UNA SENTENZA ESEMPLARE IN TEMA DI MOBBING
CORTE
D'APPELLO DI TORINO, SEZIONE LAVORO, 25 ottobre 2004
– Pres. Peyron – Rel. Fierro – APOSTOLO Gaetano (avv. Berti) c. SANPAOLO
IMI SpA (avv. Borsotti, Bonamico, Maresca)
Mobbing
del dirigente di banca – Fattispecie.
La corte ritiene che la fattispecie oggetto di giudizio non
possa essere ricondotta nel ristretto ambito del demansionamento essendo in essa
presenti i connotati caratteristici del mobbing ed in particolare la
realizzazione sistematica di comportamenti vessatori reiterati nel tempo e la
unitaria ed intenzionale finalizzazione dei vari comportamenti allo svilimento
della professionalità dell'Apostolo ed alla mortificazione della sua dignità
di lavoratore.
I precedenti giurisprudenziali in tema di mobbing sono
sostanzialmente concordi nel ritenere indispensabile la
concorrenza di due elementi e
precisamente quello della reiterazione e della sistematicità delle condotte, e
l'intenzionalità delle stesse, elementi entrambi ricorrenti nel caso di specie.
Quanto poi alle condotte che possono essere sintomatiche del mobbing quella
statisticamente più diffusa è certamente rappresentata dal demansionamento ma
esistono altri comportamenti che singolarmente considerati non sono illegittimi
ma se collocati all'interno di un progetto unitario di denigrazione e
mortificazione della dignità del lavoratore rappresentano le tappe di
realizzazione del mobbing. Alcune utili indicazioni per l'individuazione delle
condotte mobbizzanti possono essere desunte dalla circolare Inail del 17 dicembre
2003 che ha considerato, quali possibili cause lavorative di insorgenza di
malattie psichiche, le situazioni di incongruenza delle scelte in ambito
organizzativo, situazioni definibili con l'espressione "costrittività
organizzativa" e tra queste ha esemplificativamente indicato la
marginalizzazione dell'attività lavorativa, lo svuotamento delle mansioni, la
mancata assegnazione dei compiti lavorativi con inattività forzata, la mancata
assegnazione degli strumenti di lavoro . Ritiene la corte che l'Apostolo, oltre
ad essere stato demansionato in modo plateale, sia stato anche vittima di un
progetto di marginalizzazione realizzatosi attraverso tutti i comportamenti
prima descritti che singolarmente considerati possono anche essere privi di
antigiuridicità ma valutati nel loro insieme rendono evidente la volontà
persecutoria in suo danno.
Il declino nella considerazione della
banca della professionalità dell'Apostolo è stato progressivo, costante ed
inesorabile: è iniziato con l'arrivo di Firpo e Pagliaro nell'ottobre 99, si è
immediatamente manifestato con la sottrazione della segreteria operativa e della
funzione di gestione dei beni artistici, si è consolidato e protratto nel tempo
con la denigrazione delle sue capacità fino ad allora mai messe in discussione
(ed è importante ricordare che il rapporto di lavoro era sorto nel 1966), si è
raffinato nell'attribuzione di compiti in apparenza importanti (studio di
progetti di riorganizzazione) ma in realtà per lui inesistenti in quanto
contemporaneamente attribuiti ad altri e si è concluso nel giugno 2000 con la
sua sostanziale estromissione dal contesto lavorativo, con l'assegnazione di
mansioni inesistenti e la privazione di tutto il personale dipendente. Deve
quindi essere affermata la responsabilità dell'azienda per violazione dell'art.
2087 c.c. in relazione ai danni subiti
dall'appellante a causa delle
condotte vessatorie nei suoi confronti realizzate.
Con
sentenza 8/21.3.2003 il tribunale di Torino condannava la s.p.a. San Paolo IMI a
pagare ad Apostolo Gaetano euro 16.058,00 a titolo di risarcimento dei danni
subiti per il demansionamento subito da giugno 2000 ed a rimborsare euro 160,00
e metà delle spese di lite.
Con
ricorso depositato il 23.9.2003 Apostolo Gaetano ha proposto appello chiedendo
l'accoglimento delle conclusioni in epigrafe trascritte.
