Non è risarcibile il fastidio da sollecitazioni della Rai al pagamento del canone

 

Cass., sez. III civ., 4 giugno 2009, n. 12885 - Pres. Di Nanni – Rel. Ambrosio

 

Danno non patrimoniale sub specie esistenziale – Per lesione della serenità conseguente a fastidio arrecato da richieste di pagamento risarcito equitativamente dal Giudice di pace  - Insussistenza della pretesa risarcitoria.

 

La peculiarità del danno non patrimoniale viene individuata nella sua tipicità, avuto riguardo alla natura dell'art. 2059 c.c., quale norma di rinvio ai casi previsti dalla legge (e, quindi, ai fatti costituenti reato o agli altri fatti illeciti riconosciuti dal legislatore ordinario produttivi di tale tipo di danno) ovvero ai diritti costituzionali inviolabili, presieduti dalla tutela minima risarcitoria, con la precisazione in quest'ultimo caso, che la rilevanza costituzionale deve riguardare l'interesse leso e non il pregiudizio conseguenzialmente sofferto e che la risarcibilità del pregiudizio non patrimoniale presuppone, altresì, che la lesione sia grave (e, cioè, superi la soglia minima di tollerabilità, imposto dai doveri di solidarietà sociale) e che il danno non sia futile (vale a dire che non consista in meri disagi o fastidi o sia addirittura meramente immaginario). Orbene, nel caso in cui si denunci il disagio sofferto per avere ricevuto diverse missive (n. 3) di pagamento, in uno spazio temporale non contenuto (5 anni), non sussiste un'ingiustizia costituzionalmente qualificata, tantomeno si verte in un'ipotesi di danno patrimoniale, risultando, piuttosto, la ritenuta lesione della “serenità personale” insuscettibile di essere monetizzata, siccome inquadrabile in quegli sconvolgimenti quotidianità “consistenti in disagi, fastidi, disappunti, ansie ed in ogni altro di insoddisfazione” (oggetto delle c.d. liti bagatellari) ritenuti non meritevoli di tutela risarcitoria.

 

Svolgimento del processo

 

1. Con citazione notificata in data 11-10-2005 RF conveniva in giudizio innanzi al giudice di pace di Amantea la R.A.I. - Radiotelevisione Italiana s.p.a., per sentirla condannare al pagamento della somma di Euro 100,00 a titolo risarcimento del danno esistenziale, asseritamente subito a causa dell'invio di tre missive, nei mesi di luglio 2001, luglio 2002 e settembre 2005, con le quali la convenuta comunicava alla RF che il suo nominativo non figurava negli elenchi degli abbonati e la invitava a regolarizzare la propria posizione onde evitare le sanzioni tributarie.

Resisteva la R.A.I., che, in via preliminare, deduceva il difetto di giurisdizione del giudice ordinario e l'incompetenza per territorio (per essere competente la commissione tributaria di Torino), nonché il difetto di legittimazione passiva (per essere la convenuta estranea ai fatti di causa, tenuto conto che la gestione e la riscossione dei canoni è di competenza dell'URAR-TV, oggi SAT, organo del ministero dell'Economia) e, nel merito, contestava la fondatezza della domanda.

1.1. Con sentenza in data 28/30 gennaio 2006, il giudice di pace accoglieva la domanda condannando la convenuta al pagamento di Euro 100,00, oltre spese processuali.

In motivazione il giudice di pace osservava che la R.A.I. era responsabile di avere insistentemente e ripetutamente “perseguitato” la RF con richieste di pagamenti non dovuti ed era quindi tenuta a risarcire all'attrice il danno esistenziale subito, da reputarsi in re ipsa, in quanto insito già nel fatto di ricevere continue minacce di più gravose sanzioni, di doversi giustificare e rivolgere a un legale per la tutela dei propri diritti.

1.2. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la R.A.I. svolgendo tre motivi, illustrati anche da memoria.

Nessuna attività difensiva è stata svolta da parte intimata.

