Danno da demansionamento con prova presuntiva e danno morale a prescindere dal reato

 

Cass. sez. lav. 21 giugno 2006 n. 14302 – Pres. Senese – Rel. Di Cerbo – P.M. Fedeli (parz. diff.) - V.S. (avv. Giordano) c. Fiat Auto SpA  e Fiat Partecipazioni SpA (avv. De Luca Tamajo, Abignente, Bonamico, Borsotti)

 

Danni da demansionamento – Sufficienza della prova presuntiva -  Danno morale – Risarcibilità indipendentemente dal reato.

 

In caso di accertato demansionamento professionale del lavoratore in violazione dell'art. 2103 cod. civ., il giudice del merito, con apprezzamento di fatto incensurabile in cassazione se adeguatamente motivato, può desumere l'esistenza del relativo danno, determinandone anche l'entità in via equitativa, con processo logico - giuridico attinente alla formazione della prova, anche presuntiva, in base agli elementi di fatto relativi alla durata della dequalificazione e alle altre circostanze del caso concreto.

Il capo della sentenza impugnata concernente il rigetto della domanda di risarcimento del danno morale è viziato da errore di diritto per cui anche il secondo profilo di impugnazione contenuto nel primo motivo del ricorso principale deve essere accolto.

Secondo il più recente orientamento di questa Suprema Corte (cfr., in particolare, Cass. 20 ottobre 2005 n. 20323), che il Collegio intende in questa sede ribadire, il risarcimento del danno morale, in favore del soggetto danneggiato per lesione del valore della persona umana costituzionalmente garantito, prescinde dall'accertamento di un reato in suo danno. La sentenza impugnata, nel negare il risarcimento del danno morale in assenza di reato, si è posta in contrasto con il suddetto orientamento.

 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza in data 27 giugno 2001 il Tribunale di Torino rigettava la domanda, proposta da V.S. nei confronti della s.p.a. Fiat Auto, avente ad oggetto l'accertamento dell'avvenuta adibizione del ricorrente a mansioni dequalificanti e la conseguente condanna della società datrice di lavoro ad utilizzarlo in mansioni adeguate alla qualifica nonché al risarcimento del danno da dequalificazione, del danno alla salute, del danno professionale e del danno biologico e morale cagionati dalla predetta dequalificazione.

La Corte d'appello di Torino, con sentenza depositata il 18 maggio 2002, riformava la sentenza appellata e, in parziale accoglimento della domanda, dichiarava che le mansioni attribuite al lavoratore a decorrere dal 23 marzo 1998 erano dequalificanti e per l'effetto condannava la società appellata ad adibire il lavoratore a mansioni equivalenti a quelle in precedenza svolte e a risarcire il danno da dequalificazione liquidato in Euro 7.500. Per quanto ancora rileva in questa sede, la Corte di merito, in relazione alla ritenuta sussistenza di un'illegittima dequalificazione professionale, condannava la società datrice di lavoro a risarcire il danno da demansionamento, che liquidava in via equitativa, tenuto conto della retribuzione percepita e del numero di mesi nei quali il lavoratore era stato adibito alle mansioni dequalificanti. Rigettava la domanda di risarcimento del danno morale, in assenza  di un reato, e del danno biologico osservando che non vi era prova che i disturbi psichici del lavoratore fossero eziologicamente riconducibili al mutamento di mansioni.

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso V.S. affidato ad un unico complesso motivo illustrato da memoria.. Resiste con controricorso e propone ricorso incidentale Fiat partecipazioni s.p.a basato su due motivi.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con l'unico, complesso, motivo il ricorrente principale denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 51, 191 e 424 cod. proc. civ., 32 Cost., 1218, 2043, 2059, 2103 e 2697 cod. civ. nonché omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia.

Censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha rigettato i capi della domanda aventi ad oggetto il danno biologico ed il danno morale.

Per quanto concerne il danno biologico il ricorrente osserva che la Corte di merito, nel ritenere l'assenza di prova circa la sussistenza di un nesso causale fra i disturbi psichici ed il demansionamento, non ha tenuto conto delle altre patologie accertate a suo carico. Lamenta inoltre la sussistenza di vizi di motivazione della sentenza anche per quanto concerne la mancata ammissione di una consulenza tecnica d'ufficio, che era stata più volte richiesta e che avrebbe potuto fornire, in particolare, indicazioni significative per la valutazione della riconducibilità, o meno, al demansionamento del complesso patologico da cui il lavoratore era affetto.

Per quanto concerne il danno morale osserva che nella fattispecie lo stesso doveva considerarsi risarcibile. Deduce che nel caso di specie l'avvenuto demansionamento avrebbe cagionato al ricorrente lesioni personali astrattamente previste dall'art, 590 cod. pen.

Col primo motivo di ricorso incidentale la Fiat Partecipazioni s.p.a. denuncia violazione, falsa applicazione ed errata interpretazione degli artt. 1218, 1223, 2043 e 2103 cod. civ., 115, 414 e 420 cod. proc. civ. nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia. Deduce l'erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui, avendo ritenuto la sussistenza di un illegittimo demansionamento del lavoratore, ha fatto derivare da tale demansionamento l'obbligo risarcitorio in una situazione in cui mancava la prova della sussistenza di un danno effettivo.

Col seconda motivo la società denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 414 e 437, secondo comma, cod. proc. civ. nonché vizio di motivazione. Deduce che la Corte di merito, nel pronunciarsi in ordine alla domanda di risarcimento del danno morale, che è stata correttamente rigettata, ha omesso di rilevare che la domanda stessa era stata proposta per la prima volta in grado d'appello e quindi tardivamente.