Si
è costituita l'appellata chiedendo il rigetto del ricorso e proponendo appello
incidentale per ottenere la riforma del capo di sentenza contenente la condanna
al risarcimento dei danni da demansionamento.
All'udienza
del 12.10.2004 la causa è stata discussa e decisa con la lettura del
dispositivo.
Il
primo giudice ha condannato la società San Paolo Imi al risarcimento dei soli
danni subiti dall'Apostolo a causa del demansionamento in suo danno realizzato
nel giugno 2000 ed ha respinto la domanda volta ad ottenere il risarcimento dei
danni subiti a causa del comportamento asseritamente mobbizzante tenuto
dall'azienda nel periodo precedente sulla scorta delle seguenti argomentazioni:
-
la descrizione delle mansioni svolte dall'Apostolo fino al
giugno 2000 offerta
dal teste Firpo è attendibile perché
coerente con le
altre testimonianze;
-
la sottrazione alla disponibilità dell'Apostolo della
segreteria
operativa è giustificata dalla riorganizzazione
realizzata tramite
l'accorpamento delle due funzioni del
facility e del
property management ed è una decisione
imprenditoriale non
sindacabile dal giudice;
-
la circostanza che lo spostamento della segreteria non sia
stato previamente
comunicato all'Apostolo è riconducibile
alla difficoltà di
rapporti tra ex dirigenti IMI ed ex
dirigenti San Paolo
e non costituisce inadempimento
contrattuale;
-
l'affidamento dei beni artistici al Boratto non costituisce
demansionamento
poiché si tratta di attività che richiedeva
un impegno
lavorativo di sole due ore giornaliere e nel
tempo restante il
Boratto rimaneva alle dipendenze
dell'Apostolo;
-
all'Apostolo è comunque rimasta la gestione di tutto il
personale del
facility composto da 200-400 persone;
-
a partire dal mese di giugno 2000 l'Apostolo è stato
destinato alla
riorganizzazione delle reti di filiale ed è
stato demansionato
avendo svolto attività priva di
autonomia e senza
più avvalersi di alcun collaboratore.
L'appellante
principale censura la sentenza ribadendo di essere rimasto vittima di
comportamenti mobbizzanti e deducendo che:
1.
il trattamento irriguardoso nei suoi confronti tenuto da Firpo e da Pagliaro è
stato riferito dai testi Spadoni e Boratto;
2.
sono altresì provati sia la distrazione di collaboratori senza che gli venisse
comunicato nulla sia lo scavalcamento negli ordini di lavoro da lui impartiti ai
suoi sottoposti;
3.
il contemporaneo affidamento dello studio sulla riorganizzazione del property e
del facility management a lui ed all'EODO costituisce una grave lesione
dell'autonomia;
4.
la sottrazione della segreteria operativa ha comportato la sottrazione di
mansioni;
5.
nonostante la proposizione di una domanda volta ad ottenere il risarcimento dei
danni da mobbing il tribunale non si è pronunciato sul punto essendosi limitato
a respingere la domanda di risarcimento del danno esistenziale.
La
parte appellata censura con appello incidentale il capo di sentenza che ha
riconosciuto il demansionamento da giugno 2000 sostenendo l'aderenza delle
mansioni attribuite all'Apostolo alla professionalità dallo stesso posseduta.
E'
necessario innanzitutto ripercorrere brevemente la storia del rapporto di lavoro
tra l'Apostolo e la banca San Paolo. E' pacifico in causa che l'Apostolo,
dipendente del San Paolo dal 1966, ha ottenuto la qualifica di dirigente a
partire dal 1989; dal 1994 è divenuto responsabile del settore gestione risorse
del servizio tecnico e, a partire dal 1996, responsabile del settore della
sicurezza fisica sia della sede centrale sia di tutti i punti operativi in
Italia. Apostolo era il responsabile del settore amministrativo del facility
management (teste Firpo), aveva la gestione di tutto il personale del facility
che è variato di numero nel tempo tra 200 e 400 persone, proponeva incentivi e
promozioni dei dipendenti (teste Spadoni) e si occupava in sostanza di tutti gli
aspetti organizzativi della struttura del facility management, ivi compresa la
gestione dei beni artistici, avvalendosi di due o tre uffici alle dirette sue
dipendenze (teste Fissore).
