La non equivalenza dell’incarico è documentata ma per la S. C. non c’è demansionamento nè ritorsione nello spostamento... 

 

Cass., sez.  lav., 4 settembre 2007, n. 18580 – Pres. Ravagnani – Rel. Celentano - Pm Destro (conf.) – Ricorrente: Dal Bosco – Controricorrente: Sandoz Industrial Products Spa (già Biochemie Spa)

 

Svolgimento del processo

 

Con ricorso al Tribunale di Rovereto, depositato il 2 marzo 2001, Livio Dal Bosco, premesso di essere laureato in biologia e di essere dipendente della Biochemie s.p.a. dal 10.4.1991, dapprima come impiegato e poi come quadro, quale coordinatore di tutte le attività connesse all'impianto di trattamento acque, lamentava di essere stato demansionato ed oggetto di mobbing, avendo ricevuto in data 14.12.1998 l'incarico di responsabile del laboratorio 1 ‑ microbiologia, alle dirette dipendenze dell'ing. Cadez.

Assumeva che la destinazione alla nuova funzione era stato determinato dalle sue richieste, rimaste senza esito, di visionare le autorizzazioni amministrative ed i risultati di talune analisi, al fine di operare con chiarezza e trasparenza a seguito di un controllo effettuato dai vigili urbani di Rovereto nell'agosto del 1998.

Sostenendo il minore rilievo delle nuove mansioni e l'intento persecutorio del datore di lavoro, chiedeva la condanna della società al risarcimento dei danni subiti, sia sotto il profilo della dequalificazione che sotto quello della lesione alla salute e alla identità personale.

La società convenuta, costituitasi, contestava la ricostruzione dei fatti offerta dal ricorrente e segnalava che in data 4 maggio 2001 questi era stato licenziato per aver prodotto in giudizio documentazione aziendale e corrispondenza riservata.

Espletate prova testimoniale e consulenza tecnica medico‑legale sulla persona del ricorrente, con sentenza del 23 gennaio 2003 il Tribunale dichiarava che il ricorrente era stato oggetto di dequalificazione professionale e mobbing dal 15.12.1998 alla data del licenziamento; condannava la Biochemie a pagare a titolo di danni la complessiva somma di € 31.321,120, oltre interessi legali e rivalutazione dalla data della sentenza al saldo.

L'appello della Sandoz Industrial Products s.p.a., già Biochemie s.p.a., veniva accolto dalla Corte di Appello di Trento con sentenza dell'1/27 luglio 2004.

I giudici di secondo grado, ritenuta preferibile la ricostruzione della vicenda come risultante dalle deposizioni rese dai testi addotti dalla società, osservavano che il dott. Dal Bosco non aveva fornito la prova della non equivalenza fra le nuove e le vecchie mansioni e, quindi, del dedotto demansionamento.

Rigettavano pertanto la domanda del lavoratore, compensando le spese dei due gradi di giudizio, ad eccezione di quelle relative alla consulenza tecnica, che ponevano a carico dell'appellato.

Per la cassazione di tale decisione ricorre, formulando due motivi di censura, Livio Dal Bosco.

La Sandoz Industrial Products s.p.a. resiste con controricorso.

 

Motivi della decisione

 

1. Con il primo motivo, denunciando violazione dell'art. 2103 c.c., la difesa del ricorrente lamenta che i giudici di appello hanno erroneamente posto a carico del lavoratore l'onere della prova della mancanza di equivalenza delle mansioni e del conseguente demansionamento, posto che è il datore di lavoro, titolare dello jus variandi, che deve provare la sussistenza delle esigenze aziendali che lo giustificano.

2. Con il secondo motivo, denunciando vizi di motivazione su punti decisivi, la difesa Dal Bosco critica la sentenza: a) per non aver considerato che né nella lettera indirizzata al ricorrente né nella e-mail interna, entrambe del 14.12.1998, e neppure nelle job descriptions successive, si fa riferimento alla necessità di spostare il dr. Dal Negro al laboratorio microbiologico in vista delle preannunciate dimissioni del dirigente di questo, dr. Cadez; b) perché non si è tenuto conto del giudizio espresso dall'ordine nazionale dei biologi, in termini di “obiettiva riduzione delle funzioni proprie" e di "diminuzione della capacità e competenza del biologo"; c) per non aver valutato la insanabile contraddizione fra i documenti 25 e 27 di parte aziendale, atteso che con il primo il dr. Casareto, a fronte delle proteste sollevate dal Dal Bosco circa il suo sottoutilizzo nella nuova destinazione, riconosceva il fondamento della lamentela imputandola alla "provvisorietà dettata da situazioni contingenti”, mentre con il secondo (lettera 7.9.1999) si contesta al Dal Bosco la responsabilità di questi inconvenienti per un atteggiamento non collaborativo; d) per non aver considerato la motivazione della richiesta del Pm presso il Tribunale di Rovereto di archiviazione della posizione penale aperta nei confronti dei responsabili di Biochemie per i reati di inquinamento, trattandosi di richiesta fondata sulla prescrizione per essersi i fatti verificati in epoca coperta, appunto, da prescrizione.

