I danni alla salute conseguenti alla condizione della moquette del palazzo uffici dell’IMI SpA

 

Corte d’Appello di Roma, 20 settembre 2005 – Pres. Coletta – Rel. Marasco – Ricorrente: Sanpaolo IMI SpA (avv. C. e R. Scognamiglio) – Controricorrente: X. Y. (avv. G. Pirani, S. Parascandolo)

 

Svolgimento del processo

 

Con ricorso depositato in data 13.5.2003 la Sanpaolo IMI SpA proponeva appello avverso la sentenza del Tribunale di Roma, pronunciata in data 18.7.2002 con la quale l'appellante era stata condannata al pagamento, a favore di X. Y. della somma di euro 57.569,14 a titolo di risarcimento del danno.

Si è costituita la parte appellata, resistendo al gravame ed all'udienza odierna la causa è stata decisa come da dispositivo.

 

Motivi della decisione

 

Con ricorso ex art. 414 cpc depositato il 22.10.1998 X. Y., premesso di lavorare alle dipendenze dell'lMI SpA dal 1.7.1969, esponeva che, nel corso dell'anno 1970 l’IMI SpA aveva trasferito i propri uffici in un nuovo edificio, sito in Roma, vie dell'Arte n. 25; che il nuovo edificio era pavimentato interamente con moquette e provvisto di soffitti coibentati e di impianto di condizionamento d'aria; che nel 1983, a seguito di continue lamentele da parte dei dipendenti, l'organizzazione sindacale SILCEA aveva denunciato la dannosità dell'ambiente di lavoro, con particolare riferimento alla moquette, ed aveva richiesto alla società, senza esito, di attivare presso le strutture pubbliche gli accertamenti in ordine alla polverosità e nocività del materiale utilizzato per la pavimentazione; che i risultati dell'indagine eseguita dalla USL RM 12- Servizio di Igiene Pubblica, a seguito del sopralluogo effettuato il 15.3.1983, aveva evidenziato disturbi vari dei dipendenti ascrivibili al microclima presente nell'ambiente lavorativo; che in data 2.2.1987 il Servizio di Igiene Pubblica, accertato che il rivestimento in moquette era usurato a tal punto che non garantiva, sia per le condizioni di polverosità che per l'elevata carica batterica presente nel tessuto, condizioni igienico sanitarie accettabili, disponeva la immediata sostituzione della copertura; che nel corso dell'anno 1987 l’IMI SpA aveva iniziato i lavori per la sostituzione della moquette e della controsoffittatura; che tali lavori si erano protratti fino al 1989.

La ricorrente deduceva che a partire dal 1980 aveva accusato una perdita della capacità uditiva, aggravatasi nel tempo e che, sottopostasi ad esami e prove allergiche, in data 7.1.1988, le era stata diagnosticata una allergia alla polvere; di avere consegnato nel dicembre 1990 all'IMI una certificazione medica nella quale veniva diagnosticata una allergia e veniva sconsigliata la esposizione della dipendente a condizionatori d'aria e polveri; che in data 9.12.1993 alla ricorrente era stata diagnosticata una ipoacusia trasmissiva bilaterale, confermandosi la diagnosi emessa l’anno precedente; che in data 17.2.1994 le era stata diagnosticata un'asma bronchiale allergica, sinusite cronica e ipoacusia, componente iperattiva bronchiale; che nella relazione medico legale datata 25.11.1996, consegnata all’IMl SpA, le era stata diagnosticata una otomastoidite purulenta cronica bilaterale con grave ipoacusia mista, prevalentemente trasmissiva, pantonale, più accentuata a destra; sindrome vertiginosa da labirintopatia accertata mediante esami vestibolari, rinofaringite catarrale cronica ipertrofica e sinusopatia mascellare bilaterale su base allergica, bronchite asmatica allergica con sindrome ostruttiva spirometricamente accertata, sindrome ansioso depressiva con spunti fobici e somatizzazioni multiple; che tale situazione comportava una menomazione incidente sulla capacità generica in misura non inferiore al 70%.

La ricorrente chiedeva che fosse accertata la correlazione tra le dedotte patologie e l'ambiente di lavoro, la inadempienza dell’lMI SpA in relazione agli obblighi di cui all'art. 2087 cod. civ. e la condanna della convenuta al risarcimento del danno, indicato in lire 500.000.000 per danno biologico ed in lire 250.000.000 per danno morale o nella somma da determinarsi all'esito di CTU o liquidata in via equitativa.

