Danno alla professionalità da demansionamento: la prova presuntiva è assolta da una conseguenza ad alto grado di probabilità

 

Cass. SU civ., 17 luglio 2008 n. 19596- Pres. Prestipino – Rel. De Matteis – Istituto nazionale per lo studio e la cura dei tumori (avv. Pecora, Anghileri, Manzoni) c. Bozzetti (avv. Persiani, Proia, Noro)

 

Demansionamento  del medico di struttura pubblica – Diritto al risarcimento del danno alla professionalità in base a presunzioni e al cd. dato di comune esperienza, ex art. 115 c.p.c. – Caratteristiche della prova per presunzioni – Liquidazione del danno alla professionalità su base equitativa adottando il parametro della retribuzione – Legittimità.

 

Per la configurazione di una presunzione giuridicamente valida non occorre che l'esistenza del fatto ignoto rappresenti l'unica conseguenza possibile di quello noto secondo un legame di necessarietà assoluta ed esclusiva (secondo la regola della inferenza necessaria, che viene così negata), ma è sufficiente che dal fatto noto sia desumibile quello ignoto, alla stregua di un giudizio di probabilità basato sull' "id quod plerumque accidit" (in virtù della regola dell'inferenza probabilistica) (Cass. 16 novembre 2005 n. 23079, Cass. 14 novembre 2006 n. 24211).

Gli elementi assunti a fonte di prova non debbono essere necessariamente più d'uno, potendo il convincimento del giudice fondarsi anche su di un solo elemento purché grave e preciso, dovendosi il requisito della "concordanza" ritenersi menzionato dalla legge solo in previsione di un eventuale ma non necessario concorso di più elementi presuntivi (Cass. 11 settembre 2007 n. 19088).

Ove si consideri che questa Corte ha di recente ritenuto corretta l'affermazione del giudice del merito secondo cui rientra nella comune esperienza, senza bisogno di prove (art. 115, 2° comma, c.p.c.), che per l'attività del chirurgo è essenziale una adeguata manualità, e che la relativa professionalità decade nisi eam exerceas, appare corretta la deduzione presuntiva della sentenza impugnata che la emarginazione del Bozzetti ha prodotto un degrado della sua professionalità. L'espressione "automatico degrado", usata nella sentenza impugnata, va interpretata, nel contesto della motivazione, come sinonimo di conseguenza ad alto grado di probabilità, il che è sufficiente per istituire la deduzione presuntiva.

Quanto alla liquidazione del danno professionale tramite il parametro retributivo, si condivide l’orientamento secondo cui:«In caso di accertato demansionamento professionale del lavoratore in violazione dell'art. 2103 cod. civ., il giudice del merito può desumere l'esistenza del relativo danno in base agli elementi di fatto relativi alla durata della qualificazione e ad altre circostanze del caso concreto; egli, in caso di difficoltà nell'individuazione dei parametri di liquidazione, può procedere ad una autonoma valutazione equitativa del danno; anzi, si deve ritenere contraria a diritto un'eventuale decisione di "non liquet", fondata sull'asserita inadeguatezza dei criteri indicati dall'attore o sulla pretesa impossibilità di individuarne alcuno, risolvendosi tale pronuncia nella negazione di quanto, invece, già definitivamente accertato in termini di esistenza di una condotta generatrice di danno ingiusto e di conseguente legittimità di una richiesta risarcitoria relativa ad una "certa res lesiva" (Cass. 29 aprile 2004 n. 8271)».

 

Svolgimento del processo

 

Con ricorso in data 14 settembre 2001, il Dott. Federico Bozzetti, dirigente medico di 1° livello dipendente dell'Istituto nazionale per lo studio e la cura dei tumori, ha proposto davanti al giudice del lavoro di Milano due domande:

l. accertare il proprio diritto all'incarico di dirigente medico di 2° livello quale responsabile dell'unità operativa di chirurgia generale apparato digerente colon-rettale in luogo del Dott. Ermanno Leo, e condannare 1'Istituto nazionale tumori ad attribuirgli tale incarico con il relativo trattamento economico;

2. in ogni caso accertare la illegittima privazione di mansioni, condannando l'Istituto resistente ad attribuirgli incarichi coerenti con la sua qualifica di dirigente medico e con la professionalità acquisita; condannare 1'Istituto al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali nella misura di Lit. 2 miliardi per danno non patrimoniale e di Lit. 1 miliardo per danno patrimoniale.

