Dimissioni per giusta causa provate tramite registrazione colloqui - Misura dell'indennizzo  per risoluzione ante tempus nel contratto a termine  o  a tempo indeterminato con clausola di durata minima garantita

 

Cass., sez. lav., 8 maggio 2007, n. 10430 - Pres. Senese – Rel. De Renzis - Pm Patrone (diff.) – Ricorrente: Giotto Immobiliare Sas – Controricorrente: Di Noto

 

Prova tramite registrazione -  Utilizzo a fini di prova presuntiva e non come prova piena – Legittimità – Dimissioni anticipate da un rapporto a termine, per giusta causa -  Indennizzo risarcitorio in misura pari alle retribuzioni che si sarebbero maturate fino alla scadenza del termine.

 

Il disconoscimento, che fa perdere alle riproduzioni meccaniche la loro qualità di prova e va distinto dal mancato riconoscimento – diretto o indiretto – che non esclude il libero apprezzamento da parte del giudice delle riproduzioni legittimamente acquisite, deve essere chiaro e circostanziato ed esplicito con allegazione di elementi attestanti la non corrispondenza tra realtà fattuale e realtà riprodotta (Cass. n. 8998 del 2001).

Il giudice di appello ha fatto corretta applicazione di tale orientamento, avendo ritenuto con apprezzamento in fatto, non censurato dalla ricorrente, che la contestazione mossa dalla difesa della società fosse generica, dal che la possibilità di un libero apprezzamento degli anzidetti elementi presuntivi ex art. 2729 Cod. Civ.

Questo Collegio non ignora altro indirizzo secondo il quale il disconoscimento delle riproduzioni meccaniche (nella specie cassetta audiofonica) di cui all’art. 2712 Cod. Civ. non consente la formazione di prova piena (Cass. n. 12715 del 1998), ma ciò non può precludere al giudice la ricostruzione del contenuto della registrazione, contestato in modo generico, attraverso elementi gravi, precisi e concordanti, la cui consistenza nel caso di specie, come già evidenziato, è stata acclarata dalla Corte territoriale con accertamento adeguatamente motivato.

In caso di dimissioni per giusta causa da un rapporto a termine, il risarcimento non è pari alla indennità di mancato preavviso (istituto inapplicabile al rapporto a termine) ma correttamente il danno va determinato nella misura pari alle retribuzioni che la stessa lavoratrice avrebbe percepito fino alla scadenza del contratto (in questo senso si richiama Cass. n. 924 del 1996, Cass. n. 6439 del 1995; Cass. n. 5600 del 1987).

 

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Prato con sentenza n. 4 del 2002 rigettava la domanda proposta da Angela Di Noto contro Pacini Invest SAS di Pacini Luigi e C. per ottenere il risarcimento del danno da mancato guadagno per £ 26.533.652, conseguente alle dimissioni dal lavoro rassegnate a causa delle ingiurie e molestie ricevute in ufficio e oggetto di denuncia penale.

Il Tribunale non riteneva provata la domanda, in quanto non era ammissibile l'interrogatorio formale di Pacini Luca, non rivestendo la carica di legale rappresentante della società‑ né essendo ammissibile ai sensi dell'art. 2712 Cod. Civ. la consulenza tecnica di ufficio, volta alla trascrizione del nastro magnetico, in quanto la convenuta aveva contestato l’esistenza delle asserite conversazioni e della loro conformità ai fatti.

L'anzidetta decisione, impugnata dalla Di Noto, è stata riformata, previo espletamento di consulenza fonografica, dalla Corte di Appello di Firenze con sentenza n. 213 del 2004, che, in parziale accoglimento dell'appello, ha condannato la Giotto Immobiliare al pagamento a favore dell'appellante della somma di € 8367,29, oltre rivalutazione monetaria ed interessi.

La Corte territoriale ha ritenuto ammissibile la consulenza tecnica per valutare gli elementi probatori desumibili dalle registrazioni fonografiche effettuate dalla Di Noto, in quanto il disconoscimento della conformità ai fatti rappresentati non impedisce al giudice di trarre in via presuntiva argomenti di giudizio anche dalle riproduzioni meccaniche, ove sorrette da elementi gravi, precisi e concordanti.

