Oneri probatori del demansionamento
 
Cass., sez. lav., 27 maggio 2008, n. 13821 - Pres. De Luca - Rel. Bandini.
 
Demansionamento – Onere della prova della inesistenza - Sul datore di lavoro – Insussistenza di demansionamento in fattispecie – Vessazioni e mobbing – Insussistenza.
 
Secondo il condiviso orientamento di questa Corte, allorquando da parte di un lavoratore sia allegata una dequalificazione o venga dedotto un demansionamento riconducibili ad un inesatto adempimento dell'obbligo gravante sul datore di lavoro ai sensi dell'art. 2103 c.c., è su quest'ultimo che incombe l'onere di provare l'esatto adempimento del suo obbligo, o attraverso la prova della mancanza in concreto di qualsiasi dequalificazione o demansionamento, ovvero attraverso la prova che una o l'altro siano stati giustificati dal legittimo esercizio dei poteri imprenditoriali o disciplinari o, comunque, in base al principio generale risultante dall'art. 1218 c.c., da un'impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile (cfr., Cass., n. 4766/2006).
Nel caso che ne occupa la Corte territoriale non ha disatteso la domanda del G. sotto il profilo della mancata prova da parte del lavoratore del demansionamento asseritamente subito, ma con il rilievo in fatto che il preteso spoglio di poteri non era "emerso" (ossia, in altri termini, escludendo che lo stesso si fosse verificato). Non può quindi condividersi la censura del ricorrente secondo cui nella sentenza impugnata sarebbe stato disatteso il criterio di ripartizione dell'onere della prova in tema di inadempimento di obbligazioni contrattuali.
Una volta esclusa dalla Corte territoriale la sussistenza del demansionamento e delle "angherie e vessazioni", restava assorbita la questione inerente ai danni che da tali asserite (ma ritenute insussistenti) violazioni degli obblighi contrattuali sarebbero derivati; sotto tale profilo deve dunque escludersi in radice la configurabilità del vizio di omessa pronuncia.
Svolgimento del processo
G.U. convenne in giudizio la ex datrice di lavoro A. spa avanti al Tribunale di Como chiedendo:
- l'accertamento che, fin dall'inizio del rapporto lavorativo (1.7.1996), aveva svolto mansioni di dirigente (pur essendo stato nominato tale solo con nota del 30.7.1999), con conseguente condanna della convenuta al pagamento delle differenze retributive;
- l'accertamento dell'intervenuta dequalificazione professionale per il periodo 1.1.2000 - 30.10.2000, con conseguente condanna della convenuta al risarcimento del danno;
- l'accertamento che, per fatto e colpa della convenuta, aveva subito durante il rapporto lavorativo danni alla salute psico-fisica, alla vita di relazione, morale ed esistenziale, con conseguente condanna della convenuta al risarcimento; - la condanna della convenuta al pagamento di incentivi non corrisposti, delle indennità di trasferta dovute e dei rimborsi di quanto pagato per la frequenza a corsi di inglese.
Radicatosi il contraddittorio e sulla resistenza della convenuta, il Giudice adito respinse il ricorso.
La Corte d'Appello di Milano, con sentenza del 29.9 - 26.11.2004, pronunciando sul gravame svolto dal G., confermò la sentenza di prime cure. A sostegno del decisum la Corte territoriale ritenne che: - in ordine all'inquadramento dirigenziale fin dall'epoca dell'assunzione, le mansioni svolte, secondo la prospettazione dei capitoli di prova, rientravano nella previsione contrattuale collettiva relativa all'originario inquadramento;
- quanto al demansionamento, non era emerso il preteso spoglio di poteri;
- non erano emerse angherie o vessazioni ai danni del G.;
- gli incentivi erano stati corrisposti fino al 1 semestre 2001;
- i rimborsi spese erano stati effettuati e non erano stati provati gli elementi per ulteriori crediti relativi ad indennità di trasferta;
- mancava ogni prova riguardo al fondamento della pretesa di rimborso spese per le lezioni di perfezionamento in lingua inglese.
