alle circostanze allegate e in base alle prove raccolte, deve pertanto escludersi il superamento della cd. soglia di esposizione, o almeno che sia stata raggiunta prova di  esso, pure secondo il suddetto criterio del rilevante grado di probabilità.
Mette conto rimarcare che:
-il D.M. 6.9.94 emanato sulla base della legge n. 257 del 1992 stabilisce all’art. 2 che “La presenza di materiali contenenti amianto in un edificio non comporta di per se un pericolo per la salute degli occupanti. Se il materiale è in buone condizioni e non viene manomesso, è estremamente improbabile che esista un pericolo apprezzabile di rilascio di fibre di amianto. Se invece il materiale viene danneggiato per interventi di manutenzione o per vandalismo, si verifica un rilascio di fibre che costituisce un rischio potenziale. Analogamente se il materiale è in cattive condizioni o se è altamente friabile, le vibrazioni dell’edificio, i movimenti delle persone o macchine, le correnti d’aria, possono causare il distacco di fibre legate debolmente al resto del materiale …”;
- l’Inail ha trasmesso parere fornito dal CONTARP Regionale, in data 3.11.99, su analoga richiesta di altri dipendenti IMI, concludendo, a seguito degli “effettuati accertamenti sui lavori operati nei locali…”, che “i rivestimenti presenti nei locali di lavoro non potevano esporre a concentrazioni di fibre d’amianto dell’ordine del livello di soglia o di attenzione, soprattutto perché inertizzati in altri materiali” (cfr. doc. allegato a nota del 20.10.2005).
Alla stregua  dei dati di causa e degli elementi acquisiti dall’istruttoria documentale, risulta superfluo, o comunque non utile, viepiù a condizione ambientale modificata fin dal 1987-91, disporre ctu, neppure richiesta; sulla rinnovata istanza di prova testimoniale deve confermarsi il giudizio di inammissibilità per irrilevanza delle relative circostanze.
Consegue la reiezione dell’impugnazione e la conferma dell’impugnata sentenza.
Giusti concorrenti motivi, costituiti dalla successione normativa in materia e dalle questioni interpretative, dalla particolarità della fattispecie e dalla condizione delle parti, conducono a compensare per intero anche le spese del grado.
 
PQM
respinge l’appello;
compensa le spese del grado.
 
Roma 24.10.2006 (depositato 30 agosto 2007)

 

LLa Corte d'Appello di Roma decide positivamente per gli addetti alla manutenzione del Palazzo IMI
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
CORTE DI APPELLO DI ROMA
Sezione controversie lavoro,previdenza e assistenza obbligatorie
 
La Corte composta dai Signori Magistrati:
CORTESANI   dott. Domenico                                                                         Presidente
CONTE dott. Alfredo                                                                                      Consigliere
SCOTTO di CARLO dott.sa Rosa                                                                    Consigliere rel.
All'udienza del giorno 16:1.09 ha pronunciato mediante pubblica lettura del dispositivo la seguente
SENTENZA
nella causa civile in grado di appello iscritta al n. 9439 del Ruolo Generale Affari Contenziosi dell'anno 2003 vertente
TRA
MARINO FRANCO, elettivamente domiciliato in Roma al viale delle Milizie n. 38 presso lo studio dell'Avvocato Giovanni Angelozzi che lo rappresenta e difende in virtù di mandato a margine del ricorso di 1 ° grado
APPELLANTE
INPS, in persona del legale rappresentante
APPELLATO CONTUMACE
Oggetto: appello avverso la sentenza del Tribunale di Roma resa in data 21.5.03.
CONCLUSIONI
Per l'appellante: come da scritti difensivi in atti e p.v. ud.
 