Ciò premesso, il giudice di appello ha osservato che le risultanze della microcassetta registrata di cui alla consulenza tecnica confermavano il clima di particolare ostilità di Pacini Luca reazione alla richiesta di ferie della dipendente, come evidenziato dalle contestazioni disciplinari mosse e dalla minaccia di denuncia ai Carabinieri per contestati ammanchi, ove la Di Noto non avesse presentato a breve la lettera di dimissioni, pur dichiarandosi la stessa disposta alla restituzione.

In questa situazione, il avviso della Corte, erano da ritenersi giustificate sotto l’aspetto psicologico le dimissioni anticipate dalla Di Noto al 6 dicembre 1996 rispetto alla scadenza del contratto a termine nel giugno successivo.

Circa l'entità del danno risarcibile la Corte ha liquidato l'anzidetto importo di € 8367,29, pari alle retribuzioni maturate fino alla scadenza del contratto.

La società ricorre per cassazione contro l'anzidetta sentenza con due motivi, illustrati con memoria ex art. 378 C.P.C.

La Di Noto resiste con controricorso.

Motivi della decisione

1. Con il. Primo motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2712 Cod. Civ. 116 C.P.C. e 2729 Cod. Civ., nonché vizio di motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360 n. 3 C.P.C. e n. 5 C.P.C.).

La Giotto Immobiliare sostiene che il giudice di appello non ha fatto buongoverno delle richiamate norme, in particolare dell'art. 2712 Cod. Civ., con riguardo all'ammissibilità della trascrizione del nastro magnetico, in quanto la stessa ricorrente, in sede di comparsa di costituzione. e risposta dinanzi al primo giudice, aveva disconosciuto la conformità ai fatti della registrazione prodotta dalla controparte e comunque che la conversazione registrata sul nastro fosse avvenuto con il tenore ivi risultante.

Ad avviso della ricorrente, l'art. 2712 Cod. Civ., se correttamente applicato, avrebbe dovuto escludere la possibilità da parte della Corte di Appello di provvedere alla trascrizione del nastro magnetico e di utilizzarne, quindi, il contenuto.

Da parte sua la controricorrente ha contestato le avverse deduzioni ed argomentazioni e ha concluso per il rigetto del ricorso, ritenendo corretta la sentenza impugnata sia in ordine alla decisione di ammissione della trascrizione del nastro magnetico e della conseguente utilizzazione degli elementi di fatto emersi da tale trascrizione, sia in ordine alla decisione di trarre argomenti di giudizio anche dalle riproduzioni meccaniche, ove sorretti, come nel caso di specie, da elementi gravi, precisi e concordanti.

Ciò posto sulle opposte linee difensive, questa Corte ritiene privi di pregio i rilievi della ricorrente.

Le statuizioni del giudice di appello sono condivisibili e non in contrasto con l'art. 2712 Cod. Civ., giacché la contestazione della società non ha riguardato il fatto della registrazione, ma le sue risultanze, valutate, come già detto, dallo stesso giudice in base ad elementi presuntivi ex art. 2729 Cod. Civ., quali il clima di particolare ostilità di Pacini Luca in reazione alla richiesta di ferie della dipendente Di Noto e alla minaccia di denuncia penale ai Carabinieri per contestati ammanchi di cassa, ove la Di Noto non avesse presentato a breve la lettera di dimissioni.

Sotto tale profilo può richiamarsi l’indirizzo giurisprudenziale il quale sostiene che il disconoscimento, che fa perdere alle riproduzioni meccaniche la loro qualità di prova e va distinto dal mancato riconoscimento – diretto o indiretto – che non esclude il libero apprezzamento da parte del giudice delle riproduzioni legittimamente acquisite, deve essere chiaro e circostanziato ed esplicito con allegazione di elementi attestanti la non corrispondenza tra realtà fattuale e realtà riprodotta (Cass. n. 8998 del 2001).

