Appello dei giuristi bolognesi contro l'iperliberismo del "libro bianco" e della "legge delega" di riforma del mercato del lavoro
promuovono
un appello e una iniziativa a Bologna
Un gruppo
di docenti di materie giuridiche, avvocati, magistrati, assieme a due giovani
del TPO (Teatro polivalente occupato), promuovono a Bologna un appello e
una iniziativa sul tema “diritti del lavoro e diritti di libertà”, in vista
della manifestazione di Roma del 23 marzo e dello sciopero generale.
Nell’appello - al quale si sollecitano altre adesioni - la difesa dei diritti
del lavoro viene fortemente collegata alle mobilitazioni in atto nel paese sui
temi della difesa della legalità costituzionale: giustizia, scuola,
informazione.
Nel documento si sottolinea il
fatto che la lotta per la difesa dei cardini dello Stato di diritto deve
coinvolgere a pieno titolo anche i temi sociali. La difesa dei diritti del
lavoro non va vista come un problema di categoria o una pura e semplice
questione sindacale ma come una grande e moderna battaglia di libertà.
In particolare
nel documento si sottolinea che “nella condizione concreta di
lavoro si misura la libertà effettiva delle persone e dei cittadini. Perciò la
difesa dei diritti del lavoro costituisce, oggi, una grande battaglia di
libertà. La monetizzazione del potere di licenziamento è una misura
odiosa. L’impatto di tale misura, nelle condizioni date, sarebbe
devastante anzitutto sul piano culturale e della formazione delle coscienze:
non esistono più veri diritti di libertà e dignità, tutto si riduce a scambio
di merci e di denaro.”
L’attacco
allo Statuto dei lavoratori, e ad una delle sue norme cardine, l’art. 18, va
visto quindi nella sua portata politica e simbolica complessiva. Se quel
tentativo riuscisse si determinerebbe un effetto-slavina che colpirebbe al
cuore il nucleo dei diritti civili e sociali.
Hanno
promosso l’iniziativa:
Luigi
Mariucci, Gian Guido
Balandi, Rita Tinti, Giorgio Ghezzi, Stefania Scarponi (docenti di diritto del
lavoro); Susanna Mancini (docente di diritto costituzionale); Renzo Costi
(docente di diritto commerciale); Maria Vita De Giorgi (docente di diritto
privato); Federico Stame (notaio); Libero Mancuso, Claudio Nunziata
(magistrati); Francesco Berti Arnoaldi Veli, Alessandro Gamberini, Alberto
Piccinini (avvocati); Federico Enriques (editore); Stefano Benni (scrittore);
Eugenio Riccomini (docente di storia dell’arte); Federico Martelloni e
Gianmarco De Pieri (disobbedienti); Gian Mario Anselmi, direttore Istituto
Gramsci Emilia Romagna.
Bologna, 6
marzo ’02
Da Bologna
un appello per una iniziativa
Un problema grande e persino
drammatico si pone oggi in Italia: il governo in carica mette in discussione lo
stesso assetto dei diritti costituzionali. Per molti aspetti la maggioranza
politica al governo si muove come se essa fosse legibus soluta,
vale a dire indifferente al vincolo dei principi di fondo su cui si regge il
patto costituzionale.
Ciò
riguarda i temi della giustizia, della scuola, dell’informazione.
Ma
riguarda anche le politiche del lavoro.
Il disegno di legge delega sul
mercato del lavoro e il “libro bianco” che l’ha preceduto delineano una
strategia di destrutturazione delle relazioni sindacali e del diritto del
lavoro che non ha precedenti nella storia dell’Italia repubblicana.
In quei
testi è scritto che la concertazione è finita, e ad essa si sostituisce la
ricerca dell’accordo “con chi ci sta”, che l’armonizzazione con l’Unione
europea va realizzata al ribasso, che la disciplina unitaria del rapporto di
lavoro va dissolta in una molteplicità di figure precarie e prive di tutela
(dal lavoro a termine al lavoro “a chiamata”alla liberalizzazione degli appalti
di manodopera). Quei testi costituiscono il manifesto di una politica
iperliberista che non ha uguali in Europa e che persegue la riduzione
conclusiva del lavoro a merce, a puro indice di costo aziendale, in totale
travisamento dei principi su cui si fondano il modello sociale europeo e la
costituzione dell’Italia repubblicana.
In questo
quadro si spiega la pervicacia con cui il governo insiste nel proporre la
sostanziale abrogazione dell’art.18 dello Statuto dei lavoratori,
reintroducendo la monetizzazione del licenziamento ingiustificato. Se tutto si
riduce a merce e a un problema di costi si può fare così: dare quattro o otto soldi
al lavoratore indesiderato, e via.
Non siamo
quindi di fronte a una semplice, per quanto rilevante, questione sindacale, ma
a qualcosa che attiene a problemi più profondi, al nucleo stesso dei
diritti di libertà e di cittadinanza su cui si fonda l’esistenza di una società
libera e democratica, come i costituenti la disegnarono nel 1948.
La libertà
non è una condizione astratta. Si è liberi, in concreto, quando si è messi in
condizione di esercitare in pieno i propri diritti di cittadinanza. Come può quindi
essere “libero” quel giovane che si trova soggetto a tempo indefinito a lavori
precari, e che vive nella costante incertezza del proprio futuro, o quel
lavoratore a cui si dice: “d’ora in poi con un risarcimento potrai essere
licenziato anche senza la prova di alcuna giusta causa”.
Nei
diritti del lavoro è dunque iscritta la radice più profonda dei diritti di
libertà.
Nella condizione concreta di
lavoro si misura la libertà effettiva delle persone e dei cittadini. Perciò la
difesa dei diritti del lavoro costituisce, oggi, una grande battaglia di
libertà.
La
monetizzazione del potere di licenziamento è una misura odiosa. L’impatto
di tale misura, nelle condizioni date, sarebbe devastante anzitutto sul piano
culturale e della formazione delle coscienze: non esistono più veri diritti di
libertà e dignità, tutto si riduce a scambio di merci e di denaro. Solo a
partire da una efficace difesa dei diritti del lavoro si possono rendere
più efficaci gli strumenti di mobilità nel mercato e i meccanismi di avviamento
al lavoro, introdurre sostegni e garanzie a favore dei lavoratori atipici e dei
giovani per cui i nuovi lavori spesso significano solo precarietà, spingere le
imprese a investire nella formazione, nella ricerca e nella innovazione
tecnologica. Soltanto dalla difesa delle conquiste maturate in un secolo di
lotte sociali è possibile partire per realizzare nuove garanzie e nuovi diritti
adeguati alle trasformazioni che hanno investito il paradigma fordista. Riducendo
i diritti del lavoro si riduce invece la libertà per tutti, e si scopre il
fianco alla affermazione di un sistema di rapporti sociali ancora
più ingiusto e selvaggio.
Bologna, 6 marzo ’02
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