Danno esistenziale da
demansionamento: richiede prova, anche presuntiva, per essere
risarcito
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Cass., sez.
lav., 12 maggio 2009 n. 10864 – Pres. Ianniruberto - Rel. Vidiri – Vida c.
Ansaldo Energie SpA e Consorzio Manital Servizi integrati.
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Danno
esistenziale addizionale al danno biologico e morale da demansionamento –
Costituisce duplicazione risarcitoria in seno al danno non patrimoniale se
non supportato da prove presuntive – Non spettanza nel caso di specie.
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Per essere
il rapporto di lavoro disciplinato da un ricco reticolato di disposizioni
volte ad assicurare al lavoratore una tutela rafforzata della sua <persona>,
è sovente riscontrabile nella materia giuslavoristica l'esistenza di un
danno non patrimoniale che, configurabile ogni qualvolta il fatto illecito
datoriale abbia violato in modo grave diritti della persona, come tali
oggetto di tutela costituzionale, consente alla vittima di ottenere il
ristoro del danno scaturente dalla lesione di interessi, che per non essere
regolati "ex ante" da norme di legge, dovranno essere individuati caso per
caso dal giudice di merito. Detto giudice però non dovrà mai duplicare il
risarcimento attraverso l'attribuzione di nomi diversi a pregiudizi identici
e dovrà in ogni caso individuare il discrimine tra meri pregiudizi, che si
concretizzano in semplici disagi - o in lesioni di interessi che, per essere
privi di qualsiasi consistenza e gravità, non possono trovare riconoscimento
in sede risarcitoria - e danni che, per importare di contro un
vulnus
ad
interessi oggetto di copertura costituzionale, vanno risarciti all'esito di
una valutazione, che se supportata da una motivazione congrua, coerente sul
piano logico e rispettosa dei principi giuridici applicabili alla materia si
sottrae - anche per quanto attiene alla quantificazione del danno - a
qualsiasi censura in sede di legittimità.
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Per la
liquidazione è necessario che sia accertata l'esistenza del danno non
patrimoniale (voce esistenziale) seppure a seguito di presunzioni, che però
devono assurgere ex art. 2729 c.c. - in quanto «gravi, precise e
concordanti» - anche esse a fonti di prova.
SVOLGIMENTO
DEL PROCESSO
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Con
rispettivi ricorsi, depositati in data 2 settembre 2003, Mario Vida, da un
lato, e Manital Consorzio per i servizi integrati, proponevano appello
avverso le sentenze n. 1862 non definitiva del 27 maggio 2002 e n. 885
definitiva del 20 marzo 2003, con le quali il Tribunale di Genova, respinte
altre domande proposte dal Vida nei suoi due originari ricorsi introduttivi
di primo grado, aveva dichiarato essere intervenuto demansionamento del Vida
ad opera dapprima della s.p.a. Ansaldo Energie, nel periodo da 31 marzo 1996
al 14 settembre 1997, ed ad opera di Manital nel periodo dal 15 settembre
1997 al 20 gennaio 1999, condannando al pagamento in favore del lavoratore
delle somme rispettivamente, di euro 18.810,63 la Ansaldo Energie e di curo
18.282,14 il Consorzio Manital, oltre alla refusione della metà delle spese
di lite.
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Da canto
suo la Ansaldo Energie, costituendosi, proponeva appello incidentale, ed il
Vida, costituendosi sull'appello proposto da Manital proponeva a sua volta
appello incidentale.
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Con
sentenza del 25 gennaio 2005 la Corte d'appello di Genova, definitivamente
pronunziando sugli appelli proposti contro le sentenze non definitiva e
definitiva del Tribunale di Genova, in parziale riforma delle suddette
decisioni, determinava a favore del Vida in euro 13.233,25 l'importo del
risarcimento per danno biologico a carico del Consorzio Manital, dichiarava
inammissibile l'appello incidentale proposto da Vida Mario, e confermava nel
resto le impugnate sentenze. Compensava integralmente tra le parti le spese
di lite del grado.