Si costituiva l’IMI - Istituto Mobiliare Italiano SpA, deducendo la insussistenza di un inadempimento dell' obbligo sancito dall'art. 2087 cod. civ. e della dedotta responsabilità in ordine alle malattie denunciate dalla ricorrente.

In particolare, veniva affermato che la ricorrente non era stata mai addetta ai locali del reparto CED cui si riferiva il sopralluogo effettuato in data 15.3.1983 dalla USL RM 12; che a seguito della comunicazione della USL RM 12 del 21.3.1986 l’IMI aveva chiesto ed ottenuto in data 7.11.1986 uno studio sulle condizioni igienico sanitarie del rivestimento in moquette, da parte dell'Istituto di Igiene dell'Università Cattolica del Sacro Cuore, che aveva evidenziato che le condizioni microbiologiche dei locali relativi agli uffici erano risultate generalmente accettabili; che tale valutazione era stata confermata nel successivo documento del 22.12.1986, nel quale era stato espresso un giudizio prudenziale circa la necessità di effettuare interventi per il futuro, escludendosi una immediata e reale pericolosità dell'ambiente di lavoro; che l'Istituto aveva avviato all'inizio del 1987 i lavori di sostituzione della moquette della sede centrale ed aveva dato inizio, nel corso dello stesso anno, alle operazioni di sostituzione della contro soffittatura e rimozione dei relativi materiali di asbesto, la cui concentrazione era risultata molto limitata in uno studio dell'Istituto di Medicina legale della Università cattolica del 29.2.1998; che l'impianto di climatizzazione realizzato nel 1969 era pienamente soddisfacente sotto il profilo della funzionalità e della sicurezza e che pertanto non vi era alcuna correlazione tra l' ambiente di lavoro, nel quale la ricorrente aveva prestato la propria attività, e le patologie denunciate.

La parte convenuta contestava, inoltre, la entità e quantificazione dei danni.

Nel corso del giudizio, costituitasi la società Sanpaolo IMI SpA, quale successore a titolo particolare di IMI SpA, venivano assunte le testimonianze dedotte ed espletata consulenza medico legale.

Con sentenza pronunciata in data 18.7.2002, il Tribunale di Roma condannava la società Sanpaolo IMI SpA al pagamento a favore della ricorrente della somma di euro 57.569,14 oltre rivalutazione monetaria ed interessi dalla sentenza.

il Tribunale riteneva che dalla istruttoria testimoniale fosse emerso che, presso l'edificio di via dell'Arte n. 25, dal 1970, era stata utilizzata una pavimentazione in moquette di cui era stata disposta la graduale sostituzione dal 1987; che, per quanto riguarda lo stato delta moquette, erano state raccolte, già nell'anno 1982, lamentele dei dipendenti sulle condizioni igieniche del rivestimento; che la USL RM 12, a seguito di un sopralluogo effettuato in data 15.3.1983, aveva sottoposto il personale operante nel reparto CED a visite mediche, ravvisando nel 10% dei dipendenti delle patologie ascrivibili a crisi asmatiformi su base allergica, oltre a varie patologie, individuando un ruolo favorente nelle condizioni ambientali; che, a seguito di tale emergenza era stato elaborato dall'Istituto di Igiene dell'Università Cattolica in data 7.11.1986 uno studio, dal quale era risultato che le "condizioni microbiologiche della moquette risultavano generalmente critiche, per la presenza di cariche microbiologiche elevate e rappresentate da numerose specie"; che tale situazione, precisati gli accertamenti e le verifiche, disposti anche dal Servizio di Igiene Pubblica della USL, era tale che avrebbero dovuto indurre l'azienda quanto meno a ricorrere a tecniche di lavaggio idonee ad evitare il proliferare di batteri all'interno dei tessuti.

In ordine al nesso causale tra le condizioni ambientali accertate e la patologia denunciata, il Tribunale, in contrario avviso rispetto alle conclusioni del CTU, aveva ritenuto, per quanto qui interessa, che la ipoacusia, conseguenza di una otite media purulenta perdurante da molti anni, secondo un criterio di probabilità qualificata e tenuto conto della ipersensibilità della Y. agli agenti irritanti, fosse riferibile alle condizioni igieniche accertate, che avevano rivestito un ruolo quanto meno concorrente e rilevante, sul piano causale, per il principio della equivalenza causale sancito dall'art 41 cod. pen.