Il giudice di appello ha fatto corretta applicazione di tale orientamento, avendo ritenuto con apprezzamento in fatto, non censurato dalla ricorrente, che la contestazione mossa dalla difesa della società fosse generica, dal che la possibilità di un libero apprezzamento degli anzidetti elementi presuntivi ex art. 2729 Cod. Civ.

Questo Collegio non ignora altro indirizzo secondo il quale il disconoscimento delle riproduzioni meccaniche (nella specie cassetta audiofonica) di cui all’art. 2712 Cod. Civ. non consente la formazione di prova piena (Cass. n. 12715 del 1998), ma ciò non può precludere al giudice la ricostruzione del contenuto della registrazione, contestato in modo generico, attraverso elementi gravi, precisi e concordanti, la cui consistenza nel caso di specie, come già evidenziato, è stata acclarata dalla Corte territoriale con accertamento adeguatamente motivato.

2. Con il secondo motivo la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 2119 Cod. Civ. e degli artt. 1453 e seguenti Cod. Civ. (art. 360 n. 3 C.P.C.).

Al riguardo osserva che il giudice di appello ha in modo erroneo liquidato il danno nella misura delle retribuzioni maturande fino alla scadenza del contratto, laddove il pregiudizio, in mancanza di prova da parte della lavoratrice di un diverso e maggiore danno, è rappresentato unicamente dall’indennità sostitutiva del preavviso ex art. 2119 Cod. Civ., che richiama l’art. 2118-2° comma Cod. Civ.

Il motivo è infondato.

La decisione del giudice di appello non è suscettibile di censura, in quanto nella specie non trattasi di rapporto a tempo indeterminato, in relazione al quale è prevista l'indennità sostitutiva del preavviso, ma di rapporto a termine, sicché correttamente il danno, subito dalla lavoratrice in conseguenza delle dimissioni per giusta causa, è stato determinato nella misura pari alle retribuzioni che la stessa avrebbe percepito fino alla scadenza del contratto (in questo senso si richiama Cass. n. 924 del 1996, Cass. n. 6439 del 1995; Cass. n. 5600 del 1987).

3. In conclusione il ricorso è destituito di fondamento e va rigettato.

Ricorrono giusti motivi, in considerazione della non uniformità delle decisioni dei giudici di merito, per dichiarare compensate le spese del giudizio di cassazione.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.

 

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Cass., sez. lav., 3 febbraio 1996, n. 924 – Pres. Mollica – Rel. Nuovo – P.M. Carnevali (concl. diff.) - Baldati (avv. Di Biase)  c. Pezzella (Di Virgilio)

[in Mass. giur. lav., 1996, 333, nt. Masini; Orient. giur. lav., 1996, I, 677; Riv.it. dir. lav. 1997,II, 800, nt. Bonardi]

 

Clausola di durata minima – Dimissioni ante tempus per giusta causa – Risarcimento del danno – Commisurato alle retribuzioni future perdute – Si fonda su presunzione semplice – Aliunde perceptum – Il datore di lavoro deve provare soltanto la nuova occupazione retribuita – Il lavoratore deve provare l’eventuale minor livello della retribuzione.

 

Nel caso di anticipata risoluzione di un contratto di lavoro a tempo determinato (o di un contratto di lavoro a tempo indeterminato con durata minima garantita) dovuta a dimissioni del lavoratore per giusta causa, il danno da questo subito può essere determinato nella misura delle retribuzioni che egli avrebbe percepito se il contratto avesse avuto la durata prevista; trattandosi peraltro di un danno futuro, esso è solo presunto e può essere congruamente ridotto, a norma dell’art. 1227 c.c., se il lavoratore abbia nel frattempo impiegato le proprie energie lavorative o avrebbe potuto farlo usando la diligenza che ordinariamente usa il lavoratore disoccupato nel ricercare una nuova occupazione.