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Avverso
tale sentenza Mario Vida propone ricorso per cassazione, affidato a due
motivi.
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Resistono
con controricorso Manital - Consorzio per i Servizi Integrati - e la s.p.a.
Ansaldo Energia, che spiega anche ricorso incidentale.
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Il Vida e
la società Ansaldo Energia hanno presentato memorie.
MOTIVI
DELLA DECISIONE
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1.
Va disposta ai sensi dell'art. 335 c.p.c. la riunione del ricorso principale
e di quello incidentale perché avanzati ambedue contro la medesima
decisione.
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2.
Con il primo motivo il Vida denunzia omesso esame di fatti decisivi nonchè
violazione e falsa applicazione degli artt. 1226, 2103 e 2697 c.c. nonché
degli artt. 432 c.p.c. e 2727 e 2729 c.c. ed ancora vizio di motivazione,
lamentando in particolare che la Corte d'appello di Genova aveva rigettato
la domanda relativa al risarcimento del danno patrimoniale subito in seguito
al demansionamento in quanto nessuna prova sarebbe stata al riguardo fornita
dal lavoratore. Di contro il danno patrimoniale sussisteva per avere dovuto
esso ricorrente dimettersi dal lavoro per non aggravare le sue già precarie
condizioni di salute, per cui risultava poi possibile quantificare i danni
alla luce delle retribuzioni spettanti ad esso sulla base delle tabelle
retributive ed alla gravità ed alla durata del demansionamento.
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2.1.
Il motivo va rigettato perché privo di fondamento.
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2.2.
Con la sentenza 11 novembre 2008 n. 26972 le Sezioni Unite di questa Corte
di cassazione - in una fattispecie in cui erano chiamate a stabilire se
fosse corretta o meno la decisione con la quale il giudice di merito aveva
liquidato il danno non patrimoniale causato da lesioni colpose senza tenere
conto del c.d. danno esistenziale - nel risolvere un contrasto sorto anche
tra i giudici di legittimità in materia di danni da fatti illegittimi (sulla
prova degli elementi costitutivi del danno - e quindi anche sul nesso di
causalità tra condotta illegittima ed evento dannoso e sulla esistenza ed
entità del danno stesso - sulla generale distinzione tra danni patrimoniali
e danni non patrimoniali nonché sulle diverse qualificazioni di questi
ultimi e sulla configurabilità di tali qualificazioni - danno biologico,
danno esistenziale, danno morale, danno estetico, danno da perdita del
rapporto parentale ecc. - ad assurgere a tipi autonomi di danno o a semplici
componenti del generale ed unico tipo di danno non patrimoniale) hanno
statuito tra l'altro che il danno non patrimoniale configura una "lesione
di interessi inerenti la persona non connotati da rilevanza economica sì da
costituire una categoria ampia ed onnicomprensiva all'interno della quale
non sono possibili ulteriori sottodistinzioni, se non con valore meramente
descrittivo". Hanno poi affermato i giudici di legittimità che il danno
patrimoniale ed il danno non patrimoniale hanno identica struttura e che
l'uno come l'altro sarà risarcibile ove sussista una condotta, un nesso
causale tra questa e la lesione di una situazione protetta dall'ordinamento
ed un danno conseguente a detta lesione, ed hanno poi puntualizzato che il
danno patrimoniale è atipico - perché risarcibile quale sia la condotta
illecita che l'abbia determinato - mentre il danno non patrimoniale è tipico
perché risarcibile solo nei "casi previsti dalla legge" , secondo le
previsioni di cui all'art. 2059 c.c. che, sotto tale aspetto, costituisce
una norma in bianco o di rinvio.
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2.3.
La doverosa estensione applicativa di tali principi generali, validi in ogni
materia e settore ordinamentale, abbisogna di alcune precisazioni per quanto
attiene l'area giuslavoristica in considerazione della peculiarità e
specificità degli interessi che connotano il rapporto di lavoro.
