Tutela delle condizioni di
lavoro - Assicurazione per gli infortuni sul lavoro e per le malattie
professionali - Circ. n. 71/2003 dell’Inail sulla cd. “costrittività
organizzativa” o mobbing – Annullamento per considerazione di fatto del
mobbing come “malattia tabellata”, con sottrazione del lavoratore all’onere
probatorio del nesso eziologico tra disfunzione organizzativa e patologia
indennizzabile.
Ferma sempre la
possibilità d’integrare le tabelle delle patologie con le modalità ex
articolo 10 del D.Lgs 23/2000, una malattia non “tabellata” non può esser
legittimamente trattata dall’INAIL come se godesse di detta presunzione
relativa. Non può infatti l’ente invertire sua sponte e discrezionalmente
l’onere della prova spettante al prestatore d’opera in ordine al nesso
eziologico, ma si deve limitare ad indicare soltanto gli elementi essenziali
della patologia in base a definizioni scientifiche serie e rigorose. Ciò non
è accaduto nella specie, ché l’impugnata circolare non si limita ad offrire
agli uffici destinatari solo un complesso di elementi identificativi del
mobbing
¾
quali, p.es., un elenco esemplificativo di condotte illecite, o no¾,
per meglio uniformarne la capacità d’accertamento e guidarne il
discernimento, ma fa di più. Essa indica l’obbligo d’accertare i presupposti
oggettivi della c.d. costrittività organizzativa, non solo per riscontrare
quanto dichiari l’interessato, ma soprattutto per integrare gli elementi
probatori recati da costui in ordine all’esistenza delle condizioni indicate
quali forme di siffatta costrittività. Indica altresì che, ferma la
rimessione al medico legale della valutazione della malattia psichica da
costrittività organizzativa, la patologia in tanto è indennizzabile dall’Inail
in quanto sia esclusivamente riconducibile alla sindrome da disadattamento
cronico o a quella post-traumatica o da stress cronico. Indica infine che la
trattazione delle pratiche di mobbing
sia effettuata a livello locale e non, come prima, presso la Direzione
generale dell’ente. Non è allora chi non veda come l’approccio dell’ente
alle vicende di mobbing
segue la struttura logica dell’accertamento delle
malattie cd. “tabellate”.
REPVBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
il
Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sede di Roma, sez. 3°-ter,
composto dai signori Magistrati
Francesco CORSARO, Presidente,
Silvestro Maria RUSSO, Consigliere,
relatore,
Stefano FANTINI, Primo Referendario,
ha
pronunciato la seguente
SENTENZA
SUI RICORSI RIUNITI
n. 2532/2004 e n. 9497/2004, entrambi
proposti dalla CONFEDERAZIONE GENERALE DELL'INDUSTRIA ITALIANA –
CONFINDUSTRIA, dalla CONFEDERAZIONE GENERALE DELL’AGRICOLTURA ITALIANA
– CONFAGRICOLTURA e dall’ASSOCIAZIONE BANCARIA ITALIANA – ABI, con
sedi in Roma, dalla BANCA NAZIONALE DEL LAVORO – BNL s.p.a. e dalla
NORTEL NETWORKS s.p.a., correnti in Roma, in persona dei rispettivi legali
rappresentanti pro tempore, nonché dal sig. C.S., n.q. di titolare
dell’omonima impresa agricola con sede in Cirò (KR), tutti
rappresentati e difesi dal prof. Luciano SPAGNUOLO VIGORITA e dagli
avvocati Marialucrezia TURCO e Maria Alessandra BAZZANI ed elettivamente
domiciliati in Roma, alla via delle Botteghe Oscure n. 4, CONTRO
-
l’ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE CONTRO GLI INFORTUNI SUL
LAVORO – INAIL, in persona del Presidente pro tempore, rappresentato e
difeso dal prof. Mario SANINO e dagli avvocati Luigi
LA PECCERELLA
e Luciana ROMEO ed elettivamente domiciliato in Roma, alla via IV Novembre
n. 144 e
-
il MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI, in persona del sig.
Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ope legis dall’Avvocatura
generale dello Stato, domiciliataria,
PER
L’ANNULLAMENTO
A)
– quanto al ricorso n.
2532/2004, della circolare INAIL n. 71 del 17 dicembre 2003, avente ad
oggetto i disturbi psichici da costrittività organizzativa sul lavoro, il
relativo rischio e diagnosi di malattia professionale, nonché le modalità
di trattamento delle relative pratiche; B) – e, quanto al ricorso n.
9497/2004, del DM 27 aprile 2004 (in G.U. n. 139 del 10 giugno 2004),
recante l’elenco delle malattie per cui è obbligatoria la denuncia ex
art. 139 del DPR 30 giugno 1965 n. 1124, nella parte in cui inserisce
nella lista II) il gruppo 7) «Malattie psichiche e psicosomatiche da
disfunzioni dell’organizzazione del lavoro»;
Visti
i ricorsi con i relativi allegati;
Visto
l'atto di costituzione in giudizio delle Amministrazioni intimate; Visti
gli atti tutti della causa;
Relatore
all'udienza pubblica del 5 maggio 2005 il Cons. dott. Silvestro Maria
RUSSO e uditi altresì, per le parti, i proff. SPAGNUOLO VIGORITA e
SANINO, gli avvocati
LA PECCERELLA
e BAZZANI e l'Avvocato dello Stato
BRUNI;
Ritenuto
in fatto e considerato in diritto quanto segue:
FATTO
La
CONFINDUSTRIA
e consorti assumono
d'essere alcune tra le più importanti associazioni dei datori di lavoro
dell'impresa italiana e, rispettivamente, imprenditori dei settori
industriale, commerciale ed agricolo.
La
CONFINDUSTRIA
e consorti
dichiarano altresì che l'INAIL, con la circolare n. 71 del 17 dicembre
2003, ha
inteso regolare l'approccio dei propri organismi accertatori ai disturbi
psichici da costrittività organizzativa sul lavoro (il c.d. mobbing) ed
al relativo rischio e diagnosi di queste come malattia professionale,
stabilendo inoltre le modalità di trattamento delle relative pratiche. A
detta della CONFINDUSTRIA e consorti detta circolare, aldilà del suo nomen juris, non farebbe che
dettare prescrizioni sulla definizione e la
diagnosi del mobbing, di fatto elevandolo a vera e propria malattia
professionale tipizzata. Sicché essa esulerebbe dalla natura meramente
ricognitiva ed esplicativa propria delle circolari, assumendo statuizioni
conformative, ad effetto immediato, nei confronti dei poteri degli
ispettori dell'ente medesimo e contro la sfera giuridica degli
imprenditori, così da renderla immediatamente impugnabile.
Avverso
detta circolare, quindi,
la CONFINDUSTRIA
e consorti si gravano innanzi a questo Giudice con il ricorso n.
2532/2004, deducendo svariati profili di censura. Resiste in giudizio
l'intimato INAIL, il quale l'inammissibilità e l'infondatezza della
pretesa attorea.
Nelle more del predetto giudizio, il Ministro del lavoro e
delle politiche sociali ha emanato il DM 27 aprile 2004 (in G.U. n. 139
del 10 giugno 2004), recante l'elenco delle malattie per cui è
obbligatoria la denuncia ex art. 139 del DPR 30 giugno 1965 n. 1124. AI
riguardo, nella lista II) al gruppo 7) sono contemplate le «Malattie
psichiche e psicosomatiche da disfunzioni dell'organizzazione del lavoro»,
ossia quelle generatrici del mobbing di cui alla circ. INAIL n. 71/2003,
pur se, a detta della CONFINDUSTRIA e consorti, non vi siano serie
evidenze scientifiche che ne giustifichino la presa in considerazione a'
sensi dell'art. 10 del Dlg 23 febbraio 2000 n. 38, ai fini
dell'aggiornamento dell'elenco delle malattie ex art. 139 del DPR
1124/1965. Pertanto,
la CONFINDUSTRIA
e consorti adiscono nuovamente, con il ricorso n. 9497/
2004 in
epigrafe, questo Giudice per l'annullamento di tal DM 27 aprile 2004,
nella parte in cui ha
disposto
l’inserimento delle predette malattie. S’è costituito nel presente
giudizio il Ministero intimato, il quale eccepisce articolatamente
l’infondatezza della pretesa attorea.
