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Oneri probatori del
demansionamento
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Cass., sez. lav., 27
maggio 2008, n. 13821 - Pres. De Luca - Rel. Bandini.
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Demansionamento –
Onere della prova della inesistenza - Sul datore di lavoro – Insussistenza
di demansionamento in fattispecie – Vessazioni e mobbing – Insussistenza.
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Secondo il condiviso
orientamento di questa Corte, allorquando da parte di un lavoratore sia
allegata una dequalificazione o venga dedotto un demansionamento
riconducibili ad un inesatto adempimento dell'obbligo gravante sul datore di
lavoro ai sensi dell'art. 2103 c.c., è su quest'ultimo che incombe l'onere
di provare l'esatto adempimento del suo obbligo, o attraverso la prova della
mancanza in concreto di qualsiasi dequalificazione o demansionamento, ovvero
attraverso la prova che una o l'altro siano stati giustificati dal legittimo
esercizio dei poteri imprenditoriali o disciplinari o, comunque, in base al
principio generale risultante dall'art. 1218 c.c., da un'impossibilità della
prestazione derivante da causa a lui non imputabile (cfr., Cass., n.
4766/2006).
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Nel caso che ne occupa
la Corte territoriale non ha disatteso la domanda del G. sotto il profilo
della mancata prova da parte del lavoratore del demansionamento
asseritamente subito, ma con il rilievo in fatto che il preteso spoglio di
poteri non era "emerso" (ossia, in altri termini, escludendo che lo stesso
si fosse verificato). Non può quindi condividersi la censura del ricorrente
secondo cui nella sentenza impugnata sarebbe stato disatteso il criterio di
ripartizione dell'onere della prova in tema di inadempimento di obbligazioni
contrattuali.
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Una volta esclusa
dalla Corte territoriale la sussistenza del demansionamento e delle
"angherie e vessazioni", restava assorbita la questione inerente ai danni
che da tali asserite (ma ritenute insussistenti) violazioni degli obblighi
contrattuali sarebbero derivati; sotto tale profilo deve dunque escludersi
in radice la configurabilità del vizio di omessa pronuncia.
Svolgimento del
processo
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G.U. convenne in giudizio la ex datrice di lavoro A. spa avanti al Tribunale
di Como chiedendo:
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- l'accertamento che, fin dall'inizio del rapporto lavorativo (1.7.1996),
aveva svolto mansioni di dirigente (pur essendo stato nominato tale solo con
nota del 30.7.1999), con conseguente condanna della convenuta al pagamento
delle differenze retributive;
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- l'accertamento dell'intervenuta dequalificazione professionale per il
periodo 1.1.2000 - 30.10.2000, con conseguente condanna della convenuta al
risarcimento del danno;
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- l'accertamento che, per fatto e colpa della convenuta, aveva subito
durante il rapporto lavorativo danni alla salute psico-fisica, alla vita di
relazione, morale ed esistenziale, con conseguente condanna della convenuta
al risarcimento; - la condanna della convenuta al pagamento di incentivi non
corrisposti, delle indennità di trasferta dovute e dei rimborsi di quanto
pagato per la frequenza a corsi di inglese.
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Radicatosi il contraddittorio e sulla resistenza della convenuta, il Giudice
adito respinse il ricorso.
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La Corte d'Appello di Milano, con sentenza del 29.9 - 26.11.2004,
pronunciando sul gravame svolto dal G., confermò la sentenza di prime cure.
A sostegno del decisum la Corte territoriale ritenne che: - in ordine
all'inquadramento dirigenziale fin dall'epoca dell'assunzione, le mansioni
svolte, secondo la prospettazione dei capitoli di prova, rientravano nella
previsione contrattuale collettiva relativa all'originario inquadramento;
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- quanto al demansionamento, non era emerso il preteso spoglio di poteri;
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- non erano emerse angherie o vessazioni ai danni del G.;
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- gli incentivi erano stati corrisposti fino al 1 semestre 2001;
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- i rimborsi spese erano stati effettuati e non erano stati provati gli
elementi per ulteriori crediti relativi ad indennità di trasferta;
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- mancava ogni prova riguardo al fondamento della pretesa di rimborso spese
per le lezioni di perfezionamento in lingua inglese.