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
 
Con ricorso depositato il 16.6.2000 Marino Franco, già dipendente dell'Imi dal 1970 fino al 1991 con sede di lavoro presso l'edificio sito in Roma in via dell'Arte n. 25, ha convenuto l’Inps al giudizio del Tribunale di Roma. Ha dedotto che in ragione delle caratteristiche strutturali del fabbricato, dell'usura del tempo e del funzionamento dell'impianto di ventilazione forzata era stato esposto per circa un ventennio all'inalazione di fibre di amianto disperse nella stanza e nei locali di lavoro. In relazione alle domande rivolte vanamente all’Inail in data 22.4.99 e all’Inps in data 1.9.99, ha chiesto di accertare il suo diritto al beneficio della maggiorazione contributiva di cui all'art. 13, co. 8, legge n. 257 del 1992, secondo il coefficiente 1,5, del periodo di esposizione a rischio e di condannare l'Istituto a ricostituire il trattamento pensionistico nella misura e con decorrenza di legge. La sentenza in epigrafe indicata ha respinto il ricorso e ha compensato le spese di lite. Il Tribunale ha osservato che nulla era stato allegato in ricorso circa il requisito della concreta esposizione qualificata al rischio con riguardo alla specifica lavorazione praticata e all'ambiente di lavoro e che pertanto le istanze istruttorie risultavano irrilevanti.
Avverso la decisione la parte soccombente ha proposto appello con il quale, dopo avere precisato di avere conseguito pensione di anzianità Inps dal 1.3.94, ha lamentato la mancata ammissione dei rilevanti mezzi istruttori e la mancata disposizione di ctu ambientale con ricorso ai poteri di cui all'art 421 c.p.c., evidenziando altresì che dagli accertamenti e dai conseguenti provvedimenti di contravvenzione e bonifica adottati dalla USL era desumibile la concentrazione di fibre di amianto superiore ai limiti di legge. Ha concluso per l’accoglimento delle domande formulate in primo grado relativamente all'accertamento del suo diritto alla maggiorazione contributiva per il periodo dall'aprile 1970, con vittoria di spese del doppio grado del giudizio. In via istruttoria ha insistito nella richiesta di ordine di esibizione alla Asl della documentazione relativa ai praticati accertamenti e di ammissione della prova testimoniale già articolata in ordine all'ininterrotto svolgimento dell'attività lavorativa nei locali del palazzo Imi, ai numerosi decessi per asbestosi e patologie tumorali del personale dell'Istituto, all'effettuazione dei lavori di bonifica fino al 1991 in costanza dello svolgimento dell'attività lavorativa.
Instaurato il contraddittorio, non si è costituito l'Inps.
Come da ordinanze in atti è stata ammessa la prova testimoniale limitatamente al primo e ultimo capitolo ed è stata poi disposta ctu medico-ambientale. L'appellante ha depositato plurime note difensive autorizzate. All'odierna udienza la causa è stata decisa come da dispositivo in calce del quale è stata data lettura alla stessa udienza, ai sensi dell'art. 437 c.p.c.
 
MOTIVI DELLA DECISIONE
L'appello è fondato.
Anche avvalendosi dei poteri officiosi ex art. 421 c.p.c. rispetto ai rilevanti temi di indagine evincibili dal ricorso introduttivo dei giudizio, è stato accertato a mezzo della esperita prova testimoniale che l'appellante ha svolto mansioni di idraulico e in aggiunta, come tutti gli addetti alla squadra manutenzione, di spostamento dei tramezzi coibentati con amianto (cfr. teste Bolognesi Spartaco, collega di lavoro e anch'egli tecnico della manutenzione).
Il ctu, con riferimento al periodo 16.2.70-6.4.81 in cui certamente l'appellante è stato addetto alla manutenzione degli impianti idraulico e antincendio, pur essendo utilizzato anche in altre attività manutentive dell'edificio, ha evidenziato che “Le attività maggiormente espositive erano quelle che comportavano l'accesso agli impianti situati nello  spazio del controsoffitto dove erano in opera rivestimenti di amianto a spruzzo applicati sulle strutture metalliche e sul solaio. Il danneggiamento  dei rivestimenti di amianto, con conseguente rilascio breve ma elevato di fibre, era frequente sia per la vicinanza  degli elementi soggetti a manutenzione, sia per la ristrettezza degli spazi in cui l’appellante era costretto ad operare”. Senza considerare l’uso improprio delle coperte di amianto per le operazioni di saldatura, rapportate le mansioni all’impegno di lavoro e calcolata con stima prudenziale in 2 ore al giorno la maggiore esposizione a rischio, ha affermato che l’appellante nel detto periodo ha avuto  una esposizione media superiore a 0,1 f/ml, in quanto pari a 0,25075 f/ml facendo applicazione del criterio utilizzato dall’Inail. Non ha trascurato di rimarcare che vi sarebbe stato superamento della soglia limite anche considerando il tempo di esposizione ad amianto negli interventi manutentivi pari a 1 ora (o frazione) giornaliera, in tal caso risultando un valore espositivo annuale medio di 0,125875 f/ml. Ha quindi concluso che l'appellante ha avuto una esposizione qualificata al rischio di inalazione di fibre d'amianto per un periodo ultradecennale (cfr. relazione in atti, da aversi per interamente trascritta).
Ritiene la Corte di condividere le conclusioni dell'ausiliare essendo stata condotta l'indagine con applicazione di esatti criteri scientifici e apparendo l'iter logico-deduttivo immune da vizi, nella coerenza delle conclusioni con le premesse. E' dunque risultato provato che l'appellante per un periodo superiore al decennio è stato esposto a concentrazioni di fibre di amianto aerodisperse superiori a quelle indicate dall'art. 24 del D.Lgs. 277 del 1991 (cfr. Cass. nn. 400/07-27451/06-39456/07).
In riforma della impugnata sentenza e nei limiti del domandato, va pertanto dichiarato il diritto dell'appellante alla maggiorazione contributiva di cui all'art. 13, comma 8, della legge n. 257/92, applicabile ratione temporis (cfr. altresì Cass. n. 15679/06), con riguardo al periodo aprile 1970-febbraio 1981.
Le spese di lite, liquidate per ciascun grado in dispositivo, seguono la soccombenza (peraltro senza distrazione in favore del procuratore antistatario in quanto non richiesta in alcuno degli atti introduttivi dei gradi), come le spese di ctu liquidate in separato decreto.
 
