Demansionamento accertato e indennizzato con prova presuntiva del danno professionale

 

Cass., sez. lav., 16 agosto 2004 n. 15955 (ud. 27.4.2004) - Rel. Curcuruto – Ric. Fiat Auto SpA (avv. De Luca Tamajo, Perlini) - Controricorrente Cavidossi (avv. Bianchi, Simoni)

 

Demansionamento professionale – Prova del danno per presunzioni – Sufficienza -  Sulla base degli indici della durata e consistenza della dequalificazione, categoria e qualifica rivestite nonché anzianità di servizio quali indicatori ragionevoli della pregressa professionalità  – Risarcimento  – Spettanza.

 

Nella giurisprudenza di questa Corte si ritiene che il danno da dequalificazione possa eventualmente esser liquidato in via equitativa, sempreché (come nella specie è incontestato per le ragioni appena enunciate) ne sia provata l'esistenza (v. fra le molte Cass. 18 aprile 1996, n. 3686;11 agosto 1998, n. 7905; 14 novembre 2001, n. 14199; 14 maggio 2002, n. 6992; 10 giugno 2002, n. 7697). In proposito si è, più specificamente, sottolineato che in caso di accertato demansionamento professionale del lavoratore in violazione dell'art. 2103 cod. civ., il giudice del merito, può desumere l'esistenza del relativo danno, determinandone anche l'entità in via equitativa, con processo logico - giuridico attinente alla formazione della prova, anche presuntiva, in base agli elementi di fatto relativi alla durata della qualificazione e alle altre circostanze del caso concreto, e con apprezzamento di fatto incensurabile in cassazione se adeguatamente motivato (Cass. 2 novembre 2001, n. 13580).

Svolgimento del giudizio

Umberto Cavidossi convenne in giudizio dinanzi al giudice del lavoro di Cassino la Fiat Auto s.p.a. deducendo di essere stato inquadrato nel quarto livello contrattuale e rivencando il superiore quinto livello, per aver svolto mansioni prima di "Saldatore tubista" e poi promiscue intervenendo sulla "rete del vapore", effettuando modifiche di impianti, rettifica di pompe e motori, esame di nuovi assunti, costruzione di un soppalco e di cinque tradotte.

Il Cavidossi deduceva altresì di avere poi dall'ottobre 1990, in seguito a demansionamento, operato prima in linea e poi nella preparazione pezzi, e chiedeva che accertata e dichiarata l'illegalità di tale dequalificazione gli fosse riconosciuto il conseguente risarcimento del danno anche morale.

La domanda di inquadramento nella qualifica superiore veniva respinta.

Venie invece riconosciuta la illegittima dequalificazione del lavoratore per il periodo dal 9 ottobre 1990 al 17 marzo 1994 con condanna della convenuta a risarcimento del danno per lesione della professionalità, liquidato in lire 3 milioni. Era invece rigettata la domanda di risarcimento del danno morale.

Questa sentenza venne impugnata solo dal Cavidossi, il quale, per ciò che ancora rileva, ne chiese la riforma in relazione al mancato riconoscimento di un più ampio periodo di demansionamento, sino al 31 dicembre 1996 o al 31 ottobre 1995 e di una più elevata misura del risarcimento del danno.

La soci à appellata contrastò il gravame.

Il tribunale di Cassino con la sentenza ora impugnata, per quanto rileva, ha riformato parzialmente il capo relativo al risarcimento del danno alla professionalità cagionato dal demanionamento, ed ha riconosciuto al Cavidossi a tale titolo la somma di lire 12 milioni equitativamente determinata, in relazione alla durata della dequalificazione, protrattasi per oltre tre anni, alla qualifica del lavoratore ed alla sua anzianità di servizio. Il tribunale, sulla base delle risultanze istruttorie, dalle quali era risultato confermato che il Cavidossi dal marzo 1994 svolgeva mansioni di caricamento e di controllo dell'impianto di gas freon accanto ad operai di quarto e quinto livello, ha escluso invece che i limiti temporali della dequalificazione si fossero estesi oltre il periodo 10 settembre 1990-17 marzo 1994, come già accertato dal primo giudice.

Di questa sentenza la Fiat Auto s.p.a. chiede la cassazione in base ad due motivi.

Il Cavidossi resiste con controricorso e propone a sua volta ricorso incidentale, affidato a due motivi.