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Nella già
richiamata decisione delle Sezioni Unite si è detto per quanto riguarda il
danno non patrimoniale che tale tipo di danno può distinguersi in tre
gruppi: gruppo di danni non patrimoniali causati da un fatto oggettivamente
integrante gli estremi di un reato, nel qual caso il danno non patrimoniale
sarà risarcibile ai sensi del summenzionato art. 2059 c.c. e dell'art. 185
c.p. anche se detto danno si sostanzia nella lesione di interessi della
persona privi di rilevanza costituzionale; gruppo di danni non patrimoniali,
che pur non derivanti da reato siano comunque risarcibili stante una
espressa previsione di legge (come, avviene, ad esempio, nelle fattispecie
previste: dall'art. 89 c.p.c. nonché dall' art. 15, comma 2, d. lgs. 30
giugno 2003 n. 196; dall'art. 125 d. lgs. 10 febbraio 2005 n. 30, nel testo
modificato dall'art. 17, comma 1, d. lgs. 16 marzo 2006 n. 140), in ragione
della quale devono essere risarciti - anche in assenza di reato - non tutti
i danni non patrimoniali comunque lamentati dalla vittima ma unicamente
quelli derivanti dalla lesione degli interessi che il legislatore ha voluto
tutelare tramite la norma attributiva del diritto al risarcimento; ed infine
gruppo di danni non patrimoniali, costituito da fattispecie in cui il fatto
illecito abbia leso un diritto inviolabile della persona, come tale tutelato
dalla Costituzione.
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2.4.
La risarcibilità in queste ultime fattispecie presuppone a sua volta tre
condizioni: la prima che la condotta illecita abbia leso un interesse
garantito a livello costituzionale e sia pertanto da ritenere ingiusta,
dovendo in altri termini la rilevanza costituzionale riguardare l'interesse
leso e non il pregiudizio conseguentemente sofferto perché il condividere
una diversa tesi finirebbe per tradursi in una abrogazione per via
interpretativa dell'art. 2959 c.c. in quanto qualsiasi danno non
patrimoniale per il fatto stesso di essere tale, di toccare cioè gli
interessi della persona, sarebbe sempre risarcibile; la seconda condizione è
che la lesione sia grave, sicchè anche nelle ipotesi in cui la condotta
illecita abbia leso interessi della persona di rilievo costituzionale è
richiesto che tale offesa superi una soglia minima di tollerabilità
altrimenti il danno non patrimoniale risulta irrisarcibile; ed infine la
terza condizione è che il danno non sia futile o che il pregiudizio sia
consistito in meri disagi o fastidi, ovvero nella lesione di diritti da
considerarsi del tutto immaginari, come quello alla qualità della vita od
alla felicità
(cfr.
al
riguardo Cass., Sez. Un., 11 novembre 2008 n. 26972 cit.).
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2.5.
Orbene, se la funzione nomofilattica devoluta a questa Corte di Cassazione
importa l'applicazione dei principi enunciati dal recente arresto
giurisprudenziale - non ravvisandosi ragioni suscettibili di contestarne la
fondatezza - criteri di razionalità volti ad evitare che nella loro concreta
applicazione possano configurarsi letture antinomiche dei numerosi dicta
giurisprudenziale sopraenunciati, inducono a tenere nel dovuto conto
della peculiarità del settore giuslavoristico, al quale tutti i suddetti
principi vanno estesi.
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2.6.
Ciò induce ad una preliminare considerazione, quella cioè che nell'area del
diritto del lavoro sono particolarmente frequenti i danni non patrimoniali
derivanti da fatti illeciti che ledono diritti della persona, tutelati dalla
Costituzione. Ciò è attestato, da un lato, dalle specialità del rito del
lavoro, caratterizzato sin dalla sua entrata in vigore da un complesso di
disposizioni - quali, ad esempio, le ordinanze anticipatorie di cui all'art.
423 c.p.c., l'esecutorietà della sentenza di primo grado ex art. 431 c.p.c.