Avverso l'anzidetta sentenza della Corte territoriale, G. U. ha proposto ricorso per Cassazione articolato su quattro motivi. L'intimata ha resistito con controricorso, eccependo altresì la tardività del ricorso. Entrambe le parti hanno presentato memorie.
Motivi della decisione
1. La sentenza impugnata è stata notificata presso il procuratore domiciliatario il 25.1.2005 (cfr relata in calce); la notifica del ricorso è stata effettuata a mezzo del servizio postale, con consegna del plico all'ufficiale giudiziario in data 24.3.2005 (cfr cronologico in calce), spedita il 25.3.2005 (cfr relata in calce) e ricevuta l'1.4.2005. Osserva la Corte che, in tema di notificazioni a mezzo del servizio postale, poiché, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 477/2002, il perfezionamento si ha per verificato al momento della consegna dell'atto all'ufficiale giudiziario, il ricorso per cassazione è tempestivo qualora il relativo plico sia stato consegnato all'ufficiale giudiziario (e, nel caso di specie, da questo inviato) nel termine, non rilevando che lo stesso sia giunto a destinazione dopo la scadenza del termine di legge, nella specie quello di 60 giorni di cui all'art. 325 c.p.c., comma 2, (cfr, ex plurimis, Cass., n. 239/2006). L'eccezione di tardività del ricorso è pertanto infondata.
2. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 437, 420 e 421 c.p.c. ed omessa o insufficiente o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, dolendosi che la Corte territoriale, in relazione alla conduzione della prova testimoniale da parte del primo Giudice: - abbia erroneamente negato che fossero state svolte in prime cure istanze al riguardo; - non si sia pronunciata sull'istanza - già svolta in prime cure - di ammissione di un teste indicato e non escusso, siccome non comparso per impegni professionali; - non abbia provveduto ad espletare nuovamente l'istruttoria, avvalendosi dei poteri di cui all'art. 437 c.p.c., senza peraltro motivare al riguardo.
2.1. Osserva la Corte che, secondo l'assunto del ricorrente, il primo Giudice aveva ritenuto di non prendere "... in considerazione le istanze istruttorie articolate" ed aveva "... escusso i testi in base a propri moti senza tenere in considerazione le allegazioni, le prove documentali ed i capitoli di prova articolati; afferma inoltre il ricorrente che aveva chiesto al Giudice dei gravame di "rimediare a tale ingiusta falcidie probatoria".
2.2. La Corte territoriale ha rilevato in proposito che, "Per quanto riguarda le censure sulla conduzione della prova testimoniale e la mancata ammissione di capitoli, non risulta che in primo grado il ricorrente abbia formalizzato alcuna opposizione in proposito". Rileva il Collegio che, secondo il consolidato e condiviso orientamento interpretativo di questa Corte, le nullità o decadenze determinate dalla violazione delle disposizioni contenute negli artt. 244 e segg. c.p.c., in materia di deduzione ed assunzione della prova testimoniale, indicazione dei testimoni, incapacità di deporre, hanno natura relativa e sono sanate per acquiescenza, se non eccepite tempestivamente ai sensi dell'art. 157 c.p.c. perché stabilite dalla legge a tutela degli interessi delle parti e non per motivi di ordine pubblico (cfr, ex plurimis, Cass., nn. 5149/1985; 12687/1998; 12577/1999; 16204/2005); a tale principio si è evidentemente attenuta la Corte territoriale.
2.3. Il ricorrente deduce peraltro l'erroneità in fatto di quanto ritenuto nella sentenza impugnata sul rilievo che, in sede di discussione, si era riportato al ricorso, aveva chiesto l'audizione di una teste non comparsa, perché legittimamente impedita, e sollecitato l'espletamento di una CTU. La richiesta di CTU è però circostanza inconferente rispetto alla doglianza all'esame, nulla avendo a che vedere con il vizio denunciato, inerente all'espletamento della prova testimoniale. Contrariamente all'avviso del ricorrente, deve poi osservarsi che l'essersi riportato al ricorso - nella sua genericità - non costituisce eccezione alle (eventuali) nullità verificatesi ne corso dell'assunzione della prova, onde non impedisce la relativa sanatoria per acquiescenza. Inoltre, per quanto in particolare riguarda l'eventuale mancata escussione dei testi su determinate circostanze ritualmente formulate nei capitoli, deve rilevarsi l'inammissibilità del motivo per inosservanza del principio dell'autosufficienza de ricorso, non avendo il ricorrente indicato quali sarebbero state, nello specifico, le circostanze, fra le molte articolate, in ordine alle quali i testi non sarebbero stati sentiti dal primo Giudice e, altresì, in che termini la relativa doglianza sarebbe stata specificamente portata all'attenzione del Giudice del gravame.
