I benefici per l’amianto tra norme di sanatoria e giurisprudenza
 
Abstract
L’Autore sintetizza in maniera molto chiara ed incisiva le complesse evoluzioni normative e giurisprudenziali che hanno interessato il  tema dei benefici legali per i soggetti esposti all’amianto, dando conto delle reciproche interferenze e contraddizioni.
The Author analyses the recent Italian legal and case law  trends on asbestos at work.
 

Sommario: 1.Introduzione di carattere “morale”. - 2.Perché è nato il problema dell’amianto: una calamità universale. - 3. Vecchie e nuove responsabilità. - 4. Che fare. - 5. Il contenzioso anomalo sui benefici pensionistici e la regola “chi ha dato ha dato, chi ha avuto ha avuto”. - 6.I silenzi “chiassosi” per i benefici previdenziali: il legislatore «avrebbe detto una cosa ma pensato un’altra» (esclusione dei pensionati ante 28 aprile 1992). -  7. I lavoratori autonomi non sarebbero «lavoratori». - 8. Il grandissimo problema della“soglia”. - 9.Riconoscimento privilegiato con gli “atti di indirizzo”.
 
1. Introduzione di carattere“morale”
La “pietra dello scandalo” deriva dai benefici pensionistici per gli“esposti” all’amianto [1] : a favore di chi è ancora sano ma è stato “esposto” per oltre (o almeno) dieci anni, è previsto un bonus pensionistico di 1 anno ogni 2, fino al 1° ottobre 2003,ridotto a 1 anno ogni 4 dopo il 1° ottobre 2003 [2] . Questi benefici previdenziali hanno fatto sorgere un generale«problema dell’amianto», per cui può dirsi che sia rinato una specie di odio o conflitto di classe, al cui centro sono gli “esposti” all’amianto.
I potenziali utilizzatori dei benefici previdenziali dell’amianto sarebbero indicati,addirittura, come dei “parassiti” sociali, che tentano di sfruttare una infelicità “evitata” per avere benefici immeritati; fatto tanto più grave, in quanto tutto deriverebbe da un errore della legge, in cui avrebbe tentato di intrufolarsi. Il giudizio negativo è doppio: primo, si vorrebbero benefici immeritati; secondo, si tenterebbe di sfruttare una situazione di personale infelicità, dopo averla scampata.
Per cogliere questo nuovo conflitto di classe, basta ripensare alle polemiche fortissime di varie e ripetute occasioni, oppure alla violenza almeno verbale di alcuni avvocati, ancor meno ragionevole perché anche gli avvocati, e non solo i giudici, debbono essere sereni nelle loro funzioni.
Dall’impeto moralistico sono derivate due conseguenze:
1) la prima è di carattere propriamente“morale” e si converte in una domanda: è giusto utilizzare e sfruttare una legge in vigore? La domanda fa venire in mente il caso di una campagna di stampa, in cui si è accusato di “immoralità” chi ha usato la legge sui distacchi sindacali. La mia conclusione è completamente opposta: una legge in vigore non solo può ma deve essere utilizzata, è assolutamente “immorale”anche solo dire che non bisogna utilizzarla;
2) proprio per opporsi alla “immoralità” di chi voleva usare la legge, si è creato un contenzioso giudiziario anomalo per qualità e quantità [3] , con una doppia conseguenza: a) si sono creati costi legali spaventosi, per assurdo ¾ almeno così si dice ¾ maggiori degli stessi benefici dell’amianto che, chissà per quale motivo, si sono criminalizzati (sono state e sono superiori alle spese dei benefici le spese legali per cause perse dagli istituti previdenziali, non ovviamente per cause vinte); b)si stanno bloccando gli uffici giudiziari con processi in numero ripeto abnorme, poche volte fondati e più spesso pretestuosi(ho assistito in Cassazione a un processo in cui si opponeva ai benefici pensionistici la parte privata imprenditoriale,palesemente priva di interesse).
Le polemiche e il conflitto potrebbero essere banalizzati con una domanda: «ma insomma,che vogliono questi “esposti” da oltre dieci anni, se non hanno alcuna malattia? Brutta domanda, e con più brutta risposta: non sono malati, ancora.
 
2. Perché è nato il problema dell’amianto: una calamità universale
Perché è nato il problema dell’amianto? Domanda tremendamente banale, ma,come succede spesso per le domande banali, anche angosciante.
Perché nessuno se l’aspettava? La Cassazione ha detto che ci sono stati importanti convegni scientifici già negli anni ’50 in cui si evidenziava la dannosità senza limiti dell’amianto e quindi si potrebbe dire che tutti lo sapevano già dagli anni ’50. La Cassazione dice però che, per la responsabilità civile, è necessario chele notizie non fossero limitate alla comunità scientifica specializzata, ma si estendessero anche oltre gli scienziati per arrivare alla comune conoscenza o coscienza. Siamo evidentemente nell’opinabile, ma sempre angosciante.
Al di là di tutto restano quanto meno gli atti ufficiali, fra cui la Direttiva europea n. 83 del 1983, per cui l’Italia fu condannata dalla Corte Europea con la sentenza n. 70 del 1990; c’è un’altra Direttiva del 25 giugno 1991. Ora io dico, e nessuno potrà smentirlo, che, se fosse stato fatto qualcosa almeno dal 1983 dopo la Direttiva Europea  - lasciando perdere le comunità scientifiche - i danni sarebbero stati almeno limitati. Io dico, e nessuno potrà smentirlo, che almeno dal 1983 tutti sapevano che l’amianto era il veleno più pericoloso e oltre tutto il più diffuso.
È difficile sostenere che nessuno se l’aspettava. Eppure c’è qualcuno che continua a dirlo. Il problema dell’amianto è non solo quello del pericolo in sé e della diffusione enorme che ha avuto in tutto il mondo, il problema dell’amianto è anche e soprattutto che le inadempienze sono durate per un tempo lunghissimo - una vera eternità - dopo che gli scienziati o la comunità scientifica si erano accorti della pericolosità, ma anche anni e decenni dopo.
È emersa una vera “calamità universale”, perché l’amianto è dappertutto e sarà difficilissimo eliminarlo, ci vorranno intere generazioni; non si sa nemmeno dov’è, ma si sa che c’è. Per eliminare l’amianto di cui era pieno il palazzo della Ce a Bruxelles sono state fatte spese tali, che avrebbero permesso di abbatterlo e ricostruirlo nuovo. Ma ugualmente si dice per vari e famosi grattacieli.
 
3. Vecchie e nuove responsabilità
Si sono cumulate così responsabilità sempre più ampie, su diversi piani:
a) responsabilità penale per eventi dannosi già prodotti (senza evento dannoso è ipotizzabile un reato tentato? E quale?);
b) responsabilità civile, sempre da evento dannoso già prodotto;
c) responsabilità civile per stress da amianto, perla “paura di ammalarsi”, in cui lo“esposto” subisce un danno immediato di carattere psichico;
d1) responsabilità“potenziale”, per evento dannoso non ancora prodotto,ma che è probabile che si produrrà, perché non si conoscono ancora tutti gli effetti dell’amianto, ma si sa solo che gli “esposti” vivono meno. Da un punto di vista teorico, e allo stesso tempo pratico, bisogna dar atto però che un danno “potenziale” non esiste, perché finché non c’è evento dannoso non c’è danno risarcibile;
d2) in alternativa al danno“potenziale”, e in modo più preciso e realistico, si può ipotizzare una responsabilità da danno “statisticamente accertato”, in cui cioè è già noto statisticamente sia l’evento dannoso che la sua imputabilità, perché, essendo accertato che gli “esposti” vivono meno rispetto alla media,è certo sia l’evento dannoso (la morte prima della media) sia la sua causa (l’esposizione all’amianto) e quindi la responsabilità (chi ha causato l’esposizione).
Si sono creati o rischiano di crearsi nuovi concetti giuridici, come il danno “da cure preventive” o il danno “statisticamente accertato”, che nel sistema non esistevano e in astratto sembrano difficilmente prospettabili.
Per la verità,però, un danno “da cure preventive” è già noto e in qualche modo sperimentato: basti pensare alla prevenzione delle malattie sociali, come il tumore, che impedisce il lavoro e l’attività per il tempo in cui si va dal medico o si fanno cure mediche preventive. In questo caso sembra difficilmente ipotizzabile una responsabilità e il problema si sposta, per il lavoro subordinato, nel definire se la prevenzione rientri nel concetto di malattia “generica”(e cioè senza responsabilità) tutelata dagli Istituti previdenziali e dai datori di lavoro ex art. 2110 c.c.:ormai si afferma che anche la prevenzione è tutelata come malattia, in limiti però di necessari a ragionevolezza.
Mentre però il danno normale da cure preventive è generalmente non imputabile, il danno da cure preventive per l’amianto è imputabile. La persona che, essendo stata “esposta”, teme purtroppo giustamente di prendersi una delle terribili malattie da amianto (come il mesotelioma), si farà visitare in continuazione,farà ogni analisi possibile, insomma farà di tutto per evitare la malattia o attenuarne gli effetti: questo è un danno, che dev’essere risarcito da chi l’ha causato,creando la “esposizione”.
Per quanto riguarda invece quel che ho chiamato “statisticamente accertato”, ritengo che, fino a quando non si verifichi un danno immediato e preciso, sia non prospettabile una responsabilità. Ma è proprio per questo danno che sono stati previsti i benefici pensionistici della L. 257/1992, con cui si riconosce agli “esposti” un’anzianità contributiva aggiuntiva, considerando che vivranno meno del normale, con una sorta di compensazione preventiva. In questo modo si è sostanzialmente socializzato il rischio della“esposizione”, a prescindere da chi ha utilizzato l’amianto, con costi a carico dell’intera società. Naturalmente si può discutere se è giusto questo scaricare la responsabilità sull’intera società, ma bisogna dar atto, almeno, che la socializzazione è o dovrebbe essere utile agli interessati, in particolare per evitare contenziosi atroci. Purché però, come dirò dopo, la socializzazione funzioni e il contenzioso non sia anomalo, anziché essere evitato.
 
4. Che fare
Di fronte a un quadro così ampio, bisogna provare ad immaginare uno scenario futuro.
Per la responsabilità penale, evidentemente non si può fare nulla sul piano normativo e, sul piano giudiziario, non resta che perseguire tutti i responsabili: i processi vanno fatti e vanno cercati e puniti i responsabili. Senza accanimenti, per carità, ma evitando le ipocrisie ormai ridicole di giustificare con un «non sapevo».
Sul punto, la questione è esclusivamente di fatto, per capire da quando la“coscienza sociale” e la coscienza invece“qualificata” degli imprenditori sanno della pericolosità dell’amianto. Credo che si debba tornare molto indietro, ma comunque vi sono vari atti formali che permettono di fissare la data in decenni fa. E naturalmente questa doppia “coscienza” (quella generale della società e quella qualificata degli imprenditori) ha rilievo agli effetti non solo penali, ma anche di responsabilità civile.
Per la responsabilità civile, come per quella penale, un fatto mi sembra certo: la prescrizione inizia a decorrere dal momento in cui si verifica il danno, non da quando si è verificata la causa. Insomma, la prescrizione comincia a decorrere non dal momento in cui iniziò la “esposizione” all’amianto, ma dal momento in cui si è verificata o si verificherà la malattia fisica o psichica (al riguardo vi è un’esperienza consolidata Inail). Pertanto, dato che, come noto, il periodo di “latenza ” dell’amianto è lunghissimo, si prospettano azioni risarcitorie per esposizioni che si sono verifiche non solo anni, ma decenni fa.
I problemi saranno solamente di prova, perché evidentemente la prova è proporzionalmente difficile quanto più i fatti sono lontani nel tempo. Qui però potranno essere di grande aiuto le prove raccolte per i benefici previdenziali ex L. 257/1992, che,oltre tutto, ha avuto l’enorme merito di far emergere fatti vecchi se non antichi; anzi, come si vedrà, c’è stata la sorpresa che la prova pur vecchissima non è così “diabolica” come poteva sembrare, perché l’amianto ha lasciato dietro di sé tracce che continuano ad essere incancellabili.
Allora, se si volesse pensare di diminuire il contenzioso penale e quello per responsabilità civile, si penserebbe molto male,perché anzi i processi stanno appena cominciando ed è presumibile che il più debba ancora arrivare. Né è possibile neppure ipotizzare una qualche ulteriore“socializzazione” del danno.
 
5. Il contenzioso anomalo sui benefici pensionistici e la regola “chi ha dato ha dato, chi ha avuto ha avuto”
Sul problema del danno“statistico” -  per cui si sa già che gli “esposti” vivranno meno della media – resterebbe valido il meccanismo della socializzazione ex L. 257/1992,se fossero evitati quegli aspetti allarmanti di criminalizzazione,da cui ho preso spunto all’inizio.
Il contenzioso anomalo, che ha fatto sorgere, rischia di creare danni non solo agli“esposti”, privati di una tutela cui potevano e dovevano contare, ma addirittura all’intera giustizia del lavoro, messa in difficoltà dal numero dei processi e dalla loro complessità, che ad es. impone frequenti C.T.U. con impiego di mezzi e strutture importanti.
L’anomalia èsorta, se si vuole, da una cattiva tecnica legislativa,perché le leggi sono state troppo sintetiche, creando zone di silenzio in cui è stato possibile dire tutto e il contrario di tutto (un silenzio davvero“chiassoso”).
La storia è lunghissima, ma una cosa è certa: i tentativi di eliminare o diminuire il contenzioso attraverso sanatorie o riconoscimenti di legge hanno avuto effetti perversi, facendo aumentare e non diminuire il contenzioso: in particolare il pensiero va alle leggi che hanno posto il principio del “chi ha dato ha dato e chi ha avuto ha avuto” [4].
Prima, l’art. 80 comma25 della Finanziaria 2001 (L. 23 dicembre 2000, n. 388) ha posto il principio della irripetibilità delle maggiorazioni di pensione, in caso di rinuncia all’azione giudiziaria da parte dei lavoratori esposti all’amianto; quindi, l’art. 39comma 9 della Finanziaria 2003 (L. 27 dicembre 2002, n.289) ha esteso l’irripetibilità delle maggiorazioni di pensione in ogni caso di sentenze di riforma in favore dell'ente previdenziale; infine, l’art. 47comma 6-quinques del D.L. 30 settembre 2003, n. 269 (conv. in L. 24 novembre 2003, n. 326) ha confermato la regola del“chi ha dato ha dato e chi ha avuto ha avuto” per tutti i casi di indebito per sentenze di riforma sull’amianto,limitandolo però al 1° ottobre 2003.
Ripeto: questa sorta di sanatoria ha alimentato soltanto altro contenzioso, perché molti hanno iniziato o proseguito i processi proprio contando sulla tranquillità della sanatoria finale.
 
