Prova del danno da demansionamento per presunzioni ex art. 2729 c.c.

 

Cass. sez. lav. 26 giugno 2006 n. 14729 – Pres. Sciarelli – Rel. Celentano – P.M. Matera (conf.) – Rete ferroviaria italiana SpA (avv. Vesci, Carello) c. Valbruzzi Rosario (avv. Ciapponi, Raspaolo)

 

Mansioni – Demansionamento – Prova per presunzioni e liquidazione in via equitativa – Ammissibilità.

 

In ordine ai motivi  rivolti a criticare la attribuzione del risarcimento di un danno che si assume non provato, osserva il Collegio che  il prevalente orientamento di questa Corte ritiene che: “In caso di accertato demansionamento professionale del lavoratore in violazione dell'art. 2103 cod. civ., il giudice del merito, con apprezzamento di fatto incensurabile in cassazione se adeguatamente motivato, può desumere l'esistenza del relativo danno, determinandone anche l'entità in via equitativa, con processo logico - giuridico attinente alla formazione della prova, anche presuntiva, in base agli elementi di fatto relativi alla durata della qualificazione e alle altre circostanze del caso concreto”(Cass., 16 agosto 2004 n. 15955; 13 maggio 2004 n. 8271; 27 agosto 2003 n. 12553; 12 novembre 2002 n. 15868; 2 novembre 2001 n. 13580). Ed è questo il percorso che ha seguito la motivazione della sentenza impugnata – che qui si conferma - , osservando che criteri di esperienza comune, come la qualità e la quantità della esperienza lavorativa pregressa, il tipo di professionalità colpita, la durata del demansionamento e l'esito finale della dequalificazione, consentissero di ritenere provato il danno e di pervenire ad una quantificazione equitativa dello stesso.

Svolgimento del processo

Con sentenza del 16 novembre 2000 il Tribunale di Messina, accogliendo la domanda proposta da Rosario Valbruzzi nei confronti di Rete Ferroviaria Italiana, affermava il diritto del ricorrente ad essere riassegnato allo svolgimento delle "mansioni originarie equivalenti" a quelle di capitano d'armamento, svolte fin dal 1991, in luogo di quelle, ritenute inferiori, attribuitegli "nell'ambito del business gommato e passeggeri"; poiché nelle more del procedimento il ricorrente era stato collocato in quiescenza per limiti di età, il Tribunale pronunciava sulla residua domanda risarcitoria, condannando Rete Ferroviaria al pagamento di lire 10.000.000, così equitativamente determinato il danno per l'illegittimo demansionamento.

La decisione veniva impugnata in via principale da Rete Ferroviaria Italiana, che contestava che vi fosse stato demansionamento, e, in via incidentale, da Rosario Valbruzzi, che lamentava l'entità del risarcimento accordato.

Con sentenza del 4 novembre/9 dicembre 2003 la Corte di Appello di Messina rigettava entrambi gli appelli e condannava l'appellante principale alla med delle spese del grado, compensando la residua metà.

I giudici di secondo grado osservavano che il signor Valbruzzi aveva adeguatamente provato l'entità delle mansioni svolte dal 1991 - che gli avevano fatto acquisire giudizialmente la qualifica superiore di dirigente - mentre la società non aveva provato l'equivalenza delle nuove mansioni attribuite al dipendente con l'ordine di servizio n. 35/95; le nuove mansioni erano del tutto prive dei requisiti della autonomia nella direzione del personale, della responsabilità organizzativa e operativa, del potere di rappresentanza dell'ente, requisiti che caratterizzavano la posizione di capitano d'armamento.

Ritenevano, poi, che la cifra equitativamente liquidata dal primo giudice a titolo risarcitorio fosse congrua, in considerazione della retribuzione percepita dal comandante, della sua posizione sociale e del fatto che avrebbe rivestito la funzione di capitano d'armamento solo per pochi mesi prima del pensionamento.

Per la cassazione di tale decisione ricorre, formulando quattro motivi di censura, Rete Ferroviaria Italiana s.p.a.

Rosario Valbruzzi resiste con controricorso e propone ricorso incidentale articolato in due motivi, cui resiste, con controricorso, la ricorrente principale.

Rete Ferroviaria ha depositato memoria.

Motivi della decisione

1. Ricorso principale e ricorso incidentale vanno preliminarmente riuniti (art. 335 c.p.c.).

2. Con i primi due motivi la difesa della ricorrente principale denuncia violazione degli artt. 1362, 1363, 1364 e 2103 c.c., con riferimento agli artt. 21, n. 2, 101 e ss. e all'Allegato 4 del ccnl 1993/95; nonché vizio di motivazione su punto decisivo.