PQM
 
accoglie l'appello e, per l'effetto, in riforma dell'impugnata sentenza, dichiara il diritto dell’appellante al beneficio di cui all'art. 13, co. 8, legge n. 257/92 e succ. mod. con riguardo al periodo aprile 1970 - febbraio 1981; condanna l'Inps alla rifusione delle spese di lite che liquida per il primo grado in complessivi euro 1.450,00 di cui 625,00 per onorario e per il presente grado in complessivi euro 1.850,00 di cui 870,00 per onorario.
 
Roma, 16.1.09
 
Il Consigliere estensore                                                                                                                                   Il Presidente
Scotto di Carlo                                                                                                                                                 Cortesani
 
NOTA IMPORTANTE
 
Si trascrive da parte dell’autore del sito la porzione della Relazione del CTU Prof. Fulvio D’Orsi, dalla quale si possono desumere le argomentazioni per cui è disceso l’accoglimento del ricorso in appello dell’operaio di manutenzione Sig. Marino, e dalle quali emergerebbe il  disconoscimento per gli altri lavoratori dell’IMI, designati “occupanti generici” (impiegati, funzionari e dirigenti).
Premesso che  l’esposizione qualificata che consente, in relazione al rischio, la fruizione dei benefici previdenziali – a norma dei livelli di soglia oramai rinvenuti giurisprudenzialmente nell’art. 24  D.lgs. n. 277/1991- è quella conseguente al riscontro nell’ambiente di lavoro di fibre aerodisperse di amianto, suscettibili di essere inalate, superiori a  0,1 f/ml (pari a 100 fibre/litro), il CTU afferma quanto segue:
«Esistono numerosissimi studi sulla concentrazione di fibre di amianto aerodisperse in edifici contenenti materiali di amianto friabili e tutti sono concordi nell'indicare che tale concentrazione generalmente non supera il valore di 0,001 f/ml (1 f/l) se i materiali vengono lasciati indisturbati. In un numero molto limitato di situazioni, sono state riscontrate concentrazioni più elevate, che in alcuni casi hanno raggiunto 0,01 f/ml (10 f/l) in relazione al grado di danneggiamento dei materiali friabili e alle attività svolte nello stabile.
In una pubblicazione dell’Health Effects Institute-Asbestos Research del 1992 vengono riportati i dati relativi a 198 edifici di diverso utilizzo (1377 campioni): tutti i dati di concentrazione risultano compresi tra 0,00004 e 0,00243 f/ml (0,04-2,43 f/l). Studi italiani effettuati da Marconi e coll., su edifici con amianto applicato a spruzzo nell'area romana riportano concentrazioni dell'ordine di 0,001 f/ml che, nei casi peggiori, arrivano a 0,003 f/ml.
Uno studio condotto in due edifici delle Poste Italiane, in aree dove i rivestimenti di amianto erano particolarmente degradati, riporta valori di concentrazione compresi tra 0,0025 e 0,0118 f/ml.
(omissis)
Il personale che opera in edifici con materiali di amianto, può essere classificato in 5 diverse categorie, in relazione all'attività svolta e alla conseguente esposizione ad amianto.
1. Occupanti generici che trascorrono tempo nell'edificio senza svolgere attività che possono interessare direttamente i materiali di amianto.
2. Personale di custodia che svolge attività di pulizia che possono determinare concentrazioni più elevate di fibre di amianto.
3. Personale di manutenzione che svolge attività che possono disturbare o danneggiare i materiali di amianto.
4. Personale delle imprese di bonifica che effettuano interventi di rimozione generali o parziali dell'amianto.
5. Personale che può intervenire nell'edificio in situazioni di emergenza (es. incendio) in presenza di concentrazioni di fibre di amianto non conoscibili e sicuramente elevate.