 

Motivi della decisione

 

1. Con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 100, 101, 113 c.p.c., 24 e 111 Cost., nonché degli artt. 2043 e 2059 c.c. (da cui desumere il principio dell'ordinamento applicabile anche in sede di giudizio di equità), omessa e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia in relazione all'art. 360 nn. 3, 4 e 5 c.p.c. per l'identificazione del soggetto legittimato passivo. A tal riguardo parte ricorrente deduce, sulla base dell'art. 1 co. 6 del D.M. 23 luglio 1999, che essa concessionaria riceve periodicamente dall'URAR-TV le comunicazioni dei soggetti che non risultano titolari di canoni di abbonamento radiotelevisivo; osserva, quindi, che è per conto della suddetta URAR-TV, sebbene a proprio nome e spese, che essa R.A.I. provvede a richiamare agli utenti gli obblighi connessi alla detenzione di apparecchi TV e i vantaggi della spontanea regolarizzazione. Da tale premessa la R.A.I. evince la doverosità, da parte sua, delle comunicazioni di cui si controverte, meramente strumentali all'accertamento e riscossione del canone di abbonamento di competenza dell'amministrazione tributaria.

1.1. Il motivo di ricorso riguarda il punto della sentenza impugnata con cui è stata rigettata l'eccezione di difetto di legittimazione passiva sollevata dalla R.A.I., sulla base della considerazione, desunta dalla corrispondenza intercorsa tra le parti, che il danno subito dall'attrice e del quale quest'ultima chiedeva il ristoro, proveniva, per l'appunto, dal comportamento della R.A.I. e non già da altri enti, di cui, peraltro, la convenuta non aveva inteso neanche provvedere alla chiamata in causa (pagg. 6 e 7 della sentenza impugnata).

1.2. Ciò posto, ritiene il Collegio che il motivo di ricorso - pur formalmente deducendo violazione della norma processuale e di principi informatori del diritto - esula dalle censure consentite in sede di legittimità avverso le sentenze emesse secondo equità dal giudice di pace.

Merita puntualizzare che non è in discussione la legitimatio ad causa, che è istituto processuale ricollegabile al principio di cui all'art. 81 c.p.c. e riferibile al soggetto che ha il potere di esercitare l'azione in giudizio ovvero nei cui confronti tale azione può essere esercitata, bensì si eccepisce l'effettiva titolarità passiva della pretesa risarcitoria, sul presupposto dell'estraneità al fatto dedotto in giudizio. Trattasi di una questione che comporta una disamina e una decisione attinente al merito della controversia e non alle regole procedurali, con la conseguenza che, in relazione ad essa, non è esperibile il ricorso per cassazione, ammesso - avverso le sentenze pronunciate, come quelle all'esame, dal giudice di pace secondo equità - oltre che per violazione delle regole procedurali, solo per violazione di norme costituzionali e comunitarie di rango superiore alle norme ordinarie o dei principi informatori della materia e per carenza assoluta, mera apparenza o radicale ed insanabile contraddittorietà della motivazione e non anche per violazione o falsa applicazione di legge ex art. 360, n. 3, c.p.c..

In sostanza il giudice di pace ha espresso sul punto della titolarità passiva della pretesa di risarcimento del danno valutazioni di stretto merito, come tali non sindacabili in questa sede.

Il motivo va, dunque, dichiarato inammissibile.

2. Con il secondo motivo si denuncia, in via subordinata, violazione e falsa applicazione degli artt. 2043 e 2059 c.c. e del principio del neminem ledere desumibile dall'art. 2043 c.c. come principio dell'ordinamento applicabile anche in sede di giudizio deciso secondo equità in relazione all'art. 360 nn. 3, 4 e 5 c.p.c., nonché omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia ai sensi dell'art. 360 n. 5 c.p.c.. In particolare la ricorrente - premesso che non è configurabile nel nostro ordinamento una categoria generica di “danno esistenziale” e richiamato il principio della tipicità del danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c. - lamenta che il giudice di pace abbia fatto generico riferimento al danno esistenziale, peraltro erroneamente definito danno di natura patrimoniale, senza chiarire quali diritti costituzionalmente protetti della RF siano stati lesi, né in che cosa potrebbe ravvisarsi l'“ingiustizia” del danno.