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Avverso l'anzidetta sentenza della Corte territoriale, G. U. ha proposto
ricorso per Cassazione articolato su quattro motivi. L'intimata ha resistito
con controricorso, eccependo altresì la tardività del ricorso. Entrambe le
parti hanno presentato memorie.
Motivi della decisione
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1.
La sentenza impugnata è stata notificata presso il procuratore
domiciliatario il 25.1.2005 (cfr relata in calce); la notifica del ricorso è
stata effettuata a mezzo del servizio postale, con consegna del plico
all'ufficiale giudiziario in data 24.3.2005 (cfr cronologico in calce),
spedita il 25.3.2005 (cfr relata in calce) e ricevuta l'1.4.2005. Osserva la
Corte che, in tema di notificazioni a mezzo del servizio postale, poiché, a
seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 477/2002, il
perfezionamento si ha per verificato al momento della consegna dell'atto
all'ufficiale giudiziario, il ricorso per cassazione è tempestivo qualora il
relativo plico sia stato consegnato all'ufficiale giudiziario (e, nel caso
di specie, da questo inviato) nel termine, non rilevando che lo stesso sia
giunto a destinazione dopo la scadenza del termine di legge, nella specie
quello di 60 giorni di cui all'art. 325 c.p.c., comma 2, (cfr, ex plurimis,
Cass., n. 239/2006). L'eccezione di tardività del ricorso è pertanto
infondata.
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2.
Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione
degli artt. 437, 420 e 421 c.p.c. ed omessa o insufficiente o
contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia,
dolendosi che la Corte territoriale, in relazione alla conduzione della
prova testimoniale da parte del primo Giudice: - abbia erroneamente negato
che fossero state svolte in prime cure istanze al riguardo; - non si sia
pronunciata sull'istanza - già svolta in prime cure - di ammissione di un
teste indicato e non escusso, siccome non comparso per impegni
professionali; - non abbia provveduto ad espletare nuovamente l'istruttoria,
avvalendosi dei poteri di cui all'art. 437 c.p.c., senza peraltro motivare
al riguardo.
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2.1.
Osserva la Corte che, secondo l'assunto del ricorrente, il primo Giudice
aveva ritenuto di non prendere "... in considerazione le istanze istruttorie
articolate" ed aveva "... escusso i testi in base a propri moti senza tenere
in considerazione le allegazioni, le prove documentali ed i capitoli di
prova articolati; afferma inoltre il ricorrente che aveva chiesto al Giudice
dei gravame di "rimediare a tale ingiusta falcidie probatoria".
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2.2.
La Corte territoriale ha rilevato in proposito che, "Per quanto riguarda le
censure sulla conduzione della prova testimoniale e la mancata ammissione di
capitoli, non risulta che in primo grado il ricorrente abbia formalizzato
alcuna opposizione in proposito". Rileva il Collegio che, secondo il
consolidato e condiviso orientamento interpretativo di questa Corte, le
nullità o decadenze determinate dalla violazione delle disposizioni
contenute negli artt. 244 e segg. c.p.c., in materia di deduzione ed
assunzione della prova testimoniale, indicazione dei testimoni, incapacità
di deporre, hanno natura relativa e sono sanate per acquiescenza, se non
eccepite tempestivamente ai sensi dell'art. 157 c.p.c. perché stabilite
dalla legge a tutela degli interessi delle parti e non per motivi di ordine
pubblico (cfr, ex plurimis, Cass., nn. 5149/1985; 12687/1998;
12577/1999; 16204/2005); a tale principio si è evidentemente attenuta la
Corte territoriale.
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2.3.
Il ricorrente deduce peraltro l'erroneità in fatto di quanto ritenuto nella
sentenza impugnata sul rilievo che, in sede di discussione, si era riportato
al ricorso, aveva chiesto l'audizione di una teste non comparsa, perché
legittimamente impedita, e sollecitato l'espletamento di una CTU. La
richiesta di CTU è però circostanza inconferente rispetto alla doglianza
all'esame, nulla avendo a che vedere con il vizio denunciato, inerente
all'espletamento della prova testimoniale. Contrariamente all'avviso del
ricorrente, deve poi osservarsi che l'essersi riportato al ricorso - nella
sua genericità - non costituisce eccezione alle (eventuali) nullità
verificatesi ne corso dell'assunzione della prova, onde non impedisce la
relativa sanatoria per acquiescenza. Inoltre, per quanto in particolare
riguarda l'eventuale mancata escussione dei testi su determinate circostanze
ritualmente formulate nei capitoli, deve rilevarsi l'inammissibilità del
motivo per inosservanza del principio dell'autosufficienza de ricorso, non
avendo il ricorrente indicato quali sarebbero state, nello specifico, le
circostanze, fra le molte articolate, in ordine alle quali i testi non
sarebbero stati sentiti dal primo Giudice e, altresì, in che termini la
relativa doglianza sarebbe stata specificamente portata all'attenzione del
Giudice del gravame.