In tema di liquidazione del danno risarcibile al lavoratore in caso di dimissioni per giusta causa da un rapporto di lavoro a tempo determinato, l’onere, che grava sul datore di lavoro, di provare l’aliunde perceptum da parte del lavoratore dimissionario - prova finalizzata ad evitare che tale liquidazione venga fatta sulla base delle retribuzioni dovute dalla data del recesso a quella della scadenza del contratto - è limitato alla prova dell’avvenuta occupazione lavorativa del dipendente e non anche all’ammontare dei guadagni percepiti, atteso che, trattandosi di rapporti di lavoro (autonomo o subordinato) a cui il datore di lavoro è assolutamente estraneo, quest’ultima prova sarebbe oltremodo gravosa se non impossibile; pertanto, ove il datore di lavoro abbia fornito la prova della sussistenza di un’altra occupazione lavorativa del dipendente dimissionario, incombe su quest’ultimo l’onere di provare che i guadagni ricavati da tale occupazione sono inferiori alle retribuzioni perdute a causa della risoluzione del rapporto, spettandogli in tal caso il diritto alle sole differenze.

 

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Cass., sez. lav., 25 giugno 1987, n. 5600 — Pres. Valente — Est. Vaccaro — P.M. Tridico (concl. conf.) — Soc. Igi e Igi c. Pollacci.

 

Licenziamento - Clausola di stabilità per una durata minima  garantita - Liceità - Violazione -Effetti - Risarcimento del danno - Criteri - Fattispecie relativa ad anticipata risoluzione del rapporto di un dirigente industriale.

 

La clausola di stabilità relativa del rapporto per una durata minima garantita è legittima (non essendo incompatibile con le norme dettate dalla l. n. 230 del 1962 sull’apponibilità del termine al contratto di lavoro) e non altera la sostanziale natura del contratto di lavoro a tempo indeterminato, traducendosi soltanto in una preventiva rinuncia del datore di lavoro alla facoltà di recesso e, quindi, in una garanzia per il lavoratore della conservazione del posto per una durata minima; pertanto, in ipotesi di anticipata ed ingiustificata risoluzione del rapporto da parte del datore di lavoro (così come in quella di dimissioni del lavoratore per giusta causa) quest’ultimo avrà diritto al risarcimento del danno pari all’ammontare delle retribuzioni che egli avrebbe percepito se la risoluzione non fosse intervenuta.

(Nella specie la S.C. ha confermato la pronuncia del giudice del merito il quale, in un'ipotesi di anticipata risoluzione del rapporto di lavoro di un dirigente d'azienda industriale, aveva condannato il datore anche al risarcimento del danno, pur determinato in relazione all'anticipato pagamento dell'indennità sostitutiva del preavviso e dell'indennità supplementare).

 

Fatto. — Siro Pollacci, dirigente della Igi e Igi spa, licenziato per giusta causa, impugnava il provvedimento davanti al Pretore di Perugia e chiedeva che la società fosse condannata a risarcirgli il danno, tenuto conto di tutti gli elementi retributivi, nonché della clausola di stabilità relativa inserita nel contratto.

Il Pretore adito, con una prima sentenza non definitiva confermata dal Tribunale, dichiarava l'illegittimità del licenziamento e con successiva sentenza provvedeva a liquidare il danno.

Il Tribunale, giudicando sugli appelli principale ed incidentale proposti rispettivamente dalla società e dal Pollacci, li accoglieva in parte e condannava la prima a pagare a favore del secondo la somma di oltre lire 36.000.000 a titolo di differenze retributive oltre alla rivalutazione monetaria ed agli interessi dal 6 settembre 1982, nonché la somma di lire 120.000.000 a titolo di risarcimento danni con rivalutazione monetaria ed interessi legali dal giorno della decisione al saldo.

