Colpi di coda del vecchio orientamento sulla prova del danno professionale
Cass.
sez. lav. 28 maggio 2004 n. 10361 (ud. 18.12.2003) – Pres. Sciarelli – Rel.
Putaturo Donati Viscido – V. Baldassarre (avv. Alpa, Conte) c. RAI
Radiotelevisione Italiana SpA (avv. R. e C. Scognamiglio)
Danno
da dequalificazione – Dimostrazione del pregiudizio patrimoniale – Onere a
carico del lavoratore – Non assolvimento implica irrisarcibilità del danno
alla professionalità.
Il
prestatore di lavoro che chieda la condanna del datore di lavoro al risarcimento
del danno (anche nella sua eventuale componente di danno alla vita di relazione
o di cosiddetto danno biologico) subito a causa della lesione del proprio
diritto di eseguire la prestazione lavorativa in base alla qualifica
professionale rivestita, lesione idonea a determinare la dequalificazione del
dipendente stesso, deve fornire la prova dell'esistenza di tale danno e del
nesso di causalità con l'inadempimento, prova che costituisce presupposto
indispensabile per procedere ad una valutazione equitativa. Tale danno non si
pone, infatti, quale conseguenza automatica di ogni comportamento illegittimo
rientrante nella suindicata categoria, cosicché non è sufficiente dimostrare
la mera potenzialità lesiva della condotta datoriale, incombendo al lavoratore
che denunzi il danno subito di fornire la prova in base alla regola generale di
cui all'art. 2697 cod. civ. .( Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di
merito sul punto in quanto il giudice, invece di verificare se il prestatore di
lavoro aveva nella specie provato, conformemente all'onere probatorio da cui era
gravato, il danno ed il nesso di causalità con l’inadempimento datoriale,
aveva affermato che al demansionamento professionale andava riconosciuta una
indubbia dimensione patrimoniale, suscettibile di risarcimento e di valutazione
anche equitativa, pur in mancanza della dimostrazione di un effettivo
pregiudizio).
V.
Baldassarre conveniva davanti al
Pretore di Roma la s.p.a. RAI - Radiotelevisione Italiana chiedendone la
condanna: all'attribuzione delle mansioni di regista, in virtù della
contrattazione collettiva e dell'art.2103 c.c.,
in
riferimento ai rapporti di collaborazione esterna intercorsi nel periodo
1967-1974, al rapporto di lavoro a tempo determinato nel periodo ottobre
1974-giugno 1975 e al rapporto di lavoro a tempo indeterminato successivamente
instaurato;al risarcimento del danno nella misura di lire 2.000.000.000 o di
quella maggiore o minore rispondente a giustizia, con pubblicazione dell'emananda
sentenza sui quotidiani e sui periodici. Chiedeva altresì l'accertamento della
nullità della transazione impugnata, la ricostituzione del rapporto di lavoro
subordinato a far data dal 1968, la corresponsione delle differenze di
retribuzione maturate e non percette nella misura complessiva di lire
59.228.360.
La
convenuta, nel costituirsi in giudizio, assumeva la legittimità del proprio
operato eccependo comunque la intevenuta prescrizione decennale e quinquennale
dei diritti azionati.
Il
Pretore, all'esito dell'interrogatorio libero delle parti, con sentenza del 23
giugno 1995, condannava la RAI ad adibire il ricorrente alle mansioni rivestite
di programmista regista di 1° livello, rigettando le altre richieste.
Avverso
la decisione proponeva gravame il Baldassarre il quale, nel denunciare l'errata
determinazione del primo giudice sul punto della mancata prova del danno da
dequalificazione, insisteva per
l'accoglimento delle ulteriori richieste formulate con l'atto introduttivo del
giudizio.
La
società, nel costituirsi in appello, concludeva per il rigetto del gravame e
proponeva appello in via incidentale avverso la decisione pretorile nella parte
attinente alla acclarata inadempienza della RAI agli obblighi di cui
all'art.2103 c.c.