, la rivalutazione dei crediti di lavoro ex art. 429, ultimo comma c.p.c. -
che trovano la loro ratio in quella che la dottrina processualistica
ha chiamato la tutela differenziata dei crediti in ragione del loro rilievo
socio-economico, nonché in numerose disposizioni di diritto sostanziale, tra
le quali vanno incluse tra le espressioni più significative le norme dettate
- oltre che a tutela delle organizzazioni sindacali anche a garanzia della
«persona» del lavoratore - dalla legge 20 maggio 1970 n. 300, ed il disposto
dell'art. 2087 c.c. che, è opportuno ricordare, statuisce che
«l'imprenditore è tenuto ad adottare nell'esercizio della impresa le misura
che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono
necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei
prestatori di lavoro».
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2.7.
In altri termini nella disciplina del rapporto di lavoro si riscontra un
reticolato di disposizioni specifiche volte ad assicurare una ampia e
speciale tutela alla «persona» del lavoratore con il riconoscimento espresso
dei diritti a copertura costituzionale (art. 32 e 37 Cost.).
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2.8.
Ciò non significa però che i presupposti e le condizioni per la liquidazione
dei danni non patrimoniali nella materia giuslavoristica debbano
differenziarsi da quelli in precedenza esplicitati - così come sembra volere
sostenere il ricorrente - richiedendosi in ogni caso per detta liquidazione
che non solo sia provato il nesso causale tra la condotta illecita ed il
pregiudizio lamentato, ma anche che sia accertata l'esistenza del danno
seppure a seguito di presunzioni, che però devono assurgere ex art. 2729
c.c. - in quanto «gravi, precise e concordanti» - anche esse a fonti di
prova.
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2.9.
Come dimostra il thema decidendum
della presente controversia - in cui il lavoratore ha chiesto
oltre il danno biologico anche il danno esistenziale - è frequente nel rito
del lavoro l'uso di espressioni molteplici e varie (ad esempio: danno
biologico, danno esistenziale, danno estetico, danno alla vita di relazione,
danno morale soggettivo, danno da perduta professionalità, danno morale
soggettivo, ecc.) volte a convogliare - spesso attraverso procedimenti di
fungibilità o osmosi semantica tra espressioni - pregiudizi o sofferenze,
costituenti solo una parte dei danni morali subiti. Dette espressioni però
possono essere utilizzate, come si è detto, con valore meramente descrittivo
e non per indicare tipi di danno dotati di propria autonomia data l'unicità
ed onnicomprensività del danno non patrimoniale come tipo di danno che per
comprendere , come si è detto, «tutti gli interessi inerenti la persona non
connotati da rilevanza economica», si contrappone al danno patrimoniale. Da
ciò consegue che l'evocazione ed il richiamo attraverso la formulazione di
definizioni, che trovano la loro origine nella pratica giudiziaria senza un
adeguato riscontro nella disciplina normativa, non può servire per una
duplicazione ai fini liquidatori di danni di identico contenuto e natura, sì
da snaturare la stessa funzione dell'istituto del risarcimento del danno,
che non deve vedere la sua natura, volta ad una doverosa, giusta ed
integrale finalità recuperatoria, trasformarsi in uno istituto realizzante
un non giustificato arricchimento.
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2.10.
Non può però sottacersi sotto altro versante che la valutazione sulle
condotte datoriali di cui si denunzia la illegittimità costituisce per il
giudice di merito un rilevante e difficile compito che richiede - in ragione
della rilievo che il lavoro assume a livello della Carta Costituzionale e
che connota l'intera disciplina legale che lo regola - una particolare e
vigile attenzione al fine di individuare di volta in volta il discrimine
tra meri pregiudizi, che si concretizzano in disagi o in lesioni di
interessi che per essere privi di qualsiasi consistenza e gravità non
possono trovano riconoscimento in sede risarcitoria, e danni che, per
concretizzare di contro un vulnus ad interessi che, per essere
oggetto di copertura costituzionale, devono essere risarciti. La
valutazione del giudice di merito relativa alla individuazione del
superamento della soglia oltre la quale l'interesse leso va risarcito, se
supportato da una motivazione congrua, coerente sul piano logico e
rispettosa - anche per quanto attiene alla determinazione ed alla
liquidazione del danno non patrimoniale - si sottrae a qualsiasi censura in
sede di legittimità.