Premesso che la materia del contendere era limitata all'entità dei danni e dai metodi per la loro determinazione e che non poteva dubitarsi della legittimità della clausola di relativa stabilità inserita nel contratto, riteneva che tuttavia non tutte le retribuzioni che sarebbero maturate per l'intera durata del rapporto fossero dovute a titolo di risarcimento del danno, ma solo quanto corrispondeva all'ammontare del lucro cessante effettivamente verificatosi. Ed aggiungeva che tale criterio non poteva più essere seguito, e che fosse quindi necessario il ricorso all'equità «quando tutto il danno da lucro cessante non si è verificato» non essendo possibile sapere in questo caso se il danneggiato ha usato l'ordinaria diligenza per evitare o attenuare il danno.

Riteneva che oltre al danno spettassero l'indennità di mancato preavviso e supplementare di cui all'art. 19 c.c.n.l. per i dirigenti dell'industria (dovute anche nell'ipotesi in cui nel contratto non fosse inserita la clausola di stabilità relativa) e che per la liquidazione del danno (dell'ammontare prima specificato) dovesse tenersi conto dell'inserimento del Pollacci nel mondo del lavoro solo nel 1983, della anticipata riscossione delle somme suddette, dei mancati aumenti (probabili) futuri e della mancata tutela previdenziale.

Al danno aggiungeva quanto rappresentava l'ammontare delle differenze retributive (ratei di partecipazione al risultato per l'anno 1982, retribuzioni non percepite, indennità di anzianità, 13 mensilità e ferie non godute) nelle misure determinate dal consulente tecnico (comprese nel calcolo sia il premio di partecipazione agli utili sia l'uso dell'auto nella misura del 30%).

Avverso la decisione la spa Igj e Igi ha proposto ricorso per annullamento resistito con controricorso dal Pollacci il quale a sua volta ha proposto ricorso incidentale illustrato in memoria.

Diritto. — I due ricorsi devono essere preliminarmente riuniti in quanto proposti avverso la stessa sentenza (art. 335 c.p.c).

Con il primo motivo la ricorrente, richiamandosi ai motivi proposti avverso la decisione 3 giugno 1983 del Tribunale di Perugia, deduce che l'annullamento di questa travolgerebbe ex art. 336 cp.c, ogni successiva pronuncia con la conseguenza di determinare l'improcedibilità del presente procedimento.

Con il secondo motivo denunzia violazione dell'art 41. n. 230 del 18 aprile 1962; mancato esame di un punto decisivo della controversia e motivazione contraddittoria. Deduce che il Tribunale ha ritenuto la validità della clausola di durata sul presupposto che essa produce l'effetto di limitare facoltà di recesso del datore di lavoro omettendo di considerare che la suddetta facoltà trova i limiti della propria legittimità nella salvaguardia degli interessi tutelati dalla citata legge e finendo così con il confondere la tutela della libertà di recesso con quella relativa al limite di durata attribuendo a questa la funzione assolta da quella.

Con il terzo motivo denunzia violazione dell'art 112 c.p.c, contraddittoria ed illogica motivazione e deduce che, nonostante la ritenuta validità della clausola di durata minima, il Tribunale non si è posto il problema se competesse al dipendente il diritto all'indennità di preavviso e se essa fosse compresa o non nella clausola; se il diritto all'indennità sostitutiva fosse compatibile con il richiesto danno; se, infine, in questo fossero computabili sia l'indennità sostitutiva surrichiamata sia quella suppletiva.

Con il quarto motivo denunzia violazione dell'art 1352 ce, in relazione alla clausola n. 19 c.c.n.l. per i dirigenti di aziende industriali 13 aprile 1981; mancato esame di un punto decisivo proposto e dibattuto; motivazione contraddittoria e deduce che il diritto all'indennità suppletiva prescinde dall'esame della «giustificatezza» del recesso; questione che non si identifica con la giusta causa e che pertanto non poteva dirsi risolta con la prima questione; ed infine ha dato per scontato che dalla carenza di giusta causa dovesse automaticamente discendere la carenza di giustificato motivo.

Tutti i motivi, i quali possono essere congiuntamente esaminati perché logicamente connessi, sono infondati.