II giudice adito, nella resistenza dell'Istituto ed integrato il contraddittorio nei confronti del dottor Leo, ha dichiarato il proprio difetto di giurisdizione sulla domanda sub 1), ed accolto in parte la domanda sub 2), condannando 1'Istituto nazionale tumori a pagare al Dott. Bozzetti la somma di € 25.822.

La Corte d'appello di Milano, con sentenza 4 ottobre 2005 n. 757, ha affermato la giurisdizione del giudice ordinario sulla domanda di accertamento del diritto all'attribuzione dell'incarico di responsabile dell'unità operativa complessa di chirurgia generate 2, ed ha rimesso le parti dinanzi al tribunale di Milano per la riassunzione. Ha accertato il demansionamento a decorrere dall'agosto 1999 e il conseguente obbligo dell'Istituto nazionale tumori di attribuire al dr. Bozzetti mansioni corrispondenti alla qualifica rivestita; ha condannato 1'istituto a pagargli € 74.054 a titolo di danni oltre interessi e rivalutazione dal 15 settembre 2001.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per Cassazione l'Istituto nazionale tumori, con sei motivi, illustrati da memoria ex art. 378 c.p.c..

Il Bozzetti si e costituito con controricorso resistendo; ha proposto ricorso incidentale condizionato all'accoglimento dei motivi 3 e 4 del ricorso principale.

 

Motivi della decisione

 

Vanno preliminarmente riuniti il ricorso principale ed il ricorso incidentale proposti avverso la stessa sentenza, ai sensi dell'art. 335 c.p.c.

Con il primo motivo 1'istituto ricorrente, deducendo violazione dell'articolo 63, comma quattro, d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha affermato la giurisdizione del giudice ordinario sulla domanda di accertamento del diritto all'incarico di responsabile di unità operativa complessa. Riportata la giurisprudenza di questa Corte (Cass. 26 febbraio 2004 n. 3948), sostiene che la nomina all'incarico di responsabile di struttura complessa (denominazione che ha sostituito quella di primario) consiste in una vera e propria assunzione dall'esterno, alla quale si perviene attraverso un concorso pubblico per titoli ed esami, cosi come prescritto dall'articolo 15, comma sette, d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502.

Il motivo non è fondato.

La giurisprudenza di queste Sezioni Unite e consolidata nel ritenere che il procedimento di conferimento dell'incarico di dirigente di secondo livello del ruolo sanitario ex art. 15 del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502 non ha natura di procedura concorsuale per il solo fatto che ad essa sono ammessi anche soggetti estranei al S.S.N., e soggetti che, seppure medici del servizio sanitario, sono legati comunque con rapporto di lavoro ad enti diversi rispetto a quello che indice la procedura. Ed infatti, nella disciplina per il conferimento dell'incarico di dirigente medico del secondo livello non è presente alcun elemento idoneo a ricondurre la stessa ad una procedura concorsuale ancorché atipica, atteso che la commissione si limita dopo le modifiche apportate all'art. 15 del D.Lgs. n. 502 del 1992 dal D.Lgs. n. 517 del 1993 – alla verifica dei requisiti di idoneità dei candidati alla copertura dell'incarico, in esito ad un colloquio ed alla valutazione dei "curricula", senza attribuire punteggi e senza formare una graduatoria, ma semplicemente predisponendo un elenco di candidati, tutti idonei perché in possesso dei requisiti di professionalità previsti dalla legge e delle capacità manageriali richieste in relazione alla natura dell'incarico da conferire, elenco che viene sottoposto al Direttore Generale dell'Azienda           Unità Sanitaria Locale, il quale, nell'ambito dei nominativi indicati dalla commissione, conferisce l'incarico sulla base di          una scelta di carattere essenzialmente fiduciario, affidata alla sua responsabilità manageriale (art. 3, comma primo quater, D.Lgs.         n. 502 del 1992 e successive modifiche). Né può attribuirsi rilievo, ai fini del riconoscimento della natura concorsuale della procedura di cui si tratta, alla circostanza che del conferimento dell'incarico debba