2.4. Resta pertanto sostanzialmente privo di oggetto l'ulteriore profilo di doglianza inerente al mancato ricorso da parte della Corte territoriale ai poteri officiosi ex art. 437 c.p.c., non essendo state indicate le specifiche circostanze (in tesi non indagate dal primo Giudice) in ordine alle quali il Giudice dell'appello avrebbe potuto e dovuto disporre la rinnovazione della prova.
2.5. Per quanto infine concerne la mancata ammissione di un teste, osserva il Collegio che, secondo il condiviso orientamento di questa Corte, il ricorrente per cassazione, il quale denunci vizi della sentenza correlati al rifiuto del giudice di merito di dare ingresso ai mezzi istruttori ritualmente introdotti, ha l'onere di indicare in modo adeguato e specifico la prova non ammessa, vale a dire quali esattamente fossero i capitoli di prova sui quali il teste avrebbe dovuto essere chiamato a deporre (cfr., Cass., n. 1113/2001) e, al contempo, di dimostrare l'esistenza di un nesso eziologico tra l'errore addebitato al giudice e la pronuncia emessa in concreto, che, senza quell'errore, sarebbe stata diversa, al fine di consentire al giudice di legittimità un controllo sulla decisività delle prove (cfr, Cass., n. 7852/2001), dato che, per il ricordato principio dell'autosufficienza del ricorso per cassazione, il controllo deve essere consentito alla Corte sulla base delle sole deduzioni contenute nell'atto, alle cui lacune non è possibile sopperire con indagini integrative. Nel caso di specie il ricorrente non ha specificamente indicato nel ricorso per cassazione su quali, fra i molti capitoli di prova articolati, il teste non escusso avrebbe dovuto deporre, né, tanto meno, nel medesimo atto, ha fornito adeguata spiegazione del perché tale prova sarebbe potuta risultare decisiva nel senso testé indicato; ne consegue pertanto l'inammissibilità della doglianza.
2.6.  Il motivo all'esame, nei distinti profili in cui si articola, deve quindi essere disatteso.
3. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 2094 c.c. rectius: art. 2095 c.c., come del resto precisato dallo stesso ricorrente nella memoria ex art. 378 c.p.c., errata interpretazione del CCNL dei dirigenti industriali ed omessa o insufficiente o contraddittoria motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia, nonché omesso esame di documenti determinanti ai fini del decidere in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5. In particolare, con riferimento alla domanda relativa alla pretesa qualificazione dirigenziale fin dalla data di assunzione, lamenta che:
- la motivazione data dalla Corte territoriale non consentiva di comprendere quali fossero i capitosi di prova a cui era stato fatto riferimento, cosicché risultava incomprensibile il ragionamento posto a base della decisione;
- la motivazione era contraddittoria, perché alcuni testi, le cui deposizioni non erano state prese in considerazione, non avevano riferito quanto riportato;
- erano stati trascurati gli elementi fattuali costituiti dall'avvenuta stipula da parte di esso ricorrente, con rappresentanza esterna della Società, di contratti con grandi aziende;
- non era stato considerato che il ramo d'azienda che esso ricorrente dirigeva era il più importante della Società; - non era stato considerato che era stato nominato "direttore vendite" con la stessa lettera di assunzione, utilizzando il nomen di "direttore" che da CCNL dirigenti apparteneva alla categoria dei dirigenti;
- non era stato tenuto conto che la posizione di preminenza di esso ricorrente su dipendenti di pari inquadramento, se isolatamente poteva non essere determinante, unita a tutti gli altri elementi avrebbe dovuto portare ad un giudizio di segno opposto;
- non era stato motivato sul rilievo che la domanda aveva ad oggetto l'accertamento della anzianità di dirigente fin dall'inizio del rapporto di lavoro e non la richiesta di mere differenze retributive.