Il rigetto del ricorso avverso la decisione 3 giugno 1983 del Tribunale di Perugia rende del tutto inutile il primo motivo con il quale il ricorrente si limita a ricordare, astrattamente, gli eventuali effetti dell'altro giudizio su quello presente (art. 336 cp.c) senza per altro proporre, inammissibilmente, alcuna censura avverso l'im pugnata decisione essendosi richiamato al ricorso già proposto avverso la citata decisione.

Ciò premesso occorre precisare che il Tribunale, con accertamento di fatto non sottoposto a censura per vizi logici, ha ritenuto in maniera non più discutibile che nel caso di specie le parti, con riferimento alle lettere del 1979 e 1981 conclusero un contratto a tempo indeterminato con clausola di durata minima e non già un contratto a termine, per cui non può prescindersi dalla suddetta realtà.

Ne consegue che nel caso di specie l'impugnata decisione deve essere valutata in relazione all'applicazione dei canoni legali che, in relazione all'esistenza di suddetta clausola, è stata fatta dal Tribunale e non già in relazione alla disciplina del contratto a termine.

Per il che è utile ricordare la costante giurisprudenza di questa Corte, non contrastata nel caso di specie da alcun argomento, secondo cui la clausola di relativa stabilità del rapporto di lavoro per una durata minima garantita non altera la sostanziale natura del contratto a tempo indeterminato e non è incompatibile, al contrario di quanto sostiene la società, con le norme di cui alla 1. n. 230 del 1962 (n. 2365 del 1980).

Esatta è la conseguenza tratta dal Tribunale che essa si traduce in una preventiva rinunzia del datore di lavoro al diritto di recesso e garantisce al prestatore di lavoro la conservazione del posto per una durata minima (Cass., n. 1086 del 1980) senza reincidere sui diritti di lui a norma degli artt. 2118 e 2120 c.c. (n. 3010 del 1984). Né può dubitarsi, stante le suddette premesse, che nell'ipotesi di anticipata e ingiustificata risoluzione del rapporto da parte del datore di lavoro, cosi come in quella di dimissioni del lavoratore per giusta causa (n. 1676 del 1984) questi avrà diritto al risarcimento del danno ai sensi degli artt. 1453 e 2219 c.c., consistente nell'ammontare della retribuzione che lo stesso avrebbe percepito se la risoluzione non fosse intervenuta.

Il danno non può, perciò, dirsi compreso nella previsione della clausola in esame la quale assolve la sua funzione nel diverso campo della delimitazione della facoltà di recesso del datore di lavoro; e corretto è anche il principio affermato dal Tribunale che i danni (artt 1223 e 1227c.c.) vanno determinati tenuto conto degli elementi aggiuntivi e che il tutto va determinato per il tempo che corre fino a che il lavoratore non trovi altra idonea occupazione.

Lo stesso giudice avendo ritenuto non facilmente determinabile l'ammontare del danno nella componente del lucro cessante, ha fatto ricorso al giudizio di equità tenendo presente il quantum dovuto per indennità di preavviso e per indennità supplementare, senza ricorrere nel denunziato vizio di extrapetizione, essendo state entrambe richieste dal Pollacci per l'ipotesi che fosse stato ritenuto necessario il ricorso al giudizio di equità del giudice del merito.

L'ulteriore profilo della censura, con la quale la ricorrente lamenta che non è stato valutato se la funzione del preavviso non venga assolta dalla clausola in esame, se sia concepibile la valutazione congiunta del danno e della indennità sostitutiva del preavviso e se nella determinazione di quello siano compatibili la suddetta indennità nonché l'indennità suppletiva, è posto in maniera problematica privo com'è di argomenti di sostegno della tesi.

Tuttavia essa può emergere volgendo il tutto in positivo e con questa precisazione il Collegio osserva che la sussistenza di un termine capace di contrarre la facoltà di recesso del datore di lavoro non serve a rendere intollerabile il preavviso, come è stato esattamente osservato dal Tribunale con la considerazione che la clausola non incide sulla natura a tempo indeterminato del contratto e che il preavviso (o indennità sostitutiva) sarebbe comunque dovuto (ciò anche nella ipotesi di clausola nulla) per cui non v'è ragione logica e giuridica per negare l'indennità in costanza della stessa ove si verifichi l'ipotesi di recesso ante tempora del datore di lavoro.