Motivi della decisione

Preliminarmente occorre riunire i ricorsi, proposti contro la stessa sentenza ( art. 335 c.p.c.).

Con il primo motivo di ricorso, denunziando insufficiente e/o omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia; violazione e/o falsa applicazione degli arti. 2697 c.c. e  414 cpc , in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3 e 5, la società ricorrente addebita al Tribunale di non aver spiegato in base a quali principi di carattere equitativo doveva  ritenersi  inadeguata la misura del risarcimento riconosciuto dal primo giudice né in base a quali ragioni la qualifica e l'anzianità di servizio del lavoratore potessero aver rilevanza nella determinazione e nella liquidazione del danno. Per altro verso, il ricorrente, benché in via di ipotesi, attribuisce al Tribunale l'opinione per cui nel caso di dequalificazione il risarcimento spetta indipendentemente dalla prova di averlo subito ed assume che erroneamente il Tribunale avrebbe ritenuto che la mera potenzialità lesiva del comportamento del datore esoneri il lavoratore dal provare l'effettiva sussistenza del danno. Con il secondo motivo di ricorso, denunziando violazione e/o falsa applicazione dell'art. 1226 c.c.; omessa e/o insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia la parte ricorrente addebita alla sentenza impugnata di aver ignorato il principio per cui anche nel case di liquidazione equitativa del danno il giudice deve motivare puntualmente sugli elementi fattuali forniti dalle parti, in base ai quali ha operato la quantificazione.

I due motivi, strettamente connessi, sono infondati.

Anzitutto, con riferimento ai rilievi svolti dalla parte ricorrente per l'ipotesi che il Tribunale abbia ritenuto il demansionamento quale fatto intrinsecamente lesivo senza necessità di prova, va precisato che, oltreché per la loro formulazione dubitativa, essi sono inammissibili in quanto avendo il giudice di primo grado riconosciuto l'esistenza del danno, liquidandolo in lire 3 milioni, e non avendo il datore di lavoro proposto appello contro la sentenza, impugnata solo dal lavoratore con doglianze relative all'insufficiente misura del risarcimento, sull'esistenza del danno si è ormai formato il giudicato. Quindi il motivo in esame, nella parte in cui sembra imputare alla sentenza impugnata di aver riconosciuto senza prova l'esistenza del danno da demansionamento, e non solo di averne esteso la misura rispetto alla decisione di primo grado, non può esser preso in considerazione in questa sede.

La critica concernente i criteri di liquidazione è ammissibile, ma non è fondata.

Nella giurisprudenza di questa Corte si ritiene che il danno da dequalificazione possa eventualmente esser liquidato in via equitativa, sempreché (come nella specie è incontestato per le ragioni appena enunciate) ne sia provata l'esistenza (v., fra le molte Cass. 18 aprile 1996, n. 3686;11 agosto 1998, n. 7905; 14 novembre 2001, n. 14199; 14 maggio 2002, n. 6992; 10 giugno 2002, n. 7697).In proposito si è, più specificamente, sottolineato che in caso di accertato demansionamento professionale del lavoratore in violazione dell'art. 2103 cod. civ., il giudice del merito, può desumere l'esistenza del relativo danno, determinandone anche l'entità in via equitativa, con processo logico - giuridico attinente alla formazione della prova, anche presuntiva, in base agli elementi di fatto relativi alla durata della qualificazione e alle altre circostanze del caso concreto, e con apprezzamento di fatto incensurabile in cassazione se adeguatamente motivato( Cass. 2 novembre 2001, n. 13580 ).

In generale, del resto, l'esigenza di motivazione sull'ammontare del danno, liquidato equitativamente, è assolta d'altra parte con la indicazione di congrue, anche se sommarie, ragioni del processo logico in base al quale si è pervenuti alla sua adozione ( Cass. 1 febbraio 2002, n. 1885). Essa ad es. nel caso di determinazione equitativa del danno morale può consistere nella indicazione degli aspetti che del concreto episodio al suo esame il giudice abbia ritenuto di valorizzare in proposito ( Cass. 25 settembre 2002, n. 13933 o nel caso di demansionamento dal riferimento all'entità della retribuzione risultante dalle buste - paga prodotte in giudizio. ( Cass. 1 giugno 2002, n. 7967). In definitiva quel che si richiede è che la valutazione sia agganciata ad elementi concreti e che la motivazione della decisione indichi il processo logico e valutativo seguito (Cass. 15 genna_o 2000, n. 409; conf. 27 giugno 2001, n. 8807). Oltre la indicazione di parametri razionali, in relazione alla fattispecie considerata, l'esigenza di giustificazione della valutazione equitativa non può esser spinta, pena il sostanziale svuotamento di tale strumento di determinazione del danno.