3.1. Osserva il Collegio che la Corte territoriale ha preso in esame le previsioni del CCNL di settore relative alla qualifica in cui il G. era stato inquadrato all'atto dell'assunzione e ha rilevato che le mansioni da lui svolte, "secondo la stessa prospettazione dei capitoli di prova", rientravano in tale previsione; ha altresì specificamente rilevato che la circostanza che il G. impartisse direttive ad altri dipendenti con qualifica di quadro non poteva "considerarsi come elemento che postula la sua qualifica di dirigente". Questa Corte ha avuto già modo di affermare che nel procedimento logico giuridico diretto alla determinazione dell'inquadramento di un lavoratore subordinato non può prescindersi da tre fasi successive, e cioè: dall'accertamento in fatto delle attività lavorative in concreto svolte, dalla individuazione delle qualifiche e gradi previsti dal contratto collettivo di categoria e dal raffronto tra il risultato della prima indagine ed i testi della normativa contrattuale individuati nella seconda (cfr, Cass., nn. 14608/2001; 5128/2007). La sentenza impugnata ha sostanzialmente seguito tale procedimento argomentativo: ha infatti messo in evidenza la previsioni della contrattazione collettiva inerenti alla qualificazione di originaria appartenenza del G.; ha poi fatto espresso riferimento alle mansioni che, secondo quanto risultante dagli stessi capitoli di prova da lui formulati (con ovvio implicito richiamo ai capitoli specificamente relativi a tali mansioni), il G. aveva svolto; infine, raffrontando fra loro tali due elementi di giudizio, ha concluso che le mansioni che si assumevano essere state espletate rientravano nell'ambito della qualificazione attribuita al momento dell'assunzione (con implicita, ma logicamente conseguente, esclusione dello svolgimento di mansioni rientranti in quella superiore di dirigente). Il procedimento argomentativo seguito, contrariamente a quanto affermato dal ricorrente, è quindi perfettamente comprensibile (oltre che, come detto, metodologicamente corretto).
3.2. La circostanza dedotta dal ricorrente (secondo cui due testi avrebbero dichiarato che, seppure in settori diversi, e mansioni svolte dal G. erano sullo stesso piano professionale di quelle espletate dal dirigente B.) non configura la pretesa contraddittorietà della motivazione, in quanto, secondo il condiviso orientamento di questa Corte (cfr., Cass., n. 16015/2007), non esiste nel nostro ordinamento un principio che imponga al datore di lavoro,nell'ambito dei rapporti privatistici, di garantire parità di inquadramento a tutti i lavoratori svolgenti le medesime mansioni (ovvero, per il caso che qui specificamente ne occupa, svolgenti mansioni di contenuto sostanzialmente analogo), posto che l'art. 3 Cost., impone l'uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, ma non anche nei rapporti interprivati. Ne consegue che la circostanza all'esame (peraltro fondata su apprezzamenti di carattere valutativo da parte dei testi) è del tutto irrilevante al fine del riconoscimento a favore del G. della superiore qualifica rivendicata.