Tutte
le parti hanno ritualmente depositato documenti e memorie. All’udienza
pubblica del 5 maggio 2005, su conforme richiesta delle parti, i due
ricorsi in epigrafe sono congiuntamente assunti in decisione dal Collegio.
DIRITTO
1.
– Come già accennato in epigrafe e più diffusamente nelle premesse
in fatto,
la CONFINDUSTRIA
e consorti hanno promosso due distinti, ma sostanzialmente simili gravami,
intesi ad ottenere l’annullamento sia della circolare INAIL n. 71 del 17
dicembre 2003 - avente ad oggetto i disturbi psichici da costrittività
organizzativa sul lavoro (c.d. mobbing), il relativo rischio e diagnosi di
malattia professionale, nonché le modalità di trattamento delle relative
pratiche (ricorso n. 2532/2004) -, sia del DM 27 aprile 2004 (in G.U. n.
139 del 10 giugno 2004), laddove, nel formulare l’elenco delle malattie
per cui è obbligatoria la denuncia ex art. 139 del DPR 30 giugno 1965 n.
1124, v’ha inserito anche il gruppo delle «Malattie psichiche e
psicosomatiche da disfunzioni dell’organizzazione del lavoro» (ricorso
n. 9497/2004). Come si vede, in entrambi i casi, la res controversa
s’incentra sull’opposizione a che il c.d. mobbing, attraverso vari
mezzi, assurga a malattia tipizzata indennizzabile in assenza di
definizioni scientifiche certe.
2.
– Ciò posto, i due ricorsi in epigrafe, in ragione della sostanziale
identità d' oggetto e della loro connessione soggettiva, vanno riuniti e
contestualmente decisi con la presente sentenza.
3.1.
– Iniziando la disamina dal ricorso n. 2532/2004 in epigrafe, non sfugge
certo al Collegio che esso si rivolge avverso la circ. INAIL n. 71/2003,
ossia nei confronti d’un atto che, di per sé, non sarebbe idoneo o,
comunque, deputato a recare statuizioni ma, nella specie e ad onta del suo
nomen juris, esso in realtà tende alla modificazione dell’assetto delle
malattie indennizzabile, attraverso la considerazione ed il trattamento
del mobbing.
3.2.
– Va allora disattesa l’eccezione dell’ente intimato, che assume
la propria circ. n.
71 a
guisa di mero atto interno, destinato solo ad uniformare le prassi
amministrative degli uffici destinatari.
Ora,
tal circolare muove dalla considerazione che, tra le cause di malattie
professionali, occorra annoverare oggidì, «… secondo
un'interpretazione aderente all’ evoluzione delle forme di
organizzazione dei processi produttivi …», anche i fattori di nocività
legati all’«…organizzazione aziendale delle attività lavorative…
(che) … ricorrono esclusivamente in presenza di situazioni di
incongruenza delle scelte in ambito organizzativo…».
Fin
qui, reputa il Collegio, detta circolare non ha un effetto conformativo di
potestà accertatrici in capo agli uffici ispettivi dell’ente e,
correlativamente, delle soggette posizioni datoriali. Invero, aldilà
delle malattie c.d. “tabellate” a’sensi degli artt. 3 e 211 del DPR
1124/1965 - per le quali vige la presunzione relativa di derivazione
eziologica della patologia dall’attività lavorativa -, sono
indennizzabili pure le malattie professionali diverse da queste, ove ne
sia accertata con rigore la causa di lavoro. Da ciò il Collegio ben può
dedurre che, ferma sempre la possibilità d'integrare le tabelle delle
patologie con le modalità ex art. 10 del Dlg 23 febbraio 2000 n. 23, una
malattia non “tabellata” non può esser legittimamente trattata
dall’INAIL come se godesse di detta presunzione relativa. Non può
infatti l’ente invertire sua sponte e discrezionalmente l’onere della
prova spettante al prestatore d’opera in ordine al nesso eziologico, ma
si deve limitare ad indicare soltanto gli elementi essenziali della
patologia in base a definizioni scientifiche serie e rigorose.