Valutata nell'ambito di questo quadro concettuale la motivazione della sentenza impugnata non merita censura.

Va da se che la durata del demansionamento sia un fattore di aggravamento del danno, sicché essa rientra nel novero di quegli elementi che è ragionevole considerare al fine della relativa liquidazione. Il riferimento alla qualifica deve esser letto in relazione a ciò che la sentenza riferisce sul contenuto della declaratoria contrattuale della categoria di inquadramento del Cavidossi, ed esprime in forma sintetica il risultato del confronto con le mansioni di particolare semplicità e povertà professionale assegnate al Cavidossi per un certo periodo. L'anzianità di servizio, sinonimo, in linea di massima, di esperienza professionale, è anch'essa parametro non irragionevole, perché essendo normalmente accompagnata a migliore qualità della prestazione rende ancora più marcato il divario tra i compiti che sulla base del formale inquadramento il dipendente avrebbe potuto svolgere e quelli concretamente assegnatigli.

In conclusione, la motivazione del giudice di merito in ordine alla valutazione equitativa del danno deve esser considerata adeguata, cosicché il primo e il secondo motivo del ricorso principale devono essere rigettati.

Con il primo motivo del ricorso incidentale denunziando, in relazione all'art. 360 comma 1 n. 3 e 5 c.p.c., omessa e/o insufficiente motivazione circa punti decisivi della controversia; violazione e/o falsa applicazione dell'art. 2103 c.c. e degli artt. 115, 132, n.4, e 345 c.p.c., il ricorrente addebita alla sentenza impugnata l'assenza di ricostruzione logico-giuridica delle ragioni che avevano condotto a negare il protrarsi della dequalificazione anche nel periodo dal 17 marzo 1994 al 31 marzo 1996, dal momento che in linea di fatto la sentenza non aveva richiamato le dichiarazioni dei testi Parente e Farina, mentre in punto di diritto aveva escluso il demansionamento fondandosi sulla sola circostanza che il Cavidossi avrebbe svolto mansioni di caricamento e controllo dell'impianto di gas freon accanto ad operai di IV e V livello senza evidenziare il contenuto delle prove assunte al riguardo, senza nessuna comparazione fra le mansioni accertate e quelle originarie e senza dire alcunché circa l'inquadramento delle mansioni concretamente svolte nel corrispondente livello contrattuale.

Con il secondo motivo di ricorso denunziando in relazione all'art. 360 comma 1 n. 3 e 5 omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia; violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 132 e 245 c.p.c. e 3697 c.c. il ricorrente addebita omessa motivazione da parte del Tribunale in ordine alla decisione di ridurre la lista testi, sulla circostanza decisiva che il declassamento del Cavidossi si fosse protratto oltre il 31 marzo 1996.

I due motivi, che possono esser trattati congiuntamente perché connessi, sono infondati.

Il ricorrente assume che il giudice di merito avrebbe dovuto riconoscere che le nuove mansioni di caricamento e controllo dell'impianto freon svolte dal Cavidossi non avevano alcun collegamento con quelle precedenti di saldatore tubista ed erano nettamente inferiori a queste per qualità, tanto è vero che esse non corrispondevano alla specifica competenza tecnica del Cavidossi, non ne salvaguardavano il livello professionale e lo danneggiavano non consentendogli l'utilizzazione della conoscenze precedentemente acquisita nella pregressa fase del  lavoro, così come emergeva dal contenuto delle mansioni riferito dai testi Parenti e Farina.