L'appellante
sostiene che a partire da ottobre 1999, in coincidenza con l'arrivo presso il
servizio del facility management dei sig. Firpo e Pagliaro, egli avrebbe subito
un progressivo demansionamento e sarebbe stato denigrato e svillaneggiato agli
occhi dei suoi sottoposti rimanendo così vittima di un vero e proprio mobbing
conclusosi con l'isolamento e la sostanziale estromissione dal ciclo produttivo
nel giugno 2000. L'istruttoria ha dimostrato che :
1) nell'ottobre
1999 venne sottratta alla disponibilità dell'Apostolo la segreteria operativa
cui era addetta la sig. Spadoni. Le dichiarazioni rese sul punto dalla Spadoni
in sede di escussione testimoniale sono illuminanti poiché delineano con
precisione le modalità di realizzazione del predetto spostamento. La teste, che
aveva lavorato con il rag. Apostolo da maggio 1996 come responsabile della
segreteria operativa, ha così deposto: "nell'ottobre 1999 il rag. Firpo mi
telefonò e mi disse di mettermi a disposizione del dott. Pagliaro e di
riferirmi sempre al dott. Pagliaro e non più al rag. Apostolo (...) mi
presentai al Pagliaro il quale dopo due giorni mi fece allestire un nuovo
ufficio al primo piano. Quanto ai miei compiti mentre prima mi occupavo del
budget del facility da quel momento mi occupai anche del budget del property
(...) Quando ricevetti dal Firpo l'ordine di spostarmi alle dipendenze del
Pagliaro andai dall'Apostolo chiedendogli
se ne sapeva
qualcosa: mi rispose che non ne sapeva nulla". La circostanza che la
decisione sia stata presa all'insaputa dell'Apostolo è poi confermata dallo
stesso Firpo che ha dichiarato: "la decisione di questo nuovo ufficio fu
presa fra me ed il dott. Pagliaro senza consultarci con altri. Non ricordo se
prima di rendere operativa la decisione abbiamo comunicato la stessa
all'Apostolo". Infine il teste Fissore ha confermato la circostanza,
peraltro ovvia, che allo spostamento della segreteria operativa corrispose una
diminuzione delle mansioni in precedenza svolte dall'Apostolo; egli ha
dichiarato che "ad un certo punto subito dopo l'arrivo del Firpo fu
creato un nuovo ufficio a livello di staff del capo dell'ente (lo stesso Firpo)
che ebbe la competenza di occuparsi di questi aspetti del budget e della spesa,
ufficio che quindi sottrasse la relativa competenza ad uno degli uffici del rag.
Apostolo".
2)
nel gennaio/febbraio 2000 venne sottratta all'Apostolo la gestione del
patrimonio artistico con modalità sostanzialmente analoghe a quelle già
accertate in riferimento allo spostamento della segreteria operativa. Il teste
Boratto ha così ricostruito l'episodio: "io ebbi l'incarico dal Firpo e
dal Pagliaro (oralmente) di occuparmi della gestione del patrimonio artistico
facendo capo direttamente a loro (...) quando parlai del mio incarico al rag.
Apostolo ebbi la netta impressione che tali notizie gli pervenissero per la
prima volta da me nel senso che egli non ne avesse avuto prima conoscenza".
Peraltro lo stesso Firpo ha riconosciuto che la decisione di affidare l'incarico
al Boratto fu presa da lui e da Pagliaro e sulla conoscenza da parte
dell'Apostolo della decisione presa ha reso la seguente dichiarazione: "
ritengo che Pagliaro avverti l'Apostolo del nuovo incarico affidato al Boratto,
non fui io ad informarlo";
3)
lo studio della possibile fusione delle funzioni di facility e property
management è stato commissionato sia
all'Apostolo sia
all'EODO. Il teste Boratto ha così sinteticamente ricostruito la vicenda:
"fu creato un gruppo per studiare un progetto di accorpamento di funzioni
amministrative, gruppo cui fu preposto l'Apostolo. Il Firpo diede un analogo
incarico di studio anche all'EODO (...) so che una sera si presentò l'ing.