6. I silenzi “chiassosi” per i benefici previdenziali: il legislatore «avrebbe detto una cosa ma pensato un’altra» (esclusione dei pensionati ante 28 aprile 1992)
Il contenzioso anomalo deriva dal tentativo di demolire in via interpretativa la legge sui benefici per l’amianto, con punte di polemiche tanto aspre quanto inaspettate e incomprensibili. Nei silenzi di legge, è stata enfatizzata la “intenzione” del legislatore per giungere così a un’abrogazione di fatto della legge. La teoria è stata che il legislatore«avrebbe detto una cosa ma ne avrebbe pensata un’altra» e, con santa benedizione al principio fondamentale di certezza del diritto, dovrebbe prevalere quello che ha pensato rispetto a quello che invece ha detto.
Si è cominciato adire che la legge 257 del 1992, risultante dopo le modifiche del1993, sarebbe stata inapplicabile perché troppo costosa, con un metodo pericoloso di giustizia sommaria. Il seguito è stata una lunga sequenza di opposizioni sempre per arrivare ad una“abrogazione di fatto”, sintetizzabile in cinque
motivi.
I motivi dell’opposizione degli Istituti pensionistici [5] - mentre l’Inail è estromesso dai processi [6] - sono stati i seguenti: a) la legge sarebbe stata pensata per pochi, ma poi data a molti e troppi, e quindi sarebbe stata priva di copertura finanziaria; b) i benefici sarebbero stati riconosciuti solamente ai lavoratori privati, con esclusione del pubblico impiego, dato che nel contesto della legge era nominato l’Inps; c) non tutti i «lavoratori»avrebbero avuto diritto ai benefici, perché sarebbero esclusi quelli andati in pensione prima dell’entrata in vigore della legge; d) sarebbero esclusi anche i lavoratori autonomi; e) non tutti gli “esposti”ultradecennali all’amianto dovrebbero avere i benefici della L. 257/1992, ma solo gli “esposti” con una soglia superiore a un non definito limite, che la legge non prevede. È subito palese, però, la contraddizione tra il primo e i successivi motivi, perché con tutte le esclusioni ipotizzate e volute la copertura finanziaria sarebbe non solo sufficiente ma anzi eccessiva, con una specie di “affare” per non aver speso quanto previsto per la tutela previdenziale.
Come si vede, ripeto, la tecnica utilizzata è di sostenere che il «legislatore avrebbe detto una cosa ma ne avrebbe pensata un’altra», dato che i motivi di opposizione non trovano alcun riscontro nella lettera della legge e derivano solo da una pretesa ratio. Come se il legislatore potesse essere corretto come una persona che ha detto il classico “fischi per fiaschi”.
Per quanto riguarda il primo preteso errore sub a) — che la L. 257/1992 sarebbe costata troppo e avrebbe fatto sfondare i limiti di bilancio— alla fine è dovuta intervenire la Corte Costituzionale, che, con sentenza n. 5 del 2000 [7] , ha dichiarato invece che la copertura di bilancio era sufficiente e la legge era giusta. La risposta è stata semplice e decisa, senza possibilità di equivoci.
b) Per quanto riguarda il tentativo di applicare che i benefici dell’art. 8 comma 13 L. 257/1992 solamente ai privati e non ai lavoratori pubblici, dato che nel contesto della legge era nominato l’Inps, dopo un primo tentativo andato a vuoto per motivi procedurali [8] , c’è stata una nuova sentenza della Corte Costituzionale, la n. 127 del 2002 [9] , chiamata a pronunziarsi specificamente per i dipendenti delle Ferrovie dello Stato. Sembrava proprio una beffa, perché storicamente— per quanto sia irrilevante la storia di una legge — i benefici dell’amianto erano stati pensati proprio per i ferrovieri.
La Corte, rifiutando questa volta un’interpretazione abrogativa basata puramente su una pretesa logica, ha affermato che hanno diritto ai benefici dell’amianto ex art. 8 comma 13 L. 257/1992 non solo i ferrovieri, ma anche tutti i dipendenti delle pubbliche amministrazioni. L’affermazione resta però difficile,se si ritiene necessario il requisito della “soglia”ex D. Lgs. 277/1991 (di cui si dirà al paragrafo 8).
c) Non tutti i «lavoratori» avrebbero avuto diritto ai benefici, perché sarebbero stati esclusi quelli andati in pensione prima dell’entrata in vigore della legge. Sul punto la Corte Costituzionale ha emesso la sent. n. 434 del 31ottobre 2002 [10], con la quale ha escluso il diritto esasperando l’interpretazione “logica” a dispetto della più semplice e chiara interpretazione letterale, ma allo stesso tempo logica; quindi, la stessa Corte Costituzionale ha confermato il punto nel 2003 con una sentenza di manifesta infondatezza [11] .
Con la sent. 2002/434 la Corte Cost. ha detto che fra il testo del 1992 e quello modificato appositamente nel 1993 vi sarebbe sostanziale coincidenza, abrogando di fatto la legislazione del 1993 (D.L. 5 giugno1993, n. 169, conv. in L. 4 agosto 1993, n. 271) ed eliminando in tal modo ogni rilievo all’interpretazione sia letterale che logica. Oltre tutto, si tratta di un’interpretazione più facile del normale, perché poteva usufruire di una doppia comparazione: di quella del testo iniziale della L.257/1992 rispetto al D.L. 169/1993 e di entrambe rispetto alla legge di conversione (L. 271/1993), perché la conversione fu fatta con modificazioni. Era facile rilevare, allora, che con il testo finale fu eliminato il riferimento ai «dipendenti», che poteva far pensare a persone ancora in servizio attivo; soprattutto, era stata eliminata l’espressione «ai fini del conseguimento delle prestazioni pensionistiche», che poteva far pensare che, riservando i benefici solo a chi deve andare in pensione, si volesse escludere chi in pensione c’era già. Restava il solo riferimento «ai lavoratori», che non poteva non comprendere anche i già pensionati, non foss’altro — aggiungo io — perché l’art. 38 Cost. garantisce la pensione proprio ai «lavoratori». Tutto questo non ha valore, perché la Corte Costituzionale dice, con fare drastico, che il testo iniziale della L. 257/1992 e quello modificato con la L. 271/1993 sarebbero sostanzialmente identici, e cioè… la modifica è come se non ci fosse stata!
La Corte Costituzionale ha corretto poi una clamorosa gaffe, in cui era caduta la Cassazione: quest’ultima [12] aveva affermato che la L. 257/1992, poiché avrebbe avuto l’intenzione di “togliere” i lavoratori dall’amianto incentivandone il pensionamento con i benefici contributivi,sarebbe inapplicabile a chi non poteva essere incentivato perché già fuori dall’occupazione. La gaffe era davvero clamorosa e significativa del malessere contro gli “esposti”, perché l’intenzione non poteva essere questa semplicemente in quanto la L. 257/1992vietava drasticamente l’amianto (art. 1 comma 2: «sono vietate l’estrazione, l’importazione,l’esportazione, la commercializzazione e la produzione di amianto, di prodotti di amianto o di prodotti contenenti amianto») e quindi c’erano non pochi o molti da togliere dall’amianto, ma tutti nessuno escluso. Rimane un uso spericolato della intenzione del legislatore.
La Corte Costituzionale con la sent. 434/2002 corregge il tiro rispetto alla Cassazione, ma alla fine afferma che la L. 257/1992 avrebbe avuto comunque l’intenzione di incentivare il pensionamento —escludendo implicitamente chi la pensione di vecchiaia o anzianità l’aveva già — per far fronte alle difficoltà di «collocazione al lavoro»delle persone soggette alla «possibilità di contrarre una patologia derivante dall’esposizione all’amianto». È davvero incomprensibile perché un semplice «esposto», che è senza malattia, dovrebbe avere queste difficoltà di collocazione; non si capisce perché gli «esposti» avrebbero dovuto cambiare lavoro (quando l’amianto non c’era più) o perdere il posto,garantito invece dalla Cassa integrazione, mentre si poteva andare in pensione con i prepensionamenti.
La Cassazione si è adeguata, ponendo il limite dell’uscita dall’occupazione all’entrata in vigore della L. 257/1992. Il beneficio previdenziale per l’amianto è stato negato ai pensionati di vecchiaia e di anzianità ed è stato riconosciuto esclusivamente aisoggetti qualificabili come “lavoratori” alla data di entrata in vigore della stessa legge (28 aprile 1992), ovvero ai prestatori di lavoro subordinato in attualità di servizio, a quelli in stato di temporanea disoccupazione, ed anche ai titolari fruitori di pensione o assegno di invalidità, in quanto beneficiari di prestazioni non preclusive dello svolgimento di attività lavorativa, nonché, infine, ai superstiti ditali soggetti, purché il decesso si sia verificato dopo il28 aprile 1992 [13].
 
7. I lavoratori autonomi non sarebbero «lavoratori»
Infine — motivo sub d) di opposizione alla L. 257/1992 — sempre in base alla ratio sarebbero esclusi dai benefici i«lavoratori» autonomi, anche se ugualmente esposti all’amianto, perché la parola «lavoratori» starebbe per «dipendenti» [14] , dimenticando che proprio questo cambio di parole costituì l’oggetto delle modifiche d’urgenza del 1993 (L. 271/1993). Sul punto risulta un’unica sentenza [15] e nessun’altra neppure di merito: la sensazione è che si sia verificato un abbandono.
Non si può che essere pessimisti e prevedere che la ratio passi e superi la legge,che invece a mio parere comprende i lavoratori sia subordinati che autonomi.
Eppure ripugna rispetto al principio di uguaglianza (art. 3 Cost.), che, di fronte a situazioni assolutamente uguali, i lavoratori subordinati possano essere trattati in un modo e i lavoratori autonomi in un altro, del tutto sfavorevole.
 