In merito alla determinazione della entità della lesione dell'integrità fisica, conseguente alla accertata ipoacusia, il primo giudice aveva ritenuto che la patologia dell'apparato uditivo, tenuto conto del grado di inabilità della malattia professionale già definitivamente accertato in un diverso giudizio proposto nei confronti dell’INAIL (40%), fosse quantificabile in via equitativa della misura del 30%, con un risarcimento del danno - non ravvisata la sussistenza del danno morale - liquidato nella misura di euro di lire 57.569,14 oltre interessi legali e rivalutazione monetaria dalla pronuncia. Avverso la sentenza ha proposto appello la SpA Sanpaolo Imi, deducendo, sotto vari profili, la erroneità della valutazione delle risultanze probatorie e documentali, confermate anche nella relazione del CTU, che evidenziavano la insussistenza delle asserite violazioni ascritte al datore di lavoro in ordine alle condizioni igieniche della moquette, ritenute dal primo giudice concausa della patologia denunciata.

La società appellante, inoltre, deduce la erroneità del criterio dì probabilità qualificata sul quale il primo giudice ha fondato il proprio giudizio sul nesso causale, pur in presenza di una consulenza tecnica di ufficio adeguatamente motivata, che aveva escluso che fossero riconducibili all'attività lavorativa dell'appellata sia i sintomi dell'asma che la ipoacusia, conseguenza di infezioni recidivanti dell'orecchio medio causato da agenti patogeni microbici ubiquitariamente diffusi negli ambienti di vita e di lavoro.

L'appellante contesta, infine, la entità del danno, sul rilievo che il giudice non aveva considerato che la stessa Y. aveva ammesso di potere utilizzare una protesi acustica efficace, e dovendosi quindi ritenere la ipoacusia non avesse cagionato alla ricorrente ostacoli significativi nei suoi rapporti personali e sociali.

Si è costituita X. Y. eccependo in via preliminare la inammissibilità dell'appello per intervenuta transazione e contestando, nel merito, la fondatezza del gravame.

L'appello non è fondato.

In ordine alla questione preliminare della inammissibilità dell'appello per intervenuta transazione tra le parti, la appellata richiama il verbale di accordo intervenuto con la Banca per la finanza alle opere pubbliche e alle infrastrutture SpA, società appartenente allo stesso gruppo, subentrata nel rapporto della Y. a seguito di cessione del ramo di azienda.

Secondo la appellata, a seguito di trattativa avviata nell'anno 2003 era stato concordato di porre termine al rapporto di lavoro ed al contenzioso che comunque da esso era derivato.

Con verbale di conciliazione sottoscritto in data 20.2.2003, dinanzi alla Commissione di conciliazione della Direzione provinciale del lavoro, le parti avevano infatti dichiarato di non avere altro a pretendere direttamente o indirettamente in relazione all'intercorso rapporto di lavoro e tale accordo valeva a precludere la prosecuzione del contenzioso rispetto alle questioni che implicavano anche la responsabilità della società cessionaria.

Tale assunto non è fondato.

Si rileva che il verbale di conciliazione, sottoscritto dalla Y. e dalla Banca OPI SpA riguarda, per espressa indicazione delle parti, la risoluzione anticipata del rapporto di lavoro, con la pattuizione di un corrispettivo di euro 50.000,00 ed assume come titolo, nelle premesse dell'accordo, la specifica finalità di incentivo all'esodo.

Quanto alla conclusiva dichiarazione delle parti di non avere altro a pretendere l’una dall'altra direttamente o indirettamente in relazione all’ intercorso rapporto di lavoro, la genericità della formula non consente di estendere la rinuncia reciproca ad ipotesi di responsabilità contrattuale, oggetto di un giudizio definito con sentenza.

Le vicende traslative inerenti al rapporto di lavoro non possono inoltre incidere, in assenza di uno specifico atto di transazione riferibile alla cedente, sui diritti ed obblighi inerenti alla accertata responsabilità per società appellante.

Si rileva peraltro, che sulla questione, oggetto del giudizio, non era stata accettata dalla Y. una pregressa proposta dì conciliazione, per la inadeguatezza delle somme offerte, e la transazione dedotta, posta in essere da soggetto giuridico distinto, non vale a precludere, il diritto della SpA Sanpaolo IMI di impugnare la sentenza, in assenza dì qualsiasi, ulteriore trattativa e per effetto di un accordo al quale la società era rimasta estranea.