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2.11.
Le argomentazioni svolte forniscono i parametri per concludere per
l'infondatezza del primo motivo del ricorso.
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La Corte
d'appello di Genova ha osservato per la parte che ancora interessa in questa
sede - che la domanda del Vida in ordine alla
declaratoria di legittimità della sua
messa in cassa integrazione non risultava fondata non sussistendo i
vizi procedimentali lamentati dallo stesso Vida né una errata valutazione da
parte del primo giudice sulla legittimità della
sospensione del rapporto lavorativo. Ed
invero dalle risultanze istruttorie era emerso che il Vida aveva
chiesto di essere posto in cassa integrazione perché era intenzionato ad
aiutare il proprio figliuolo nel momento che lo stesso iniziava una attività
commerciale, né tale consenso rendeva di per sé illegittimo il provvedimento
datoriale di messa in cassa integrazione, atteso che a fronte di un mutuo
consenso alla sospensione del rapporto lavorativo non vi era alcuna
disposizione di carattere inderogabile capace di rendere illegittima tale
sospensione. In relazione poi al verificarsi del denunziato demansionamento
del Vida presso ambedue i suoi datori di lavoro, la Corte territoriale ha
osservato che in realtà tale demansionamento vi era stato perché dopo il
rientro del lavoratore dalla cassa integrazione, al Vida - inquadrato nella
ottava categoria del contratto collettivo nazionale di lavoro - era stato
affidato dalla Ansaldo il trasloco dell'archivio storico presso i nuovi
locali dell'area Campi, mediante il coordinamento di una squadra di 10
persone e, successivamente, gli era stata affidata la gestione dell'Archivio
dell'Ufficio Approvvigionamenti. Mansioni queste di certo inferiori a quelle
proprie della ottava categoria atteso che il coordinamento di una squadra di
10 operai per lo svolgimento di lavori di pulizia e per il materiale
trasloco di un archivio non integrano "attività di coordinamento di servizi,
uffici, enti produttivi, fondamentali dell'azienda" né "attività di alta
specializzazione ed importanza" . Per il periodo alle dipendenze del Manital
al Vida era stata poi assegnata la gestione dello stabile della sede
dell'Ansaldo Trasporti, mansione che dalle emergenze istruttorie era
risultata tradursi in una modesta attività di ordinaria amministrazione
eseguita personalmente dal Vida stessa e da un suo collega.
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Con
riferimento poi alla quantificazione del danno biologico correttamente tale
danno poteva - ha precisato il giudice d'appello - liquidarsi in euro
13.233,25, sulla base delle corrette considerazioni svolte nel suo elaborato
peritale dal consulente d'ufficio, che ha riconosciuto l'esistenza di un
nesso causale tra condotta della Ansaldo e lo stato depressivo del
lavoratore che non si sarebbe verificato in assenza dell'illecito
comportamento della società, che pertanto doveva rispondere dell'intero
danno. Nessun danno patrimoniale era stato poi dimostrato come dipendente
dal demansionamento per cui non poteva essere riconosciuto alcun pregiudizio
di tale tipo, dovendo appunto la sua sussistenza essere provata dal Vida,
incombendo sullo stesso il relativo onere probatorio. Sulla quantificazione
del danno morale, ricavabile della anamnesi del consulente, la Corte
territoriale precisava, infine, che lo stesso danno ben poteva essere
quantificato - così come aveva fatto il primo giudice - nella misura di un
terzo della somma del danno biologico per cui la doglianza del lavoratore
circa la esiguità della somma liquidatagli non poteva trovare ingresso,
essendosi adottato nel caso di specie criteri parametrici adottati da altri
Tribunali e dovendosi tenere conto anche che non si verteva nella totale
privazione di ogni tipo di mansioni. Non poteva condividersi - a parere del
giudice d'appello - sotto un opposto versante la doglianza di Manital
secondo cui il danno biologico comprendeva anche il danno non patrimoniale
alla vita di relazione atteso che nel sistema bipolare introdotto nel nostro
sistema ordinamentale in materia di liquidazione dei danni - incentrato
nella ripartizione di detti danni in patrimoniali e non patrimoniali - in
questi ultimi vanno annoverati oltre che il danno biologico in senso stretto
anche il danno morale soggettivo come tradizionalmente inteso, ed i
pregiudizi diversi ed ulteriori purchè costituenti conseguenza della lesione
di un interesse costituzionalmente protetto.