Turini del facility, insieme ad un collega dell'EODO, chiedendo informazioni
sulla ristrutturazione che aveva studiato il rag. Apostolo e dati relativi al
personale. Ho poi saputo da varie fonti che a quel punto il rag. Apostolo gli
chiese a quale titolo voleva tali informazioni e l'ing.Turini gli rispose che
anche lui era stato incaricato di studiare la ristrutturazione del servizio
mostrandogli un documento firmato dal Firpo che lo autorizzava a chiedere tali
informazioni. Il rag. Apostolo non gli diede tali informazioni";
4)
la professionalità dell'Apostolo è stata apertamente denigrata. La teste
Spadoni ha riferito: "in occasione della redazione del budget mi è
capitato di constatare che sia Pagliaro sia Firpo non consideravano
adeguatamente l'Apostolo sotto il profilo professionale come se fossero loro a
dovergli insegnare come si fa un budget. Il Pagliaro
disse una volta
all'Apostolo che egli era a libro paga e quindi doveva lavorare";
5)
nel mese di giugno 2000 Apostolo è stato spostato di
ufficio ed
assegnato all'elaborazione del progetto di
riorganizzazione
delle filiali con mansioni sostanzialmente
esecutive. Il teste
Bramato ha riferito che "Apostolo
doveva studiare
l'aspetto immobiliare verificando se
l'azienda avesse
nel suo patrimonio immobiliare le
strutture idonee ad
ospitare le filiali-imprese operando
anche le relative
stime e i costi. Credo che egli dovesse
effettuare i suoi
studi basandosi su dati che venivano
forniti dalla
periferia e sui dati dell'archivio centrale. Gli
studi del
ricorrente servivano a dare elementi conoscitivi a
chi superiormente
doveva poi decidere se acquisire nuovi
spazi
immobiliari".
Come
si è visto il tribunale ha ritenuto indimostrato il mobbing
affermando da un
lato la legittimità ed insindacabilità delle scelte
organizzative
datoriali e dall'altro riconducendo la tensione
sicuramente
esistente nell'ambiente di lavoro alla difficoltà di
rapporti tra gli ex
dirigenti IMI e gli ex dirigenti San Paolo. Il
tribunale ha poi
accertato il demansionamento da giugno 2000 ed
ha liquidato il
danno biologico e quello da demansionamento in
complessivi euro
16.058,00.
Ritiene
la corte che la linea argomentativa percorsa dal primo giudice non possa essere
condivisa in quanto comporta una
inammissibile
compressione sia dell'ambito di indagine giudiziale sia del diritto del
lavoratore al rispetto della propria dignità e professionalità.
Se
è vero infatti che il datore di lavoro è libero di adottare tutte le scelte
organizzative e gestionali che ritiene necessarie per il buon funzionamento
dell'azienda, all'uopo mutando le mansioni attribuite al proprio dipendente e
spostandolo d'ufficio, è altrettanto innegabile che la predetta libertà
imprenditoriale incontra un limite invalicabile nel diritto del lavoratore
all'esercizio delle
mansioni confacenti alla sua professionalità
sancito dall'art.
2103 c.c. Non può quindi sostenersi che la sottrazione all'Apostolo della
segreteria operativa costituisca una scelta insindacabile in quanto finalizzata
ad un miglior funzionamento delle funzioni di facility e property management
poiché tale scelta
non poteva realizzarsi in danno del diritto dell'Apostolo alla conservazione
della propria professionalità. Sicuramente lo spostamento della segreteria
operativa ha comportato il venir meno delle mansioni legate al budget (la
circostanza è stata anche confermata dal teste Fissore) ed ha quindi realizzato
in danno dell'Apostolo un demansionamento. Secondo il consolidato orientamento
espresso in punto dalla Suprema Corte “il potere del datore di lavoro di
ridurre quantitativamente le mansioni del lavoratore, pur rientrando nello ius
variandi consentito dall’art. 2103 c.c., trova il limite che le nuove ridotte
mansioni non determinino una perdita delle
potenzialità
professionali acquisite o una sottoutilizzazione del
patrimonio
professionale del lavoratore, avuto riguardo non solo
alla natura
intrinseca delle attività esercitate ma anche al grado
di autonomia e
discrezionalità del loro esercizio nonché alla
posizione del
dipendente in azienda sicché deve ritenersi vietata
una modificazione
delle mansioni assegnate al dipendente che,
pur se di carattere
quantitativo, si traduca in un sostanziale declassamento del dipendente
stesso" (cass. 7967/02;10405/95).