8. Il grandissimo problema della “soglia”
Con la prima sentenza n. 5 del 2000 [16], la Corte Costituzionale ha riaffermato che per i benefici pensionistici sono necessari solamente due requisiti (e cioè la «esposizione all’amianto» e la«durata effettiva a tale esposizione per almeno dieci anni»), ma poi ha messo poche righe — poche righe sole!— per riaffermare che il rischio dell’amianto è«tanto pregiudizievole da indurre il legislatore, sia pure a fini di prevenzione, a fissare il valore massimo di concentrazione di amianto nell’ambiente lavorativo, che segnala soglia limite del rischio di esposizione (decreto legislativo 15 agosto 1991, n. 277 e successive modifiche)» [17]. Il richiamo al D. Lgs. 277/1991 «sia pure a fini di prevenzione», come affermato dalla Corte Costituzionale, è stato interpretato invece come generale, e non solo ai fini di prevenzione, per farlo diventare un terzo requisito allo scopo ben diverso di condizionare i benefici contributivi dell’art. 8 comma 13. Insomma, la fissazione di un’intensità minima di esposizione (la c.d. “soglia”), che nel pensiero della Corte Costituzionale era indirizzata solo ai fini di una generale prevenzione, è stata estesa al caso non previsto dei benefici contributivi di cui all’art. 8 comma 13 L. 257/1992.
Inizia allora una rincorsa verso una pretesa ratio, perché di fronte all’affermazione che la L. 257/1992 «avrebbe detto una cosa e ne avrebbe pensata un’altra» con l’imposizione di una “soglia”, su cui invece non è detta nemmeno una parola, si risponde nella stessa logica che la ratio della mancata imposizione di una “soglia” sarebbe l’unica ragionevole, in quanto un’esposizione anche infinitesimale all’amianto sarebbe ugualmente pericolosa. La soglia sarebbe imposta da una “logicità necessaria”, si potrebbe dire. La rincorsa s’è rivelata pericolosa ed è comunque sbagliata, perché una qualunque ratio non può avere rilievo quando la lettera della legge è chiara, a rischio altrimenti di cambiare le leggi o addirittura di “annullarle”, com’è successo nel caso di specie, solo perché — ho un certo imbarazzo a dirlo— il legislatore «avrebbe detto una cosa ma ne avrebbe pensata un’altra». Il fatto, semplice e indiscutibile, è che la L. 257/1992 non dice nemmeno una parola su una pretesa “soglia”, la cui imposizione è dunque vera e propria invenzione.
Dopo la sentenza n. 5 del2000 della Corte Costituzionale, qualche giudice di merito ha ritenuto irrilevante ogni soglia [18], ma la Cassazione, che già con le prime sentenze s’era pronunziata per la necessità di una “soglia”[19], ha riaffermato che presupposto per l’applicabilità dell’art. 13 comma 8 L. 257/1992 sarebbe non solo l’esposizione ultradecennale all’amianto, ma anche «la prova, il cui onere ex art. 2697 c.c. fa carico a ciascun interessato, dell’effettiva esposizione a rischio morbigeno, il che si ha quando vi sia esposizione a polveri di amianto in valori di concentrazione superiori ai limiti consentiti dagli art. 24 e 31 D.Lgs. 277/1991» [20] .
In particolare, nella sentenza n. 16256 del 2003 [21] si fa una sintesi con quattro«considerazioni»: a) la stessa L. 257/1992, che all’art. 13 comma 8 prevede i benefici per gli “esposti” all’amianto, prevederebbe espressamente all’art. 3 (poi sostituito dall’art. 16 L. 24 aprile1998, n. 128) una “soglia” che solo per questo acquisterebbe validità generale; b) nello stesso art.13 L. 257/1992 vi sarebbe la «necessità di una doppia “soglia”» perché solo per i benefici pensionistici sono richiesti specifici requisiti; c) l’ha detto la Corte Costituzionale con la sentenza n. 5 del2000 (ipse dixit!); d) anche con la successiva sentenza n. 127 del 2002 (e con la n. 369 del 2003) la Corte Costituzionale «menziona il rischio morbigeno» (di nuovo ipse dixit!).
Su queste ultime considerazioni, basta rilevare che un mero obiter dictum della Corte Costituzionale non ha valore vincolante, ma soprattutto non è vero che la Corte Costituzionale ha parlato di imposizione di “soglia”: ha parlato solo di limiti ai fini di prevenzione.
Per quanto riguarda l’art. 3 della L. 257/1992, è vero che prevede limiti [22] , ma non li prevede l’art. 13 comma 8 che dispone i benefici per gli “esposti” [23]. Oltre tutto, di “soglie” ce ne sono molte. Continuo a pensare che i silenzi della legge non debbano essere colmati dai giudici, oltretutto con interpretazioni opinabili. Se poi l’imposizione di una “soglia” derivasse da necessità logica,allora si dovrebbe applicare la diversa e molto inferiore “soglia” prevista dal D.M. 6 settembre 1994 [24],com’è stato affermato recentemente da un Giudice di merito [25]: infatti il D.M. del 1994 pone valori assoluti e, anche se successivo, è stato disposto in attuazione proprio della L. 257/1992.
Tuttavia, c’è un “diritto vivente” che deriva da sentenze tanto numerose della Cassazione, da sfuggire a un esame preciso. Un ultimo gruppo, cui si può fare riferimento, è dell’ottobre/novembre 2004 [26]. Gli argomenti utilizzati sono sempre gli stessi (i quattro sopra sintetizzati), con l’aggiunta iniziale di un richiamo alle critiche — superate senza nulla aggiungere — per cui, richiedendosi una “soglia”, si finirebbe per neutralizzare la portata precettiva delle norme sull’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni e malattie professionali, le quali (a partire dal D.P.R. n. 618 del 20 marzo 1956 istitutiva dell’assicurazione obbligatoria contro la silicosi e l’asbestosi) individuano le lavorazioni a rischio come quelle che «comunque»espongono all’azione di fibre di amianto (oggi, tabella 8 allegata al D.P.R. n. 1124/1965 e voce 56 della tabella 4).Inoltre, si fa un’autoconvalida richiamando le«numerose decisioni» di «questa Corte».
Nelle sentenze dell’ottobre/novembre 2004 [27], oltre a ripetere le quattro«considerazioni», di cui s’è visto prima,si dà anche un primo commento ai successivi sviluppi della legislazione di settore (art. 47 comma 1 del D.L. 30 settembre 2003n. 269, conv. in L. 24 novembre 2003, n. 326 e l’art. 3 comma132 della L. 24 dicembre 2003, n. 350), che ha imposto la soglia di 100 fibre/litro «fissando la data del 1° ottobre 2003 per l'entrata in vigore della nuova disciplina». Così si dice nella sentenza n. 21862 del 18 novembre 2004 [28] : «la norma sopravvenuta esprime l’intento di modificare in parte i requisiti di accesso al beneficio, non certo di introdurre per la prima volta la necessità di una esposizione “qualificata” all’amianto, cioè una soglia di rischio prima inesistente. Una innovazione così forte non è confortata dal dato letterale e, trattandosi costantemente di esposizioni che risalgono a periodi lontani nel tempo, un peggioramento così radicale del regime giuridico applicabile a coloro per i quali non è stata fatta salva la normativa precedente (che già subiscono una riduzione del quantum del beneficio) susciterebbe fondati dubbi di conformità all'art. 3 Cost.». Nulla di più opinabile: si pensi solo che la nuova legislazione (art. 47 D.L.269/2003 e art. 3 comma 132 L. 350/2003) riduce i benefici a metà e solo per la misura delle pensioni (non più per il diritto) per chi otterrà il riconoscimento dopo il 1°ottobre 2003 sempre a causa di quella vecchia “esposizione”, con santa pace del principio di uguaglianza. Forse è più ragionevole ritenere che la nuova legislazione abbia natura innovativa e conferma quindi che, per il passato, non c’era alcuna “soglia” per i benefici pensionistici.
La conclusione è sempre uguale: in via d’interpretazione logica, non si può cambiare la legge per aggiungere un requisito non previsto e cioè la “soglia” del D. Lgs.277/1991.
Nei fatti, però, gli effetti potrebbero essere più drastici. Imponendo il requisito della “soglia” ex D. Lgs. 277/1991— anche se nella L. 257/1992 non esiste — la “platea” degli ipotetici aventi diritto rischia di ridursi drasticamente, dato che, com’è ovvio, l’onere della prova è a carico dell’interessato. Si poteva avere la sensazione che, con il requisito della“soglia”, si finisse con l’imporre una probatio diabolica, per le difficoltà di provare che per dieci anni effettivi a ritroso dal 1993 (e quindi quanto meno dal 1983 o ancor prima) c’è stata effettiva esposizione all’amianto per un minimo di 100 fibre/litro perla media di 8 ore ex D. Lgs. 277/1991. Le prove testimoniali possono provare l’effettiva esposizione, ma non certamente la“soglia” di 100 fibre/litro per la media di 8 ore, mentre si poteva pensare che le prove documentali o non esistono o,se esistessero, non sarebbero emerse.
Poi però è successo un fatto inaspettato. Con le consulenze tecniche d’ufficio (C.T.U.) spesso o almeno non raramente si è arrivati a provare il superamento della “soglia” di 100fibre/litro per la media di 8 ore anche a ritroso di tanti anni: ad esempio, in alcune delle sentenze del novembre 2004 [29] , in cui si è riaffermato il principio della “soglia”, c’era stata una C.T.U. favorevole per i lavoratori;ciò nonostante l’Istituto previdenziale aveva fatto ugualmente ricorso per Cassazione, con un accanimento inspiegabile o spiegabile come una specie di nuovo conflitto di classe (di cui dicevo all’inizio). E la Cassazione ha compensato le spese legali…
Questa delle C.T.U. favorevoli è stata una sorpresa, che forse gli stessi fautori della “soglia” non si aspettavano. Sottoaltro punto di vista, si aggiunge pessimismo, perché vuol dire che l’amianto è veramente eterno. Forse quel che si voleva con l’interpretazione “aggiuntiva”della soglia, e in ogni caso si è fatto, era rendere l’applicazione della legge estremamente difficile.
 
9. Riconoscimento privilegiato con gli “atti di indirizzo”
C’è stata anche un’opera ricostruttiva, ma per pochi privilegiati, di cui non sempre l’opinione pubblica è stata resa partecipe ma che i giudici conoscono bene.
Con «atti d’indirizzo», il Governo ha indicato per alcune imprese (singoli stabilimenti Enichem, Porti e altri) che, per certe mansioni e per certi periodi, l’esposizione all’amianto con diritto ai benefici ex L. 257/1992 c’è stata. C’è stata, senza discussioni. L’Inail, deputato per legge all’accertamento,s’è conformato e ha disposto che, dato che lo diceva il Governo, l’esposizione che dà diritto ai benefici c’è stata veramente.
Alcune imprese si erano“ribellate”, impugnando gli atti d’indirizzo davanti ai TAR: quello del Lazio aveva respinto il ricorso (anche se per motivi procedurali), ma un altro Tar l’aveva invece accolto.
Allora, per evitare discussioni, c’è stata una sorta di sanatoria con una norma nascosta nella “Finanziaria ambientale”, ma nascosta così bene che nessuno potrebbe accorgersene. Dispone infatti l’art. 18 comma 8 della L. 31 luglio 2002, n.179: «Le certificazioni rilasciate o che saranno rilasciate dall’Inail sulla base degli atti d’indirizzo emanati sulla materia dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali antecedentemente alla data di entrata in vigore della presente legge sono valide ai fini del conseguimento dei benefici previdenziali previsti dall’articolo 13, comma 8, della legge27 marzo 1992, n. 257, e successive modificazioni». La nuova legislazione (art. 47 D.L. 269/2003 e art. 3 comma 132 L. 350/2003)ha confermato la validità degli atti d’indirizzo, anche se ha imposto la ripetizione della domanda.
Pertanto, se l’Inail rilascia le certificazioni in conformità agli atti d’indirizzo, i benefici previdenziali per l’amianto non possono essere negati; i giudici, in presenza dei requisiti necessari, debbono dichiarare la cessazione della materia del contendere, dato che è la legge (art. 18 comma 8 L.179/2002) a prevedere direttamente che gli “atti d’indirizzo” sono validi «ai fini del conseguimento dei benefici previdenziali»; è negata in radice la possibilità di controllare il superamento di una “soglia”, dato che l’atto d’indirizzo esclude questo requisito (preteso). Eppure, a prova di un accanimento davvero esasperato, in qualche caso i benefici sono stati ugualmente negati nonostante l’atto di indirizzo, affermando la mancanza del superamento della “soglia”. Si gonfia il contenzioso giudiziario, per quel conflitto di classe sempre più inspiegabile.
Ovviamente però non vi sarà cessazione della materia del contendere quando possa assumere rilievo un altro requisito, sia pur ipotetico, come quello della cessazione di ogni attività prima della L. 257/1992 [30] (retro paragrafo 6): in tal caso l’atto d’indirizzo non è preclusivo di una pronuncia del giudice sull'oggetto della controversia, né viene meno l’interesse alla naturale conclusione del processo con una pronunzia che riconosca (o neghi) il diritto azionato, in quanto non vi è totale eliminazione di ogni posizione di contrasto, né tanto meno vi è accordo tra le parti sulla portata delle vicende sopraggiunte o vi è dichiarazione di non voler proseguire la causa [31] .
 

Michele Miscione (Professore Ordinario nell'Università di Trieste)

email: studiomiscione@felsinalavoro.it

 
(fonte: Italian Labour Law e-Journal n. 3/2004; http://www.dirittodellavoro.it)
 

 

[1] Art. 13 comma 8 L. 27 marzo 1992, n. 257, mod. dal D.L. 5 giugno 1993, n. 169, conv. in L. 4 agosto 1993, n. 271.
[2] D.L. 30 settembre 2003, n. 269, conv. in L. 24 novembre 2003, n. 326.
[3] Basti pensare ai ricorsi per Cassazione contro le C.T.U., di cui si vedranno alcuni esempi al paragrafo 8 (Cass., nn. 21679/2004; 21862/2004 e 21866/2004).
[4] P. Nodari, La strana vicenda per l’amianto della clausola “chi ha dato ha dato chi ha avuto ha avuto”, in Lav. giur., 2003, n. 5, 420; P. Nodari, Amianto e ripetibilità delle prestazioni erogate, in Lav. giur., 2003, n. 11, 1025.
[5] La legittimazione passiva è dell’Istituto che eroga la pensione, tenendo conto del coacervo dei contributi computabili per legge, dato che l'attribuzione della legittimazione passiva va collegata alla struttura del rapporto obbligatorio, come delineata dalla fattispecie astratta prevista dalla legge: Cass., 29 novembre 2002, n. 17000, Inpdai c. Mellino, in Mass. Giust. civ., 2002, 2083. Nel senso esposto, ma per altre questioni, cfr. in prec.: Cass., sez. un., 28 aprile 1989, n. 2041, INPS c. Scarabellin, in Mass. Giust. civ., 1989, fasc. 4, 89; Cass.., 10 marzo 1997, n. 2111, Inpdap c. Min. tesoro, in Mass. Giust. civ.,1997, 370; Cass., 30 gennaio 1998, n. 926, Min. tesoro c. Valsecchi, in Mass. Giust. civ., 1998, 190; Cass., sez. lav. 21 dicembre 1998, n. 12757, Min. tesoro c. Pirri, in Mass. Giust. civ., 1998, 2633; Cass., sez. un., 5 febbraio 2002, n. 1550, Min. tesoro c. Lepro e altro, in Foro it., 2002, I,1748.
[6] Cass., 28 giugno 2001, n. 8859, Vayr c. Inail, in Riv. giur. lav., 2001, II, 171 (con nota di M. Meucci, Indebita introduzione giurisprudenziale di valori di esposizione all’amianto per fruire dei benefici contributivi); Cass., sez. lav., 25 febbraio 2002, n. 2677, Carenza e altro c. Soc. Aem Torino, in Mass. Giust. civ., 2002, 292; Cass., 29 novembre 2002, n. 17000, cit. [ma in Mass. Giust. civ., 2002, 2083]; Cass., sez. lav., 29 ottobre 2003, n. 16256, Inps c. Alpi e altri, Inail, in Foro it., 2004, I, 79 (oltre numerose altre sentenze, di cui molte inedd.).
 