3. Il ricorso non è fondato.

La Corte di Trento ha valutato diversamente, rispetto al primo giudice, la attendibilità dei testi e la documentazione prodotta in giudizio, ritenendo più attendibile la versione fornita dal datore di lavoro.

E, ricostruita la vicenda, ha conclusivamente osservato che il dr. Dal Bosco non aveva provato la non equivalenza delle mansioni assegnate nel dicembre 1998 rispetto a quelle precedenti; che le mansioni erano, invece, equivalenti, anche se l'allontanamento dall'impianto di trattamento acque, in concomitanza con il clima di tensione venutosi a creare con l'azienda, era stato erroneamente percepito dal lavoratore come fatto persecutorio e riduttivo della sua professionalità, tanto da fargli assumere un atteggiamento di mancanza di collaborazione e adattamento al nuovo ruolo (con conseguente necessità di affidare la responsabilità di quel settore ad altra persona, individuata nel dr. Casareto: pag. 26 della sentenza).

Non sussiste in tale affermazione la dedotta violazione dell'art. 2103 c.c., atteso che tale disposizione, come ammette la stessa difesa del ricorrente, attribuisce al datore di lavoro il diritto e il dovere di adibire il lavoratore alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti alla categoria superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni equivalenti alle ultime effettivamente svolte, senza alcuna diminuzione della retribuzione.

Incombe sul lavoratore, che assume la non equivalenza delle mansioni affidategli con quelle da ultimo svolte, provare la non equivalenza e la correlata dequalificazione (Cass., 9 giugno 1997 n. 5162).

Ad ogni modo, come sopra rilevato, la Corte territoriale ha ritenuto che le mansioni attribuite presso il laboratorio di microbiologia, nella prospettiva della cessazione del rapporto di lavoro del dott. Cadez, fossero adeguate alla professionalità del lavoratore, tenendo conto della sua formazione tecnica e della precedente esperienza in materia di fermentazione.

In ordine al secondo motivo va osservato che gli elementi che si assumono non valutati o insufficientemente valutati dai giudici di appello o non appaiono decisivi (come il parere dell'ordine nazionale dei biologi) o si risolvono nel diverso apprezzamento di documenti (come la circostanza, peraltro anch'essa non decisiva, che non fossero state prospettate al ricorrente le future dimissioni annunciate dal dr. Cadez) o muovono da una diversa interpretazione dei fatti (come la dedotta contraddizione fra i documenti 25 e 27 e la mancata considerazione delle motivazioni poste a base della richiesta di archiviazione del procedimento aperto a carico dei responsabili Biochemie per reati ambientali).

Per tutto quanto esposto il ricorso va rigettato. Il diverso esito dei due gradi di giudizio consiglia la compensazione anche delle spese di questo giudizio di legittimità.

 

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.

 

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NOTE e COMMENTI

 

Non è "mobbing" il trasferimento d'ufficio del lavoratore ad un altro reparto

 

L’azienda non risponde di mobbing nel caso in cui abbia trasferito, d'ufficio, il lavoratore a un nuovo reparto, cambiandogli le funzioni svolte fino a quel momento. A meno che il dipendente non riesca a provare che la nuova attività abbia comportato una dequalificazione professionale dovuta ad un atteggiamento persecutorio del datore di lavoro. Lo ha stabilito la Corte di cassazione che, con la sentenza 18580 del 4 settembre 2007 (qui leggibile come documento correlato), ha respinto il ricorso di un biologo, coordinatore dell'impianto di trattamento delle acque presso un'azienda farmaceutica, spostato dal capo in un laboratorio di microbiologia con l’incarico di responsabile, sottoposto alle dipendenze di un altro ingegnere.

Il nuovo incarico non era piaciuto al biologo che, quindi, aveva fatto causa all'azienda farmaceutica per demansionamento e mobbing. Secondo il dipendente i vertici lo avevano spostato, conferendogli nuove funzioni, perché aveva fatto insistentemente richiesta "di visionare le autorizzazioni amministrative ed i risultati di talune analisi, al fine di operare con chiarezza a seguito di un controllo effettuato dai Vigili urbani". Il Tribunale di Rovereto gli aveva dato ragione e aveva condannato la casa farmaceutica a risarcirgli 31mila euro per mobbing e demansionamento. Un verdetto, questo, completamente rovesciato dalla Corte d'appello di Trento.