Deduce che la Corte di Messina ha erroneamente ritenuto che il profilo di capitano d'armamento non rientrasse nell'area quadri, livello nono. Così riporta la declaratoria della nona categoria: "la 9° categoria comprende i dipendenti dell 'Area Quadri titolari di posizioni organizzative e funzionali di maggiore rilievo che hanno un ruolo di raccordo fra le strutture dirigenziali ed il restante personale. Svolgono attività che implicano facoltà di sovrintendenza, responsabilità, coordinamento, controllo, vigilanza e gestione delle risorse nonché attività di ricerca, studio, progettazione e consulenza richiedenti notevole preparazione professionale e contenuti specialistici di particolare rilievo, anche con preposizione ad impianti o unità organizzative di rilevante entità e/o complessità. Tale incisivo coinvolgimento comporta autonomia di iniziativa e di decisione, con connessa e diretta responsabilità dei risultati da conseguire, con discrezionalità di poteri, nei limiti delle direttive generali, e per l'attuazione dei programmi, indirizzi ed obiettivi fissati dall 'ente."

Spiega che i profili professionali per questo livello sono quelli di comandante (proprio del signor Valbruzzi) e di direttore di macchina.

Assume, poi, che l'art. 101 del ccnl colloca l'area quadri in una posizione intermedia tra la struttura dirigenziale ed il restante personale.

Sostiene che lo stesso ricorrente, con il lamentare, nel ricorso introduttivo, la sua sostituzione, quale capitano d'armamento, con altro comandante, ammette che la posizione da lui rivestita dal 1991 era quella di comandante, appartenente quindi alla categoria di quadro di nono livello.

Deduce quindi che Rete Ferroviaria ha rispettato l'art. 2103 c.c., mantenendo al resistente la sua qualifica di comandante e mettendolo in condizione di utilizzare il bagaglio di conoscenze e di capacità professionali maturate nelle precedenti mansioni.

Precisa che, nell'ambito di una complessiva riorganizzazione della struttura aziendale, che comportava tra l'altro la cancellazione della figura di capitano d'armamento, il resistente era stato adibito a mansioni elevate di programmazione studio e ricerca, proprie del nono livello ed equivalenti a quelle prima svolte.

Lamenta che la Corte ha erroneamente ritenuto che il lavoratore fosse stato assegnato a "compiti meramente teorici ed evanescenti, del tutto privi di contenuti specifici atti ad individuare una specializzazione e professionalità, certamente carenti dei requisiti della direzione, responsabilità, coordinamento di personale" (pag. 4 della sentenza impugnata), riducendo tutto il demansionamento alla assenza di un gruppo, più o meno esteso, di dipendenti da controllare e dirigere.

3. Con il terzo e quarto motivo la difesa di Rete Ferroviaria denuncia, in subordine, violazione degli artt. 12 e ss. delle disposizioni sulla legge in generale, con riferimento agli artt. 2043 e 2697 c.c.; nonché vizio di motivazione su punto decisivo.

Lamenta che i giudici di appello hanno confermato la condanna al risarcimento del danno da demansionamento nonostante controparte non avesse fornito alcuna prova del danno.

Sottolinea, inoltre, che dopo il lamentato (e negato) demansionamento, il lavoratore aveva fruito di 52 giorni di ferie ed era stato dopo pochissimo tempo collocato a riposo.

4. Con i due motivi del ricorso incidentale, denunciando violazione degli artt. 2103 e 1226 c.c. e vizio di motivazione su punto decisivo, la difesa del ricorrente incidentale, premesso che la prova del danno è presuntivamente fornita dal divario delle diverse mansioni, lamenta che i giudici di appello hanno liquidato una somma esigua a titolo di risarcimento, non tenendo conto del fatto che il signor Valbruzzi, dopo aver diretto per circa dieci anni l'intera struttura della navigazione delle F.S., con la qualifica di dirigente, era stato pensionato con la qualifica di "coordinatore di un business" i cui termini operativi e funzionali erano del tutto inesistenti.

Deduce che proprio il fatto che il demansionamento è avvenuto poco tempo prima del collocamento a riposo, anziché costituire motivo di riduzione della entità del danno, lo aumenta, atteso che l'offesa alla dignità professionale e morale è divenuta definitiva, impedendo una serena godibilità dell'ultimo stadio di vita del lavoratore.