[7] Corte Cost., 12 gennaio 2000, n. 5, in Riv. crit. dir. lav., 2000, 318 (con nota di Giometti L., I benefici previdenziali per l’amianto al vaglio della Corte Costituzionale); in Riv. giur. ambiente, 2000,II, 535 (con nota di Gratani A., L’esposizione ultradecennale dei lavoratori all’amianto e i connessi benefici al vaglio della Corte costituzionale); in Riv. giur. lav., 2000, II, 568 (con nota di V. Lipari, Costituzionalità della normativa che attribuisce il beneficio della rivalutazione dei periodi assicurativi ai lavoratori esposti per oltre un decennio all’amianto); in Orient. giur. lav., 2000, 255 (con nota di L. Spagnuolo Vigorita, L’intervento della Corte costituzionale in tema di amianto); in Mass. giur. lav., 2000, I, 552 (con nota di F.,Tofacci, Benefici contributivi per amianto. I presupposti fissati dalla Corte costituzionale e le questioni irrisolte).
[8] Corte Cost., ord. 12 gennaio 2000, n. 7, in Giur. cost., 2000, 58.
[9] Corte costituzionale 22 aprile 2002, n. 127, in Lav. giur., 2002, 637 (con nota di M. Miscione): «Non è fondata, in riferimento all’art. 3 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell’art. 13 comma 8 L. 27 marzo 1992 n. 257, come modificato dall’art. 1 comma 1 D.L. 5 giugno 1993 n. 169, conv., con modificazioni, in L. 4 agosto 1993, n. 271, nella parte in cui, non prevedendo l’applicabilità del beneficio pensionistico ivi contemplato (moltiplicazione delle prestazioni pensionistiche per il coefficiente 1,5 in favore dei lavoratori che siano stati esposti all’amianto per un periodo superiore a dieci anni da applicare sull’intero periodo lavorativo soggetto all’assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali derivanti da esposizione all’amianto gestita dall’Inail) ai lavoratori dipendenti dalle Ferrovie dello Stato s.p.a., introdurrebbe una irragionevole disparità di trattamento tra lavoratori dipendenti da imprese private e lavoratori dipendenti da imprese non private a fronte di una identica situazione di prolungata esposizione all’amianto. La disposizione censurata è infatti volta a tutelare, in linea generale, tutti i lavoratori esposti all’amianto, in presenza di presupposti fissati — attinenti, segnatamente, all’esposizione ultradecennale all’amianto, alla soggezione all’assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali derivanti dall’esposizione all’amianto e al rischio morbigeno —, in funzione evidentemente compensativa dell’obiettiva pericolosità dell’attività svolta, pericolosità che non manca anche nell’ambito del servizio ferroviario, sicché non sussiste la lamentata violazione dell’art. 3 Cost.».
[10] Corte Cost., 31 ottobre 2002, n. 434, Gamberini e altro c. Inps, in Foro it., 2003, I,1356.
[11] Corte Cost., 19 dicembre 2003, n. 369, Inps c. De Sio e altro, in Giur. cost., 2003, f. 6.
[12] Cass., 7 luglio 1998, n. 6605, in Orient. giur. lav., 1998, 1044; Cass., 7 luglio 1998 n. 6620, in Dir. lav., 1999, II, 55, con nota di Casuccio; Cass., 28 luglio 1998, n. 7407, in Orient. giur. lav., 1998, 1028 (tutte con motivazione-fotocopia); Cass., Sez. un., 1° aprile 1999, n. 207, in Mass. Giust. civ., 1999, 727; Cass., 10 agosto 2000, n. 10557, in Lav. giur., 2001, 81; Cass., 12 febbraio 2001, n. 1976, in Mass. Giust. civ., 2001, 241; Cass., 19 aprile 2001, n. 5764, in Lav. giur., 2001, 988; Cass., 25 ottobre 2001, n. 13195, in Mass. Giust. civ., 2001, 1798; Cass., 7 novembre 2001, n. 13786, in Mass. Giust. civ., 2001, 1871; Cass., 9 dicembre 2002, n. 17528, Alborghetti c. Inail e altro, in Mass. Giust. civ., 2002, 2153; Cass., 26 febbraio 2003, n. 2932,Borrelli c. Inps, in Mass. Giust. civ., 2003, 403. V. anche Trib. Trieste, 26 febbraio 2000 e Trib. Gorizia, 4 marzo 2000, in Orient. giur. lav., 2000, 513 (con nota di A. Boscati, Contribuzione aggiuntiva per l’esposizione all’amianto tra tutela del bene salute e tutela del bene occupazione).
[13] Cass., Sez. lav., 29 ottobre 2003, n. 16256, Inps c. Alpi e altro, in Foro it., 2004, I, 79 (con nota di De Marzo); Cass., Sez. lav., 13 febbraio 2004, n. 2849, Di Rella c. Inps, in Mass. Giust. civ., 2004, f. 2; in D&G - Dir. e Giust., 2004, fasc. 10, 109; Cass., Sez. Lav., 27 febbraio 2004, n. 4063, Benedetti e altri c. Inail e c. Inps (rel. Coletti), in Mass. Giust. civ., 2004, fasc. 2; Cass., sez. lav., 28 aprile 2004, n. 8182, Grasso c. Inps, in Mass. Giust. civ., 2004, fasc. 4.
[14] Cass., 10 aprile 2002, n. 5082, in Dir. prat. lav., 2002, n. 34, 2280 (solo massima).
[15] Cass., 10 aprile 2002, n. 5082, cit.
[16] Corte Cost., 12 gennaio 2000, n. 5, cit. (ma in Riv. crit. dir. lav., 2000, 318; in Riv. giur. ambiente, 2000,II, 535; in Riv. giur. lav., 2000, II, 568; in Orient. giur. lav., 2000, 255; in Mass. giur. lav., 2000, I, 552).
[17] Corte Cost., 12 gennaio 2000 n. 5, cit.: «Il criterio dell’esposizione decennale costituisce un dato di riferimento tutt’altro che indeterminato, specie se si considera il suo collegamento, contemplato dallo stesso art. 13, comma 8, al sistema generale di assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali derivanti dall’amianto, gestita dall’INAIL. Nell’ambito di tale correlazione, il concetto di esposizione ultradecennale, coniugando l’elemento temporale con quello di attività lavorativa soggetta al richiamato sistema di tutela previdenziale (artt. 1 e 3 del D.P.R. n. 1124 del 1965), viene ad implicare, necessariamente, quello di rischio e, più precisamente, di rischio morbigeno rispetto alle patologie, quali esse siano, che l’amianto è capace di generare per la sua presenza nell’ambiente di lavoro; evenienza, questa, tanto pregiudizievole da indurre il legislatore, sia pure a fini di prevenzione, a fissare il valore massimo di concentrazione di amianto nell’ambiente lavorativo, che segna la soglia limite del rischio di esposizione (decreto legislativo 15 agosto 1991, n. 277 e successive modifiche)».
[18] Fra altre: App. Milano, 1 agosto 2003, Inps c. A. e altro, in Orient. giur. lav., 2003, 755; Trib. Massa, 13 gennaio 2004, Gastaldi, in Riv. pen., 2004, 347. Contra (fra altre): Trib. Perugia, 4 marzo 2003, Moretti c. Inps e altro, in Rass. giur. umbra, 2003, 92 (con nota di Rinaldi).
[19] Cass., sez. lav., 3 aprile 2001, n. 4913, Inps c. Bartoli e altro, in Riv. giur. lav., 2002, II, 190 (commentata, con la già cit. Cass., 28 giugno 2001, n. 8859, da M. Meucci, Indebita introduzione giurisprudenziale di valori di esposizione all’amianto per fruire dei benefici contributivi). La stessa sentenza (Cass., 3 aprile 2001, n. 4913) è stata commentata anche da Tofacchi F., Benefici contributivi per amianto: la Corte di cassazione legge la Consulta e ripensa la ratio della norma, in Mass. giur. lav., 2001, 730. Cfr. inoltre Cass., sez. lav., 27 febbraio 2002, n. 2926, Brusasco c. Inpdai, in Mass. Giust. civ., 2002, 340; Cass., Sez. lav., 15 maggio 2002, n. 7094, Inps c. Corradini e altro, in Foro it., 2002, I, 1970; Cass., sez. lav., 11 luglio 2002, n. 10114, in Inail c. Rosin e altro, in Foro it., 2003, I,1 358; Cass., sez. lav., 12 luglio 2002, n. 10185, in Inps c. Bargagli e altro, in Riv. infort. e mal. prof., 2002, II, 64; Cass., sez. lav., 23 gennaio 2003, n. 997, Bono e altro c. Inps e altro, in Foro it., 2003, I, 1357.
[20] Cass., Sez. lav., 29 ottobre 2003, n. 16256, cit. [ma in Foro it., 2004, I, 79 (con nota di G. De Marzo, Esposizione all’amianto tra acquisizioni giurisprudenziali e novità normative); Cass., Sez. Lav., 27 febbraio 2004, n. 4063, cit. (ma in Mass. Giust. civ., 2004, fasc. 2).
[21] Cass., Sez. lav., 29 ottobre 2003, n. 16256, cit. (la sentenza è presa in via solo esemplificativa, anche per le numerose altre spesso inedd.).
[22] Art. 3 comma 1 L. 257/1992: «La concentrazione di fibre di amianto respirabili nei luoghi di lavoro ove si utilizza o si trasforma o si smaltisce amianto, nei luoghi ove si effettuano bonifiche, negli ambienti delle unità produttive ove si utilizza amianto e delle imprese o degli enti autorizzati alle attività di trasformazione o di smaltimento dell'amianto o di bonifica delle aree interessate, non può superare i valori limite fissati dall'art. 31 del decreto legislativo 15 agosto 1991, n. 277, come modificato dalla presente legge».
[23] Art. 13 comma 8 L. 257/1992 (come sostituito dall’art. 1 comma 1 D.L. 5 giugno 1993, n. 169, conv. in L. 4 agosto 1993, n. 271): «Per i lavoratori che siano stati esposti all’amianto per un periodo superiore a dieci anni, l’intero periodo lavorativo soggetto all’assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali derivanti dall’esposizione all’amianto, gestita dall’INAIL, è moltiplicato, ai fini delle prestazioni pensionistiche, per il coefficiente di 1,5».
[24] Decreto Ministeriale 6 settembre 1994 (in Suppl. ord. n. 129, alla Gazz. Uff. n. 220 del 20 settembre), Normative e metodologie tecniche di applicazione dell'art. 6, comma 3, e dell'art. 12, comma 2, della legge 27 marzo 1992, n. 257, relativa alla cessazione dell'impiego dell'amianto.
[25] Trib. Bologna, 18 giugno 2004, Berselli e altri c. Inps e c. Inail, rel. Dalla casa, ined., dove in particolare si afferma: «(…) innanzi tutto tale valore soglia non può essere rinvenuto nel limite fissato dall’art. 24 c. 3 D. Lgs. 277/1991 di 0,1 fibre per cm. cubo, per l’illogicità e l’inaffidabilità scientifica del ricorso a un criterio pensato in relazione all’adozione di misure tecniche di abbattimento del rischio (…). Il D.M. 6 settembre 1994 al fine della certificazione della restituibilità degli immobili bonificati dall’amianto, richiede che si accerti la presenza nell’ambiente di una concentrazione di fibre aerodisperse non superiore alle 2 fibre per litro». Poco più avanti, nella stessa sentenza, si sottolinea che «i limiti stabiliti dal D. Lgs. 277/1991 sono pensati in funzione di una rilevazione puntuale dell’esposizione all’amianto, e non per misurare e qualificare normativamente esposizioni decennali».
[26] Risulta pubblicata, anche se solo in massima, Cass., sez. lav., 19 ottobre 2004, n. 20467, Inps c. En. Ma., in Guida lav., 2004, n. 50, 52. Altre sentenze sono nel sito della Cassazione: ad es. Cass., sez. lav., 19 ottobre 2004, n. 20464, Inps c. Stagnaro (rel. Balletti); Cass., sez. lav., 8 novembre 2004, n. 21255, Inps c. Bajramovic (rel. Picone); Cass., sez. lav., 10 novembre 2004, n. 21384, Inps c. Festa e altri (rel. Picone); Cass., sez. lav., 11 novembre 2004, n. 21445, Inps c. Animobono (rel. D’Agostino); Cass., sez. lav., 18 novembre 2004, n. 21862, Inps c. Novelli (rel. D’Agostino); Cass., sez. lav., 16 novembre 2004, n. 21679, Inps c. Bovari (rel. Balletti); Cass., sez. lav., 18 novembre 2004, n. 21866, Inps c. Ferri (rel. Balletti).
[27] Citt. alla nota precedente.
[28] Cass., sez. lav., 18 novembre 2004, n. 21862, Inps c. Novelli (rel. D’Agostino), cit.
[29] Cass., sez. lav., 11 novembre 2004, n. 21445, Inps c. Animobono (rel. D’Agostino), Cass., sez. lav., 16 novembre 2004, n. 21679, Inps c. Bovari (rel. Balletti); Cass., sez. lav., 18 novembre 2004, n. 21862, Inps c. Novelli (rel. D’Agostino), cit.; Cass., sez. lav., 18 novembre 2004, n. 21866, Inps c. Ferri (rel. Balletti). Da notare, come si vedrà nel testo, che nelle tre ultime sentenze (nn. 21679, 21862 e 21866) sono state compensate le spese legali del giudizio di Cassazione.
[30] Cass., Sez. lav., 29 ottobre 2003, n. 16256, cit. (ma in Foro it., 2004, I, 79).

[31] Sui requisiti della cessazione della materia del contendere, si rinvia a per tutte, a Cass. 8 settembre 1997 n. 8698, 27 gennaio 1998 n. 801, 27 aprile 2000 n. 5390, Cass., Sez. Un., 28 settembre 2000 n. 1048, Cass., Sez. Un., 10 luglio 2001 n. 9332.