3.3. Come già detto la Corte territoriale ha raffrontato la qualificazione della contrattazione collettiva con le mansioni che, sulla base dei capitoli di prova formulati, il G. aveva allegato di avere svolto; uno dei capitoli (secondo quanto risulta dallo stesso ricorso per cassazione) riguardava l'avvenuta conclusione degli accordi commerciali che, secondo il ricorrente, la Corte territoriale avrebbe omesso di valutare. Deve quindi rilevarsi come sia anzitutto infondata in fatto la doglianza relativa all'omessa presa in considerazione di tale circostanza, dovendo piuttosto riconoscersi che, nell'ambito della complessiva valutazione svolta, la Corte territoriale abbia ritenuto che anche l'avvenuta conclusione di tali contratti non fosse estranea all'ambito previsionale della qualificazione di originario inquadramento del G.. Va inoltre osservato che, secondo il consolidato e condiviso orientamento di questa Corte (cfr., ex plurimis, Cass., nn. 7000/1993; 914/1996; 1203/2000; 13981/2004), l'omesso esame di un fatto decisivo, previsto dall'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, è costituito da quel difetto di attività del giudice del merito che si verifica tutte le volte in cui egli abbia trascurato, non la deduzione o l'argomentazione che la parte ritiene rilevante per la sua tesi, ma una circostanza obiettiva acquisita alla causa tramite prova scritta od orale, idonea di per sé, qualora fosse stata presa in considerazione a condurre con certezza ad una decisione diversa da quella adottata, cosicché, ad integrare il predetto difetto, occorre non solo che il fatto, sebbene dibattuto tra le parti, sia stato totalmente trascurato dal giudice al pari di quelli non sottoposti ritualmente al suo accertamento, ma anche che il fatto in questione, per la sua diretta inerenza ad uno degli elementi costitutivi, modificativi od estintivi del rapporto in contestazione, sia dotato di una intrinseca valenza tale da non poter essere tacitamente escluso dal novero delle emergenze processuali decisive per la corretta soluzione della lite, come non si verifica per ogni singolo indizio, segnale od indice critico, il quale per la sua gravità o per la sinergica convergenza con altri elementi indiziari consentirebbe, in ipotesi, al giudice di risalire alla individuazione di un fatto ignoto. Nella fattispecie l'avvenuta conclusione dei contratti in parola da parte del G. potrebbe al più costituire un elemento indiziario (da valutare quindi nel concorso con le altre risultanze processuali) del dedotto espletamento di mansioni dirigenziali, con la conseguenza che tale circostanza fattuale non solo, per le ragioni anzidette, non può ritenersi essere stata trascurata dalla Corte territoriale, ma neppure, quand'anche in ipotesi lo fosse totalmente stata, potrebbe venire valorizzata al fine integrare il vizio di motivazione denunciato.
3.4. Analoghe considerazioni valgono anche per ciò che riguarda la dedotta mancata considerazione della circostanza secondo cui il ramo d'azienda a cui il ricorrente era preposto costituiva quello più importante della Società, trattandosi di elemento di giudizio fattuale in ordine al quale, come risulta dallo stesso ricorso per cassazione, era stato formulato uno specifico capitolo di prova.
3.5. La doglianza inerente alla mancata considerazione dell'appartenenza del nomen di "direttore" (in relazione all'avvenuta nomina del ricorrente quale "direttore vendite") all'ambito della categoria contrattuale dei dirigenti è parimenti infondata, atteso che, avuto riguardo alle considerazioni sopra svolte, non configura oggettivamente una circostanza fattuale di valenza decisiva; la doglianza presenta altresì profili di inammissibilità, posto che, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, il ricorrente non ha riportato nel ricorso stesso le specifiche previsioni pattizie (relative alla categoria dirigenziale) ove tale indicazione terminologica sarebbe contenuta.
3.6. La doglianza inerente alla mancata valorizzazione, in relazione agli altri elementi probatori acquisiti, della posizione di preminenza del ricorrente rispetto ad altri dipendenti di pari grado è inammissibile, risolvendosi nella richiesta di una diversa valutazione delle emergenze istruttorie non consentita in sede di giudizio di legittimità.
3.7. La Corte territoriale ha avuto ben chiaro che la domanda era rivolta all'accertamento della qualifica dirigenziale e non soltanto a delle rivendicazioni economiche (la sentenza impugnata ha espressamente rilevato che il G. "... afferma il suo diritto all'inquadramento dirigenziale fin dalla data dell'assunzione"), cosicché il preteso difetto di motivazione in ordine al rilievo asseritamente svolto sul punto si appalesa inconcludente.
