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Ancora sulla allegazione
del danno alla professionalità
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Cass., sez. lav., 19
gennaio 2009, n. 1164 - A.G.E.K.I.M. c. Sistemi Segnaletici srl.
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Licenziamento illegittimo -
reintegra - Danno alla professionalità - Necessità di specifica e non
generica allegazione.
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In tema di demansionamento e
di dequalificazione, il riconoscimento del diritto del lavoratore al
risarcimento del danno professionale, biologico o esistenziale, che
asseritamene ne deriva - non ricorrendo automaticamente in tutti i casi di
inadempimento datoriale - non può prescindere da una specifica allegazione,
nel ricorso introduttivo del giudizio, sulla natura e sulle caratteristiche
del pregiudizio medesimo; il danno, nelle sue diverse articolazioni, va
dimostrato in giudizio con tutti i mezzi consentiti dall’ordinamento,
assumendo peraltro precipuo rilievo la prova per presunzioni sulla base
degli elementi dedotti. Ne deriva che mentre il ricorso alle presunzioni
attiene alla dimostrazione dell’entità del danno, permane l’onere di
allegazione e di indicazione del fatto generatore del danno medesimo.
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Svolgimento del processo
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1. Con sentenza n.
8.1996, il Pretore di Mantova rigettava la domanda di annullamento del
licenziamento proposta da A.G.E.K.I.M. nei confronti della srl. SISE -
Sistemi Segnaletici. L’addebito consisteva della distruzione di materiale
ancora utilizzabile ed avere sbagliato la stampa, durante la serigrafia, per
la produzione di segnali stradali. La sentenza pretorile veniva confermata
dal Tribunale in grado di appello. Con sentenza n. 3891.1999 la Corte di
Cassazione annullava con rinvio la sentenza di appello, per carenza di
motivazione in ordine alla gravità dei fatti addebitati. Il Tribunale di
Cremona, in sede di rinvio, annullava il licenziamento e condannava la
società - in via equitativa ed esaustiva - al pagamento delle retribuzioni
globali di fatto maturate dal giorno del licenziamento a quello
dell’effettiva reintegrazione, senza accessori; in altri termini, gli
accessori venivano compensati con le possibili voci di danno a debito del
lavoratore, quali la perdita del materiale e l’”aliunde perceptum”.
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2. Con sentenza n.
10116.2002 la Corte di Cassazione, adita dalla SiSe, annullava nuovamente la
sentenza del giudice di rinvio, limitatamente ai criteri di determinazione
del danno: enunciava i principi secondo i quali dall’ammontare del danno
doveva detrarsi quanto percepito dal lavoratore per attività lavorativa
prestata dopo il licenziamento e prima della reintegrazione; ulteriori danni
subiti alla vita di relazione e alla capacità professionale sono risarcibili
in quanto venga accertato il presupposto e del medesimo venga fornita la
prova in punto di fatto. Il processo veniva riassunto dinanzi alla Corte di
Appello di Brescia. Questa dava atto che in data 8.2.2000 il lavoratore
aveva rinunciato alla reintegra ed optato per l’indennità sostitutiva. Nel
frattempo tra le parti si era instaurata autonoma causa dinanzi al Tribunale
di Mantova avente ad oggetto la determinazione del credito di A.G.E.K.I.M.
in base alla sentenza del Tribunale di Cremona: il Tribunale di Mantova
emetteva la sentenza n. 70.2002, non impugnata e passata in giudicato, con
la quale rigettava la domande del lavoratore afferenti il periodo successivo
all’opzione. Tale giudicato, ad avviso della Corte di Appello, era
preclusivo di qualsiasi istanza al riguardo, “corretta oppure no questa
statuizione”, perché la questione del “dies ad quem” del risarcimento del
danno era indipendente da quelle trattate nella precedente sentenza
annullata dalla Cassazione.