Il
Tribunale, con sentenza del 30 novembre 2000, in parziale riforma della sentenza
impugnata,condannava la società al pagamento in favore del Baldassarre della
somma di lire 50.000.000 a titolo di risarcimento del danno subito.
Osservava,
in particolare, il Tribunale che:dalle prove acquisite era emerso che la datrice di
lavoro aveva effettivamente attribuito al dipendente mansioni inferiori a quelle
spettantigli dal 1° gennaio 1988; il danno che ne era derivato doveva essere
calcolato da tale data (non essendo stata proposta sul punto impugnazione alcuna
dal lavoratore) sino al giorno del deposito del
ricorso e la sua liquidazione, in mancanza di dati certi, andava effettuata in via
equitativa in rapporto al tempo di durata del danno, alla qualifica rivestita,
al livello retributivo, alla circostanza della percezione di retribuzione pur in
mancanza di prestazione di attività lavorativa.
Il
Baldassarre ha proposto ricorso per
cassazione con due motivi cui ha resistito la s.p.a. RAI con controricorso
proponendo ricorso incidentale con tre motivi. Il Baldassarre ha depositato
controricorso al ricorso incidentale. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Preliminarmente
devono riunirsi i due ricorsi avverso la stessa sentenza in un sol processo, ai
sensi dell'art.335 c.p.c.
Con
il primo motivo del ricorso incidentale,il cui esame nel profilo
logico-giuridico va anticipato, denunciandosi violazione o falsa applicazione
degli artt.2103 e 2697 c.c., anche
in relazione agli artt.1175 e 1375 c.c.,nonché
carenza o contraddittorietà di motivazione su un punto essenziale della
controversia, si censura l'impugnata sentenza per avere ritenuto nella specie
provata la dequalificazione professionale sul rilievo che la RAI aveva preposto
per breve durata il dipendente come docente in corsi di formazione, allegando
soltanto tre offerte di programmi dall'epoca dell'ultima promozione alla
qualifica di programmista regista.
Eppure
la datrice di lavoro aveva dedotto, nella memoria di
costituzione in primo
grado, che il Baldassarre aveva declinato sia la
proposta, indirizzatagli con nota del 15 dicembre 1987, di assumere la regia del
programma "Star bene con se stessi", che quelle concernenti altri
incarichi come la trasmissione "Detto tra noi", nel novembre del 1991.
Su
tali circostanze era stata chiesta prova per testimoni anche in appello ma il
Tribunale non solo aveva accollato alla RAI l'onere di provare l'inesistenza
della dequalificazione in palese violazione dell'art.2697 c.c.,ma aveva anche valutato l'attività del dipendente con parametri
meramente quantitativi invece che qualitativi. Né tanto meno aveva rilevato il dato della scarsa
presenza del dipendente negli uffici cui era preposto e, dall'altro, l'assenza di
qualsiasi contestazione del ricorrente sulla illiceità della condotta datoriale.
Con
il secondo motivo, denunciandosi violazione o falsa applicazione dell'art.1223 c.c.,
in relazione all'art.2697 c.c., nonché carenza o
contraddittorietà della motivazione in ordine ad un punto essenziale della
controversia, si deduce che il Tribunale ha ritenuto l'esistenza di un danno in sé
in capo al dipendente, in conseguenza dell'acclarato demansionamento, in
violazione dell'art.2103 c.c.,
senza rilevare che non è consentito il ricorso a meccanismi risarcitori
automatici ricolleganti l'imposizione di una prestazione patrimoniale al mero
dato di un comportamento datoriale in ipotesi lesivo dei diritti altrui.
Con
il terzo motivo, denunciandosi violazione o falsa applicazione dell'art.1227,
comma 2, c.c., in relazione all'art.112 c.p.c. nonché carenza di
motivazione su un punto decisivo della controversia,
si
censura l'impugnata sentenza per non avere esaminato quanto eccepito dalla RAI
in primo grado e in appello in ordine alla condotta del lavoratore che avrebbe
reagito con inammissibile ritardo di anni all'illecito perpetrato dal datore. Ne
discende la non risarcibilità dei danni evitabili con l'ordinaria diligenza e
in ogni caso il Tribunale avrebbe dovuto tenere conto della specifica deduzione
in sede di liquidazione dell'asserito danno.