Ciò
non è accaduto nella specie, ché l’impugnata circolare non si limita
ad offrire agli uffici destinatari solo un complesso di elementi
identificativi del mobbing - quali, p.es., un elenco esemplificativo di
condotte illecite, o no -, per meglio uniformarne la capacità
d'accertamento e guidarne il discernimento, ma fa di più. Essa indica
l’obbligo d'accertare i presupposti oggettivi della c.d. costrittività
organizzativa, non solo per riscontrare quanto dichiari l’interessato,
ma soprattutto per integrare gli elementi probatori recati da costui in
ordine all’esistenza delle condizioni indicate quali forme di siffatta
costrittività. Indica altresì che, ferma la rimessione al medico legale
della valutazione della malattia psichica da costrittività organizzativa,
la patologia in tanto è indennizzabile dall’INAIL in quanto sia
esclusivamente riconducibile alla sindrome da disadattamento cronico o a
quella post-traumatica o da stress cronico. Indica infine che la
trattazione delle pratiche di mobbing sia effettuata a livello locale e
non, come prima, presso
la Direzione
generale dell’ente.
Non è allora chi non veda come
l’approccio dell’ente alle vicende di mobbing segue la struttura
logica dell'accertamento delle malattie c.d. “tabellate”. L'impugnata
circolare individua un complesso di determinati e specifici fattori di
nocività già di per sé soli atti ad indurre malattie psichiche o
psicosomatiche ed un elenco di queste ultime che ritiene che possano
derivare dai tali fattori, peraltro senza che sul punto vi sia quell'effettivamente
consolidata e seria letteratura che deve sussistere per supportare tale
relazione biunivoca. Indizio di ciò si rinviene proprio in quella parte
della circolare che s’occupa delle modalità di trattazione delle
pratiche. laddove approfondisce le questioni sull’accertamento della
sussistenza dei fattori di nocività e sulla diagnostica delle patologie
che da questi potrebbero derivare, senza, però, nulla dire sul nesso di
causalità, invece sempre necessario ed il cui onere probatorio è e resta
addossato in capo al solo lavoratore. Rettamente allora i ricorrenti
stigmatizzano queste assenze, le quali non son certo la denuncia d’un
eventuale e mero errore in un’altrimenti anodina interpretazione
propugnata dall'impugnata circolare, tale, in fondo, da non aver grande
eco e da soccombere nel confronto con la giurisprudenza. Tali assenze non
sono che il tentativo dell’ente, al fine d’eludere la questione del
nesso di causalità, di tralasciare la complessità della dimostrazione
dell’origine lavorativa di alcune patologie ad origine multifattoriale -
quali quelle riscontrabili in genere nei casi di mobbing -, per
concentrarsi su quei soli comportamenti la cui capacità di produrre
malattie psichiche sia, con alta probabilità, oggettivamente univoca e,
quindi, facilmente deducibile in presunzione.
3.3.
– Assodato, quindi, che l’impugnata circolare non è che un vero e
proprio provvedimento mirante ad integrare surrettiziamente il complesso
delle malattie c.d. “tabellate”, essa viola palam et aperte l’art.
10, c. 1 del Dlg 38/2000, nella misura in cui siffatta integrazione deriva
non già dal rigoroso accertamento da parte della Commissione scientifica
per l’elaborazione e la revisione periodica delle tabelle ex artt. 3 e
211 del DPR 1124/1965, né tampoco dall’espressa volizione dei Ministeri
a ciò competenti, bensì da un comitato interno all’ente e senza le
garanzie, pure partecipative, recate dal citato Dlg 38/2000.