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TRIBUNALE DI URBINO
In composizione monocratica quale Giudice del lavoro
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Giudice del lavoro di Urbino, dr. Paolo SPAZIANI, ha pronunciato e pubblicato, mediante lettura del dispositivo, la seguente

SENTENZA
nella causa in primo grado iscritta al n.368/2004 R.G.A.C.L. (cui sono riunite le cause iscritte ai nn.455/2004 e 489/2004 R.G.A.C.L.), vertente
TRA
S. M., F. A. , elettivamente domiciliati in Urbino, (omissis); rappresentati e difesi dall'Avv. Mario Del Prete, in virtù di procura a margine dei ricorsi introduttivi; C. W. , elettivamente domiciliato in Urbino, (omissis), presso lo Studio dell'Avv. Enrico D'Ambrosio, che lo rappresenta e difende, in virtù di procura a margine del ricorso introduttivo.
RICORRENTI
E
ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE , in persona del legale rappresentante pro tempore ; rappresentato e difeso dagli Avvocati Pasquale Augelletta e Marco Luzi, come da procure generali alle liti del 7 ottobre 1993 e del 1°settembre 1997 per Notaio F. Lupo di Roma.
RESISTENTE
OGGETTO : maggiorazione del periodo lavorativo ai fini pensionistici, in ragione dell'esposizione ultradecennale all'amianto, ai sensi dell'art.13, comma 8, L. 27 marzo 1992 n.257.
CONCLUSIONI DELLE PARTI : come da ricorsi introduttivi, da memorie difensive e da verbale dell'odierna udienza di discussione.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con distinti ricorsi depositati, rispettivamente, il 18 giugno 2004, il 5 agosto 2004 e il 30 settembre 2004, M . S., A. F. e W. C. – premesso che avevano lavorato alle dipendenze della S. (già I.) s.p.a. (il primo con mansioni di addetto al “reparto infissi”, nel quale si effettuava la sagomatura e la foratura dei pannelli in cemento amianto tagliati nel contiguo “reparto pannelli”; il secondo con mansioni di manutentore degli impianti dei vari reparti, nonché di fuochista addetto alle caldaie utilizzate per asciugare i pannelli di amianto lavorati e verniciati; e il terzo con mansioni dapprima di magazziniere addetto alle operazioni di carico e scarico delle lastre in cemento amianto, e successivamente di operaio addetto al taglio, pulizia, finitura ed assemblaggio delle medesime); che, in ragione dell'esposizione ultradecennale all'amianto (avutasi, per il primo, dal 3 settembre 1975 al 31 dicembre 1992; per il secondo dal 5 novembre 1975 al 31 dicembre 1992; e per il terzo dal 19 giugno 1974 al 6 agosto 1999), avevano presentato all'INPS (rispettivamente, in data 25 agosto 2000; in data 23 ottobre 2000; e in data 4 ottobre 2000) istanza per il riconoscimento della maggiorazione dei periodi di lavoro ai fini del conseguimento delle prestazioni pensionistiche, ai sensi dell'art.13, comma 8, L .27 marzo 1992 n.257, allegando la domanda di certificazione della predetta esposizione inoltrata all'INAIL; e che tale istanza non era stata accolta ed infruttuosamente era stato esperito il ricorso amministrativo al Comitato Provinciale – hanno convenuto in giudizio l'INPS, invocando la declaratoria del loro diritto alla maggiorazione dei periodi di lavoro ai fini pensionistici per esposizione a fibre di amianto, e la condanna dell'Istituto a riconoscere la maggiorazione medesima.
Con memorie difensive depositate in data 23 settembre 2004 e 23 dicembre 2004 si è costituito nei giudizi l'INPS, il quale, in via pregiudiziale di rito, ha invocato la declaratoria di improponibilità delle domande, sul presupposto dell'applicabilità, ai casi di specie, dell'art.47, comma 5, D.L. 30 settembre 2003 n.269, convertito nella L.24 novembre 2003 n.326, che onera i lavoratori che intendono ottenere il riconoscimento della maggiorazione del periodo lavorativo di presentare all'INAIL domanda di certificazione dell'esposizione all'amianto, a pena di decadenza, entro 180 giorni dalla data della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del decreto interministeriale di cui al successivo comma 6.
Nel merito, il convenuto ha poi invocato il rigetto delle domande, deducendo, da un lato, che, tenuto conto del fondamento della disposizione contenuta nell'art.13, comma 8, L. n.257/1992, i benefici previdenziali da essa previsti dovrebbero essere riconosciuti unicamente ai lavoratori attualmente alle dipendenze di aziende che estraggono o utilizzano amianto (e non già ai lavoratori che, come i ricorrenti, lo siano stati in passato ed abbiano ormai cessato l'esposizione), ed osservando, dall'altro lato, che, in conformità con quanto stabilito nella sentenza n.5/2000 della Corte Costituzionale, ai fini dell'ottenimento dei predetti benefici non sarebbe sufficiente il presupposto dell'esposizione ultradecennale all'amianto, occorrendo altresì la dimostrazione dello specifico rischio morbigeno, da ritenersi sussistente soltanto nell'ipotesi di superamento dei valori massimi di concentrazione previsti dal D.Lgs. 15 agosto 1991 n.277 e successive modifiche.
Con riguardo all'ipotesi che la pretesa dei ricorrenti fosse stata ritenuta fondata, l'INPS ha infine invocato, da un lato, che la rivalutazione assicurativa fosse limitata al solo periodo ultradecennale di accertata esposizione all'amianto (e che non fosse invece estesa all'intero periodo lavorativo), e dall'altro lato, che si tenesse conto della disposizione di cui all'art.47, comma 1, D.Lgs. n.269/2003, prevedente la riduzione da 1,5 a 1,25 del coefficiente previsto dall'art.13, comma 8, L. n.257/92, nonché la limitazione della sua applicabilità ai soli fini della determinazione dell'importo delle prestazioni pensionistiche.
Disposta la riunione dei procedimenti ai sensi dell'art.151 disp. att. c.p.c., la causa è stata istruita mediante l'esperimento di una prova per testimoni e di una consulenza tecnico-ambientale d'ufficio e, all'esito dell'odierna udienza di discussione, è stata decisa nei termini di cui al dispositivo, del quale si è data lettura.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Occorre anzitutto individuare le fonti normative che disciplinano le fattispecie dedotte nel presente giudizio, tenendo conto della complessa evoluzione della disciplina legislativa, nonché dell'intreccio tra norme primarie e norme secondarie, nella regolamentazione della materia dei benefici previdenziali connessi con l'esposizione all'amianto.
Ai sensi dell'art.13, comma 8, L. 27 marzo 1992 n.257 (nel testo sostituito dall'art.1 D.L.5 giugno 1993 n.169, convertito, con modificazioni, nella L. 4 agosto 1993 n.271), per i lavoratori che siano stati esposti all'amianto per un periodo superiore a dieci anni, l'intero periodo lavorativo soggetto all'assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali derivanti dall'esposizione all'amianto, gestita dall'INAIL, è moltiplicato, ai fini delle prestazioni pensionistiche, per il coefficiente di 1,5.
Ai sensi dell'art.3, comma 1, della stessa L.27 marzo 1992 n.257, la concentrazione di fibre di amianto respirabili nei luoghi di lavoro ove si utilizza, si trasforma o si smaltisce tale materiale (ovvero si effettua attività di bonifica dallo stesso) non può superare i valori limite fissati dall'articolo 31 del decreto legislativo 15 agosto 1991 n.277.
Ai sensi dell'art.31 D.Lgs.15 agosto 1991 n.277 (nel testo modificato dall'art.3, comma 4, della citata L. n.257/1992), i valori limite di esposizione alla polvere di amianto nell'aria, espressi come media ponderata in funzione del tempo su un periodo di otto ore, sono pari a 0,6 fibre per centimetro cubo per il crisotilo, e a 0,2 fibre per centimetro cubo per tutte le altre varietà di amianto sia isolate sia in miscela, ivi comprese le miscele contenenti crisotilo.
Sul sistema delineato dalla normativa richiamata si sono innestate le recenti innovazioni contenute nell'art.47 D.L. 30 settembre 2003 n.269 (convertito, con modificazioni, nella L.24 novembre 2003 n.326) e nel DM 27 ottobre 2004 (emesso dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze in attuazione del citato art.47, ai sensi del comma 6 del medesimo), i quali hanno introdotto modifiche della precedente disciplina sia in relazione all'oggetto della prestazione previdenziale (stabilendo che a decorrere dal 1° ottobre 2003 il coefficiente di moltiplicazione per la maggiorazione del periodo lavorativo è ridotto da 1,5 a 1,25, e si applica unicamente ai fini della determinazione dell'importo delle prestazioni pensionistiche, non anche della maturazione del diritto di acceso alle medesime: art.47, comma 1, D.L. n.269/2003; art.2, comma 1, DM 27 ottobre 2004), sia in relazione ai requisiti costitutivi del diritto (prevedendo la necessità di un periodo non inferiore a dieci anni – e non più ultradecennale – di esposizione all'amianto in concentrazione media annua non inferiore a 100 fibre/litro come valore medio su otto ore al giorno: art. 47, comma 3, D.L. n.269/2003; art.2, comma 1, DM 27 ottobre 2004), sia, infine, in relazione al procedimento amministrativo (ponendo, a carico dei lavoratori interessati, l'onere di presentare domanda di certificazione dell'esposizione all'amianto alla sede INAIL di residenza entro 180 giorni dalla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del decreto interministeriale di cui al comma 6, a pena di decadenza del diritto ai benefici previdenziali: art. 47, comma 5, D.L. n.269/2003; art.3, comma 2, DM 27 ottobre 2004).
Si pone dunque il problema di chiarire se le riferite modifiche normative trovino o meno applicazione nelle fattispecie dedotte nel presente giudizio.
Il problema dell'ambito di operatività della nuova disciplina è stato risolto dallo stesso legislatore, il quale, nell'art.3, comma 132, L.24 dicembre 2003 n.350 (legge finanziaria per il 2004), ha fatto salva l'applicabilità delle norme previgenti alla data del 2 ottobre 2003 (giorno della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del decreto legge n.269/2003) per i lavoratori che a tale data avessero già maturato il diritto al conseguimento dei benefici previdenziali di cui all'art.13, comma 8, L. n.257/1992 e successive modificazioni, nonché per coloro che avessero già avanzato domanda di riconoscimento all'INAIL o avessero ottenuto sentenze favorevoli per cause avviate entro la stessa data.
Secondo l'orientamento della giurisprudenza di legittimità, questa disposizione deve essere interpretata nel senso che: a) per “maturazione” del diritto al beneficio deve intendersi la maturazione del diritto a pensione; b) tra coloro che non hanno ancora maturato il diritto a pensione, la salvezza concerne esclusivamente gli assicurati che, alla data indicata, abbiano avviato un procedimento amministrativo o giudiziario per l'accertamento del diritto alla rivalutazione contributiva (cfr. Cass. 8 novembre 2004 n.21257; Cass.18 novembre 2004 n.21862; Cass.15 luglio 2005 n.15008).
Alla luce della disposizione contenuta nell'art.3, comma 132, L . n.350/2003 e dell'interpretazione fornitane dalla Suprema Corte di Cassazione, deve escludersi che la normativa sopravvenuta trovi applicazione nelle fattispecie dedotte nei presenti giudizi, in quanto, sebbene non sia stato né provato né dedotto che i ricorrenti abbiano maturato il diritto a pensione, risulta invece chiaramente che essi, alla data del 2 ottobre 2003 avevano già avviato una procedura amministrativa per l'accertamento dell'esposizione all'amianto, sia attraverso la presentazione dell'istanza di rivalutazione contributiva all'INPS (cfr. doc. n 1 fascicolo S., da cui risulta che l'istanza era stata da lui presentata in data 25 agosto 2000; doc. n.1 fascicolo F., da cui risulta che l'istanza era stata da lui presentata il 23 ottobre 2000; doc. n.1 fascicolo C. da cui risulta che l'istanza era stata da lui presentata il 4 ottobre 2000) sia attraverso la presentazione della domanda di certificazione della sussistenza e della durata dell'esposizione medesima all'INAIL (cfr. doc. n.3 fascicolo S.; doc. n.4 fascicolo F.; docc. nn.2-3 fascicolo C.).
Le cause introdotte dai ricorrenti devono dunque essere decise facendo applicazione della disciplina delineata dagli artt.13, comma 8, e 3, comma 1, L. 27 marzo 1992 n.257, nonché dall'art.31 D.Lgs. 15 agosto 1991 n.277, non potendosi riconoscere alcuna rilevanza alle modifiche introdotte dall'art.47 D.L.30 settembre 2003 n.269 e dal decreto interministeriale emanato in funzione della sua attuazione.
2. Individuata la normativa applicabile, possono non solo essere precisati i requisiti costitutivi del diritto azionato dai ricorrenti, ma possono anche essere agevolmente delibate le eccezioni sollevate dall'INPS.
In particolare, devono reputarsi manifestamente infondate tanto l'eccezione pregiudiziale di rito con la quale si invoca la declaratoria di improponibilità della domanda per mancata presentazione all'INAIL dell'istanza di certificazione nel termine di decadenza di 180 giorni dall'entrata in vigore del decreto interministeriale, quanto l'eccezione (la quale, sebbene contenuta nella parte finale delle memorie difensive, ha valore di eccezione preliminare di merito, perché attinente all'oggetto della prestazione previdenziale) con la quale si invoca l'applicazione del coefficiente moltiplicatore di 1,25 (anziché di 1,5) e la limitazione della sua applicazione ai soli fini della determinazione dell'importo della pensione e non della maturazione del diritto di accesso alla medesima.
Entrambe le eccezioni, infatti, riposano sulla asserita applicabilità ai casi di specie, della normativa sopravvenuta introdotta dall'art.47 D.L. n.269/2003, la quale, per quanto si è sopra rilevato, non assume invece alcuna rilevanza nei rapporti controversi.
3. Del pari infondate sono le eccezioni (anche queste da qualificarsi come preliminari di merito) con le quali si deduce che il beneficio della maggiorazione del periodo lavorativo a fini previdenziali andrebbe riconosciuto unicamente ai lavoratori attualmente alle dipendenze di aziende che estraggono o utilizzano amianto (e non già ai lavoratori che, come i ricorrenti, lo siano stati in passato ed abbiano ormai cessato l'esposizione), e che la rivalutazione assicurativa dovrebbe comunque essere limitata al solo periodo ultradecennale di accertata esposizione all'amianto (senza possibilità di estenderla all'intero periodo lavorativo).
Sotto tale ultimo profilo va rilevato che la ritenuta applicabilità ai rapporti controversi della disciplina contenuta nella normativa anteriore a quella introdotta con il decreto legge n.269 del 2003, se da un lato esclude che la rivalutazione contributiva possa essere estesa ai periodi lavorativi non soggetti all'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali gestita dall'INAIL (limitazione che sembra invece essere stata rimossa dalla normativa sopravvenuta: cfr., in particolare, l'art.1, comma 1, DM 27 ottobre 2004), dall'altro lato, essa rivalutazione non può essere limitata al solo periodo ultradecennale di esposizione all'amianto in misura superiore ai limiti di legge (che costituisce soltanto il presupposto costitutivo del diritto: v. infra ), ma, una volta che tale presupposto costitutivo si sia integrato, va estesa all' “intero periodo lavorativo soggetto all'assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali derivanti dall'esposizione all'amianto, gestita dall'INAIL”, conformemente alla previsione testuale dell'art.13, comma 8, L.27 marzo 1992 n.257 e successive modificazioni.
Con riguardo invece all'asserita necessità dell' “attualità” dell'esposizione, deve essere ricordato il contrario orientamento giurisprudenziale, assolutamente pacifico e consolidato, secondo cui la maggiorazione contributiva prevista dall'art.13, comma 8, L . n.257/1992 – tenuto conto della ratio della norma (la quale è diretta a consentire o facilitare il conseguimento della pensione ai lavoratori perdenti il posto di lavoro a causa della soppressione della lavorazione dell'amianto ed esclusi dal beneficio del prepensionamento) e del suo tenore letterale (nel quale compare la locuzione “lavoratori”) – non spetta ai soggetti che, alla data di entrata in vigore della legge, erano già titolari di pensione di anzianità o di vecchiaia, ovvero di pensione di inabilità, mentre va riconosciuta, sempre che ricorrano gli altri requisiti costitutivi del diritto, a coloro che, alla medesima data, prestavano ancora attività di lavoro dipendente o versavano in stato di temporanea disoccupazione (cfr. Cass. 7 luglio 1998 n.6620; Cass. 28 luglio 1998 n.7407; Cass. 10 agosto 2000 n.10557; Cass. 19 aprile 2001 n.5764; Cass. 9 dicembre 2002 n.17528; Cass.26 febbraio 2003 n.2932; Cass.13 febbraio 2004 n.2849; Cass.27 febbraio 2004 n.4063; Cass.28 aprile 2004 n.8182).
Non rileva dunque l' “attualità” dell'esposizione, ma la sussistenza della qualità di “lavoratore” al momento dell'entrata in vigore della legge, la quale non è controversa nei rapporti dedotti nel presente giudizio.
4. Venendo ora al merito in senso proprio delle domande formulate dai ricorrenti, occorre verificare se essi abbiano dato la dimostrazione della sussistenza dei requisiti costitutivi del diritto alla invocata maggiorazione contributiva.
Questi requisiti costitutivi, alla stregua del sistema delineato dagli artt.13, comma 8, e 3, comma 1, L. 27 marzo 1992 n.257, nonché dall'art.31 D.Lgs. 15 agosto 1991 n.277, consistono, come si è accennato, non solo nell'espletamento, per oltre dieci anni (periodo in cui vanno valutate anche le pause “fisiologiche” quali riposi, ferie e festività), di mansioni comportanti l'esposizione all'amianto, ma anche nel superamento dei valori limite di esposizione (espressi come media ponderata in funzione del tempo su un periodo di riferimento di otto ore) pari a 0,6 fibre per centimetro cubo per il crisotilo, e a 0,2 fibre per centimetro cubo per le altre varietà di amianto, quand'anche consistenti in miscele contenenti crisotilo.
Al riguardo, infatti, non può condividersi la deduzione in diritto avanzata dai difensori degli attori all'odierna udienza di discussione (secondo cui i predetti valori limite sarebbero stati stabiliti esclusivamente in funzione degli interventi del datore di lavoro e degli organi di vigilanza finalizzati alla protezione dei dipendenti e alla rimozione del rischio, e non anche in funzione della attribuzione dei benefici previdenziali, i quali dovrebbero essere riconosciuti indipendentemente dal raggiungimento dei limiti medesimi), atteso che, come correttamente evidenziato dall'INPS nella memoria difensiva, sulla scorta dell'insegnamento della Corte Costituzionale (sentenza n.5 del 2000), è prevalso nella giurisprudenza di legittimità il contrario orientamento secondo cui, ai fini del diritto alla maggiorazione del periodo di lavoro ai fini previdenziali, non solo occorre il superamento dei valori previsti nel D. Lgs. n.277 del 1991 (Cass. 3 aprile 2001 n.4913; Cass.28 giugno 2001 n.8859; Cass. 19 ottobre 2004 n.20467; Cass. 1° agosto 2005 n.16118), ma è altresì necessario che tale superamento concerna non semplicemente la soglia (0,1 fibre per centimetro cubo) di mero allarme indicata nell'art.24 del citato decreto legislativo, bensì quella espressa in valori superiori dall'art.31 del decreto medesimo, unica soglia considerata dall'art.3, comma 1, L. n.257 del 1992 e sulla quale, non a caso, sono intervenute le modifiche apportate dall'art.3, comma 4, stessa legge (Cass. 19 ottobre 2004 n.20464; Cass.26 novembre 2004 n.22300).
5. Tanto premesso in generale, con riguardo ai casi di specie occorre distinguere la posizione di M. S. da quella di A. F. e W. C..
Con riguardo al primo è stata fornita adeguata dimostrazione di entrambi i requisiti costitutivi del diritto.
I testi G.B. e G.M., entrambi ex colleghi di lavoro del S. presso la S. s.p.a., hanno confermato le allegazioni contenute nel ricorso introduttivo, secondo cui il ricorrente, sin dal 1975, aveva svolto mansioni comportanti la lavorazione di pannelli in cemento amianto ai fini della realizzazione degli infissi (cfr. il verbale d'udienza del 1° febbraio 2005).
Dalla consulenza tecnico-ambientale disposta nel corso del giudizio (e realizzata non solo sulla base delle risultanze della prova testimoniale, ma anche sulla base di apposito sopralluogo presso i locali dell'impresa, nonché delle dichiarazioni rilasciate dal datore di lavoro all'INAIL nel corso della procedura amministrativa per l'accertamento dell'esposizione) è poi emerso che, nel periodo 3 marzo 1975 – 1981, il S. aveva subìto una esposizione mista a crisotilo e anfiboli stimabile, in media sulle otto ore lavorative al giorno per 240 giorni lavorativi all'anno, intorno a 1000 fibre di amianto per litro d'aria, mentre, nel periodo 1981 – 1988 aveva subito una esposizione al solo crisotilo stimabile, secondo gli stessi criteri, intorno a 1000 fibre di amianto per litro d'aria.
Le risultanze della consulenza tecnica d'ufficio sono condivisibili, essendo l'espletata indagine correttamente eseguita ed immune da profili di censurabilità, peraltro non evidenziati da alcuna delle parti.
Poiché allora l'esposizione del ricorrente all'amianto si è protratta per oltre dieci anni e i valori di tale esposizione accertati dal consulente sono superiori a quelli stabiliti dall'art.31 D.Lgs. n.277 del 1991 (1000 fibre/litro equivalgono a 1 fibra/cm cubo), deve dichiararsi che M. S. ha il diritto, ai fini delle prestazioni pensionistiche, alla moltiplicazione per il coefficiente di 1,5 dell'intero periodo lavorativo soggetto all'assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali derivanti dall'esposizione all'amianto gestita dall'INAIL, e deve condannarsi l'INPS a disporre la predetta maggiorazione.
6. Diversa soluzione si impone invece con riguardo ai ricorrenti A. F. e W. C..
Benvero, infatti, se da un lato, alla stregua delle dichiarazioni testimoniali, anche con riguardo a questi lavoratori è stato accertato lo svolgimento di mansioni comportanti l'esposizione all'amianto (cfr., con riguardo al F., la deposizione del teste P.R., che ha confermato le allegazioni contenute nel ricorso introduttivo circa lo svolgimento, dal 1975 al 1992, delle mansioni di manutentore degli impianti dei vari reparti dello stabilimento S. e di fuochista addetto alle caldaie; con riguardo al C. cfr., invece, le dichiarazioni del teste S.L., che ne ha confermato lo svolgimento delle mansioni di magazziniere addetto alla movimentazione delle lastre di amianto e, in alcuni periodi, di quelle di operaio addetto al taglio delle medesime: verbali d'udienza del 1° febbraio 2005), dall'altro lato, all'esito dell'indagine tecnica, è emerso che la predetta esposizione non ha superato (o comunque non ha superato per tutto il periodo necessario) i valori limite stabiliti dall'art.31 D.Lgs. n.277/1991.
Con riguardo al F., il consulente ha accertato che l'esposizione, misurata mediamente sulle otto ore lavorative al giorno, è stata inferiore alle 100 fibre di amianto per litro d'aria tra il 1975 e il 1985, e che nel periodo successivo è stata addirittura pari o inferiore alle 10 fibre di amianto per litro d'aria.
Poiché 100 fibre/litro equivalgono a 0,1 fibre/cm cubo e 10 fibre/litro equivalgono a 0,01 fibre/cm cubo, deve concludersi che il F. non ha mai superato i valori richiesti dalla legge, pari a 0,6 fibre/cm cubo per il crisotilo e a 0,2 fibre/cm cubo per le altre varietà di amianto.
Con riguardo al C., il consulente ha accertato che soltanto nei periodi dal 1978 al 1981, dal 1982 al 1985 e dal maggio 1987 al maggio 1988, l'esposizione avrebbe potuto essere stimata tra le 100 e le 1000 fibre di amianto per litro d'aria, mentre negli altri periodi lavorativi era stata inferiore alle 100 fibre per litro d'aria.
Deve pertanto concludersi che soltanto per un periodo di tempo della durata complessiva di non più di otto anni il C. può essere rimasto esposto all'amianto in misura superiore ai valori di cui all'art.31 D.Lgs n.277/1991, mentre nei restanti periodi l'esposizione è rimasta contenuta entro il valore di 0,1 fibre/cm cubo.
Le domande formulate da A. F. e W. C. devono dunque essere rigettate per mancata integrazione dei requisiti costitutivi del diritto azionato.
7. La natura dei diritti di cui si è invocata la tutela, unitamente agli oggettivi elementi di incertezza circa la normativa applicabile, solo recentemente superati dalla giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione, giustificano l'integrale compensazione tra le parti delle spese relative ai rapporti processuali intercorsi tra A. F. e W. C. e l'INPS, a prescindere dalla sussistenza delle condizioni di reddito di cui all'art.152, nuovo testo, c.p.c..
Le spese del rapporto processuale intercorso tra l'Istituto convenuto e M. S. seguono invece la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo, senza possibilità tuttavia di disporne la distrazione a favore del difensore, non essendo rinvenibile, nel ricorso introduttivo, una richiesta ai sensi dell'art.93 c.p.c..
8. Le spese della consulenza tecnica espletata vanno poste a definitivo carico dell'INPS.
P.Q.M.
Il Giudice del lavoro, definitivamente pronunciando, così provvede:
1- dichiara che M. S. ha il diritto, ai fini delle prestazioni pensionistiche, alla moltiplicazione per il coefficiente di 1,5 dell'intero periodo lavorativo soggetto all'assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali derivanti dall'esposizione all'amianto gestita dall'INAIL, e condanna l'INPS, in persona del legale rappresentante pro tempore , a disporre la predetta maggiorazione;
2- rigetta le domande formulate da A. F. e W. C. nei confronti dell'INPS;
3- compensa integralmente tra le parti le spese dei rapporti processuali intercorsi tra A. F. e W. C. e l'INPS, e condanna quest'ultimo a rimborsare a M. S. le spese del relativo rapporto processuale, che liquida in Euro 1.575,00, di cui Euro 490,63 per diritti, Euro 909,37 per onorari ed Euro 175,00 per spese generali, oltre CP ed IVA;
4- pone le spese della consulenza tecnica espletata a definitivo carico dell'INPS.
 