Tanto
premesso,va ricordato che, secondo l'orientamento prevalente di questa Corte
Suprema - che va ribadito in quanto si condividono gli argomenti posti a
sostegno - il prestatore di lavoro che chieda la condanna del datore di lavoro
al risarcimento del danno (anche nella sua eventuale componente di danno alla
vita di relazione o di cosiddetto danno biologico) subito a causa della lesione
del proprio diritto di eseguire la prestazione lavorativa in base alla qualifica
professionale rivestita, lesione idonea a determinare la dequalificazione del
dipendente stesso, deve fornire la prova dell'esistenza di tale danno e del nesso
di causalità con l'inadempimento, prova che costituisce presupposto
indispensabile per procedere ad una valutazione equitativa.Tale danno non si
pone, infatti, quale conseguenza automatica di ogni comportamento illegittimo
rientrante nella suindicata categoria, cosicché non è sufficiente dimostrare la
mera potenzialità lesiva della condotta datoriale, incombendo al lavoratore che
denunci il danno subito di fornire la prova in base alla regola generale di cui
all'art.2697 c.c. (cfr.,Cass., 4 giugno 2003,n.8904;14 maggio 2002, n.6992;
1998, n.7905; contra, Cass.,6 novembre 2000, n. 14443;18 ottobre 1999, n.11727).
Ciò
posto,va rigettato il primo motivo del ricorso incidentale volto a censurare
l'accertamento del giudice d'appello sulla sussistenza della condotta illecita
datoriale e sul nesso di causalità con il denunciato demansionamento e, in
particolare, la mancata ammissione della prova per testi articolata su
circostanze che avrebbero invece confermato il comportamento ostracistico del
dipendente. Ed invero,
la ricorrente, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso, non ha trascritto i relativi capitoli nell'atto di
impugnazione,impedendo così ogni controllo in sede di legittimità sulla
pertinenza del mezzo istruttorie (cfr.,tra tante,Cass.,1° febbraio 1995,
n.1161).
Né
hanno rilievo le ulteriori censure formulate poiché dall'esame dell'impugnata
sentenza è emerso che il giudice d'appello,diversamente da quanto denunciato,ha
tenuto conto nella determinazione del danno da dequalificazione professionale
sia degli aspetti quantitativi che di quelli qualitativi.
Al
contrario,deve essere accolto il secondo motivo del ricorso poiché il
Tribunale, invece di verificare se il prestatore di lavoro aveva nella specie
provato, conformemente all'onere probatorio di cui era gravato, il preteso danno
da dequalificazione ed il nesso di causalità con l'inadempimento, ha affermato
che al demansionamento professionale andava riconosciuto una indubbia dimensione
patrimoniale, suscettibile di risarcimento e di valutazione anche equitativa,
pure
in mancanza della dimostrazione di un effettivo pregiudizio.
Il
terzo motivo del ricorso incidentale va, altresì, considerato assorbito poiché
spetterà al giudice di rinvio, cui è demandata la determinazione del danno
secondo i criteri indicati, anche la valutazione del comportamento di implicita
acquiescenza del prestatore di lavoro che avrebbe reagito dopo molti anni e,
quindi, con un inammissibile ritardo all'illecito datoriale perpetrato ai suoi
danni.
Con
il primo motivo del ricorso principale,denunciandosi violazione e falsa
applicazione degli artt.2126 c.c.,112,115
e 116 e.p.c.,111, 6° comma, Cost. nonché omessa motivazione su di un punto
essenziale della controversia, si deduce che il Tribunale, nella determinazione
del pregiudizio da demansionamento, si è limitato ad accertare la sussistenza
del c.d. danno alla professionalità quantificandolo peraltro in maniera errata,
senza esaminare la richiesta, anche formulata nell'atto di appello, riguardante l'esistenza del danno
biologico, riconducibile tra l'altro
alla patologia tumorale sofferta, il quale è del tutto distinto ed autonomo
rispetto al primo. Eppure erano stati dedotti mezzi istruttori e rinnovata
l'istanza di rinnovazione di consulenza tecnica d'ufficio.