3.8. Il motivo all'esame, nei distinti profili in cui si articola, non può pertanto trovare accoglimento.
4. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2087, 2103 e 2697 c.c., omessa e insufficiente o contraddittoria motivazione, nonché omessa pronuncia, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5. In particolare, con riferimento al demansionamento asseritamente subito a decorrere dai primi mesi del 2000 ad opera dell'amministratore delegato che, dopo averlo nominato dirigente, lo avrebbe mortificato "trattandolo molto male" e sottraendogli la maggior parte delle attività a cui attendeva in precedenza, con conseguente generarsi di pregiudizio psicofisico, lamenta:
- la carenza di motivazione, essendo stato svolto un ragionamento generico che impediva di comprendere a quali prove orali sarebbe stato fatto riferimento per affermare che non si era verificato lo spoglio dei poteri;
- la contraddittorietà del ragionamento seguito, poiché dalle dichiarazioni di alcuni testi era risultato che la dequalificazione era avvenuta e che esso ricorrente era stato maltrattato dall'amministratore delegato;
- la mancata considerazione del prodotto organigramma aziendale;
- la violazione dei principi generali sulla ripartizione dell'onere probatorio in caso di deduzione di inadempimento contrattuale;
- l'omessa pronuncia su motivo di gravame inerente al danno alla salute psicofisica patito da esso ricorrente per effetto del superlavoro, del mobbing e, comunque, in violazione del generale obbligo di diligenza a cui è tenuta la parte datoriale in tema di salute e sicurezza dei lavoratori.
4.1. La Corte territoriale ha rilevato che il dedotto demansionamento sarebbe intervenuto "proprio poco tempo dopo che al G. era stata attribuita la qualifica di dirigente", precisando al riguardo che non era "emerso peraltro il preteso spoglio di poteri, che sarebbe intervenuto nel giugno 2000". Si è quindi soffermata nella valutazione della valenza probatoria dell'organigramma aziendale, recante la data del 4.9.2000, osservando che tale organigramma evidenziava la posizione del G. in Food - canale vendita, sotto il direttore vendite S., e che lo stesso non poteva "essere considerato prova di demansionamento, considerato che con il conferimento della qualifica dirigenziale, nella lettera del 30 luglio 1999, l'amministratore delegato, S.A., gli attribuiva la responsabilità in qualità di direttore commerciale dell'attività di Marketing per il mercato Italiano, ma preannunciava un prossimo nuovo riassetto". Ha quindi precisato che non erano emerse angherie o vessazioni, "tali non potendosi qualificare qualche espressione verbale inurbana usata dall'amministratore delegato, peraltro non risultante diretta al G., se non in modo generico".
4.2. Secondo il condiviso orientamento di questa Corte, allorquando da parte di un lavoratore sia allegata una dequalificazione o venga dedotto un demansionamento riconducibili ad un inesatto adempimento dell'obbligo gravante sul datore di lavoro ai sensi dell'art. 2103 c.c., è su quest'ultimo che incombe l'onere di provare l'esatto adempimento del suo obbligo, o attraverso la prova della mancanza in concreto di qualsiasi dequalificazione o demansionamento, ovvero attraverso la prova che una o l'altro siano stati giustificati dal legittimo esercizio dei poteri imprenditoriali o disciplinari o, comunque, in base al principio generale risultante dall'art. 1218 c.c., da un'impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile (cfr., Cass., n. 4766/2006). Nel caso che ne occupa la Corte territoriale non ha disatteso la domanda del G. sotto il profilo della mancata prova da parte del lavoratore del demansionamento asseritamente subito, ma con il rilievo in fatto che il preteso spoglio di poteri non era "emerso" (ossia, in altri termini, escludendo che lo stesso si fosse verificato). Non può quindi condividersi la censura del ricorrente secondo cui nella sentenza impugnata sarebbe stato disatteso il criterio di ripartizione dell'onere della prova in tema di inadempimento di obbligazioni contrattuali.