Urbino 24 marzo 2006
IL GIUDICE
Paolo Spaziani
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Questione di costituzionalità sollevata da:
Trib. Ravenna (ord.) 10 luglio 2007 - Giud. Riverso

 

Il Giudice a scioglimento della riserva che precede;

letti gli atti ed esaminati i documenti della causa;

osserva in fatto e diritto:

1. Il ricorrente ha lavorato alle dipendenze della Eridania SPA presso lo zuccherificio in località di Russi (RA) in qualità di operaio manutentore ed addetto al controllo impianto dal 28.1.1963 al 28.02.1991; è andato in pensione di anzianità con decorrenza dall’1.3.1991, prima dell’entrata in vigore della legge  257/1992. In data 28.10.2002 ha ricevuto dall’INAIL l’attestazione positiva di esposizione all’amianto ai sensi della legge 257/92 essendo stata riconosciuta come provata la sua esposizione per tutto il periodo di lavoro svolto alle dipendenze dell’Eridania per più di 28 anni (dal 28.1.1963-  al 28.2.1991);  in particolare, va evidenziato, che il ricorrente ha ricevuto l’attestazione di esposizione all’amianto dall’INAIL ai sensi dell’art.13, comma 7°, l.257/1992 in quanto risulta affetto da malattia professionale  derivante dall’esposizione all’amianto (malattia riconosciuta dall’Inail in data 1.8.2002).

Dopo aver ricevuto l’attestato di esposizione, il ricorrente ha richiesto all’INPS la ricostituzione della propria pensione e la corresponsione dell’aumento derivante dall’applicazione dell’art. 13, 7° comma della L. 257/92 (come mod. dalla L. 271/93) il quale riconosce il beneficio della rivalutazione contributiva in questi termini: "Ai fini del conseguimento delle prestazioni pensionistiche per i lavoratori che abbiano contratto malattie professionali a causa dell’esposizione all’amianto documentate dall’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL) il numero di settimane coperte da contribuzione obbligatoria relativa a periodi di prestazione lavorativa per il periodo di provata esposizione all’amianto è moltiplicato per il coefficiente di 1,5.” …”.

2. L’INPS non ha però accolto la richiesta del ricorrente opponendogli il fatto che alla data di entrata in vigore della legge 257/1992 ( 28 aprile 1992) egli non fosse in attività lavorativa e si trovasse anzi in pensione di anzianità con decorrenza dall’1.3.1991. A fondamento del proprio diniego l’INPS richiama poi in questo giudizio l’orientamento giurisprudenziale dominante e la sentenza n. 434/2002 della Corte Costituzionale e sostiene che i benefici previdenziali di cui all’art.13 della legge non si applicherebbero ai lavoratori che siano stati collocati in pensione (di anzianità o di vecchiaia) prima dell’entrata in vigore della legge, ancorché si tratti di lavoratori che risultano aver contratto malattie professionali per l’esposizione all’amianto.