I giudici di appello non hanno considerato tale aspetto della questione.

5. Il ricorso principale non è fondato.

5a. In ordine ai primi due motivi, diretti a censurare la sentenza nella parte in cui afferma l'avvenuto demansionamento, osserva la Corte che i giudici di secondo grado hanno valutato l'entità delle mansioni svolte dal signor Valbruzzi prima dell'ordine di servizio n. 35/95, come provate dal lavoratore, ed hanno rilevato che le stesse erano state di importanza tale da fargli acquisire giudizialmente la qualifica superiore di dirigente. Hanno poi osservato che la società non aveva fornito adeguata prova della equivalenza delle nuove mansioni a quelle precedenti, trattandosi di "attività di programmazione di idee e progetti da sottoporre ad un superiore, peraltro munito di qualifica di quadro e quindi, allo stato inferiore a quella posseduta dal Valbruzzi e per la quale pare - secondo quanto riferito dalla società - sia pendente impugnazione." (pag. 4 della sentenza).

La società ricorrente non ha contestato né la affermata corrispondenza delle precedenti mansioni alla qualifica di dirigente, né l'assoggettamento della nuova posizione lavorativa ad un quadro, limitandosi a generiche affermazioni di equivalenza, senza neppure specificare i nuovi compiti e l'errore di valutazione che imputa ai giudici di appello.

Tanto è sufficiente al rigetto dei primi due motivi di ricorso.

5b. In ordine ai motivi terzo e quarto, rivolti a criticare la attribuzione del risarcimento di un danno che si assume non provato, osserva il Collegio che il prevalente orientamento di questa Corte ritiene che, "in caso di accertato demansionamento professionale del lavoratore in violazione dell'art. 2103 cod. civ., il giudice del merito, con apprezzamento di fatto incensurabile in cassazione se adeguatamente motivato, può desumere l'esistenza del relativo danno, determinandone anche l'entità in via equitativa, con processo logico - giuridico attinente alla formazione della prova, anche presuntiva, in base agli elementi di fatto relativi alla durata della qualificazione e alle altre circostanze del caso concreto"(Cass., 16 agosto 2004 n. 15955; 13 maggio 2004 n. 8271; 27 agosto 2003 n. 12553; 12 novembre 2002 n. 15868; 2 novembre 2001 n. 13580).

La prova del danno può, secondo la giurisprudenza citata, essere desunta anche da presunzioni.

Ed è questo il percorso che ha seguito la motivazione della sentenza impugnata, osservando che criteri di esperienza comune, come la qualità e la quantità della esperienza lavorativa pregressa, il tipo di professionalità colpita, la durata del demansionamento e l'esito finale della dequalificazione, consentissero di ritenere provato il danno e di pervenire ad una quantificazione equitativa dello stesso.

Anche il terzo ed il quarto motivo vanno pertanto rigettati.

6. Anche il ricorso incidentale è infondato.

Con lo stesso si deduce che non sarebbe stato valutata la gravità del danno prodotto dal demansionamento, a causa del sopravvenire del pensionamento prima della possibilità di una reintegrazione nelle precedenti mansioni; e la conseguente perdita di serenità per il resto della vita.

I giudici di appello hanno invece considerato che il signor Valbruzzi non aveva potuto concludere la sua carriera con il prestigio della funzione apicale che aveva rivestito negli ultimi anni della sua attività lavorativa e, tenendo conto anche di questa circostanza, insieme ad altri elementi, quali la durata residua dell'attività di servizio, la posizione sociale occupata e la retribuzione percepita, hanno ritenuto congrua la somma di lire dieci milioni determinata dal primo giudice.

Non è vero, quindi, che sia stato trascurata la circostanza del pensionamento con una posizione lavorativa diversa ed inferiore a quella in precedenza ricoperta.

7. Entrambi i ricorsi vanno pertanto rigettati.

Attesa la maggiore soccombenza della ricorrente principale, appare equo compensare per la metà le spese di questo giudizio e porre a carico della Rete Ferroviaria la restante metà.

P.T.M.

La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta; compensa fra le parti, per la metà, le spese di giudizio, e condanna la ricorrente principale al rimborso, in favore di Rosario Valbruzzi, della restante metà di tali spese, che liquida, nell’intero, in € 20,00 (venti euro) per spese ed in € 2000,00 per onorario di avvocato, oltre spese generali ed oneri di legge.

Così deciso in Roma il 27 aprile 2006 (depositato il 26 giugno 2006).

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