4.3.  La valutazione resa dalla Corte, nella sua sinteticità, individua del resto in termini non equivoci la accertata insussistenza del demansionamento con riferimento alle emergenze probatorie acquisite, sicché il procedimento logico giuridico seguito risulta chiaro e privo di elementi intrinseci di contraddittorietà. Ed invero alle suddette conclusioni il ricorrente si limita a contrapporre, nel ricorso per cassazione, le dichiarazioni di un teste, generiche nel contenuto e, per giunta, di carattere dubitativo (“credo che gli siano stati tolti poteri decisionali”), come tali affatto prive di valenza tale da non poter essere tacitamente escluse dal novero delle emergenze processuali decisive per la corretta soluzione della lite e, perciò, inidonee a configurare il preteso vizio di motivazione.
4.4. I profili di doglianza relativi alla valutazione della portata probatoria dell'organigramma aziendale e al preteso rilievo da attribuirsi ad alcune dichiarazioni testimoniali concernenti il tenore dei comportamenti tenuti nei confronti del G. dall'amministratore delegato investono questioni specificamente esaminate dalla Corte territoriale e, configurando sostanzialmente una richiesta di riesame in fatto da parte di questa Corte, che non ne ha il potere, si rivelano inammissibili.
4.5.  Una volta esclusa dalla Corte territoriale la sussistenza del demansionamento e delle "angherie e vessazioni", restava assorbita la questione inerente ai danni che da tali asserite (ma ritenute insussistenti) violazioni degli obblighi contrattuali sarebbero derivati; sotto tale profilo deve dunque escludersi in radice la configurabilità del vizio di omessa pronuncia. La doglianza, peraltro, è in generale inammissibile per violazione del principio di autosufficienza del ricorso; infatti, secondo il condiviso orientamento della giurisprudenza di legittimità (cfr, ex plurimis, Cass., nn. 317/2002; 10410/2002; 6225/2005), qualora sia denunziato un error in procedendo, la Corte di Cassazione è anche giudice del fatto ed ha il potere - dovere di esaminare direttamente gli atti di causa, ma, anche in questo caso, la parte ha l'onere di indicare nel ricorso tutti gli elementi di fatto necessari ad individuare la dedotta violazione processuale in modo che sia consentito il controllo della decisività dei vizi dedotti; nel caso all'esame, viceversa, il ricorrente non ha indicato nel ricorso per cassazione quale fosse stato specificamente il "chiesto" al giudice del gravame, sul quale quest'ultimo non si sarebbe pronunciato, ma ha richiamato soltanto il quarto motivo di impugnazione e le pagine del ricorso d'appello in cui sarebbe stato svolto ("pag. 19 e ss. in particolare pag. 21 ult. Cpv”), per cui non è dato a questa Corte di intendere quale fosse l'oggetto specifico del richiesto (su cui non si sarebbe pronunziato il Giudice di appello) senza esaminare atti esterni al ricorso.
4.6.  Pertanto anche il motivo all'esame, nei distinti profili in cui si articola, non merita accoglimento.
5. Con il quarto motivo di gravame il ricorrente denuncia omessa e insufficiente motivazione in relazione agli incentivi per gli anni 2000 e 2001 ed extrapetizione per quanto riguarda i corsi di inglese, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5; nello svolgimento del motivo, peraltro, denuncia altresì l'omesso esame di documenti che avrebbero dovuto condurre la Corte territoriale all'accoglimento della domanda relativa ai pretesi crediti relativi all'indennità di trasferta. In particolare il ricorrente si duole che la Corte territoriale:
- nel ritenere non dovuti gli incentivi premiali relativi agli anni 2000 e 2001 non abbia spiegato da quali fonti avesse tratto il proprio convincimento;
- non abbia tenuto in considerazione documenti determinanti ai fini del riconoscimento della spettanza dell'indennità di trasferta prevista dall'art. 27 del CCNL dell'industria chimica (e ciò indipendentemente dalle spese affrontate che erano state regolarmente rimborsate), forse per avere male interpretato la domanda, che era appunto rivolta alla percezione della suddetta indennità e non al rimborso delle spese;
- sia incorsa nel vizio di extrapetizione, avendo pronunciato in ordine alle spese dei corsi di inglese benché tale domanda, svolta e non accolta in prime cure, fosse stata abbandonata con l'atto d'appello.