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3. Superata così la
questione della decorrenza della retribuzione anche oltre la data
dell’opzione, veniva determinato il credito residuo dell’attore, tenendo
conto delle somme già percepite in sede di esecuzione forzata, con interessi
legali e rivalutazione successivi al 30.11.2004. La Corte di Appello non
riconosceva invece ulteriori voci di danno: segnatamente il compenso per
lavoro straordinario, da ritenersi occasionale, e il danno alla
professionalità, rilevando al riguardo che tale tipo di danno era
ipotizzabile, ma non provato e “mai nel corso del procedimento sono stati
versati elementi di fatto inerenti alle mansioni svolte ed al loro contenuto
tecnico - operativo”, anche se l’arresto di una attività specialistica per
un periodo notevole comporta sicuramente una perdita della capacità di
svolgere quel lavoro.
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4. Ha proposto ricorso
per Cassazione A.G.E.K.I.M., deducendo quattro motivi. Resiste con
controricorso la SI.SE. srl.
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Motivi della decisione
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5. Col primo motivo del
ricorso, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione, a sensi
dell’art. 360 c.p.c., n. 3, dell’art. 324 c.p.c., e art. 2909 c.c., nonché
vizio di motivazione, per avere la Corte di Appello di Brescia respinto la
domanda di risarcimento del danno relativamente al periodo intercorso tra
esercizio del diritto di opzione e prima dell’effettivo pagamento
dell’indennità sostitutiva. La giurisprudenza consolidata ritiene infatti
che solo col pagamento di tale indennità si risolve il rapporto di lavoro.
La sentenza del Tribunale di Mantova, resa in sede di opposizione
all’esecuzione, ha per oggetto la determinazione delle somme spettanti al
lavoratore a titolo di risarcimento del danno fino alla reintegrazione ed il
giudicato formatosi a proposito della sentenza n. 70.2002 va inteso in
questi limiti. Detto Tribunale non si è pronunciato in ordine al diritto al
risarcimento del danno, ma solo di quantificazione dello stesso.
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6. Il motivo è
infondato. La sentenza del Tribunale di Mantova passata in giudicato
stabilisce, con determinazione nuova ed autonoma rispetto alla materia del
contendere dibattuta in Cassazione, che il diritto al risarcimento del danno
si esaurisce con la data dell’opzione (e non del relativo pagamento). Tale
statuizione, che rientra tra i criteri di quantificazione del danno, non è
conforme alla consolidata giurisprudenza di questa Corte di Cassazione, ma
risulta passata in giudicato e quindi fa stato tra le parti. Essa non è
ulteriormente censurabile dinanzi a questa Corte.
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7. Con il secondo
motivo del ricorso, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione, a
sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, della L. n. 300 del 1970, art. 18:
erroneamente la Corte di Appello non ha riconosciuto il danno per
straordinari non percepiti; non si tratta di accertare la retribuzione
ordinaria, ma le conseguenze dell’inottemperanza ad un ordine del giudice
(ordine di reintegrazione). Risulta che lo straordinario era ricorrente e
liquidato nelle buste paga.
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8. Il motivo è
infondato. La questione che si pone è se, disposta una reintegrazione nel
posto di lavoro, il risarcimento del danno debba coprire la retribuzione
normale di fatto, ovvero la retribuzione più gli straordinari. La
giurisprudenza ha ritenuto che la garanzia retributiva va riferita alla
retribuzione normale e non comprende invece prestazioni ulteriori le quali
richiedano, per essere corrisposte, un effettivo svolgimento della mansione
(”ex multis” Cass. n. 13953.2000, 10116.2002).
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9. Col terzo motivo del
ricorso, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione, a sensi
dell’art. 360 c.p.c., n. 3, della L. n. 300 del 1970, art. 18, nonché vizio
di motivazione, in ordine al mancato riconoscimento del danno alla
professionalità. Deduce che “nel corso dei vari gradi del giudizio sono
stati forniti numerosi elementi probatori” in ordine a tale danno ed indica
una serie di presunzioni semplici al riguardo, desumibili dal fatto in sé
del mancato utilizzo del lavoratore, nella astensione forzata dal lavoro,
dall’esiguo ammontare dell’”aliunde perceptum” (detratto a suo tempo dalla
liquidazione del danno), dalla perdita della capacità conseguita col lavoro
di caporeparto e serigrafista.