La
sottrazione della segreteria operativa, così come quella della gestione dei
beni artistici, non seguita dalla correlativa attribuzione di altre mansioni di
contenuto professionale equivalente costituisce quindi violazione dell'art. 2103
c.c.
Com'è
stato già affermato dal primo giudice anche l'attribuzione nel giugno 2000
delle mansioni di studio del progetto di
riorganizzazione
delle filiali ha concretizzato in danno
dell'Apostolo un
palese demansionamento. Contrariamente a
quanto sul punto
affermato dal San Paolo l'importanza strategica
del progetto di
riorganizzazione non ha alcuna rilevanza
dovendosi
accertare, al fine di valutare il rispetto dell'art. 2103
c.c, quali mansioni
in concreto sono state attribuite al lavoratore.
Nella
specie come si è visto l'Apostolo doveva in rigorosa
solitudine reperire
i dati sul patrimonio immobiliare della banca
e trasmetterli a
chi poteva decidere se gli immobili erano o meno
idonei alla
realizzazione del progetto di ristrutturazione; egli quindi doveva svolgere
un'attività sostanzialmente esecutiva, del tutto priva di autonomia e
discrezionalità e senza valersi di alcun collaboratore. L'assegnazione
dell'Apostolo allo studio sulla riorganizzazione delle filiali è quindi con
ogni evidenza un provvedimento illegittimo in quanto adottato in spregio
all'art. 2103 c.c. non potendosi certo sostenere che la raccolta di dati sul
patrimonio immobiliare sia equivalente alla responsabilità e direzione di un
ufficio composto da 200-400 persone! L'appello incidentale svolto sul punto deve
quindi essere respinto. Tuttavia ritiene la corte che la fattispecie oggetto di giudizio non
possa essere ricondotta nel ristretto ambito del demansionamento essendo in essa
presenti i connotati caratteristici del mobbing ed in particolare la
realizzazione sistematica di comportamenti vessatori reiterati nel tempo e la
unitaria ed intenzionale finalizzazione dei vari comportamenti allo svilimento
della professionalità dell'Apostolo ed alla mortificazione della sua dignità
di lavoratore.
In
assenza di una definizione legislativa del mobbing e di una tutela specifica
della vittima, la scienza psichiatrica prima e la dottrina giuslavoristica e la
giurisprudenza poi si sono occupate dell'elaborazione dei tratti caratteristici
del mobbing ed a tale elaborazione occorre necessariamente riferirsi nel
valutare la fattispecie oggetto di causa.
Recentemente
la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 359 del 2003, ha avuto modo di
interessarsi -seppur con riguardo al
particolare
problema della competenza legislativa- del fenomeno del mobbing e lo ha così
delineato: " E' noto che la sociologia ha mutuato il termine mobbing da una
branca dell'etologia per designare un complesso fenomeno consistente in una
serie di atti o comportamenti vessatori, protratti nel tempo, posti in essere
nei confronti di un lavoratore da parte dei componenti del gruppo di lavoro in
cui è inserito o dal suo capo, caratterizzati da un intento di persecuzione ed
emarginazione finalizzato all'obiettivo primario di escludere la vittima dal
gruppo. Ciò implica l'esistenza di uno o più soggetti attivi cui i suindicati
comportamenti siano ascrivibili e di un soggetto passivo che di tali
comportamenti sia destinatario e vittima. Per quanto concerne i soggetti attivi
vengono in evidenza le condotte - commissive o, in ipotesi, emissive - che
possono estrinsecarsi sia in atti giuridici veri e propri sia in semplici
comportamenti materiali aventi in ogni caso, gli uni e gli altri, la duplice
peculiarità di poter essere, se esaminati singolarmente, anche leciti,
legittimi o irrilevanti dal punto di vista giuridico, e tuttavia di acquisire
comunque rilievo quali elementi della complessiva condotta caratterizzata nel
suo insieme dall'effetto e talvolta, secondo alcuni, dallo scopo di persecuzione
e di emarginazione.(.....) La giurisprudenza ha, prevalentemente, ricondotto le
concrete
fattispecie di mobbing nella previsione dell'articolo 2087 cod. civ. che, sotto
la rubrica «tutela delle condizioni di lavoro», contiene il precetto secondo
cui «l'imprenditore è tenuto
ad adottare
nell'esercizio dell'impresa le misure ... necessarie a tutelare l'integrità
fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro», e che è stato
inteso come fonte di responsabilità anche contrattuale del datore di lavoro. Le
considerazioni svolte permettono di affermare, riguardo ai parametri
costituzionali evocati, che la disciplina del mobbing, valutata nella sua
complessità e sotto il profilo della regolazione degli effetti sul rapporto di
lavoro, rientra nell'ordinamento civile [art. 117. secondo comma, lettera 1),
della Costituzione] e, comunque, non può non mirare a salvaguardare sul luogo
di lavoro la dignità ad i diritti fondamentali del lavoratore (artt. 2 e 3,
primo comma, della Costituzione)."