In
secondo luogo, detta circolare è stata emessa senza tener conto delle
direttive all’uopo emanate dal Comitato d’indirizzo e vigilanza –
CIV dell’ente in data 20/ 26 novembre 2001, segnatamente nella parte in
cui quest’ultimo incaricò gli organi di gestione d’integrare il
predetto comitato con medici di fiducia delle parti sociali e di svolgere
uno studio e l’esame sugli orientamenti della giurisprudenza sulla
complessa tematica del mobbing, come si vede del tutto disattesi nella
procedura di formazione e nel contenuto stesso della circolare medesima.
Viceversa,
non pare al Collegio significativa la censura attorea sulla circostanza
che la tematica del mobbing sia attualmente all’esame degli organi
dell’Unione europea ai fini d’una regolamentazione comune, essendo ciò
inopponibile alla volontà dei singoli Stati membri che, nelle more,
intendano provvedervi, senza che ciò impedisca il giudizio di
compatibilità tra la norma nazionale e l’eventualmente difforme norma
europea.
Se non può il Collegio seguire
l’assunto attoreo in ordine all’opportunità o meno dell’emanazione
in sé dell’impugnata circolare -perché ciò si risolve
essenzialmente in una censura di merito-, si deve invece condividere il
motivo d’impugnazione che contesta il contenuto dell’interpretazione
evolutiva colà propugnata. Invero, ad una serena lettura della circolare
e, in particolare, della parte relativa alla necessità d’adeguarsi alle
nuove forme d’organizzazione dei processi produttivi, questa si basa su
un’erronea lettura del sistema c.d. “misto” della tutela del
lavoratore dagli infortuni sul lavoro e dalle malattie professionali.
Detto sistema, per vero, si basa sì sull’indennizzo sia delle malattie
c.d. “tabellate”, sia delle patologie non predefinite, ma solo nel
senso che la malattia professionale è indennizzata, indipendentemente
dalla sua inclusione nelle tabelle allegate al DPR 1124/1965, se ne sia
accertata la sua derivazione causale dall’esercizio d’una delle
lavorazioni di cui al precedente art. 1. Non v’è, quindi, indennizzo se
non per il rischio lavorativo specifico, onde non basta affermare la
rilevanza in sé delle malattie non “tabellate”, occorrendo verificare
se esse diano luogo all’esposizione del lavoratore ad una specifica
lavorazione morbigena, ossia assunta come in sé pericolosa direttamente
dal legislatore. Il limite legislativo dell’assicurazione sociale contro
gli infortuni sul lavoro si base, come rettamente affermano i ricorrenti,
proprio sull’equilibrio tra requisiti soggettivi ed oggettivi ai fini
della concessione dell’indennizzo, senza possibilità di forzature,
quale quella rinvenibile nel contenuto dell’impugnata circolare, del
sistema c.d. misto dell’ assicurazione contro gli infortuni del lavoro.
Parimenti
da accogliere è la censura attorea sull’irrigidimento della definizione
di costrittività organizzativa, quale pratica morbigena indennizzabile,
in assenza non solo di un'esatta definizione normativa della stessa e di
univoci indirizzi della giurisprudenza, ma soprattutto del doveroso
approfondimento scientifico-medico al riguardo. Osserva invero il
Collegio, con ciò condividendo la censura attorea sul punto, che non è
legittimo, né possibile ricondurre tutte le dinamiche delle relazioni di
lavoro all’interno di un’impresa alla c.d. “costrittività
organizzativa”, giacché essa non è certo la garanzia del “diritto”
del lavoratore ad operare in un ambiente professionale asettico, irenico
o, comunque, cordiale, al più potendosi pretendere comportamenti di buona
fede da tutte le parti del rapporto di lavoro, indipendentemente, quindi,
dai dati caratteriali dei singoli attori di quest’ultimo. Osserva altresì
il Collegio che l’impugnata circolare tende a confondere, attraverso il
predetto irrigidimento definitorio, il mobbing quale fonte di risarcimento
con vicende illecite che già l'ordinamento reprime a favore della dignità
del lavoratore, in particolare in base all’art. 2708 c.c. ed all’art.