5.1. Sulla prima delle tre questioni testé indicate la sentenza impugnata ha affermato: "Quanto agli incentivi, questi sono stati corrisposti fino al 1 semestre 2001. La cessazione del rapporto per dimissioni al 30.10.2001, non ha consentito il completamento del budget per l'ulteriore semestre". Nella parte espositiva della sentenza era stato peraltro indicato che il G. aveva censurato d'erroneità il mancato accoglimento (fra le altre) della domanda relativa agli incentivi. La stessa A. spa, inoltre, nella memoria difensiva in grado d'appello, come espressamente riportato nel ricorso per cassazione, aveva enunciato l'insussistenza al diritto alla percezione degli incentivi (il che, ovviamente, è logicamente inconciliabile con l'eventuale avvenuta corresponsione, nei termini e nella misura ex adverso rivendicati, di detti incentivi) e ciò ha ribadito, da ultimo, nella memoria ex art. 378 c.p.c..
5.2. Osserva il Collegio che, sulla base della suesposta scarna motivazione, è assolutamente impossibile ricostruire i ragionamento seguito dalla Corte territoriale per giungere all'affermazione che gli incentivi erano stati corrisposti fino al 1 semestre 2001, non essendo stati espressamente indicati gli elementi di giudizio che avevano condotto a tale convincimento, né essendo gli stessi almeno implicitamente desumibili dalla disamina complessiva della statuizione in parola. Inoltre non è dato neppure comprendere se, affermando che tali incentivi erano stati corrisposti fino al 1 semestre 2001, la Corte territoriale abbia o meno inteso riconoscere l'avvenuta percezione di tali incentivi anche per l'anno 2000; in caso affermativo la statuizione è, come detto, priva di qualsivoglia indicazione idonea a ricostruire il procedimento logico giuridico seguito; in caso negativo sarebbe ravvisabile il vizio di omessa pronuncia, posto che con l'atto d'appello era stata censurato anche il mancato riconoscimento degli incentivi per il 2000 (circostanza questa espressamente indicata nel ricorso per cassazione, con specificazione delle ragioni addotte in sede di appello, di cui questa Corte, quale giudice anche del fatto processuale in relazione al denunciato vizio di omessa pronuncia, ha potuto avere diretto riscontro ex actis).
La doglianza all'esame è dunque fondata.
5.3.  La documentazione relativa alle trasferte di cui il ricorrente lamenta il mancato esame inerisce alle richieste di autorizzazione alle trasferte, alle note spese e ad alcune ricevute fiscali; il ricorrente sostiene che in tali documenti "è riportata l'autorizzazione alla trasferta", ma si tratta di affermazione che contrasta palesemente con il contenuto degli stessi documenti, posto che le richieste di autorizzazione non contengono la firma di autorizzazione del responsabile. Deve quindi escludersi che ai suddetti documenti possa essere riconosciuta una intrinseca valenza probatoria tale che i documenti stessi non avrebbero potuto essere tacitamente esclusi dal novero delle emergenze processuali decisive per la corretta soluzione della lite. Peraltro la doglianza all'esame, prima ancora che infondata per i motivi testé indicati, si appalesa inammissibile per violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, non avendo il ricorrente, che invoca l'applicabilità dell'art. 27 CCNL industria chimica, riportato nel medesimo ricorso per cassazione il testo di tale regolamentazione pattizia.
5.4.  La doglianza relativa alla pronuncia inerente alle spese dei corsi di inglese è inammissibile per difetto di interesse, avendo lo stesso ricorrente riconosciuto che la questione, benché originariamente proposta, era stata abbandonata in appello.
6. In definitiva il quarto motivo di ricorso va accolto limitatamente alla censura relativa alla spettanza degli incentivi, mentre vanno respinti i restanti profili di tale mezzo e gli altri motivi.
La sentenza impugnata va quindi cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio per nuovo esame al Giudice di pari grado indicato in dispositivo, che provvedere altresì sulle spese del giudizio di Cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il quarto motivo di ricorso limitatamente alla censura relativa alla spettanza degli incentivi, respinge il ricorso nel resto, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d'Appello di Brescia.
 
(Torna alla Sezione Mobbing)