Pur non contenendo la legge alcun espresso limite in tal senso, secondo la tesi richiamata dall’INPS il diniego dei benefici previdenziali ai pensionati ante 1992 si ricaverebbe dalla finalità assegnata dal legislatore alla maggiorazione contributiva in questione; in quanto essa sarebbe stata diretta ad agevolare l’esodo dei lavoratori appartenenti al dismesso settore amianto ovvero da applicare a quei lavoratori a rischio di perdere il posto di lavoro a causa della cessazione della lavorazione dell’amianto oppure in difficoltà occupazionali per aver corso un rischio alla salute nella lavorazione con l’amianto; tutte difficoltà, si dice, che i lavoratori pensionati prima della legge 257/1992 non avrebbero potuto correre appunto perché in pensione. 

In particolare è stato ricordato dall’INPS che anche per la Corte Costituzionale il beneficio della rivalutazione contributiva non possa spettare ai lavoratori esposti all’amianto pensionati prima della legge 257, avendo essa riconosciuto con la sentenza 434/2002 che questi benefici abbiano la “principale funzione di permettere ai lavoratori coinvolti nel processo di dismissione delle lavorazioni comportanti l’uso dell’amianto di ottenere il diritto alla pensione” .

3. In realtà va rilevato come la Corte Costituzionale non si sia mai pronunciata sulla questione oggetto di questo giudizio; mentre è pure sbagliato, ad avviso di chi scrive, volere estendere ai benefici stabiliti dall’art. 13, comma 7 ricostruzioni esegetiche effettuate in relazione ai diversi benefici di cui all’art.13, comma 8.

Vero è peraltro che la giurisprudenza della Corte di Cassazione sembra aver accomunato i due diversi tipi di benefici sotto una stessa ottica finalistica ed ha (sentenza 2849/2004) parimenti sostenuto che anche ai lavoratori ammalati da malattia professionale da amianto non possano attribuirsi benefici contributivi qualora gli stessi  lavoratori siano andati in pensione di anzianità o di vecchiaia, prima dell’entrata in vigore della legge 257/92 ( 28.4.1992).

Se questo individuato dalla Corte di Cassazione dovesse essere il corretto tenore dell’art.13,comma 7° della legge 257/1992, allora la stessa norma urta, ad avviso dello scrivente, contro diversi parametri costituzionali e comporta quindi di necessità che venga sollevata la questione di illegittimità costituzionale della normativa nella parte in cui impedisce l’attribuzione del beneficio a chi fosse pensionato prima dell’entrata in vigore della legge 257/1992, discriminandolo pure in maniera irrazionale ed immotivata da chi fosse andato in pensione dopo la medesima legge 257/1992.

4. La questione che deve essere perciò esaminata sul piano costituzionale investe nuovamente il problema dei destinatari del beneficio contributivo di cui  alla legge 257/92, ma non riguarda i destinatari di cui al comma 8° (i lavoratori esposti ultradecennali) bensì quelli di cui al comma 7° ( i lavoratori ammalati anche non ultradecennali).

Ritiene questo giudice che la questione meriti di essere portata davanti alla Corte Costituzionale per due ordini di ragioni. Anzitutto perché il dialogo tra gli organi inseriti nel medesimo circuito del giudizio di costituzionalità può servire ad affinare l’interpretazione di una normativa ed a portare all’individuazione del significato maggiormente aderente al dettato costituzionale. In secondo luogo e soprattutto perché la disciplina del comma 7° dell’art.13 della legge 257/92 ha, rispetto a quella dettata dal comma 8° della medesima norma, una portata diversa - che si riflette anche sul terreno costituzionale - sia sotto il profilo soggettivo (in quanto si riferisce solo ai lavoratori affetti da malattie professionali derivanti dall’amianto) sia  per il profilo oggettivo (perché non richiede alcun periodo minimo di esposizione al fine di accordare la rivalutazione contributiva, potendo bastare qualsiasi periodo di esposizione anche inferiore al decennio). D’altra parte, le differenze tra i due tipi di rivalutazione contributiva sono stati ulteriormente accentuate dalla nuova normativa dettata con la legge  24.11.2003 n.326 di conversione dell’art. 47 del d.l. 30 settembre 2003, n. 269; siccome per i lavoratori ammalati non vale la nuova peggiorativa  disciplina che è stata introdotta con la stessa legge; per gli ammalati nulla è mutato in quanto il beneficio si applica sia per l’accesso a pensione sia per l’importo, e sempre nella misura originaria del  50% di aumento previsto dall’originario comma 7. Non vale nemmeno per gli ammalati l’onere della prova dell’esposizione a più di 100 fibre litro per otto ore al giorno previsto nella nuova normativa - posto che non avrebbe alcun senso pretendere la prova di un’esposizione qualificata al rischio da chi ha già visto tramutarsi quel rischio in un danno conclamato:  oltre alla malattia, ai fini del beneficio occorre soltanto la prova del periodo di esposizione e basta. Infine non vale neppure per gli ammalati il termine di decadenza introdotto dalla nuova legge;  e la domanda per ottenere l’indennizzo previdenziale è sempre possibile; anche oltre il 26 giugno 2005 (individuato come ultima data utile sulla scorta del D.M. 27.10.2004 pubblicato il 17.12.2004.); anche oggi perciò potrebbe essere presentata una domanda ai sensi del comma 7 dell’art.13 l.257/1992 da un lavoratore affetto da malattia professionale correlata all’asbesto.

5. Sulla scorta di queste premesse appare  del tutto evidente, ad avviso di questo giudice, il sospetto di illegittimità costituzionale che investe la normativa in oggetto ai sensi degli art. 3, 1° comma e 2 Cost., qualora si volesse condividere la tesi sostenuta dalla Corte di Cassazione che esclude dall’ambito di applicazione della normativa i lavoratori affetti da malattie da amianto che fossero pensionati prima della legge del 1992.

Si tratta di uno sbarramento che non appare infatti giustificato ai sensi della Carta Costituzionale; né potrebbe servire ad introdurre una qualche logica giustificazione richiamare la tesi che vorrebbe ricondurre la finalità del beneficio in questione all’agevolazione dell’esodo ed al raggiungimento della pensione per i lavoratori appartenenti al dimesso settore amianto.

Anzitutto perché gli ammalati in discorso, previsti come destinatari dalla legge, possono essere lavoratori appartenenti a qualsiasi settore merceologico e non aver mai sofferto della asserita crisi occupazionale derivante dalla cessazione dell’amianto; anzi un lavoratore ammalato potrebbe avere cessato il lavoro ed essere andato in pensione per il fatto stesso della malattia; e quindi non c’è motivo per differenziare chi è andato in pensione per lo stesso fatto di aver contratto la malattia  prima o dopo l’entrata in vigore della legge.

In secondo luogo va osservato che un lavoratore può contrarre una malattia da esposizione all’amianto dopo anni e anni dalla cessazione dell’attività morbigena e dal conseguimento della pensione. Anche chi ha conseguito la pensione dopo il 28.4.1992, può subire questo evento, a prescindere da qualsiasi crisi del settore amianto; e può subirlo a lunghissima distanza dal pensionamento. E’ noto infatti che vi siano malattie da amianto che  potrebbero essere causate da esposizioni anche  di basso livello subite in imprese che non rientrano nel c.d. settore amianto (e segnatamente il mesotelioma che è una malattia che non è dose-correlata). Si tratta pure di malattie che sopravvengono sempre a distanza di tempo, anche lunga e lunghissima (variabile da 10 ai 40 anni), dall’esposizione professionale e dalla cessazione dell’attività lavorativa. Le malattie in questione – che costituiscono il requisito essenziale per l’applicazione dell’art.13,comma 7° - sono dunque eventi futuri ed incerti che non hanno alcuna relazione con la data del conseguimento della pensione, né con la crisi del settore amianto; si tratta di eventi che potrebbero intervenire in ogni momento della vita del lavoratore, oltrepassata anche qualsiasi possibile soglia di accesso all’età lavorativa: non ha perciò, di nuovo, alcun senso ipotizzare che la rivalutazione previdenziale in questione venga accordata invece per sopperire a delle difficoltà occupazionali di un soggetto che ha subito l’evento dopo molto tempo dal conseguimento della pensione e dopo aver oltrepassato qualsiasi possibile soglia di riammissione al lavoro.

Non esiste perciò alcuna ragione logica e giuridica per cui la legge debba accordare il beneficio in oggetto all’ammalato pensionato dopo il 28.4.1992 e debba negarlo invece al lavoratore ammalato che ha conseguito la pensione prima della stessa data. Si tratta di una differenza che non presenta alcun connotato di razionalità, perché in nessuno dei due casi il beneficio potrebbe rimediare ad un qualsiasi pregiudizio occupazionale ricollegabile al pensionamento e/o alla dismissione del settore amianto;  mentre in entrambi i casi il beneficio potrebbe rivestire l’eguale effetto di compensare un pregiudizio effettivo e reale sopraggiunto nella vita di una persona, senza alcuna connessione con lo stato di pensionato.

6. Nel caso oggetto di questo giudizio si tratta poi di un lavoratore di uno zuccherificio che non c’entra niente col settore amianto; un lavoratore che si è ammalato nel 2002 ed ha già ottenuto dall’Inail tanto il riconoscimento della malattia professionale, tanto il riconoscimento dell’esposizione; ad a cui  nondimeno l’INPS non riconosce l’aumento della pensione perché si sarebbe pensionato ante 1992. Mentre, è pacifico, lo stesso INPS riconoscerebbe l’aumento pensionistico al collega del ricorrente che si fosse per ipotesi ammalato oggi stesso, pur essendo andato in pensione il giorno dopo il 28.4.1992.

Ad avviso di questo giudice tutto ciò risulta in aperto contrasto con l’art. 3 Cost. che non consente di poter differenziare il trattamento di un lavoratore ammalato a seconda che sia andato in pensione prima o dopo il 28.4.1992.  Soprattutto non è giusto trattare differentemente due casi così simili come appunto quelli di due lavoratori colpiti da una malattia che è sopravvenuta per entrambi a lunga distanza dell’entrata in vigore della stessa legge 257/1992, e per il solo fatto che uno dei due abbia conseguito la pensione prima e l’altro dopo il 28.04.1992; quando il conseguimento della pensione è un fatto totalmente neutro sia rispetto alla malattia, sia rispetto alla tutela che è accordata dalla legge.

7. Si ripete che la stessa tutela prevista dall’art. 13, comma 7 è tutt’ora vigente, nonostante le modifiche introdotte nella legislazione, e non è soggetta a termine di decadenza; per cui anche domani la stessa tutela (ad oltre 15 anni dalla sua entrata in vigore) dovrebbe essere applicata nei confronti di chi subisca una malattia correlata all’asbesto e risulti pensionato da oltre 15 anni; ma difficilmente si potrà riconoscere con fondatezza che quel beneficio, che la legge gli riconosce comunque ancora oggi, dopo tanto tempo, venga accordato per rimediare alla crisi occupazionale del settore amianto.

8. Tutto ciò non solo è irrazionale e discriminatorio ai sensi dell’art.3, comma 1 Cost., ma sembra anche in contrasto con i doveri inderogabili di solidarietà sociale ed umana solennemente proclamati nell’art. 2 della Costituzione apparendo anzitutto disumano a questo giudice che vi siano in Italia lavoratori ammalati d’amianto che non vengano riconosciuti dall’ordinamento come “lavoratori esposti all’amianto” ai fini della maggiorazione previdenziale in discorso, solo perché sono andati in pensione prima della legge 257/1992 e pur avendo contratto la malattia dopo la legge (come altri loro colleghi lavoratori pensionatisi dopo); e non si può pensare perciò che la Costituzione italiana possa tollerare questa assurda discriminazione, anche perché fino a quando esistono casi del genere non può esistere vera solidarietà sociale ai sensi dell’art.2 Cost.; e non può neanche esistere che gli inclusi nel trattamento previsto dalla legge possano sentirsi soddisfatti di fronte a chi sarebbe stato escluso dalla legge in modo così irrazionale, perché dalla sperequazione non può mai nascere un sentimento di vera solidarietà sociale. 

9. Nell’ipotesi in cui la Corte Costituzionale dovesse riaffermare il “carattere approssimativo della normativa rispetto ai fini perseguiti” ( così sentenza 434/2002) e ritenere che anche i benefici previsti per i lavoratori ammalati dell’amianto debbano partecipare della stessa logica attribuita ai benefici  contemplati nell’art.13, comma 8° l.25/1992 con la sentenza 434/2002  ovvero debbano essere riconosciuti solo ai lavoratori andati in pensione dopo la legge 257, perché si suppone che solo essi abbiano patito un preteso danno occupazionale; allora questo giudice deve risollevare la questione di costituzionalità in relazione a questa diversa prospettiva, anche alla luce della normativa sopravvenuta nelle more della precedente eccezione di costituzionalità (art.18, 8°comma l. 31.7.1992 n.179 e legge 326/2003) .

Non può condividersi infatti l’affermazione secondo cui i benefici in questione abbiano il solo ed esclusivo fine di agevolare l’esodo dei lavoratori del dimesso settore amianto e non possono partecipare anche, quanto meno in via concorrente, di una diversa finalità di natura compensativa, atta ad attrarre nell’orbita dei destinatari del beneficio anche i lavoratori esposti pensionati ante 1992.

Va considerato in questa stessa direzione che il beneficio in questione è stato già concesso a circa 150.000 lavoratori e che la quasi totalità degli stessi lavoratori non appartengono al settore amianto che “rischiavano di perdere il posto di lavoro”, come ha ritenuto dovesse essere la Corte Costituzionale nella sentenza del 434/2002. A Ravenna il beneficio è stato accordato in sede amministrativa e giudiziaria a qualche migliaio di lavoratori e nemmeno uno di questi lavoratori (portuali, chimici, metalmeccanici, delle centrali elettriche, degli zuccherifici; ecc.) ha mai rischiato di perdere il posto di lavoro; si tratta infatti di lavoratori che dopo l’abolizione dell’uso dell’amianto hanno continuato ad operare in settori dove l’amianto è stato sostituito con altre sostanze (continuando perciò a produrre prodotti chimici, zucchero, elettricità, a scaricare sacchi e merci presso il porto, ecc.); e non avevano perciò bisogno di essere agevolati ad alcun esodo.