9 St
. lavor., nonché contro le condotte discriminatorie, di cui al successivo
art. 15, I c., lett. b).
Si
può forse discettare se la trattazione accentrata delle vicende inerenti
alla c. d. costrittività organizzativa s’appalesi più opportuna e più
efficace, rispetto a quella, oggidì posta dall’impugnata circolare,
decentrata a livello locale. La questione è un’ altra: a fronte di
un’ampia messe di disposizioni interne dello stesso INAIL concludenti
per la miglior efficacia della trattazione accentrata, non basta mutar
parere per non incappare nel vizio di contraddittorietà, quando, essendo
immutato il quadro normativo e scientifico di riferimento in cui la
precedente prassi si formò, non si fornisca seria ed ampia contezza circa
le ragioni obbiettive della trattazione locale delle medesime questioni.
4.
– Ad una radicalmente diversa conclusione deve il Collegio pervenire per
ciò che attiene all’impugnazione spiegata con il ricorso n. 9497/2004
in epigrafe.
Reputa il Collegio far presente
anzitutto che, a’ sensi dell’art. 139 del DPR 1124 /1965, è
obbligatoria per ogni medico, che riconosca l’esistenza, la denuncia
delle malattie professionali, come indicate nell’elenco approvato con
decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con
il Ministro della salute. Ora, in virtù dell'art. 10, c. 3 del Dlg
38/2000, l'elenco ex art. 139 può contenere anche liste di malattie di
probabile o di possibile origine lavorativa, da tenere sotto osservazione
ai fini della revisione delle tabelle di cui agli artt. 3 e 211 dello
stesso DPR 1124/ 1965. La lista II) dell'impugnato DM 27 aprile 2004,
emanato in forza dell'art. 10 del Dlg 38/2000, indica le malattie
psichiche o psicosomatiche da costrittività organizzativa tra quelle a
limitata probabilità d'origine lavorativa. Ebbene, è di tutt'evidenza
che detto DM non solo non legittima a posteriori la circ. INAIL n. 71/2003
giacché esso riguarda solo i casi ex art. 139 del DPR 1124/1965 e non
consente certo l'indennizzo automatico per i casi di mobbing contemplati,
né tampoco in via generale ; ma soprattutto non ha altra funzione che
quella della raccolta del dato epidemiologico, per verificare l'eventuale
modificazione o integrazione di tali tabelle.
D'altronde,
la circostanza che le malattie de quibus siano state indicate tra quelle a
bassa probabilità, ben lungi dall'appalesarsi un intervento inopportuno o
intempestivo, in realtà attua nella specie il principio di precauzione in
una vicenda, quale quella del mobbing, ove l'assenza di norme nazionali
definite, la complessità degli accertamenti e fattuali e la probabile
regolazione da parte dell'UE devono indurre a trattare i casi patologici
emergenti con estrema prudenza e con i dovuti serietà e rigore
d'approccio.
5.
- In definitiva, i due gravami in epigrafe vanno accolto l'uno e rigettato
l'altro, ma la novità della questione e giusti motivi suggeriscono
l'integrale compensazione, tra tutte le parti, delle spese del presente
giudizio.
P.Q.M.
il Tribunale amministrativo
regionale del Lazio, sede di Roma, sez. 3°-ter, così dispone:
A) - riunisce i due ricorsi in
epigrafe;
B) - accoglie il ricorso n.
2532/2004 in epigrafe e per l'effetto annulla, per quanto di ragione e nei
sensi di cui in motivazione, l'impugnata circolare INAIL n. 71/2003,
meglio indicata in premessa;
C) - respinge il ricorso n.
9497/2004 in epigrafe;
D) - dispone l'integrale
compensazione inter partes delle sperse di giudizio.
Ordina
all'Autorità amministrativa d'eseguire la presente sentenza.