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2.4.
Resta pertanto sostanzialmente privo di oggetto l'ulteriore profilo di
doglianza inerente al mancato ricorso da parte della Corte territoriale ai
poteri officiosi ex art. 437 c.p.c., non essendo state indicate le
specifiche circostanze (in tesi non indagate dal primo Giudice) in ordine
alle quali il Giudice dell'appello avrebbe potuto e dovuto disporre la
rinnovazione della prova.
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2.5.
Per quanto infine concerne la mancata ammissione di un teste, osserva il
Collegio che, secondo il condiviso orientamento di questa Corte, il
ricorrente per cassazione, il quale denunci vizi della sentenza correlati al
rifiuto del giudice di merito di dare ingresso ai mezzi istruttori
ritualmente introdotti, ha l'onere di indicare in modo adeguato e specifico
la prova non ammessa, vale a dire quali esattamente fossero i capitoli di
prova sui quali il teste avrebbe dovuto essere chiamato a deporre (cfr.,
Cass., n. 1113/2001) e, al contempo, di dimostrare l'esistenza di un nesso
eziologico tra l'errore addebitato al giudice e la pronuncia emessa in
concreto, che, senza quell'errore, sarebbe stata diversa, al fine di
consentire al giudice di legittimità un controllo sulla decisività delle
prove (cfr, Cass., n. 7852/2001), dato che, per il ricordato principio
dell'autosufficienza del ricorso per cassazione, il controllo deve essere
consentito alla Corte sulla base delle sole deduzioni contenute nell'atto,
alle cui lacune non è possibile sopperire con indagini integrative. Nel caso
di specie il ricorrente non ha specificamente indicato nel ricorso per
cassazione su quali, fra i molti capitoli di prova articolati, il teste non
escusso avrebbe dovuto deporre, né, tanto meno, nel medesimo atto, ha
fornito adeguata spiegazione del perché tale prova sarebbe potuta risultare
decisiva nel senso testé indicato; ne consegue pertanto l'inammissibilità
della doglianza.
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2.6.
Il motivo all'esame, nei distinti profili in cui si articola, deve quindi
essere disatteso.
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3.
Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione
dell'art. 2094 c.c. rectius: art. 2095 c.c., come del resto precisato
dallo stesso ricorrente nella memoria ex art. 378 c.p.c., errata
interpretazione del CCNL dei dirigenti industriali ed omessa o insufficiente
o contraddittoria motivazione in ordine ad un punto decisivo della
controversia, nonché omesso esame di documenti determinanti ai fini del
decidere in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5. In
particolare, con riferimento alla domanda relativa alla pretesa
qualificazione dirigenziale fin dalla data di assunzione, lamenta che:
-
- la motivazione data dalla Corte territoriale non consentiva di comprendere
quali fossero i capitosi di prova a cui era stato fatto riferimento,
cosicché risultava incomprensibile il ragionamento posto a base della
decisione;
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- la motivazione era contraddittoria, perché alcuni testi, le cui
deposizioni non erano state prese in considerazione, non avevano riferito
quanto riportato;
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- erano stati trascurati gli elementi fattuali costituiti dall'avvenuta
stipula da parte di esso ricorrente, con rappresentanza esterna della
Società, di contratti con grandi aziende;
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- non era stato considerato che il ramo d'azienda che esso ricorrente
dirigeva era il più importante della Società; - non era stato considerato
che era stato nominato "direttore vendite" con la stessa lettera di
assunzione, utilizzando il nomen di "direttore" che da CCNL dirigenti
apparteneva alla categoria dei dirigenti;
-
- non era stato tenuto conto che la posizione di preminenza di esso
ricorrente su dipendenti di pari inquadramento, se isolatamente poteva non
essere determinante, unita a tutti gli altri elementi avrebbe dovuto portare
ad un giudizio di segno opposto;
-
- non era stato motivato sul rilievo che la domanda aveva ad oggetto
l'accertamento della anzianità di dirigente fin dall'inizio del rapporto di
lavoro e non la richiesta di mere differenze retributive.