Così l'uomo ha fatto ricorso in Cassazione che, però, lo ha integralmente respinto. I giudici della Sezione lavoro hanno confermato le valutazioni fatte dalla Corte territoriale che "ricostruita la vicenda, ha conclusivamente osservato che il lavoratore non aveva provato la non equivalenza delle mansioni assegnate rispetto a quelle precedenti; che le mansioni erano invece equivalenti, anche se l'allontamento dall'impianto di trattamento acque, in concomitanza con il clima di tensione venutosi a creare con l'azienda, era stato erroneamente percepito dal biologo come fatto persecutorio e riduttivo della sua professionalità". D'altronde, "l'articolo 2103 Cc attribuisce al datore di lavoro il diritto e il dovere di adibire il lavoratore alle mansioni alle quali è stato assunto, ovvero a mansioni equivalenti alle ultime effettivamente svolte". Non solo. "Sul lavoratore incombe provare la non equivalenza e la correlata dequalificazione". (deb.alb.)

 

(fonte D&G, quotidiano dell’ 11/9/2007)

 

Mobbing si, mobbing no

 

Sull’altalena oscillante delle varie pronunce in tema di mobbing, si rischia il mal di mare. Esaminiamo la Sentenza n. 18580/2007 della Corte di Cassazione che ha dichiarato non sussistente la configurazione del reato di mobbing laddove un lavoratore viene trasferito d’ufficio, salvo che sia dimostrata la dequalificazione professionale. Il caso sottoposto alla Corte riguarda l’impiegato di una ditta, con profilo di quadro, che svolgeva la mansione di coordinatore di tutte le attività connesse all'impianto di trattamento acque. Ad un certo punto e a seguito della richiesta del lavoratore di visionare le autorizzazioni amministrative e i risultati di talune analisi, al fine di operare con chiarezza e trasparenza a seguito di un controllo effettuato dai vigili urbani di Rovereto, l’interessato veniva trasferito d’ufficio, prima assumendo la provvisorietà dettata da situazioni contingenti, poi imputando al medesimo un atteggiamento non collaborativo. Va anche detto che la ditta era stata oggetto di indagini per inquinamento ambientale. Ora, ci vuole poco a capire che, uno che “vuole vederci chiaro” su alcune questioni che invece la ditta ha interesse a mantenere “oscure”, non può che essere mal visto e collocato in posizione tale da non nuocere. Infatti, il Tribunale di Rovereto, su ricorso del lavoratore, espletate le prove testimoniali e la consulenza tecnica medico legale sulla persona del ricorrente, dichiarava che lo stesso era stato oggetto di dequalificazione professionale e mobbing fino al licenziamento, pertanto condannava la ditta al risarcimento dei danni. Di diverso avviso avviso, invece, è stata la Corte di Appello di Trento che ritenevano preferibile la ricostruzione della vicenda come risultante dalle deposizioni rese dai testi addotti dalla società, osservando che il dipendente non aveva fornito la prova della non equivalenza fra le nuove e le vecchie mansioni e, quindi, del dedotto demansionamento. La Cassazione ha “sposato” la decisione della Corte di Appello, concordando sul fatto che le mansioni erano, invece, equivalenti, anche se l'allontanamento dall'impianto di trattamento acque, in concomitanza con il clima di tensione venutosi a creare con l'azienda, era stato erroneamente percepito dal lavoratore come fatto persecutorio e riduttivo della sua professionalità, tanto da fargli assumere un atteggiamento di mancanza di collaborazione e adattamento al nuovo ruolo, con conseguente necessità di affidare la responsabilità di quel settore ad altra persona. Ad avviso della Cassazione, pertanto, nel caso in esame non sussiste la dedotta violazione dell'art. 2103 c.c., atteso che tale disposizione attribuisce al datore di lavoro il diritto e il dovere di adibire il lavoratore alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti alla categoria superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni equivalenti alle ultime effettivamente svolte, senza alcuna diminuzione della retribuzione. Incombe sul lavoratore, che assume la non equivalenza delle mansioni affidategli con quelle da ultimo svolte, provare la non equivalenza e la correlata dequalificazione. A noi sembra che giustamente la difesa del ricorrente ha osservato che spetta al datore di lavoro, titolare dello jus variandi, provare la sussistenza delle esigenze aziendali che giustificano il trasferimento. Inoltre, il dipendente lo aveva provato il demansionamento allegando il giudizio espresso dall'ordine nazionale dei biologi, in termini di “obiettiva riduzione delle funzioni proprie" e di "diminuzione della capacità e competenza del biologo. Ma la Cassazione ha approvato la pronuncia della Corte di Trento affermando che quest’ultima ha valutato diversamente, rispetto al primo giudice, la attendibilità dei testi e la documentazione prodotta in giudizio, ritenendo più attendibile la versione fornita dal datore di lavoro. No, ma vogliamo scherzare ? I giudici devono motivare le sentenze in base alle leggi, non perché ritengono più attendibili certi testi piuttosto che altri. Da dove ha ricavato codesta maggiore attendibilità la Corte di Trento ?

 

Anna Teresa Paciotti

annateresapaciotti@studiolegalelaw.it

(fonte: http://www.studiolegalelaw.it/new.asp?id=2660 )

 

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