Essere dato preventivo avviso da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale, avendo detto avviso la sola funzione di ampliare il campo dei soggetti tra i quali il Direttore Sanitario deve operare la scelta (Cass. sez. un. 15 maggio 2003 nn. 7621 e 7623; idem 25 luglio 2002 n. 10995; idem 27 gennaio 2004 n. 1478; idem 7 luglio 2005 n. 14252; idem 8 novembre 2005 n. 21593; idem 31 marzo 2006 n. 7589; idem 5 marzo 2008 n. 5920).

La natura dell'atto di conferimento, quale atto negoziale di diritto privato (Cass. sez. un. 3 novembre 2006 n. 23549), comporta la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale proposta durante la discussione orale, sotto il profilo che l'orientamento sopra riportato contrasta con l'art. 97 Cost., per la violazione del principio del pubblico concorso nell'accesso al pubblico impiego (vedi sul punto Corte cost. ord. 10 maggio 2005 n. 196, la quale ha dichiarato manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 15-ter, comma 2, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, come introdotto dall'art. 13 del decreto legislativo 19 giugno 1999, n. 229, nella parte in cui non prevede che il direttore generale abbia l'obbligo di motivare, ai fini dell'attribuzione dell'incarico di direzione di struttura complessa dì un'Azienda sanitaria locale, la scelta da lui effettuata nell'ambito di una rosa di candidati destinatari di identici giudizi di idoneità, sollevata in riferimento all'art. 97, commi primo e terzo, della Costituzione per lesione del principio del concorso per l'accesso ai pubblici impieghi e del principio di buon andamento e imparzialità dell'organizzazione amministrativa, in quanto il giudice remittente ha omesso di qualificare la natura dell'atto di attribuzione dell'incarico; secondo la Corte l'individuazione della natura dell'atto è indispensabile in riferimento al merito della questione, prospettandosi questa in termini diversi a seconda che l'atto stesso venga qualificato come atto amministrativo, inserito nell'ambito della procedura concorsuale, ovvero come atto di natura privatistica).

Così affermata la giurisdizione del giudice ordinario sulla presente controversia, queste Sezioni unite possono decidere il merito del ricorso dell'Istituto.

A questa cognizione, finalizzata alla piena realizzazione dell' art. 111, comma secondo, Cost., non osta l'art. 19 L. 11 agosto 1973, n. 533, che ha istituito presso la Corte di Cassazione una sezione incaricata esclusivamente della trattazione delle controversie di lavoro e di quelle in materia di previdenza e di assistenza. Detta norma, finalizzata ad assicurare la specializzazione professionale del giudice, e per questa via la funzione nomofilattica, non esautora i poteri spettanti alla Corte ai sensi dell'art. 374, secondo comma, c.p.c.. Se le Sezioni Unite (che operano con la rappresentanza specialistica nelle questioni trattate) possono decidere i contrasti di giurisprudenza e le questioni di particolare importanza in materia laboristica e previdenziale, ben possono trattare, trattandosi di un minus, le questioni di merito consequenziali alla questione di giurisdizione ad esse devoluta.

Con il secondo motivo l'Istituto ricorrente, denunciando omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, si duole della statuizione sul demansionamento.

Rileva contraddittorietà nel fatto che la sentenza impugnata, da una parte, abbia disatteso la tesi attorea di un piano preordinato al demansionamento, dall'altra, ha ritenuto sussistente il demansionamento per il mancato rispetto degli impegni assunti dall'Istituto con la lettera del 20 luglio 1999.

Questa doglianza, e le altre analoghe contenute nella esposizione del motivo, attengono a valutazioni di fatto riservate al giudice del merito, ampiamente e razionalmente motivate, che non è ammissibile riproporre in questa sede di legittimità.