Il diritto all'indennità supplementare è stato ritenuto dal Tribunale sulla scorta di norma pattizia e di entrambe le indennità, comunque dovute in regime di contratto a tempo determinato, è stato perciò correttamente tenuto conto nella determinazione del danno.

A proposito della suddetta indennità suppletiva, il rigetto del ricorso avverso l'altra decisione di cui si è detto, rende del tutto inutile quella parte del mezzo d'impugnazione che fa riferimento alla pendenza in questa sede del relativo giudizio. Per il resto la censura è generica, perché priva di argomenti di sostegno, laddove la società lamenta che nella interpretazione della clausola contrattuale non sia stata fatta la distinzione (non si dice nemmeno donde estraibile) tra giusta causa e «giustificatezza» del recesso; e non ha più rilievo assumere, anche solo in via problematica, resistenza di un giusto motivo di recesso, posto che con la decisione n. 6534 del 1986 di questa Corte è stata definitivamente chiusa ogni discussione sulla accertata assenza di prova circa resistenza di fatti addebitabili al Pollacci.

Nemmeno è fondato il secondo motivo del ricorso incidentale con il quale il Pollacci, denunziando violazione degli artt. 1362 e 2099 c.c., omessa ed insufficiente motivazione, deduce che erroneamente il Tribunale, nel determinare l'equivalente dell'uso dell'auto, ai fini del calcolo della retribuzione, ha calcolato la percentuale minima del 30% (suggerita dal ctu) e non quella (dell'80%) da lui proposta o del valore integrale. Non ha tenuto conto che l'uso dell'auto (con pagamento del carburante consumato) era stato concesso a tempo pieno e quindi per fini non connessi al lavoro.

In proposito, il Tribunale ha accertato che l'uso dell'auto era stato essenzialmente concesso per motivi di lavoro, anche se non era escluso l'uso per motivi personali, e che per la maggior parte della settimana la stessa era a disposizione per motivi di servizio; da qui la scarsa incidenza nella determinazione della misura della retribuzione come è stato ritenuto dal Tribunale con motivazione congrua che non può ritenersi scalfita per il solo fatto del rinvio da parte della ricorrente al contenuto degli atti del processo.

È, invece, fondato il primo motivo del ricorso incidentale con il quale il ricorrente, denunziando violazione dell'art. 432 c.p.c, deduce che nel quantificare il danno futuro, il Tribunale ha confuso danni di difficile valutazione e danni di ammontare accertato o determinabili con semplice calcolo.

Non è, infatti, condivisibile il criterio adottato dal Tribunale di accomunare, in unica valutazione equitativa elementi di valore determinabili con certezza e con facilità ed elementi la cui valutazione sia impossibile o difficilmente dimostrabile; ciò in quanto il potere del giudice di ricorrere alla liquidazione equitativa è limitato alla seconda ipotesi.

Inoltre siffatto metodo seguito dal Tribunale, il quale ha proceduto alla valutazione globale del danno, renderebbe perfino incontrollabile il criterio di determinazione del danno relativo alle voci dell'ammontare valutabile con certezza, per le quali non è consentito procedere alla valutazione equitativa, stante la completezza della prova offerta.

È quindi esatta l'osservazione del ricorrente incidentale secondo il quale il Tribunale si è limitato a fare l'inventario delle voci comprendendo nell'unica globale valutazione sia quelle non facilmente valutabili (retribuzioni mancate sulla quale incidono elementi fluttuanti; gli eventuali aumenti futuri; la mancata tutela previdenziale, ecc.), sia quelle di sicura determinazione (indennità sostitutiva del preavviso, indennità supplementare).

La sentenza va, quindi, cassata in ordine al motivo accolto ed il processo deve essere rinviato ad altro Tribunale il quale si atterrà al principio di cui sopra e provvedere altresì a regolare le spese del presente giudizio. (Omissis).

 

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