I
precedenti giurisprudenziali in tema di mobbing sono sostanzialmente concordi
nel ritenere indispensabile la
concorrenza
di due elementi e precisamente quello della reiterazione e della sistematicità
delle condotte, e l'intenzionalità delle stesse, elementi entrambi ricorrenti
nel caso di specie. Quanto poi alle condotte che possono essere sintomatiche del
mobbing quella statisticamente più diffusa è certamente rappresentata dal
demansionamento ma esistono altri comportamenti che singolarmente considerati
non sono illegittimi ma se collocati all'interno di un progetto unitario di
denigrazione e mortificazione della dignità del lavoratore rappresentano le
tappe di realizzazione del mobbing.
Alcune utili indicazioni per l'individuazione delle condotte mobbizzanti
possono
essere desunte dalla circolare Inail del 17 dicembre 2003 che ha considerato,
quali possibili cause lavorative di insorgenza di malattie psichiche, le
situazioni di incongruenza delle scelte in ambito organizzativo, situazioni
definibili con l'espressione "costrittività organizzativa" e tra
queste ha esemplificativamente indicato la marginalizzazione dell'attività
lavorativa, lo svuotamento delle mansioni, la mancata assegnazione dei compiti
lavorativi con inattività forzata, la mancata assegnazione degli strumenti di
lavoro . Ritiene la corte che l'Apostolo, oltre ad essere stato demansionato in
modo plateale, sia stato anche vittima di un progetto di marginalizzazione
realizzatosi attraverso tutti i comportamenti prima descritti che singolarmente
considerati possono anche essere privi di antigiuridicità, ma valutati nel loro
insieme rendono evidente la volontà persecutoria in suo danno.
In quest'ottica occorre prestare attenzione particolare alle modalità di
realizzazione della condotta di emarginazione, poiché esse denotano l'intento
persecutorio. La sottrazione della segreteria operativa, che si è già detto
aver comportato una diminuzione quantitativa delle mansioni ed un conseguente
demansionamento, è in questo senso un indice sicuro dell'intento persecutorio.
Se anche fosse vero che la sottrazione della segreteria rispondeva ad esigenze
di riorganizzazione e di riaccorpamento delle funzioni di property e di facility
management, ciò non giustificherebbe in ogni caso il
fatto che la
decisione sia stata presa all'insaputa dell'Apostolo dal quale prima tale
segreteria dipendeva gerarchicamente e che egli abbia appreso la volontà
dell'azienda dalla bocca della sig. Spadoni che prima era la sua segretaria.
Contrariamente a quanto sul punto affermato dal primo giudice non si tratta di
comportamenti ascrivibili a difficoltà di rapporti tra dirigenti Imi e
dirigenti San Paolo bensì di condotte, contrarie ai più elementari canoni di
buona fede e correttezza contrattuale, scientemente realizzate per mortificare
il lavoratore dimostrando agli occhi dei suoi sottoposti che egli conta cosi
poco da non meritare neppure di essere informato di scelte che lo riguardano
direttamente.