10. Tutt’altro; gli stessi lavoratori hanno dovuto semmai difendersi dalle pretese dell’imprese di tenerli al lavoro, come conferma anche l’art.18, 8° comma della legge 31.7.2002 n.179 sulle certificazioni Inail, che ha riconosciuto validità alle certificazioni amministrative emesse sulla base dei tavoli tecnici del ministero; com’è noto la finalità di questa legge (che, caso più unico che raro, ha riconosciuto per la legge la validità di atti amministrativi) è stata quella di far cessare le opposizioni e le resistenze che le imprese avevano frapposto sotto vari aspetti contro i provvedimenti ministeriali (atti d’indirizzo sulla cui base venivano emesse le certificazioni INAIL)  impugnandoli davanti al Tar Lazio e al Consiglio di Stato,   proprio allo scopo di impedire che i lavoratori potessero  lasciare il posto di lavoro con il conseguimento dei benefici previdenziali.

Alla base di questo provvedimento di legge allora non vi è dunque alcuna “difficoltà di mantenere il posto di lavoro o di trovarne un altro”. Al contrario, i lavoratori volevano abbandonare il posto, mentre le imprese volevano tenerli al lavoro e hanno promosso addirittura delle cause per cercare di trattenerli quanto più a lungo possibile al lavoro.

Si tratta perciò di una ratio esattamente opposta a quella che si è sempre supposta come esistente a fondamento dell’art.13 della legge 257/1992, e nonostante le esplicite modifiche introdotte nel corpo originario di questa disposizione, con apposito emendamento introdotto alla Camera dei Deputati in sede di conversione del decreto legge 169/93, con la legge 271/93 che ha eliminato quella parte della norma che delimitava la platea dei destinatari in relazione all’appartenenza dell’impresa al c.d. settore amianto; e su cui fanno fede i lavori parlamentari (vedi resoconto della seduta della Camera dei Deputati 12-14.7.1993, i quali attestano come gli emendamenti, appositamente introdotti dalla Camera ed illustrati dal relatore on. Morgando, fossero intesi – senza alcuna esitazione -  a “far sì che per tutti i lavoratori che siano stati esposti all’amianto per un periodo superiore a dieci anni l’intero periodo lavorativo soggetto ad assicurazione obbligatoria sia moltiplicato per il coefficiente di 1,5”). Di più risulta dai lavori preparatori che tutti i deputati intervenuti nel dibattito hanno attribuito lo stesso significato alla norma, richiamando il grave rischio alla salute che hanno corso i lavoratori; rammaricandosi piuttosto del limite di dieci anni; ricordando che la sostanza non ha limite di soglia; richiamando tutte le malattie asbesto correlate; ripromettendosi di intervenire in favore di altre lavorazioni usuranti; senza mai sostenere che il beneficio fosse esclusivamente limitato ai soli lavoratori in difficoltà occupazionali ovvero appartenenti  a specifiche aree merceologiche .

Proprio per impedire che si realizzasse questo risultato il legislatore è perciò intervenuto più volte; per affermare sempre che tutti i lavoratori esposti all’amianto, seppur non aventi difficoltà occupazionale, avessero comunque diritto alla rivalutazione contributiva per l’amianto (legge 271/1993); e per affermare che le certificazioni loro rilasciate dall’INAIL dovessero considerarsi valide quale che fosse il settore di riferimento, nonostante le imprese si opponessero al turn over dei lavoratori interessati ( legge179/1992).

11. Di più vi è che oggi la medesima logica compensativa è stata posta alla base della nuova normativa introdotta con la legge 326/2003 (di conversione dell’art. 47 del decreto legge 30.9.2003 n. 269); normativa   che, come già detto, vale solo dall’1.10.2003 per esposti ultradecennali e non per lavoratori ammalati; ma che nondimeno occorre pur tener presente nella prospettiva di una coerente ricostruzione sistematica, sopratutto quando si ragiona attorno alla ratio di una normativa di favore come questa (e tanto più perché la giurisprudenza qui criticata ha sempre accomunato le due discipline sotto una medesima ratio) .

Ebbene nella nuova normativa è espressamente detto che il beneficio previdenziale in questione non serva per il conseguimento  della pensione ma ai soli fini dell’importo della pensione, per concedere un aumento della pensione. La nuova normativa stabilisce infatti che il beneficio della rivalutazione contributiva di cui all’art. 13, 8° comma a decorrere dal 1° ottobre 2003 “si applica ai soli fini della determinazione  dell’importo delle prestazioni pensionistiche e non della maturazione del diritto di accesso alle medesime”; con ciò riconoscendo che lo stesso beneficio possiede (quantomeno) una co-essenziale finalità di natura compensativa risarcitoria e non già la esclusiva finalità di incentivare l’esodo o di rimediare a crisi occupazionali o di allontanare qualcuno da un pericolo già consumato; tant’è che sulla scorta della stessa normativa viene congelato l’effetto dei contributi maturati in virtù dell’esposizione ai fini dell’accesso a pensione; e diventa necessario per il lavoratore rimanere in servizio, ancora, a tutt’oggi, fino a quando non maturi autonomamente i prescritti requisiti di anzianità contributiva (oltre che anagrafica) per accedere al pensionamento di anzianità o di vecchiaia; e poter utilizzare poi i benefici amianto ed ai soli fini della misura della prestazione.  

Anche la nuova normativa conferma perciò che tutti i lavoratori che siano stati riconosciuti esposti all’amianto possano ottenere il beneficio ai soli fini dell’incremento della prestazione pensionistica, senza che vi siano ostacoli di sorta in ragione del loro status di pensionati al momento dell’entrata in vigore della normativa.

Non vi è alcun criterio logico e di giustizia che consenta oggi di poter distinguere i lavoratori che siano andati in pensione dopo il decreto legge 269/2003, da tutti quelli che siano andati in pensione in precedenza (ivi compresi quelli andati in pensione ante l. 257/92), dal momento che ciascuno di essi potrebbe godere dell’aumento contributivo “ai fini della determinazione  dell’importo delle prestazioni pensionistiche” disposto con la nuova norma ed avendo tutti costoro corso lo stesso rischio essenzialmente nel passato, prima dell’entrata in vigore della normativa . Sicché non ha nessuna giustificazione razionale e logica ai sensi dell’art. 3, 1° comma  Cost. voler continuare a negare la medesima rivalutazione contributiva di cui all’art.13, comma 7 a chi fosse andato in pensione prima della legge 257/1992, come al ricorrente in questo giudizio.

12. E’ evidente infatti che ciò rappresenterebbe una grave sperequazione anche in considerazione del fatto che tutta la giurisprudenza (di merito, di legittimità, ed anche costituzionale) quando si riferisce ai lavoratori esposti in attività ha sempre, in maniera unanime, affermato la natura compensativa del beneficio. In tali termini si è sempre espressa la Corte di Cassazione fin dalla sentenza 4913/2001.

E la stessa Corte Costituzionale ha riconosciuto in almeno due occasioni la stessa ratio compensativa come fondativa del beneficio in discorso; e ciò sia con la sentenza del 12.1.2000 n. 5 in materia di determinatezza della fattispecie; e poi con la sentenza del 22 aprile 2002, n. 127 in materia di lavoratori addetti alla Ferrovie dello Stato.

Proprio all’interno della sentenza n.127/2002 ( pronunciata solo pochi mesi prima della sentenza 434/2002) la Corte Costituzionale si era soffermata sul significato e sulla portata della precedente sentenza n. 5 del 2000; ed  aveva ribadito quanto osservato nella prima sentenza, ovvero "che la norma censurata - nel testo risultante dalla soppressione (operata in sede di conversione in legge del decreto-legge n. 169 del 1993) della locuzione «dipendenti dalle imprese che estraggono amianto o utilizzano amianto come materia prima, anche se in corso di dismissione o sottoposte a procedure fallimentari o fallite o dismesse» - conferisce essenziale rilievo, ai fini dell’applicazione del beneficio previdenziale, all’assoggettamento dei lavoratori alla assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali derivanti dall’amianto, escludendo, al tempo stesso, ogni selezione che possa derivare dal riferimento alla tipologia dell’attività produttiva del datore di lavoro".

Sicché la stessa Corte Costituzionale osservava che “ Coerentemente con tale conclusione, che trova conferma proprio nelle vicende normative che hanno preceduto l’approvazione del testo attuale del comma 8 dell’art. 13, lo scopo della disposizione medesima è stato rinvenuto nella finalità di offrire, ai lavoratori esposti all’amianto per un apprezzabile periodo di tempo (almeno 10 anni), un beneficio correlato alla possibile incidenza invalidante di lavorazioni che, in qualche modo, presentano potenzialità morbigene».

13. Va poi considerato che nella sentenza n.434 del 31 ottobre 2002, con cui ha negato l’applicazione del beneficio ai pensionati, la Corte Costituzionale ha sostenuto di non aver mai riconosciuto il carattere compensativo del beneficio: “Né è vero che questa Corte, nella sentenza n.5 del 2000, abbia affermato il carattere risarcitorio del beneficio in esame escludendo che esso abbia invece la principale funzione di permettere ai lavoratori coinvolti nel processo di dismissione delle lavorazioni comportanti l’uso dell’amianto di ottenere il diritto alla pensione”.

Su questo rilievo però è sufficiente richiamare le parole  della stessa Corte Costituzionale dell’11 aprile 2002 n. 127 allorché, proprio a proposito dell’ambito di applicazione soggettivo della norma, osservava come esistano “plurimi elementi esegetici, i quali portano a ritenere che essa sia volta a tutelare, in linea generale, tutti i lavoratori esposti all’amianto, in presenza, beninteso, dei presupposti fissati dalla disposizione stessa, secondo quanto evidenziato dalla già ricordata sentenza di questa Corte n. 5 del 2000. Presupposti richiesti proprio perché la legge n. 271 del 1993 ha voluto tener conto della capacità dell’amianto di produrre danni sull’organismo in relazione al tempo di esposizione, sì da attribuire il beneficio della maggiorazione dell’anzianità contributiva in funzione compensativa dell’obiettiva pericolosità dell’attività lavorativa svolta.”

Del resto che quello sopraindicato fosse il reale contenuto delle sentenze rese nella materia dalla Corte Cost. non era stato affermato solo da qualche giudice di merito; bensì dopo la sentenza n. 5/2000 della Corte Cost. da tutta la giurisprudenza di legittimità, all’unanimità.  A partire da Cass.4913/2001 che, proprio a proposito dell’avvenuta modifica della norma e dell’allargamento del beneficio oltre il settore amianto, evidenziava come nel corso del dibattito parlamentare si “segui una soluzione che, tenendo conto della capacità di produrre danni in relazione al tempo di esposizione, consente una maggiorazione dell’anzianità contributiva per tutti i dipendenti che siano stati esposti all’amianto per più di dieci anni”. Sicché individuava la ratio dell’attribuzione del beneficio in chiave di  “attuazione dei principi di solidarietà di cui è espressione l’art.38 Cost. – in funzione compensativa dell’obiettiva pericolosità dell’attività lavorativa spiegata”.

E di analogo tenore sono state le tesi espresse da Cassazione 2926/2002; 10979/2002; 10114/2002; 7048/2002. Quest’ultima sentenza in particolare nota :“ questa Corte ha avuto modo di chiarire, attraverso decisioni adottate in epoca successiva alla pronuncia 12 gennaio 2000, n. 5 della Corte costituzionale, dichiarativa della non fondatezza delle questioni di costituzionalità della norma in oggetto, sollevate in riferimento agli art. 3 e 81 Cost., che la eliminazione, ad opera della legge di conversione n. 271 del 1993, del riferimento - contenuto sia nel testo originario del comma 8 dell'art. 13, sia in quello sostituito dal d.l. n. 169 del 1993 - ai "dipendenti delle imprese che estraggono amianto o utilizzano amianto come materia prima, anche se in corso di dismissione o sottoposte a procedure fallimentari o fallite o dismesse" sia significativa dell'intento del legislatore di evitare ogni selezione soggettiva che possa derivare dal riferimento alla tipologia dell'attività produttiva del datore di lavoro e di attribuire, piuttosto, centralità all'avvenuta ultradecennale adibizione del lavoratore ad attività soggette all'assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali derivanti dall'amianto”.

Tant’è che la stessa Cass. 7048/2002 conclude esplicitamente : “Destinatari della disposizione in esame non sono, dunque, i lavoratori che abbiano perso - o siano esposti al rischio di perdere - il posto di lavoro di conseguenza della soppressione delle lavorazioni dell'amianto, bensì, come si è detto, i lavoratori, quale che sia l'attività produttiva dell'Impresa datrice di lavoro, che abbiano subito una esposizione "qualificata" all'amianto”.

14. Tutto ciò va ricordato in quanto non è possibile ammettere sul piano costituzionale che una stessa normativa, quando è riferita ai lavoratori in attività, venga interpretata ed applicata in sede amministrativa e giurisdizionale come confermativa di una ratio di natura compensativa; mentre, quando viene applicata ai lavoratori pensionati ante l. 257/1992, venga interpretata come espressione di una ratio diversa ed opposta, tale da negare l’attribuzione del benefico che applicando la prima ratio dovrebbe essere invece riconosciuto anche ai pensionati.

 

P.Q.M.

 

Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di costituzionalità dell’art.13,comma 7° della legge 257/92 (come modificato dalla legge 271/93) in relazione agli artt. 3,1° comma e 2 della Costituzione, nella parte in cui nega che spetti l’erogazione del beneficio della rivalutazione contributiva ai lavoratori affetti da malattia cagionata da esposizione all’amianto che si trovassero in pensione al momento dell’entrata in vigore della legge 257/1992 (28.4.1992).

Dispone l’immediata trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale e la sospensione del giudizio in corso.

Manda alla cancelleria di notificare la presente ordinanza al Presidente del Consiglio dei Ministri e di darne comunicazione al Presidente del Senato e al Presidente della Camera ed alle parti del presente giudizio.

 

Ravenna 10.7.2007

Il giudice

dott. Roberto Riverso

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