Per ragioni di ordine logico conviene esaminare preliminarmente il prima motivo del ricorso incidentale.

Il motivo è infondato.

E’ stato chiarito da questa Suprema Corte (cfr. Cass. 16 agosto 2004 n. 15955) che, in caso di accertato demansionamento professionale del lavoratore in violazione dell'art. 2103 cod. civ., il giudice del merito, con apprezzamento di fatto incensurabile in cassazione se adeguatamente motivato, può desumere l'esistenza del relativo danno, determinandone anche l'entità in via equitativa, con processo logico - giuridico attinente alla formazione della prova, anche presuntiva, in base agli elementi di fatto relativi alla durata della dequalificazione e alle altre circostanze del caso concreto.

Nella specie, come si evince chiaramente dal testo della motivazione, la Corte di merito ha, nell'ambito dell'apprezzamento di fatto di sua competenza, desunto la sussistenza di un danno (di natura professionale) da demansionamento dall'osservazione che la sostanziale ed assoluta diversità delle mansioni assegnate rispetto a quelle in precedenza svolte determina un grave nocumento all'esperienza, alla professionalità ed alle attitudini del lavoratore. Tale conclusione, in quanto basata su una motivazione congrua e logica, ancorché sintetica, resiste alla censura di cui, al motivo di ricorso che deve essere pertanto rigettato.

Deve essere invece accolto il ricorso principale.

Per quanto concerne la statuizione della sentenza impugnata concernente il rigetto della domanda attinente al danno biologico, è evidente la sussistenza di un vizio di motivazione. Appare, infatti, del tutto incongruo il ragionamento seguito dalla Corte di merito che, per motivare la propria conclusione circa la mancanza di prova della riconducibilità al demansionamento dei disturbi psichici da cui il lavoratore è affetto, ha attribuito rilievo decisivo alla circostanza che lo stesso era risultato soccombente in una precedente azione giudiziaria nei confronti della società datrice di lavoro osservando che ciò era indicativo di un rapporto lavorativo "decisamente teso". In sostanza la Corte di merito non ha adeguatamente spiegato le ragioni per cui una circostanza, quale quella sopra indicata (soccombenza in un giudizio nei confronti dello stesso datore di lavoro), che appartiene alla fisiologia del rapporto di lavoro, abbia assunto, nella fattispecie in esame, un significato decisivo al fine di ritenere non provata la riconducibilità della suddetta patologia al riconosciuto demansionamento. E ciò appare ancor più incongruo ove si consideri che, come si è prima osservato, la stessa Corte aveva rilevato che il demansionamento aveva gravemente danneggiato il lavoratore.

Per quanto concerne la statuizione concernente il rigetto del capo della domanda concernente il risarcimento del danno morale, deve essere in primo luogo dichiarato inammissibile il secondo motivo del ricorso incidentale alla luce del principio enunciato da questa Suprema Corte (cfr. Cass. 23 gennaio 2004 n. 1170) secondo cui, se è vero che la Corte di Cassazione, allorquando sia denunciato un error in procedendo, quale indubbiamente il vizio di ultra o extrapetizione, è anche giudice del fatto ed ha il potere - dovere di esaminare direttamente gli atti di causa, tuttavia, per il sorgere di tale potere - dovere è necessario, non essendo il predetto vizio rilevabile ex officio, che la parte ricorrente indichi gli elementi individuanti e caratterizzanti il "fatto processuale" di cui richiede il riesame e, quindi, che il corrispondente motivo sia ammissibile e contenga, per il principio di autosufficienza del ricorso, tutte le precisazioni e i riferimenti necessari a individuare la dedotta violazione processuale. Nella specie il ricorso incidentale si limita ad affermare in modo affatto apodittico che la suddetta domanda era stata proposta per la prima volta in appello senza darsi carico di contestare la contraria affermazione contenuta nella sentenza impugnata, dalla quale risulta che la suddetta domanda era stata già proposta in primo grado.

Ciò premesso deve osservarsi che il capo della sentenza impugnata concernente il rigetto della domanda di risarcimento del danno morale è viziato da errore di diritto per cui anche il secondo profilo di impugnazione contenuto nel primo motivo del ricorso principale deve essere accolto.

Secondo il più recente orientamento di questa Suprema Corte (cfr., in particolare, Cass. 20 ottobre 2005 n. 20323), che il Collegio intende in questa sede ribadire, il risarcimento del danno morale, in favore del soggetto danneggiato per lesione del valore della persona umana costituzionalmente garantito, prescinde dall'accertamento di un reato in suo danno. La sentenza impugnata, nel negare il risarcimento del danno morale in assenza di reato, si è posta in contrasto con il suddetto orientamento.

In definitiva il ricorso principale deve essere accolto mentre quello incidentale deve essere rigettato.

La sentenza deve essere quindi cassata in relazione al ricorso accolto e rinviata ad altro giudice, che viene determinato nella Corte d'Appello di Genova, che provvederà alla luce dei rilievi e dei principi sopra enunciati. Il giudice di rinvio provvederà inoltre, ai sensi dell'art. 385 cod. proc. civ., sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi, accoglie il ricorso principale, rigetta il ricorso incidentale, cassa in relazione al ricorso accolto e rinvia anche per le spese alla Corte d'Appello di Genova.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 14 febbraio 2006 (depositato 21 giugno 2006)

 

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