Analoghe
considerazioni possono essere svolte in relazione alla sottrazione della
gestione dei beni artistici posto che, anche in questa occasione, l'Apostolo è
stato messo nella condizione di dimostrare al sottoposto gerarchico la sua
totale inconsapevolezza di scelte aziendali che direttamente lo riguardavano e
questo non può non ingenerare nei dipendenti la convinzione che egli non
contasse più nulla all’interno della Banca.
La
dimostrazione dell'esistenza di un collegamento tra i vari episodi denunciati
dall'appellante è desumibile dall'episodio del conferimento dell'incarico di
studiare la riorganizzazione degli uffici conferito anche all'Eodo. Si tratta di
un comportamento che di per sé solo considerato è sicuramente legittimo anche
se irrazionale
ed antieconomico: tuttavia l'episodio si inserisce nel piano di mortificazione
dell'Apostolo, tenuto all'oscuro anche questa volta delle tele intessute alle
sue spalle ed in sostanza ridicolizzato nella sua professionalità e dignità.
Ancora nello stesso solco si colloca la scarsa fiducia nella capacità
dell'Apostolo di predisporre un budget colta perfino dalla segretaria Spadoni ed
ancora nell'affermazione che lui "era a libro paga e doveva quindi
lavorare", affermazione certo non usuale nei confronti di un dirigente
apicale. Il declino nella
considerazione della banca della professionalità dell'Apostolo è stato
progressivo, costante ed inesorabile: è iniziato con l'arrivo di Firpo e
Pagliaro nell'ottobre 99, si è immediatamente manifestato con la sottrazione
della segreteria operativa e della funzione di gestione dei beni artistici, si
è consolidato e protratto nel tempo con la denigrazione delle sue capacità
fino ad allora mai messe in discussione (ed è importante ricordare che il
rapporto di lavoro era sorto nel 1966), si è raffinato nell'attribuzione di
compiti in apparenza importanti (studio di progetti di riorganizzazione) ma in
realtà per lui inesistenti in quanto contemporaneamente attribuiti ad altri e
si è concluso nel giugno 2000 con la sua sostanziale estromissione dal contesto
lavorativo, con l'assegnazione di mansioni inesistenti e la privazione di tutto
il personale dipendente. Deve quindi essere affermata la responsabilità
dell'azienda per violazione dell'art. 2087 c.c. in relazione ai danni subiti dall'appellante
a causa delle condotte vessatorie nei suoi confronti realizzate.
Passando
ad esaminare il problema, della quantificazione dei danni, rivendicati
dall'appellante sotto il profilo del danno biologico, morale esistenziale, alla
professionalità, dev'essere subito sottolineato che il capo di sentenza
relativo al risarcimento del danno biologico non è stato censurato ed è
pertanto definitivo. Di contro l'appellante ha riproposto in
questo grado la
domanda di risarcimento del danno esistenziale ed ha contestato la
quantificazione del danno alla professionalità commisurata al 25% della
retribuzione nonché la sua esclusione durante il periodo di malattia.
Ritiene
la corte di dover sul punto condividere il più recente orientamento della
Cassazione che ha stabilito che la nuova lettura costituzionalmente orientata
dell'alt. 2059 c.c. che svincola il danno morale dalla ricorrenza di un reato
(Corte Cost. n.233/03) consente una tutela risarcitoria della persona ricondotta
ad un sistema bipolare costituito dal danno patrimoniale e dal danno non
patrimoniale che ricomprende in sé il danno morale, quello esistenziale e
quello biologico. La corte ha affermato che " il danno non patrimoniale è
comprensivo del danno biologico, del danno morale e della lesione di interessi
costituzionalmente protetti; nel vigente assetto dell'ordinamento nel quale
assume posizione preminente la Costituzione che all'art. 2 riconosce i diritti
inviolabili dell'uomo,
il danno non patrimoniale deve essere inteso come categoria ampia, comprensiva
di ogni ipotesi in cui sia leso un valore inerente alla persona, che non si
esaurisca nel danno morale e che non sia correlato alla qualifica di reato del
fatto illecito ex art. 185 cp.; unica possibile forma di liquidazione del danno
privo delle caratteristiche della patrimonialità è quella equitativa sicché
la ragione del ricorso a tale criterio è insita nella natura di tale danno e
nella funzione del risarcimento realizzato mediante la dazione di una somma di
denaro che non è reintegratrice di una diminuzione patrimoniale ma compensativa
di un pregiudizio non economico" (cass. 10157/04; 8827/03; 8828/03).