Il personale della prima categoria è esposto ai livelli di concentrazione già descritti rilevati all'interno degli edifici. Si mette fin d'ora in evidenza che tutta la letteratura scientifica nazionale e internazionale è concorde nell'indicare, per tale personale, livelli di esposizione ad amianto inferiori di circa 100 volte ai valori di riferimento indicati nel quesito dal CTU e che in alcune situazioni particolari (materiali molto degradati, interventi di disturbi dell'amianto in atto) possono al massimo arrivare a valori di 10 volte inferiori.
Il personale della seconda e della terza categoria può essere esposto a concentrazioni decisamente più elevate, che, se vengono adottate corrette procedure operative, possono essere contenute entro il valore di 0,1 f/ml, ma in situazioni di picco possono raggiungere per brevi periodi livelli di 10 f/ml.
L'attività del personale della quarta e quinta categoria è causa di esposizioni professionali decisamente elevate che richiedono particolari misure protettive.
Questi dati sono del resto concordi con quelli relativi agli studi effettuati dall'INAIL nei quali si conferma il superamento del livello di 0,1 f/ml solo nelle attività di bonifica o negli interventi manutentivi che comportano rimozioni parziali di amianto.
Il decreto del Ministero della Sanità del 6 settembre 1994 detta norme e metodologie tecniche per gli edifici contenenti amianto. Per gli scopi della presente relazione, se ne mettono in evidenza i seguenti elementi:
- non esiste alcun obbligo di procedere ad interventi di bonifica dei materiali contenenti amianto negli edifici, anche nel caso di materiali friabili;
- esiste invece l'obbligo per il proprietario dell'immobile e/o per il responsabile dell'attività che vi svolge, di definire e mettere in atto un ''programma di controllo e manutenzione" la cui finalità è quella dì mantenere i materiali di amianto in buono stato e di evitare che le attività svolte nell'edificio possano determinare rilasci di fibre di amianto in modo da mantenere l'eventuale esposizione degli occupanti ai livelli più bassi;
- il controllo dello stato dei materiali di amianto deve essere effettuato almeno una volta l'anno mediante ispezione visiva. Nel caso di materiali friabili deve essere redatto un rapporto da inviare alla ASL, la quale può prescrivere che siano effettuati monitoraggi ambientali.
- il riscontro all'interno di un edifico contenente materiali di amianto di una concentrazione media di fibre aerodisperse superiore a 2 f/l (0,002 f/ml) misurate in microscopia elettronica indica un probabile macinamento in atto e costituisce il valore limite per raccomandare un intervento di bonifica;
- gli interventi di bonifica vanno effettuati mediante tecniche operative atte ad evitare che si verifichi un macinamento delle aree dell’edificio non interessate dall’ intervento stesso. L'area di cantiere viene confinata con barriere a tenuta e messa in depressione in modo che non si verifichino fuoriuscite di aria inquinata da fibre di amianto. Le zone immediatamente circostanti il cantiere vengono tenute sotto monitoraggio ambientale quotidiano in modo da riscontrare tempestivamente eventuali fuoriuscite di fibre e prendere opportuni provvedimenti correttivi. Al termine delle operazioni, le aree bonificate sono restituite alle normali attività solo dopo aver verificato il livello di fibre di amianto aerodisperse (< 0,002 f/ml). Numerosi studi prodotti in questi ultimi anni dimostrano che gli interventi di bonifica non determinano innalzamenti duraturi della concentrazione di fibre di amianto nelle zone circostanti l'area di lavoro confinata.
In sintesi, sulla base della revisione della letteratura scientifica, è possibile formulare le seguenti affermazioni:
a. Negli edifici in cui sono in opera materiali di amianto friabile, gli occupanti generici, cioè coloro che non svolgono attività a contatto con l’amianto, sono esposti a livelli di concentrazione di fibre di amianto aerodisperse generalmente compresi tra 0,001 e 0,003 f/ml;
b. In situazioni in cui i materiali di amianto vengono disturbati o danneggiati si possono verificare livelli espositivi maggiori che tuttavia, per gli occupanti generici, non superano 0,01 f/ml;