Nel merito, si osserva che la dedotta responsabilità contrattuale ai sensi dell5art. 2087 cod. civ. non configura una ipotesi di responsabilità oggettiva, in quanto la responsabilità del datore di lavoro va collegata alla violazione degli obblighi di comportamento imposti da norme di legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche del momento.

Incombe, quindi, sul lavoratore che lamenti di aver subito, a causa della attività lavorativa svolta, un danno alla salute, l'onere di provare l’esistenza di tale danno, come la nocività dell'ambiente di lavoro, nonché il nesso di derivazione causale del danno dalla violazione delle norme di sicurezza delle condizioni di lavoro. Ed una volta che sia stata fornita la prova di tali circostanze sussiste, per il datore di lavoro, l'onere di provare di avere adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno e che la malattia del dipendente non sia ricollegabile alla inosservanza di tali obblighi (Cass. 1997 n. 19361; Cass. 1999 n. 3234; Cass. 2000 n. 1307).

Nel caso in esame, risulta provato che X. Y. risulta affetta da otomastoidite purulenta cronica bilaterale con grave ipoacusia mista (prevalentemente trasmissiva) pantonale, più accentuata a destra, per la quale risulta riconosciuta, all'esito di un giudizio promosso nei confronti dell'INAIL, la natura professionale ed una riduzione del 40% dell’ attitudine al lavoro.

Tale condizione patologica, conseguenza di infezioni recidivanti dell'orecchio medio, risulta insorta a partile dall'inizio degli anni 80 ed è diagnosticata nel certificato in data 9.12.1993, nel quale veniva confermato l'esito degli esami audiometrici effettuati nell'anno precedente.

Per quanto riguarda i fattori di rischio collegati all'ambiente lavorativo, si rileva che la Y. dal 1970 aveva svolto la propria attività lavorativa presso la sede dell'IMI di Viale dell'Arte, dove i locali dell'immobile presentavano un pavimento ricoperto di moquette, soffitti coibentati ed impianti di condizionamento dell'aria.

Si rileva che, a seguito di un sopralluogo presso gli uffici del reparto CED, eseguito dall'USL RM 12, erano stati riscontrati casi di patologie respiratorie ascrivibili a crisi asmatiformi su base allergica ed alcuni casi di ipoacusia, per i quali era stato segnalato il ruolo favorente delle condizioni ambientali nel luogo di lavoro per quanto riguarda il microclima.

Al di la delle problematiche specifiche degli addetti a tale reparto, la questione delle condizioni igieniche dei locali si era posta con riferimento generale all'ambiente di lavoro .

Risulta agli atti che, l'USL, intervenuta a seguito di richiesta di intervento dei sindacati SILCEA e FABI, aveva segnalato con nota del 21.3.1986, che, a seguito di sopralluoghi effettuati da personale tecnico presso gli uffici della sede di Viale dell'Arte, era emersa la necessità di documentare alcune caratteristiche igienico-ambientali dei luoghi di lavoro.

Veniva, pertanto, richiesto che l'azienda effettuasse una indagine microbiologica per la valutazione della carica batterica e/o dei miceti presenti negli ambienti di lavoro ed una analisi sullo stato di usura della moquette e sulla composizione merceologica della stessa per possibili contaminazioni batteriche e/o microbiche.

Nella relazione della Università Cattolica del Sacro Cuore, datata 7.11.1986, la quale aveva proceduto, per quanto interessa, ad uno studio sulle condizioni igienico-sanitarie del rivestimento in moquette, era stato rilevato un impianto non adeguato della moquette, potendosi rilevare rughe e sollevamenti, uno stato di usura della stessa anche per procedure incongrue di lavaggio, macchie varie o di origini incerta e rattoppi.

Sui campioni di moquette esaminati era stata verificata la crescita di colonie di schizomiceti e di miceti e le prove microbiologiche avevano evidenziato la presenza di cariche batteriche espresse come numero di colonie per m2, elevate, generali e diffuse.