2.1. Il motivo di ricorso riguarda il punto della decisione che ha riconosciuto il risarcimento a titolo di danno esistenziale, inteso come “nuovo titolo di pregiudizio di natura patrimoniale... ed identificato nella lesione della serenità personale, garantita da norme di rango costituzionale, le quali tutelano diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo, che nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità” e segnatamente individuato nello “stato di frustrazione e di disagio, dispendio di tempo e di energia necessarie per le proprie difese, nella consapevolezza delle proprie ragioni”, ravvisandone la sussistenza in re ipsa (pag. 7).

2.2. Il motivo è fondato nei termini che seguono.

Come è noto le SS.UU., con quattro contestuali sentenze di contenuto identico (nn. 26972, 26973, 26974 e 26975 in data 11-11-2008), hanno di recente proceduto ad una rilettura in chiave costituzionale del disposto dell'art. 2059 c.c., ritenuto principio informatore del diritto, come tale vincolante anche nel giudizio di equità, da leggersi - non già come disciplina di un'autonoma fattispecie di illecito, produttiva di danno non patrimoniale, distinta da quella di cui all'art. 2043 c.c. - bensì come norma che regola i limiti e le condizioni di risarcibilità dei pregiudizi non patrimoniali (intesa come categoria omnicomprensiva, all'interno della quale non è possibile individuare, se non con funzione meramente descrittiva, ulteriori sottocategorie), sul presupposto dell'esistenza di tutti gli elementi costitutivi dell'illecito richiesti dall'art. 2043 c.c., e cioè: la condotta illecita, l'ingiusta lesione di interessi tutelati dall'ordinamento, il nesso causale tra la prima e la seconda, la sussistenza di un concreto pregiudizio patito dal titolare dell'interesse leso.

In tale prospettiva la peculiarità del danno non patrimoniale viene individuata nella sua tipicità, avuto riguardo alla natura dell'art. 2059 cit., quale norma di rinvio ai casi previsti dalla legge (e, quindi, ai fatti costituenti reato o agli altri fatti illeciti riconosciuti dal legislatore ordinario produttivi di tale tipo di danno) ovvero ai diritti costituzionali inviolabili, presieduti dalla tutela minima risarcitoria, con la precisazione in quest'ultimo caso, che la rilevanza costituzionale deve riguardare l'interesse leso e non il pregiudizio conseguenzialmente sofferto e che la risarcibilità del pregiudizio non patrimoniale presuppone, altresì, che la lesione sia grave (e, cioè, superi la soglia minima di tollerabilità, imposto dai doveri di solidarietà sociale) e che il danno non sia futile (vale a dire che non consista in meri disagi o fastidi o sia addirittura meramente immaginario).

Ciò precisato, si osserva che, nella specie, non sussiste un'ingiustizia costituzionalmente qualificata, tantomeno si verte in un'ipotesi di danno patrimoniale, risultando, piuttosto, la ritenuta lesione della “serenità personale” insuscettibile di essere monetizzata, siccome inquadrabile in quegli sconvolgimenti quotidianità “consistenti in disagi, fastidi, disappunti, ansie ed in ogni altro di insoddisfazione” (oggetto delle c.d. liti bagatellari) ritenuti non meritevoli di tutela risarcitoria (pag. 34 della sentenza n. 26972/2008).

In conclusione il secondo motivo di ricorso va accolto ed, assorbito il terzo e subordinato motivo (con cui si contesta la violazione del principio del neminem ledere, sotto il profilo della non configurabilità delle molestie) ai sensi dell'art. 384 co. 2 c.p.c., la sentenza impugnata va cassata senza rinvio, posto che, non essendo necessari accertamenti di fatto, va pronunciato nel merito e - in applicazione dei principi affermati dalle SS.UU. sopra richiamati - la domanda di risarcimento della RF va rigettata.

Nulla deve disporsi in ordine alle spese del giudizio di legittimità non avendo parte intimata svolto attività difensiva.

 

P.Q.M.

 

La Corte dichiara inammissibile il primo motivo di ricorso; accoglie il secondo motivo; cassa senza rinvio la sentenza impugnata e, pronunciando nel merito, rigetta la domanda di RF nulla per le spese.

 

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