Con il terzo motivo, sempre denunciando vizi di motivazione, si duole della liquidazione equitativa del danno patrimoniale.

La sentenza impugnata sul punto ha così motivato: "Si può presumere, a seguito della prolungata ed ingiustificata emarginazione, che i comportamenti tenuti dall'Istituto abbiano comportato un automatico degrado della professionalità da lui acquisita in trent'anni di lavoro". Il ricorrente contesta il giudizio presuntivo sotto due profili: a) il fatto ignoto deve comunque consistere in una situazione di fatto, mentre nel caso di specie la sentenza impugnata lo ha identificato in un giudizio; b) anche a voler seguire la tesi più lata, la quale ammette che il fatto ignoto possa desumersi dal fatto noto non come conseguenza univoca e necessaria, ma come conseguenza ragionevolmente possibile, la motivazione della sentenza impugnata sarebbe carente perché non identifica il rapporto di causalità tra fatto noto e fatto ignoto.

Per la decisione sul motivo rilevano i seguenti principi consolidati nella giurisprudenza di questa Corte:

1. Per la configurazione di una presunzione giuridicamente valida non occorre che l'esistenza del fatto ignoto rappresenti l'unica conseguenza possibile di quello noto secondo un legame di necessarietà assoluta ed esclusiva (secondo la regola della inferenza necessaria, che viene così negata), ma è sufficiente che dal fatto noto sia desumibile quello ignoto, alla stregua di un giudizio di probabilità basato sull' "id quod plerumque accidit" (in virtù della regola dell'inferenza probabilistica) (Cass. 16 novembre 2005 n. 23079, Cass. 14 novembre 2006 n. 24211);

2. Gli elementi assunti a fonte di prova non debbono essere necessariamente più d'uno, potendo il convincimento del giudice fondarsi anche su di un solo elemento purché grave e preciso, dovendosi il requisito della "concordanza" ritenersi menzionato dalla legge solo in previsione di un eventuale ma non necessario concorso di più elementi presuntivi (Cass. 11 settembre 2007 n. 19088);

3. La valutazione discrezionale della sussistenza sia dei presupposti per il ricorso a tale mezzo di prova, sia dei requisiti di precisione, gravità e concordanza richiesti dalla legge per valorizzare elementi di fatto come fonti di presunzione, è riservata al giudice di merito; l'unico sindacato riservato in proposito al giudice di legittimità è quello sulla congruenza della relativa motivazione (Cass. 4 maggio 2005 n. 9225).

Ove si consideri che questa Corte ha di recente ritenuto corretta l'affermazione del giudice del merito secondo cui rientra nella comune esperienza, senza bisogno di prove (art. 115, 2° comma, c.p.c.), che per l'attività del chirurgo è essenziale una adeguata manualità, e che la relativa professionalità decade nisi eam exerceas, appare corretta la deduzione presuntiva della sentenza impugnata che la emarginazione del Bozzetti ha prodotto un degrado della sua professionalità.

L'espressione "automatico degrado", usata nella sentenza impugnata, va interpretata, nel contesto della motivazione, come sinonimo di conseguenza ad alto grado di probabilità, il che è sufficiente per istituire la deduzione presuntiva.

Il terzo motivo va pertanto respinto.

Con il quarto motivo, deducendo violazione e falsa applicazione dell'articolo 1226 codice civile, omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine a punto decisivo della controversia, il ricorrente si duole che la sentenza impugnata abbia quantificato il danno non patrimoniale sulla base di un dato patrimoniale, quale la retribuzione, pervenendo così all'assurdità che il danno non patrimoniale, che fa riferimento alla persona umana, avrebbe un valore quantitativo diverso a seconda del reddito del danneggiato.

Il brano motivazionale contestato è il seguente: "per la quantificazione del danno questa Corte ritiene di utilizzare, come parametro di riferimento, la retribuzione percepita dal lavoratore; in via equitativa ex art. 1226 codice civile si liquida un importo pari alla somma delle prime tre voci retributive fisse che compaiono sulla busta paga per il periodo di emarginazione da agosto 1999 x 24 mesi, oltre interessi e rivalutazione dalla data di notifica del ricorso".