In proposito la Corte osserva che le testimonianze menzionate, per la parte che di esse è riportata nel ricorso, hanno sostanzialmente il contenuto testuale del quale la sentenza impugnata ha mostrato di aver tenuto conto. Il ricorrente lamenta che in base ad esse il giudice non abbia riconosciuto la declassificazione ma in tal modo egli non prospetta un vizio di  motivazionale bensì una propria contrapposta ricostruzione dei dati di fatto. In particolare il ricorrente pretende di dedurre dal contenuto di quelle testimonianze conclusioni circa le radicali differenze fra le mansioni esercitate e quelle proprie della qualifica confrontando direttamente con il contenuto della declaratoria contrattuale quello che dovrebbe desumersi circa la natura delle operazioni di caricamento e controllo del gas freon, cui le testimonianze hanno fatto riferimento. Si tratta evidentemente, come accennato, di una impostazione che non tiene conto del principio per cui in tema di accerta mento dei fatti storici allegati dalle parti a sostegno delle rispettive pretese, i vizi motivazionali deducibili con il ricorso per cassazione non possono consistere nella circostanza che la determinazione o la valutazione delle prove siano state eseguite dal giudice in senso difforme da quello preteso dalla parte,  perche' a norma dell'art. 116 c.p.c. rientra nel potere discrezionale - e come tale insindacabile - del giudice di merito individuare le fonti del proprio convincimento, apprezzare all'uopo le prove, controllarne l'attendibilità e la concludenza e scegliere, tra le varie risultanze istruttorie, quelle ritenute idonee e rilevanti con l'unico limite di supportare con adeguata e congrua motivazione l'esito del procedimento accertativo e valutativo seguito (da ultimo, v. per tutte, Cass. 4 febbraio 2004 n. 2090).

Ora la sentenza impugnata, dopo aver esplicitamente analizzato il contenuto delle declaratorie della IV e della V categoria del ccnl applicabile ( Metalmeccanica - industria privata) - sia pure al fine di escludere il diritto del Cavidossi all'inquadramento in quest'ultima categoria per il periodo anteriore a quello della dequalificazione - ha escluso il protrarsi del demansionamento oltre il 17 marzo 1994, osservando che il Cavidossi da quella data era stato adibito alle mansioni di caricamento del controllo del gas freon insieme ad operai di IV e V categoria. Tale motivazione, benché sintetica, equivale ad affermare che le mansioni anzidette rientravano in quelle proprie della IV categoria, e poiché il contenuto e il livello professionale delle mansioni proprie di quest'ultima è stato chiaramente messo in luce nella stessa sentenza ( che ovviamente deve esser valutata nella sua globalità, senza che sa pretendere che le premesse argomentative comuni a diverse conclusioni vengano ripetutamente esplicitate) risulta soddisfatta, contrariamente all'avviso del ricorrente, l'esigenza di confronto tra le mansioni che il lavoratore aveva diritto di svolgere e quelle che effettivamente era stato chiamato ad espletare, premessa per il riscontro dell'eventuale demansionamento, in concreto escluso per il periodo successivo al marzo 1994. Quanto al secondo motivo del ricorso incidentale è sufficiente osservare, per rigettarlo, che la riduzione delle liste testimoniali sovrabbondanti costituisce un potere tipicamente discrezionale del giudice di merito (non censurabile in sede di legittimità) che puoi essere esercitato anche nel corso dell'espletamento della prova, potendo il giudice non esaurire l'esame di tutti i testi ammessi qualora, per i risultati raggiunti, ritenga superflua l'ulteriore assunzione della prova. Tale ultima valutazione non deve essere necessariamente espressa, potendo desumersi per implicito dal complesso della motivazione della sentenza ( Cass. 16 maggio 2000, n. 6361; sulla possibilità che il provvedimento venga dato anche per implicito, mediante sospensione degli esami testimoniali e chiusura dell'istruzione a norma dell'art. 209 cod. proc. civ., v. anche Cass. 3 marzo 2000, n. 2404). Naturalmente il mancato espletamento di siffatto mezzo istruttorio può riflettersi negativamente sulla motivazione, ma in tal caso l'errore che può esser denunziato riguarda appunto quest'ultima, sotto il profilo dell'art. 360 , comma p. 5, c.p.c., restando escluso invece che essa possa venire direttamente contestata sul solo rilievo che il giudice non abbia escusso tutti i testi ammessi.

In conclusione tanto il ricorso principale quanto l'incidentale devono essere rigettati, con compensazione delle spese di questo giudizio.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio.

 

Roma 27 aprile 2004 (depositato il 16.8.2004)

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