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3.1.
Osserva il Collegio che la Corte territoriale ha preso in esame le
previsioni del CCNL di settore relative alla qualifica in cui il G. era
stato inquadrato all'atto dell'assunzione e ha rilevato che le mansioni da
lui svolte, "secondo la stessa prospettazione dei capitoli di prova",
rientravano in tale previsione; ha altresì specificamente rilevato che la
circostanza che il G. impartisse direttive ad altri dipendenti con qualifica
di quadro non poteva "considerarsi come elemento che postula la sua
qualifica di dirigente". Questa Corte ha avuto già modo di affermare che nel
procedimento logico giuridico diretto alla determinazione dell'inquadramento
di un lavoratore subordinato non può prescindersi da tre fasi successive, e
cioè: dall'accertamento in fatto delle attività lavorative in concreto
svolte, dalla individuazione delle qualifiche e gradi previsti dal contratto
collettivo di categoria e dal raffronto tra il risultato della prima
indagine ed i testi della normativa contrattuale individuati nella seconda
(cfr, Cass., nn. 14608/2001; 5128/2007). La sentenza impugnata ha
sostanzialmente seguito tale procedimento argomentativo: ha infatti messo in
evidenza la previsioni della contrattazione collettiva inerenti alla
qualificazione di originaria appartenenza del G.; ha poi fatto espresso
riferimento alle mansioni che, secondo quanto risultante dagli stessi
capitoli di prova da lui formulati (con ovvio implicito richiamo ai capitoli
specificamente relativi a tali mansioni), il G. aveva svolto; infine,
raffrontando fra loro tali due elementi di giudizio, ha concluso che le
mansioni che si assumevano essere state espletate rientravano nell'ambito
della qualificazione attribuita al momento dell'assunzione (con implicita,
ma logicamente conseguente, esclusione dello svolgimento di mansioni
rientranti in quella superiore di dirigente). Il procedimento argomentativo
seguito, contrariamente a quanto affermato dal ricorrente, è quindi
perfettamente comprensibile (oltre che, come detto, metodologicamente
corretto).
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3.2.
La circostanza dedotta dal ricorrente (secondo cui due testi avrebbero
dichiarato che, seppure in settori diversi, e mansioni svolte dal G. erano
sullo stesso piano professionale di quelle espletate dal dirigente B.) non
configura la pretesa contraddittorietà della motivazione, in quanto, secondo
il condiviso orientamento di questa Corte (cfr., Cass., n. 16015/2007), non
esiste nel nostro ordinamento un principio che imponga al datore di
lavoro,nell'ambito dei rapporti privatistici, di garantire parità di
inquadramento a tutti i lavoratori svolgenti le medesime mansioni (ovvero,
per il caso che qui specificamente ne occupa, svolgenti mansioni di
contenuto sostanzialmente analogo), posto che l'art. 3 Cost., impone
l'uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, ma non anche nei rapporti
interprivati. Ne consegue che la circostanza all'esame (peraltro fondata su
apprezzamenti di carattere valutativo da parte dei testi) è del tutto
irrilevante al fine del riconoscimento a favore del G. della superiore
qualifica rivendicata.
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3.3.
Come già detto la Corte territoriale ha raffrontato la qualificazione della
contrattazione collettiva con le mansioni che, sulla base dei capitoli di
prova formulati, il G. aveva allegato di avere svolto; uno dei capitoli
(secondo quanto risulta dallo stesso ricorso per cassazione) riguardava
l'avvenuta conclusione degli accordi commerciali che, secondo il ricorrente,
la Corte territoriale avrebbe omesso di valutare. Deve quindi rilevarsi come
sia anzitutto infondata in fatto la doglianza relativa all'omessa presa in
considerazione di tale circostanza, dovendo piuttosto riconoscersi che,
nell'ambito della complessiva valutazione svolta, la Corte territoriale
abbia ritenuto che anche l'avvenuta conclusione di tali contratti non fosse
estranea all'ambito previsionale della qualificazione di originario
inquadramento del G.. Va inoltre osservato che, secondo il consolidato e
condiviso orientamento di questa Corte (cfr., ex plurimis, Cass., nn.
