Mancata prova del danno da demansionamento: rigetto del ricorso

 

Cass., sez. lav., 25 settembre 2006 n. 20804 – Pres. Lupi – Rel. D’Agostino – P.M. Sepe (concl. conf.) – Ric. Ciminelli – Controricorrente Banca Roma Spa.

 

Demansionamento – Assegnazione quale responsabile a succursali di livello organico inferiore della originaria – Non costituisce di per se prova del danno alla professionalità -  Rigetto del ricorso.

 

Le Su della Cassazione, con la recente sentenza n. 6572 del 2006, componendo un contrasto di giurisprudenza, in tema di risarcimento danni da demansionamento, hanno affermato che il lavoratore deve provare non solo l’inadempimento contrattuale del datore di lavoro, per violazione del divieto di dequalificazione, desumibile dall’articolo 2103 Cc, e per violazione dell’obbligo di tutela dell’integrità fisica del lavoratore, desumibile dall’articolo 2087 Cc, ma deve anche allegare e provare il danno professionale, di contenuto patrimoniale, che assume aver subito (consistente nel pregiudizio derivante dall’impoverimento della capacità professionale acquisita ovvero dalla mancata acquisizione di una maggiore capacità, ovvero ancora nella perdita di chance; così come deve provare il danno biologico, consistente nella lesione dell’integrità psico‑fisica medicalmente accertabile, derivante dall’inadempimento contrattuale, nonché il rapporto di derivazione causale dei predetti danni dalla condotta illecita del datore di lavoro.

Nella specie il Tribunale di Roma, che ha dichiarato di condividere l’orientamento giurisprudenziale confermato dalle Su, ha rilevato che l’appellante, nel ricorso ex articolo 414 Cpc, non ha dedotto che le mansioni assegnategli dopo la riammissione in servizio nel 1984 esulassero, in quanto proprie di un livello inferiore, dall’inquadramento riconosciutogli, né ha allegato alcuna specifica circostanza di fatto atta ad evidenziare il concreto contenuto delle mansioni svolte prima e dopo la riammissione in servizio, limitandosi a lamentare di essere stato trasferito da una succursale con 30 dipendenti, in cui rivestiva il grado di vice direttore, a succursali più piccole, ma senza precisare perché le nuove mansioni non consentissero la conservazione e lo sviluppo della professionalità acquisita in precedenza.

 

Svolgimento del processo

 

Con ricorso del 2 marzo 1996 Ciminelli Franco Maria, già dipendente del Banco di S. Spirito e della Banca di Roma con qualifica di funzionario, conveniva in giudizio avanti al Pretore di Roma la Banca di Roma Spa e ne chiedeva la condanna ai risarcimento dei danni, materiale e biologico, subiti a seguito di demansionamento professionale. Assumeva il ricorrente di essere stato progressivamente emarginato nell’attività lavorativa in quanto, già vice direttore della succursale di Tivoli del Banco di S. Spirito, dopo una vicenda giudiziaria conclusasi con la sua piena assoluzione, riassunto in servizio nel 1984, era stato dapprima assegnato alla succursale di Frascati, con compiti di sostituzione e collaborazione dei titolari delle piccole agenzie della zona, e poi a decorrere dal 22 settembre 1986 a quella di Colleferro, meno importate di quella di Frascati, con compiti sempre più limitati, fino a non vedersi assegnato alcun incarico particolare. Lamentava, altresì, che per l’anno 1992 aveva ricevuto note di qualifica non positive, da ritenersi illegittime per violazione dell’articolo 56 del Ccnl e dei principi di correttezza e di buona fede. Assumeva altresì il ricorrente che tali illecite condotte della Banca gli avevano cagionato sia un danno alla professionalità, da considerarsi in re ipsa, sia una danno alla salute, cagionandogli un aggravamento del morbo di Bechet ed una sindrome depressiva, tanto da indurlo a presentare le dimissioni in data 31 agosto 1995.

Nella resistenza della Banca di Roma Spa, il Pretore, espletata l’istruzione, con sentenza del 23 febbraio 1998 rigettava il ricorso.