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Ed
ugualmente infondata si rilevava la doglianza di Manital sul riconoscimento
da parte del primo giudice della liquidazione del danno biologico per
invalidità temporanea - sofferta dal Vida in base alle certificazioni
mediche dei periodi di malattia acuta del Vida stesso- perché poteva tale
danno ritenersi compreso in quello permanente solo nella ipotesi - non
ricorrente nel caso di specie - di causazione immediata di un danno totale
nella misura del 100 per cento.
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2.12.
La motivazione della impugnata sentenza - se letta nell'intero suo contenuto
e quindi al di là di singole espressioni - attesta che il giudice d'appello
è correttamente partito dalla nozione bipolare del danno da condotta
illecita datoriale (danni patrimoniali - danni non patrimoniali) e su tale
distinzione ha fondato la liquidazione dei danni di cui è risultata provata
l'esistenza e di cui si è accertato il loro collegamento causale con la
illegittima condotta datoriale, sicchè il suo pronunziato non merita le
censure che le sono state mosse perché esso è rispettoso del principio di
diritto che, in ragione del disposto dell'art. 384, comma 1, c.p.c. va
enunciato in questi termini : «Per essere il rapporto di lavoro
disciplinato da un ricco reticolato di disposizioni volte ad assicurare al
lavoratore una tutela rafforzata della sua <persona>, è sovente
riscontrabile nella materia giuslavoristica l'esistenza di un danno non
patrimoniale che, configurabile ogni qualvolta il fatto illecito datoriale
abbia violato in modo grave diritti della persona, come tali oggetto di
tutela costituzionale, consente alla vittima di ottenere il ristoro del
danno scaturente dalla lesione di interessi, che per non essere regolati "ex
ante" da norme di legge, dovranno essere individuati caso per caso dal
giudice di merito. Detto giudice però non dovrà mai duplicare il
risarcimento attraverso l'attribuzione di nomi diversi a pregiudizi identici
e dovrà in ogni caso individuare il discrimine tra meri pregiudizi, che si
concretizzano in semplici disagi - o in lesioni di interessi che, per essere
privi di qualsiasi consistenza e gravità, non possono trovare riconoscimento
in sede risarcitoria - e danni che, per importare di contro un vulnus
ad
interessi oggetto di copertura costituzionale, vanno risarciti all'esito di
una valutazione, che se supportata da una motivazione congrua, coerente sul
piano logico e rispettosa dei principi giuridici applicabili alla materia si
sottrae - anche per quanto attiene alla quantificazione del danno - a
qualsiasi censura in sede di legittimità».
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3.