7000/1993; 914/1996; 1203/2000; 13981/2004), l'omesso esame di un fatto
decisivo, previsto dall'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, è costituito da quel
difetto di attività del giudice del merito che si verifica tutte le volte in
cui egli abbia trascurato, non la deduzione o l'argomentazione che la parte
ritiene rilevante per la sua tesi, ma una circostanza obiettiva acquisita
alla causa tramite prova scritta od orale, idonea di per sé, qualora fosse
stata presa in considerazione a condurre con certezza ad una decisione
diversa da quella adottata, cosicché, ad integrare il predetto difetto,
occorre non solo che il fatto, sebbene dibattuto tra le parti, sia stato
totalmente trascurato dal giudice al pari di quelli non sottoposti
ritualmente al suo accertamento, ma anche che il fatto in questione, per la
sua diretta inerenza ad uno degli elementi costitutivi, modificativi od
estintivi del rapporto in contestazione, sia dotato di una intrinseca
valenza tale da non poter essere tacitamente escluso dal novero delle
emergenze processuali decisive per la corretta soluzione della lite, come
non si verifica per ogni singolo indizio, segnale od indice critico, il
quale per la sua gravità o per la sinergica convergenza con altri elementi
indiziari consentirebbe, in ipotesi, al giudice di risalire alla
individuazione di un fatto ignoto. Nella fattispecie l'avvenuta conclusione
dei contratti in parola da parte del G. potrebbe al più costituire un
elemento indiziario (da valutare quindi nel concorso con le altre risultanze
processuali) del dedotto espletamento di mansioni dirigenziali, con la
conseguenza che tale circostanza fattuale non solo, per le ragioni
anzidette, non può ritenersi essere stata trascurata dalla Corte
territoriale, ma neppure, quand'anche in ipotesi lo fosse totalmente stata,
potrebbe venire valorizzata al fine integrare il vizio di motivazione
denunciato.
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3.4.
Analoghe considerazioni valgono anche per ciò che riguarda la dedotta
mancata considerazione della circostanza secondo cui il ramo d'azienda a cui
il ricorrente era preposto costituiva quello più importante della Società,
trattandosi di elemento di giudizio fattuale in ordine al quale, come
risulta dallo stesso ricorso per cassazione, era stato formulato uno
specifico capitolo di prova.
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3.5.
La doglianza inerente alla mancata considerazione dell'appartenenza del
nomen di "direttore" (in relazione all'avvenuta nomina del ricorrente
quale "direttore vendite") all'ambito della categoria contrattuale dei
dirigenti è parimenti infondata, atteso che, avuto riguardo alle
considerazioni sopra svolte, non configura oggettivamente una circostanza
fattuale di valenza decisiva; la doglianza presenta altresì profili di
inammissibilità, posto che, in violazione del principio di autosufficienza
del ricorso per cassazione, il ricorrente non ha riportato nel ricorso
stesso le specifiche previsioni pattizie (relative alla categoria
dirigenziale) ove tale indicazione terminologica sarebbe contenuta.
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3.6.
La doglianza inerente alla mancata valorizzazione, in relazione agli altri
elementi probatori acquisiti, della posizione di preminenza del ricorrente
rispetto ad altri dipendenti di pari grado è inammissibile, risolvendosi
nella richiesta di una diversa valutazione delle emergenze istruttorie non
consentita in sede di giudizio di legittimità.
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3.7.
La Corte territoriale ha avuto ben chiaro che la domanda era rivolta
all'accertamento della qualifica dirigenziale e non soltanto a delle
rivendicazioni economiche (la sentenza impugnata ha espressamente rilevato
che il G. "... afferma il suo diritto all'inquadramento dirigenziale fin
dalla data dell'assunzione"), cosicché il preteso difetto di motivazione in
ordine al rilievo asseritamente svolto sul punto si appalesa inconcludente.
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3.8.
Il motivo all'esame, nei distinti profili in cui si articola, non può
pertanto trovare accoglimento.
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4.