c. Il personale di manutenzione che effettua attività a contatto con l’amianto (disturbando, danneggiando o rimuovendo il materiale) è esposto a livelli pari o superiori a 0,1 f/ml (media su 8 ore), con livelli di picco che per brevi periodi possono raggiungere 10 f/ml.».
Pertanto per quest'ultimi il superamento del limite di soglia di esposizione qualificata (0,1 f/l) consente il conferimento del beneficio della maggiorazione previdenziale dell'anzianità contributiva, ex art. 13, 8 comma, L. n. 257/1992.
La ricostruzione del CTU non è tuttavia decisiva né invincibile ai fini di negare il rischio amianto per i cd. “occupanti generici” del Palazzo IMI, quindi, purtroppo, del tutto inidonea a conferire loro tranquillità esistenziale.
Infatti in premessa il CTU afferma esplicitamente che: «L'immobile sede dell’I.M.I. in via dell'Arte n. 25 a Roma è un edificio a struttura portante metallica adibito ad uffici. Fin dalla sua costruzione, nel corpo principale del complesso immobiliare, i soffitti sono stati rivestiti con un intonaco contenente amianto applicato a spruzzo a scopo antincendio. Si trattava di un materiale di tipo friabile, costituito da una miscela di fibre  vetrose, amianto crisotilo e amianto amosite, applicato sulle travi longitudinali e sui soffitti in cemento ed in lamiera grecata. Il rivestimento non era a vista, ma confinato al di sopra di un controsoffitto in doghe metalliche forate».
Se era presente l’amosite – non è dato sapere dalla relazione in quale percentuale – va ricordato come Cass. 4 sez. pen. 12/11/2008 n. 42128 - nel riconoscere il diritto al risarcimento danno vantato dagli eredi del familiare morto per mesiotelioma pleurico - cassando conseguentemente le argomentazioni di diniego della Corte d’appello di Milano, si sia così espressa: «L'amosite costituisce una varietà di amianto, ritenuta dagli studi recenti come la principale causa delle patologie respiratorie per via delle microscopiche dimensioni della fibra facilmente penetrabile  negli  alveoli polmonari. La quantità  e  la  durata dell'esposizione  sono  irrilevanti. Il periodo di latenza del mesotelioma pleurico varia da 20 a 40 anni; e la data d'insorgenza della patologia nel caso esaminato è compatibile  con tale  intervallo temporale. Sulla base di tali emergenze il giudice di 1° grado (Tribunale di lecco, ndr) è pervenuto a ritenere con argomentazione coerente ed immune da vizi logici che le coibentazioni furono sottoposte ad una costante e progressiva azione di sgretolamento con conseguente continua dispersione di fibre di amianto, che si volatilizzavano e venivano quindi inalate anche per effetto delle pulizie del locale. Tali fibre hanno un privilegiato ruolo causale, sulla base di affidabili acquisizioni scientifiche, poiché particolarmente sottili e quindi dotate di elevata capacità di penetrazione nei tessuti. E' stata quindi individuata una causa definita; mentre non si sono riscontrate altre concrete, plausibili fonti di esposizione alla sostanza nociva. (…) l'amosite è particolarmente efficace nell'innescare il meccanismo tumorale per le ridotte dimensioni della fibra e che tale attività non dipende significativamente dalla dose: anche l'inalazione di poche fibre può essere eziologica. Altro dato di non minore rilievo, pure esso pretermesso (dalla Corte d’appello, n.d.r.), è che la coibentazione pericolosa conteneva ben il 50% di amosite e che essa era soggetta ad un procedimento di progressivo deterioramento dovuto alle sollecitazioni termiche ed alle attività manutentive. Dunque, sin dall'inizio dell'attività lavorativa da parte della vittima era in atto un processo che determinava dispersioni, altamente pericolose anche in piccoli quantitativi. Infine si pretermette di considerare che l'attività di pulizia svolta dal lavoratore ridetto determinava la continua volatilizzazione delle microfibre che, così, potevano essere facilmente  inalate».

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