Anche questo motivo non è fondato.

In caso di accertato demansionamento professionale del lavoratore in violazione dell'art. 2103 cod. civ., il giudice del merito, con apprezzamento di fatto incensurabile in cassazione se adeguatamente motivato, può desumere l'esistenza del relativo danno in base agli elementi di fatto relativi alla durata della qualificazione e ad altre circostanze del caso concreto; egli, in caso di difficoltà nell'individuazione dei parametri di liquidazione, può procedere ad una autonoma valutazione equitativa del danno; anzi, si deve ritenere contraria a diritto un'eventuale decisione di "non liquet", fondata sull'asserita inadeguatezza dei criteri indicati dall'attore o sulla pretesa impossibilità di individuarne alcuno, risolvendosi tale pronuncia nella negazione di quanto, invece, già definitivamente accertato in termini di esistenza di una condotta generatrice di danno ingiusto e di conseguente legittimità di una richiesta risarcitoria relativa ad una "certa res lesiva" (Cass. 29 aprile 2004 n. 8271). Nel motivare la misura del danno, il giudice del merito può ricorrere alla prova presuntiva (Cass. Sez. un. 24 marzo 2006 n. 6572); nel motivare la scelta equitativa non è incongruo il ricorso al parametro retributivo.

Il rigetto dei motivi 3 e 4 del ricorso principale comporta l'assorbimento del ricorso incidentale, condizionato al loro accoglimento.

Con il quinto motivo, sempre denunciando vizi di motivazione, si duole della condanna al pagamento di Euro 25.822,84 per il periodo di comando presso il Centro di riferimento oncologico per la Basilicata-C.R.O.B.

Anche questo motivo attiene a valutazioni di fatto proprie del giudice di merito e deve pertanto essere respinto.

E' viceversa fondato il sesto motivo di ricorso, attinente alla violazione dell'art. 22, comma 36, legge 23 dicembre 1994, n. 724.

La sentenza impugnata ha liquidato interessi legali e rivalutazione monetaria cumulati tra loro.

Essendo il dott. Bozzetti un pubblico dipendente, trova applicazione nei suoi confronti la norma invocata, la quale ha disposto che per i lavoratori pubblici (la analoga previsione per gli impiegati privati è stata dichiarata costituzionalmente illegittima da Corte cost. 459/2000) gli accessori sono dovuti nella misura prevista dall'art. 16, comma 6, legge 30 dicembre 1991, n. 412, e cioè l'importo dovuto a titolo di interessi è portato in detrazione delle somme eventualmente spettanti a ristoro del maggior danno subito dal titolare per la diminuzione del suo credito.

Sussistono i presupposti di legge previsti dall'art. 384 c.p.c., come modificato dall'art. 66 Legge 26 novembre 1990, n. 353 (accoglimento del ricorso per violazione di legge e non necessità di ulteriori accertamenti di fatto), perché questa Corte decida la controversia nel merito, stabilendo che gli accessori sono dovuti nella misura prevista dall'articolo 16, sesto comma, legge 30 dicembre 1991, n. 412.

Le spese processuali seguono la soccombenza, e vengono liquidate come in dispositivo; esse sono compensate per un terzo in ragione dell' accoglimento del sesto motivo del ricorso principale.

 

p.q.m.

 

riunisce i ricorsi, accoglie il sesto motivo del ricorso principale, rigettati gli altri, assorbito l'incidentale; cassa la sentenza impugnata limitatamente al motivo accolto, dichiara la giurisdizione del giudice ordinario e, decidendo nel merito, condanna l'Istituto tumori a pagare rivalutazione monetaria ed interessi legali nei limiti dell'articolo 16, sesto comma, legge 412/1991. Compensa per un terzo le spese del presente giudizio, che pone a carico dell'Istituto tumori  e liquida nell'intero in € 100 per spese ed €  6000 per onorari di avvocato, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma nella Camera di consiglio delle Sezioni Unite Civ.li, il 17 giugno 2008 (depositato il 17 luglio 2008).

 

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