Con il terzo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione
degli artt. 2087, 2103 e 2697 c.c., omessa e insufficiente o contraddittoria
motivazione, nonché omessa pronuncia, in relazione all'art. 360 c.p.c.,
comma 1, nn. 3, 4 e 5. In particolare, con riferimento al demansionamento
asseritamente subito a decorrere dai primi mesi del 2000 ad opera
dell'amministratore delegato che, dopo averlo nominato dirigente, lo avrebbe
mortificato "trattandolo molto male" e sottraendogli la maggior parte delle
attività a cui attendeva in precedenza, con conseguente generarsi di
pregiudizio psicofisico, lamenta:
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- la carenza di motivazione, essendo stato svolto un ragionamento generico
che impediva di comprendere a quali prove orali sarebbe stato fatto
riferimento per affermare che non si era verificato lo spoglio dei poteri;
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- la contraddittorietà del ragionamento seguito, poiché dalle dichiarazioni
di alcuni testi era risultato che la dequalificazione era avvenuta e che
esso ricorrente era stato maltrattato dall'amministratore delegato;
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- la mancata considerazione del prodotto organigramma aziendale;
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- la violazione dei principi generali sulla ripartizione dell'onere
probatorio in caso di deduzione di inadempimento contrattuale;
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- l'omessa pronuncia su motivo di gravame inerente al danno alla salute
psicofisica patito da esso ricorrente per effetto del superlavoro, del
mobbing e, comunque, in violazione del generale obbligo di diligenza a cui è
tenuta la parte datoriale in tema di salute e sicurezza dei lavoratori.
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4.1.
La Corte territoriale ha rilevato che il dedotto demansionamento sarebbe
intervenuto "proprio poco tempo dopo che al G. era stata attribuita la
qualifica di dirigente", precisando al riguardo che non era "emerso peraltro
il preteso spoglio di poteri, che sarebbe intervenuto nel giugno 2000". Si è
quindi soffermata nella valutazione della valenza probatoria
dell'organigramma aziendale, recante la data del 4.9.2000, osservando che
tale organigramma evidenziava la posizione del G. in Food - canale vendita,
sotto il direttore vendite S., e che lo stesso non poteva "essere
considerato prova di demansionamento, considerato che con il conferimento
della qualifica dirigenziale, nella lettera del 30 luglio 1999,
l'amministratore delegato, S.A., gli attribuiva la responsabilità in qualità
di direttore commerciale dell'attività di Marketing per il mercato Italiano,
ma preannunciava un prossimo nuovo riassetto". Ha quindi precisato che non
erano emerse angherie o vessazioni, "tali non potendosi qualificare qualche
espressione verbale inurbana usata dall'amministratore delegato, peraltro
non risultante diretta al G., se non in modo generico".
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4.2.
Secondo il condiviso orientamento di questa Corte, allorquando da parte di
un lavoratore sia allegata una dequalificazione o venga dedotto un
demansionamento riconducibili ad un inesatto adempimento dell'obbligo
gravante sul datore di lavoro ai sensi dell'art. 2103 c.c., è su
quest'ultimo che incombe l'onere di provare l'esatto adempimento del suo
obbligo, o attraverso la prova della mancanza in concreto di qualsiasi
dequalificazione o demansionamento, ovvero attraverso la prova che una o
l'altro siano stati giustificati dal legittimo esercizio dei poteri
imprenditoriali o disciplinari o, comunque, in base al principio generale
risultante dall'art. 1218 c.c., da un'impossibilità della prestazione
derivante da causa a lui non imputabile (cfr., Cass., n. 4766/2006). Nel
caso che ne occupa la Corte territoriale non ha disatteso la domanda del G.
sotto il profilo della mancata prova da parte del lavoratore del
demansionamento asseritamente subito, ma con il rilievo in fatto che il
preteso spoglio di poteri non era "emerso" (ossia, in altri termini,
escludendo che lo stesso si fosse verificato). Non può quindi condividersi
la censura del ricorrente secondo cui nella sentenza impugnata sarebbe stato
disatteso il criterio di ripartizione dell'onere della prova in tema di
inadempimento di obbligazioni contrattuali.
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4.3.