In
altro profilo il Tribunale ha determinato in via equitativa l'ammontare del
danno alla professionalità, sulla scorta di presupposti fattuali errati e sulla
base di una ricostruzione totalmente priva di nessi logici.
Ed
invero, sul termine iniziale del periodo di protrazione del demansionamento la
decisione pretorile non aveva affatto attestato che la dequalificazione avesse
avuto inizio dal 1° gennaio 1988, ma aveva semmai ricollegato a tale data la
totale inattività del Baldassarre coincidente con la promozione dello stesso
nella qualifica di quadro livello A.
Al
contrario il primo giudice aveva acclarato il dato incontroverso che riconduceva
l'inizio della dequalificazione subita dal ricorrente al periodo 1985-1986.
Infine
il Tribunale, anche a prescindere dall'inesatta collocazione temporale del
periodo in cui si era verificata la dequalificazione, aveva erroneamente
decurtato dall'importo in ipotesi dovuto al lavoratore a titolo di risarcimento
del danno subito quanto percepito a titolo di retribuzione nel medesimo periodo,
senza considerare che quest'ultima somma non poteva costituire oggetto
di compensazione e che la liquidazione equitativa
del danno doveva essere mantenuta entro il sistema codicistico di risarcimento
espresso dalle formule degli artt.1218 e 1223 c.c.
Con
il secondo motivo,denunciandosi violazione e falsa applicazione degli artt.1121
e 120 c.p.c. nonché omessa e contraddittoria motivazione su un punto essenziale
della controversia, si deduce che il Tribunale aveva omesso l'esame della
richiesta riformulata in sede di appello attinente alla pubblicazione della
sentenza di condanna su alcuni giornali, stante la riconducibilità della
condotta assunta dalla società datrice di lavoro,a seguito della violazione
dell'art.2103 c.c. ad un comportamento di fatto menomante l'immagine del
dipendente,
tutelabile, in applicazione analogica dell'art.7 del codice civile con riguardo
al diritto al nome, anche attraverso azioni inibitorie e di risarcimento del
danno oltreché attraverso la
possibilità di ottenere, ex art.7 cit., la pubblicazione della
sentenza che avesse
accolto la domanda.
I
due motivi del ricorso principale devono considerarsi
assorbiti
poiché -
conformemente ai
su indicati
principi giurisprudenziali
e all'onere probatorio di cui il prestatore di lavoro è nella specifica materia
gravato - è devoluta al giudice di rinvio la valutazione della prova del danno
patrimoniale da demansionamento, anche nella sua eventuale componente di danno
alla vita di relazione o di cosiddetto danno biologico.Al giudice di rinvio
spetterà anche la valutazione degli argomenti addotti sulla diversa data di
inizio del demansionamento e, quindi, del danno nonché in ordine alla
determinazione dello stesso con utilizzazione di meccanismi di compensazione con
la retribuzione in quel periodo erogata.
Deve
considerarsi, altresì, assorbito il secondo motivo del ricorso principale
poiché, alla
stregua delle considerazioni svolte, spetterà al giudice di rinvio decidere su
tutte le componenti del danno richiesto e, nell'ambito di tale indagine, sulla
specifica istanza di pubblicazione della sentenza di condanna su alcuni
giornali.
In
conclusione, va accolto il secondo motivo del ricorso incidentale, rigettato il
primo ed assorbiti il terzo ed il ricorso principale. La sentenza impugnata va
quindi cassata con rinvio della causa ad altro giudice che,uniformandosi ai
principi e criteri enunciati, provvedere anche sulle spese di questo giudizio.
P.Q.M.
La Corte, riunisce i ricorsi;accoglie il secondo motivo del ricorso incidentale, rigettato il primo, assorbito il terzo motivo e il ricorso principale; cassa e rinvia anche per le spese alla Corte di Appello di l'Aquila.
Roma 18.12. 2003
(Ritorna
alla
Sezione
Mobbing)