Con il secondo motivo il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione
dell'art. 3 della legge 13 giugno 1942 n. 794 nonché dell'art. 5 del decreto
del Ministro della Giustizia 5 ottobre 1994 n. 5785 nonché omesso esame di
un fatto decisivo e falsa applicazione dell'art. 91 c.p.c. ed infine
contraddittorietà della motivazione. Assume al riguardo il ricorrente che
con l'atto di appello aveva censurato la sentenza impugnata nella parte in
cui il primo giudice aveva proceduto alla compensazione delle spese, ed
aveva altresì lamentato in relazione all'entità della liquidazione, che la
causa era di valore indeterminato, di notevole complessità ed infine che
erano stati violati i minimi come risultava dalla nota prodotta. Il giudice
d'appello aveva però respinto la questione di compensazione e quella del
riconoscimento della domanda di valore indeterminato e di particolare
importanza ed, inoltre, in relazione alle altre questioni, si era limitato
ad osservare che mancava una specifica indicazione della violazione della
tariffa per cui non poteva verificarsi se ed in quale misura il giudice
aveva violato i minimi ivi stabiliti. Si era così in presenza di una
sostanziale omissione di pronunzia oltre che in presenza di una palese
violazione dell'art. 3 della legge n. 794 del 1942 perché il giudice
d'appello aveva dapprima riconosciuto che la causa era caratterizzata da
molteplici questioni e da attività istruttorie alquanto elaborate, ed aveva
poi dichiarato che non era possibile verificare se ed in quale misura il
primo giudice aveva violato i minimi tariffari.
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3.1.
Anche detto motivo è infondato.
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3.2.
Il giudice del gravame con riferimento al regime delle spese di primo grado
ha riconosciuto come la relativa liquidazione risultava immune da censure
sia perché la compensazione risultava giustificata dall'esito della lite,
sia perché non era giustificata la richiesta di raddoppio degli onorari non
presentando la presente controversia quei caratteri di particolare
importanza giustificativi del chiesto raddoppio, sia perché infine mancando
la specifica indicazione della violazione della tariffa non era possibile
verificare se ed in quale misura il primo giudice aveva violato i minimi
stabiliti.
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3.3.
La motivazione sul punto della sentenza impugnata si presenta congrua,
logica e rispettosa delle norme che si denunziano come violate, atteso che
la determinazione degli onorari di difesa costituisce un potere
discrezionale del giudice di merito e che rientra nell'ambito della stessa
discrezionalità - basata essenzialmente su elementi di fatto ed
insindacabile in sede di legittimità - lo stabilire se una causa presenti
oppure no straordinaria importanza e
possa quindi giustificare il raddoppio dei massimi degli onorari
(cfr. tra le tante: Cass. 23 marzo 1995 n. 3381
cui adde Cass. 30 gennaio
1997 n. 932), e considerato altresì che nel caso di specie il giudice del
gravame ha motivato sulla compensazione delle spese rispettando il disposto
dell'art. 92, comma 2, c.p.c. (cfr.
al riguardo da ultimo: Cass. 30
maggio 2008 n. 14563, secondo cui l'art. 92, secondo comma, cod. proc. civ.,
nel testo introdotto dall'art. 2, comma 1, lett. a), della legge 28 dicembre
2005, n. 263, dispone che il giudice può compensare le spese, in tutto o in
parte, se vi è soccombenza reciproca o concorrono altri giusti motivi,
esplicitamente indicati nella motivazione).
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4.
Le ragioni che hanno portato a rigettare il ricorso del Vida inducono a
rigettare anche il ricorso incidentale della s.p.a. Ansaldo Energia, con il
quale si nega che vi sia stato un demansionamento ai danni del suddetto Vida.
Ed invero va ribadito che la sentenza impugnata è fondata su un
iter argomentativo che,
anche per quanto riguarda l'accertato demansionamento, si sottrae ad ogni
censura, avendo il giudice d'appello valutato le concrete mansioni svolte
dal Vida alle dipendenze dei suoi datori di lavoro, riscontrando una
violazione del disposto dell'art. 2103 c.c. all'esito di una attento vaglio
delle risultanze processuali ed un compiuto accertamento dei fatti in
contestazione, che non possono essere riesaminati in questa sede di
legittimità.
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5.
Ricorrono giusti motivi - in considerazione della natura della controversia
e delle questioni trattate nonché del rigetto sia del ricorso principale che
di quello incidentale - per compensare interamente tra le parti le spese del
presente giudizio di cassazione.
P.Q.M.
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La Corte
riunisce i ricorsi e li rigetta. Compensa tra le parti le spese del presente
giudizio di cassazione.
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Così deciso in Roma il 25 febbraio 2009 (depositato il 12.5.2009)
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