Por quanto riguarda i controlli effettuati sulle macchine e sui materiali di lavaggio e pulizia, i dati registrati avevano documentato una massiccia contaminazione microbiologica a tutti i livelli sottoposti a controllo: soluzione di lavaggio impiegata prima della pulizia; soluzione dopo l'impiego, acqua residua, base della spazzola, serbatoi per le soluzioni, filtri degli stessi serbatoi.

Secondo il giudizio conclusivo, le condizioni microbiologiche della moquette in situ risultavano elevate e rappresentate da numerose specie, che indicavano la persistenza di una contaminazione di origine ambientale ed umana.

Tali condizioni apparivano aggravate subito dopo i trattamenti di lavaggio della moquette, prospettandosi al riguardo almeno due situazioni negative: una condizione di base della microstruttura fisica già all'origine o anche dipendente ed aggravata dallo stato di usura della stessa moquette; una condizione secondaria, a livello di trattamenti, per la inefficacia delle soluzioni disinfettanti fino alla neoformazione di un sottile substrato di materiale organico utilizzato per la moltiplicazione batterica che sarebbe stata favorita dall'enorme superficie sviluppata dalla trama del tessuto.

Tali dati obiettivi non sono smentiti, ad avviso della Corte, dalla relazione del 22.12.1986 della Università cattolica del Sacro Cuore, predisposta ad ulteriore chiarimento delle conclusioni formulate.

Tale sintetica precisazione definisce il precedente giudizio prudenziale dal punto di vista igienico-sanitario in riferimento al criterio della sicurezza e della predittività, escludendo una immediata e reale pericolosità, non emergente dalla esauriente indagine effettuata.

La nota, infatti, ribadisce la presenza di cariche microbiche (schizomiceti e miceti) elevate sulla superficie della moquette e va coordinata con le specifiche ed analitiche valutazioni e rilevazioni tecniche espresse in ordine alle segnalate condizioni critiche della moquette, per le quali era stata formulata la proposta di adottare un diverso sistema di pulizia ed interventi sostitutivi della moquette, tali da migliorare le condizioni di completa sicurezza del rivestimento, secondo le richieste di ordine igienico-sanitario,

Si rileva, inoltre, che l'USL sulla base di tale relazione, ma anche di una propria indagine ambientale effettuata nel maggio 1984, con nota del 2.2.1987, valutate le condizioni igienico sanitarie e di sicurezza del rivestimento in moquette, riteneva che il rivestimento in moquette fosse usurato a tal punto da non garantire, sia per le condizioni di polverosità che per l'elevata carica batterica presente nel tessuto, condizioni igieniche accettabili.

Veniva disposta, pertanto, per la tutela della salute dei lavoratori, la immediata sostituzione dell'attuale copertura in moquette con altro rivestimento atto a garantire idonee condizioni igienico-sanitario e di sicurezza; che, nel caso fosse stata scelta la copertura a moquette, dovevano essere utilizzate per la pulizia sostanze a specifica azione antimicrobica.

Risulta agli atti che la società aveva provveduto, dopo il provvedimento del Servizio di Igiene pubblica a disporre la sostituzione della moquette e che i relativi lavori, iniziati nel 1987, erano cessati nel primo semestre 1988.

Le pessime condizioni della moquette sono state confermate dalle testimonianze raccolte, che riferiscono di una polvere e laniccia rilasciata dalla moquette, che si depositava sugli abiti (teste Pao.) e di un rivestimento macchiato e polveroso ( teste De Gre.).

La situazione accertata attesta una condizione igienica affatto precaria del rivestimento in moquette, protrattasi per anni nonostante le denunce del sindacato e gli interventi della USL, che aveva effettuato un sopralluogo nel maggio 1984 e che nel 1983 aveva posto l'attenzione sulla necessità di una verifica delle condizioni ambientali, suscettibili di favorire processi degenerativi flogistici.

Appare evidente l'inadempimento della società in violazione del precetto sancito dall'art. 2087 cod. civ., che sancisce l’ obbligo del datore di lavoro di adottare le misure necessarie a garantire la salute dei lavoratori, disatteso da parte della società che aveva provveduto alla verifica dello stato della moquette, nonostante la evidenza delle pessime condizioni del rivestimento, soltanto a seguito dell'intervento del Servizio di Igiene pubblica, ed alla sostituzione della stessa dopo circa 17 anni dalla messa in opera.