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10. Il motivo è
infondato. Occorre al riguardo precisare che esso risulta generico là
dove sostiene di avere fornito “nei vari gradi del giudizio” elementi di
fatto idonei a suffragare l’esistenza del danno in questione, mentre sarebbe
stato onere del ricorrente, per il principio di completezza ed
autosufficienza del ricorso, indicare in quali atti ed in quale sede il
danno alla professionalità fosse stato indicato. Né, a proposito delle
presunzioni formulate, il ricorrente chiarisce in quale fase ed in quale
sede esse sono state proposte, essendo esse inammissibili in sede di ricorso
per Cassazione.
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11. Si veda al riguardo
Cass. SU 24.3.2006 n. 6572, la quale ha affermato che “in tema di
demansionamento e di dequalificazione, il riconoscimento del diritto del
lavoratore al risarcimento del danno professionale, biologico o
esistenziale, che asseritamene ne deriva - non ricorrendo automaticamente in
tutti i casi di inadempimento datoriale - non può prescindere da una
specifica allegazione, nel ricorso introduttivo del giudizio, sulla natura e
sulle caratteristiche del pregiudizio medesimo”; il danno, nelle sue diverse
articolazioni, “va dimostrato in giudizio con tutti i mezzi consentiti
dall’ordinamento, assumendo peraltro precipuo rilievo la prova per
presunzioni” sulla base degli elementi dedotti. Al principio così affermato
si è adeguata la giurisprudenza successiva: si vedano le sentenze nn.
14729/2006, 21282/2006, 19965/2006 e 13877/2007. Ne deriva che mentre il
ricorso alle presunzioni attiene alla dimostrazione dell’entità del danno,
permane l’onere di allegazione e di indicazione del fatto generatore del
danno medesimo. Tale onere è risultato alla Corte di Appello non
adempiuto, e la motivazione al riguardo risulta esauriente, immune da vizi
logici o contraddizioni, talché essa si sottrae ad ogni censura in sede di
legittimità.
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12. Col quarto motivo
del ricorso, il ricorrente deduce violazione dell’art. 112 c.p.c., e vizio
di motivazione, per non essere stata controparte condannata alla
restituzione della somma di Euro 1.000,00, indebitamente trattenuta per
danni alle pellicole.
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13. Il motivo è
inammissibile: esso risulta generico, in quanto la parte non indica in quale
sede ha chiesto la somma predetta; inoltre la trattenuta effettuata per il
materiale perduto ha formato oggetto di compensazione in sede di
liquidazione del danno (ovvero nel primo giudizio di rinvio) ed il
ricorrente non dichiara in quale atto ha impugnato la statuizione relativa.
Nella sentenza 29.1.2000 del Tribunale di Cremona gli accessori del
risarcimento del danno vennero compensati con l’”aliunde perceptum” e col
danno relativo alla pellicola distrutta. La sentenza è stata annullata
parzialmente in Cassazione, limitatamente alla determinazione del
risarcimento del danno da licenziamento illegittimo ed al danno alla
professionalità. Ne deriva che già in sede di rinvio rispetto alla sentenza
n. 10116.2002 il problema del materiale distrutto era precluso o comunque
assorbito.
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14. Il ricorso, per i
suesposti motivi, deve essere rigettato. Le spese del grado seguono la
soccombenza e vengono liquidate in dispositivo.
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P.Q.M
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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente A.G.E.K.I.M. a rifondere alla
controricorrente srl. SiSe le spese del giudizio di cassazione, che liquida
in Euro 20,00, oltre Euro tremila/00 per onorari, più spese generali, IVA e
CPA nelle misure di legge.
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Così deciso in Roma, nella
Camera di consiglio, il 15 ottobre 2008 (depositato in Cancelleria il 19
gennaio 2009).
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