La valutazione resa dalla Corte, nella sua sinteticità, individua del resto
in termini non equivoci la accertata insussistenza del demansionamento con
riferimento alle emergenze probatorie acquisite, sicché il procedimento
logico giuridico seguito risulta chiaro e privo di elementi intrinseci di
contraddittorietà. Ed invero alle suddette conclusioni il ricorrente si
limita a contrapporre, nel ricorso per cassazione, le dichiarazioni di un
teste, generiche nel contenuto e, per giunta, di carattere dubitativo
(“credo che gli siano stati tolti poteri decisionali”), come tali affatto
prive di valenza tale da non poter essere tacitamente escluse dal novero
delle emergenze processuali decisive per la corretta soluzione della lite e,
perciò, inidonee a configurare il preteso vizio di motivazione.
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4.4.
I profili di doglianza relativi alla valutazione della portata probatoria
dell'organigramma aziendale e al preteso rilievo da attribuirsi ad alcune
dichiarazioni testimoniali concernenti il tenore dei comportamenti tenuti
nei confronti del G. dall'amministratore delegato investono questioni
specificamente esaminate dalla Corte territoriale e, configurando
sostanzialmente una richiesta di riesame in fatto da parte di questa Corte,
che non ne ha il potere, si rivelano inammissibili.
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4.5.
Una volta esclusa dalla Corte territoriale la sussistenza del
demansionamento e delle "angherie e vessazioni", restava assorbita la
questione inerente ai danni che da tali asserite (ma ritenute insussistenti)
violazioni degli obblighi contrattuali sarebbero derivati; sotto tale
profilo deve dunque escludersi in radice la configurabilità del vizio di
omessa pronuncia. La doglianza, peraltro, è in generale inammissibile per
violazione del principio di autosufficienza del ricorso; infatti, secondo il
condiviso orientamento della giurisprudenza di legittimità (cfr, ex
plurimis, Cass., nn. 317/2002; 10410/2002; 6225/2005), qualora sia
denunziato un error in procedendo, la Corte di Cassazione è anche
giudice del fatto ed ha il potere - dovere di esaminare direttamente gli
atti di causa, ma, anche in questo caso, la parte ha l'onere di indicare nel
ricorso tutti gli elementi di fatto necessari ad individuare la dedotta
violazione processuale in modo che sia consentito il controllo della
decisività dei vizi dedotti; nel caso all'esame, viceversa, il ricorrente
non ha indicato nel ricorso per cassazione quale fosse stato specificamente
il "chiesto" al giudice del gravame, sul quale quest'ultimo non si sarebbe
pronunciato, ma ha richiamato soltanto il quarto motivo di impugnazione e le
pagine del ricorso d'appello in cui sarebbe stato svolto ("pag. 19 e ss. in
particolare pag. 21 ult. Cpv”), per cui non è dato a questa Corte di
intendere quale fosse l'oggetto specifico del richiesto (su cui non si
sarebbe pronunziato il Giudice di appello) senza esaminare atti esterni al
ricorso.
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4.6.
Pertanto anche il motivo all'esame, nei distinti profili in cui si
articola, non merita accoglimento.
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5.
Con il quarto motivo di gravame il ricorrente denuncia omessa e
insufficiente motivazione in relazione agli incentivi per gli anni 2000 e
2001 ed extrapetizione per quanto riguarda i corsi di inglese, in relazione
all'art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5; nello svolgimento del motivo,
peraltro, denuncia altresì l'omesso esame di documenti che avrebbero dovuto
condurre la Corte territoriale all'accoglimento della domanda relativa ai
pretesi crediti relativi all'indennità di trasferta. In particolare il
ricorrente si duole che la Corte territoriale:
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- nel ritenere non dovuti gli incentivi premiali relativi agli anni 2000 e
2001 non abbia spiegato da quali fonti avesse tratto il proprio
convincimento;
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- non abbia tenuto in considerazione documenti determinanti ai fini del
riconoscimento della spettanza dell'indennità di trasferta prevista
dall'art. 27 del CCNL dell'industria chimica (e ciò indipendentemente dalle
spese affrontate che erano state regolarmente rimborsate), forse per avere
male interpretato la domanda, che era appunto rivolta alla percezione della
suddetta indennità e non al rimborso delle spese;
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- sia incorsa nel vizio di extrapetizione, avendo pronunciato in ordine alle
spese dei corsi di inglese benché tale domanda, svolta e non accolta in
prime cure, fosse stata abbandonata con l'atto d'appello.
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5.1.