Si registra, infatti, un comportamento di trascuratezza sia per i mancati interventi di rimozione nonostante lo stato di usura della moquette, sia per inadeguatezza dei mezzi di manutenzione, caratterizzati da lavaggi infrequenti, effettuati ogni tre-quattro mesi, e sistemi di pulizia insufficienti a garantire un livello accettabile di igiene.

In ordine al nesso causale tra la patologia denunciata dall' appellata ed il luogo di lavoro, esclusa dal CTU, va rilevato che la Y., che svolgeva la propria attività per otto ore al giorno presso la sede della società (tranne che per brevi missioni presso la sede di Torino), è stata esposta, per anni, ad una condizione di inquinamento ambientale che caratterizzava l'intero immobile, per la uniformità dei sistemi di rivestimento e per la generalità delle condizioni delle moquette.

Gli accertamenti allergologici hanno evidenziato, inoltre, una particolare sensibilizzazione della Y. verso le polveri ambientali ad elevato contenuto di acari e dermatofagoidi, suscettibile di avere determinato flogosi ed infezioni a carico dell'orecchio medio ed una aumentata reattività delle vie aeree inferiori

Tali condizioni di salute erano state portate a conoscenza dell’IMI, al quale risulta consegnata nel dicembre 1990 una certificazione medica nella quale veniva diagnosticata una allergia e sconsigliata la esposizione della dipendente a condizionatori d'aria e polveri.

La permanenza dell'appellata, infatti, in una condizione ambientale nociva per la sua salute, anche in considerazione della particolare sensibilità del soggetto a microrganismi presenti, diffusamente e per elevate concentrazioni, costituisce ad avviso della Corte, un elemento decisivo per la ravvisabilità della eziologia professionale della ipoacusia riportata.

Non può, inoltre, essere svalutata la rilevanza probatoria della presenza, evidenziata nelle analisi colturali sull'escreato nasale, faringeo e dell'orecchio medio della Y., come risulta dal certificato dell'Università cattolica 1.4.1987, di stafilococco aureo, microrganismo che era stato rilevato anche all'interno della moquette nel corso dello studio effettuato nel novembre 1996 dalla Università cattolica.

Quanto alla natura ubiquitaria dello stafilococco aureo, presente nell'aria e nell'ambiente di vita, si condivide, al riguardo, il rilievo, espresso dal primo giudice, che ha dato prevalenza, nella valutazione del nesso eziologico, al quotidiano contatto di un soggetto, sano al momento dell'assunzione, con una situazione di insalubrità costituita dalla moquette altamente contaminata.

La concreta presenza di uno specifico rischio per la Y. di contrarre la ipoacusia per la insalubrità dell’ambiente di lavoro costituisce, in definitiva, in assenza di prova circa la incidenza sulla malattia di fattori alternativi, prova del nesso causale tra tale malattia e lo svolgimento dell'attività lavorativa.

Per quanto riguarda la sussistenza ed entità del danno, accertata in via equitativa nella misura del 30%, tenendo conto della percentuale di inabilità permanente individuata nella relazione tecnica espletala nella causa promossa nei confronti dell'INAIL e dell'indennizzo già conseguito per la riduzione della capacità lavorativa, si rileva che la Y. risulta affetta da grave ipoacusia bilaterale, che le impedisce una conversazione normale, come è riportato nella stessa consulenza, e che la costringe a portare protesi acustiche.

Tale patologia non può ritenersi esclusa, secondo i rilievi dell'appellante, dalla possibilità di un efficace uso di protese considerate le ripercussioni negative della menomazione sulla integrità psicofisica della Y. (che all'epoca del consolidamento dei postumi della malattia aveva 49 anni) per la definitiva perdita di una soddisfacente percezione dei suoni e voci, incidente sulla vita di relazione, e tenuto conto dell’affaticamento uditivo che deriva dall'uso delle protesi oltre alle non trascurabili difficoltà psicologiche che tale uso comporta.

L’ appello va, pertanto, respinto.

Per il principio della soccombenza, la società appellante va condannata alla rifusione delle spese a favore dell'appellata, e con pronuncia di distrazione.

 

P.Q.M.

 

Respinge l'appello;

condanna la parte appellante alla rifusione, a favore dell'appellata, delle spese di questo grado del giudizio liquidate in curo 3.000,000 (di cui euro 1.800,00 per onorari, con distrazione a favore dei procuratori antistatari.

 

Roma, 29.10.2004 (depositato il 20.9.2005) - sentenza passata in giudicato -

 

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