Il
mobbing realizzato in danno dell'Apostolo con i provvedimenti ed i
comportamenti materiali prima esaminati ha leso il diritto costituzionale del
lavoratore alla libera esplicazione della sua personalità nel luogo di lavoro
(art. 1 e 2 Cost.) comportando altresì un automatico degrado professionale in
quanto ha determinato una sottoutilizzazione del patrimonio professionale del
lavoratore ed una correlativa perdita delle potenzialità professionali
acquisite.
Dovendosi
quindi procedere alla liquidazione equitativa del danno non patrimoniale
complessivamente subito dall'Apostolo ritiene la corte di dover utilizzare quale
parametro di riferimento la retribuzione percepita dall'Apostolo (criterio
costantemente utilizzato per il danno da demansionamento). Com'è stato
rilevato
dall'appellante il primo giudice ha liquidato i danni in misura pari al 25%
della retribuzione e si tratta di liquidazione inadeguata tenuto conto della
durata dell'inadempimento, dell'accertata intenzionalità della condotta lesiva
e della posizione apicale in precedenza coperta dall'Apostolo. Ritiene quindi la
corte di dover commisurare il danno al 60% della retribuzione per il periodo da
ottobre 1999 ad ottobre 2000 e nella misura del 30% per il periodo novembre
2000/maggio 2002 durante il quale l'Apostolo rimase assente dal lavoro per
malattia. Sul punto ritiene la corte che, contrariamente a quanto affermato dal
primo giudice, il danno non patrimoniale per lesione alla dignità permanga
anche durante l'assenza dal lavoro per malattia tenuto conto altresì che la
responsabilità dell'insorgere della malattia è ascrivibile al datore di lavoro
ai sensi dell'art. 2087 c.c.; il danno deve peraltro essere liquidato in misura
minore stante la diminuita intensità dei danni all'immagine. Conseguentemente
per il periodo ottobre 99/ottobre 2000 il danno non patrimoniale ammonta ad euro
57.600,00 (60% della retribuzione mensile euro 4.800 x 12 mesi) e per il periodo
novembre 00/maggio 02 ad euro 45.600 (30% della retribuzione mensile euro 2.400
x 19 mesi). Dall'importo suddetto (pari ad euro 103.200,00) deve peraltro essere
dedotto quanto già liquidato dal primo giudice per il medesimo titolo e
precisamente euro 1.500.00 per danno morale ed euro 6.000.00 per danno da
demansionamento con la
conseguente
complessiva liquidazione del danno non patrimoniale (fatta eccezione per il
biologico già liquidato e divenuto intangibile) in euro 95.700,00.
L'appellata
deve altresì essere condannata a risarcire il danno patrimoniale liquidato in
euro 1.674,00, somma complessivamente sborsata dall'Apostolo per visite mediche
specialistiche ed acquisto di medicinali e documentata in causa. In accoglimento
dell'appello principale, respinto quello
incidentale, la San
Paolo Imi spa va condannata a pagare ad
Apostolo Gaetano
euro 95.374.02 oltre interessi e rivalutazione dalla condanna al saldo.
Le
spese di entrambi i gradi seguono la soccombenza e si
liquidano come da
dispositivo.
Visto
l'art. 437
c.p.c. .
in
accoglimento dell'appello principale e respinto l'appello incidentale, ferma
restando la condanna al pagamento di euro 8.558,00 a titolo di risarcimento del
danno biologico, condanna la spa SAN PAOLO IMI a pagare a APOSTOLO Gaetano la
somma di euro 97.374,02, oltre interessi e rivalutazione da oggi al saldo;
condanna
la SAN PAOLO IMI spa a rimborsare alla controparte per l'intero le spese del
primo grado come liquidate in sentenza nonché le spese del presente grado
liquidate in euro 6.075,00 di cui 4.550,00 per onorari e 850,00 per diritti,
oltre IVA e CPA.
Così
deciso all’udienza del 12.10.2004 (consegnata in cancelleria il 25.10.2004)
Il
Consigliere est.
Dr.sa
Clotilde Fierro
Il
Presidente
Dr. Carlo Peyron
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