Sulla prima delle tre questioni testé indicate la sentenza impugnata ha
affermato: "Quanto agli incentivi, questi sono stati corrisposti fino al 1
semestre 2001. La cessazione del rapporto per dimissioni al 30.10.2001, non
ha consentito il completamento del budget per l'ulteriore semestre". Nella
parte espositiva della sentenza era stato peraltro indicato che il G. aveva
censurato d'erroneità il mancato accoglimento (fra le altre) della domanda
relativa agli incentivi. La stessa A. spa, inoltre, nella memoria difensiva
in grado d'appello, come espressamente riportato nel ricorso per cassazione,
aveva enunciato l'insussistenza al diritto alla percezione degli incentivi
(il che, ovviamente, è logicamente inconciliabile con l'eventuale avvenuta
corresponsione, nei termini e nella misura ex adverso rivendicati, di
detti incentivi) e ciò ha ribadito, da ultimo, nella memoria ex art. 378
c.p.c..
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5.2.
Osserva il Collegio che, sulla base della suesposta scarna motivazione, è
assolutamente impossibile ricostruire i ragionamento seguito dalla Corte
territoriale per giungere all'affermazione che gli incentivi erano stati
corrisposti fino al 1 semestre 2001, non essendo stati espressamente
indicati gli elementi di giudizio che avevano condotto a tale convincimento,
né essendo gli stessi almeno implicitamente desumibili dalla disamina
complessiva della statuizione in parola. Inoltre non è dato neppure
comprendere se, affermando che tali incentivi erano stati corrisposti fino
al 1 semestre 2001, la Corte territoriale abbia o meno inteso riconoscere
l'avvenuta percezione di tali incentivi anche per l'anno 2000; in caso
affermativo la statuizione è, come detto, priva di qualsivoglia indicazione
idonea a ricostruire il procedimento logico giuridico seguito; in caso
negativo sarebbe ravvisabile il vizio di omessa pronuncia, posto che con
l'atto d'appello era stata censurato anche il mancato riconoscimento degli
incentivi per il 2000 (circostanza questa espressamente indicata nel ricorso
per cassazione, con specificazione delle ragioni addotte in sede di appello,
di cui questa Corte, quale giudice anche del fatto processuale in relazione
al denunciato vizio di omessa pronuncia, ha potuto avere diretto riscontro
ex actis).
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La doglianza all'esame è dunque fondata.
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5.3.
La documentazione relativa alle trasferte di cui il ricorrente lamenta il
mancato esame inerisce alle richieste di autorizzazione alle trasferte, alle
note spese e ad alcune ricevute fiscali; il ricorrente sostiene che in tali
documenti "è riportata l'autorizzazione alla trasferta", ma si tratta di
affermazione che contrasta palesemente con il contenuto degli stessi
documenti, posto che le richieste di autorizzazione non contengono la firma
di autorizzazione del responsabile. Deve quindi escludersi che ai suddetti
documenti possa essere riconosciuta una intrinseca valenza probatoria tale
che i documenti stessi non avrebbero potuto essere tacitamente esclusi dal
novero delle emergenze processuali decisive per la corretta soluzione della
lite. Peraltro la doglianza all'esame, prima ancora che infondata per i
motivi testé indicati, si appalesa inammissibile per violazione del
principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, non avendo il
ricorrente, che invoca l'applicabilità dell'art. 27 CCNL industria chimica,
riportato nel medesimo ricorso per cassazione il testo di tale
regolamentazione pattizia.
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5.4.
La doglianza relativa alla pronuncia inerente alle spese dei corsi di
inglese è inammissibile per difetto di interesse, avendo lo stesso
ricorrente riconosciuto che la questione, benché originariamente proposta,
era stata abbandonata in appello.
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6.
In definitiva il quarto motivo di ricorso va accolto limitatamente alla
censura relativa alla spettanza degli incentivi, mentre vanno respinti i
restanti profili di tale mezzo e gli altri motivi.
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La sentenza impugnata va quindi cassata in relazione al motivo accolto, con
rinvio per nuovo esame al Giudice di pari grado indicato in dispositivo, che
provvedere altresì sulle spese del giudizio di Cassazione.
P.Q.M.
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La Corte accoglie il quarto motivo di ricorso limitatamente alla censura
relativa alla spettanza degli incentivi, respinge il ricorso nel resto,
cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche
per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d'Appello di Brescia.
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