L’appello proposto dal Ciminelli veniva respinto dal Tribunale di Roma con sentenza depositata il 28 novembre 2001. A sostegno della decisione il Tribunale osservava che il ricorrente nel ricorso ex articolo 414 Cpc non aveva dedotto che le mansioni assegnategli dopo la riammissione in servizio nel 1984 fossero di livello inferiore rispetto all’inquadramento riconosciutogli, né aveva allegato alcuna specifica circostanza atta ad evidenziare il concreto contenuto delle mansioni svolte prima e dopo la riammissione in servizio. Rilevava che correttamente il Pretore non aveva dato ingresso alla prova testimoniale articolata dal funzionario in quanto irrilevante, concernendo circostanze del tutto pacifiche, e cioè i successivi incarichi ricoperti dal Ciminelli. Osservava che la Banca aveva osservato tutte le misure di garanzia previste dall’articolo 56 del Ccnl per le note di qualifica assegnate al funzionario per l’anno 1992 e da questi contestate, mentre il lavoratore, né con il ricorso ex articolo 414 Cpc né nell’atto di appello, aveva indicato quali fossero gli specifici criteri valutativi dettati dalla contrattazione collettiva violati dal datore di lavoro. Riteneva, pertanto, che il lavoratore non avesse provato né gli illeciti contrattuali ascritti alla Banca (dequalificazione e attribuzione di illegittime note di qualifica), ritenuti causa degli asseriti danni alla professionalità ed alla salute lamentati, né la sussistenza del danno ed il rapporto di causalità con i pretesi illeciti, non avendo egli prodotto alcuna documentazione medica.

Per la cassazione di tale sentenza Ciminelli Franco Maria ha proposto ricorso sostenuto da due motivi. La Banca di Roma Spa resiste con controricorso.

Motivi della decisione

Con il primo motivo si denuncia violazione degli articoli 2103 e 2043 Cc e 115 Cpc e vizi di motivazione e si deduce che il giudice di appello, da un lato non ha ammesso la prova testimoniale articolata dal lavoratore e dall’altro lato, in modo del tutto contraddittorio, ha ritenuto che l’appellante non ha provato il demansionamento lamentato. Sostiene il ricorrente che la prova del demansionamento è ricavabile agevolmente dalla sua assegnazione a succursali sempre meno importanti. Osserva che la prova delle patologie da cui è affetto e della loro derivazione causale dal rapporto di lavoro potevano dedursi da una consulenza tecnica d’ufficio, richiesta in entrambi i giudizi di merito e non disposta dal giudice.

Con il secondo motivo si denuncia violazione degli articoli 1175 e 1375 Cc con riferimento all’articolo 56 Ccnl e vizi di motivazione. Si censura la sentenza impugnata per aver ritenuto giustificata la valutazione negativa fatta dalla Banca con le note di qualifica per l’anno 1992. Sostiene il ricorrente che essendo stato assente per malattia per quasi un intero anno, a norma del Ccnl per il 1992, non potevano essere emesse note di qualifica e dovevano essere confermate quelle dell’anno precedente.

Il primo motivo di ricorso è infondato.

Le Su della Cassazione, con la recente sentenza n. 6572 del 2006, componendo un contrasto di giurisprudenza, in tema di risarcimento danni da demansionamento, hanno affermato che il lavoratore deve provare non solo l’inadempimento contrattuale del datore di lavoro, per violazione del divieto di dequalificazione, desumibile dall’articolo 2103 Cc, e per violazione dell’obbligo di tutela dell’integrità fisica del lavoratore, desumibile dall’articolo 2087 Cc, ma deve anche allegare e provare il danno professionale, di contenuto patrimoniale, che assume aver subito (consistente nel pregiudizio derivante dall’impoverimento della capacità professionale acquisita ovvero dalla mancata acquisizione di una maggiore capacità, ovvero ancora nella perdita di chance); cosi come deve provare il danno biologico, consistente nella lesione dell’integrità psico‑fisica medicalmente accertabile, derivante dall’inadempimento contrattuale, nonché il rapporto di derivazione causale dei predetti danni dalla condotta illecita del datore di lavoro.

Nella specie il Tribunale di Roma, che ha dichiarato di condividere l’orientamento giurisprudenziale confermato dalle Su, ha rilevato che l’appellante, nel ricorso ex articolo 414 Cpc, non ha dedotto che le mansioni assegnategli dopo la riammissione in servizio nel 1984 esulassero, in quanto proprie di un livello inferiore, dall’inquadramento riconosciutogli, né ha allegato alcuna specifica circostanza di fatto atta ad evidenziare il concreto contenuto delle mansioni svolte prima e dopo la riammissione in servizio, limitandosi a lamentare di essere stato trasferito da una succursale con 30 dipendenti, in cui rivestiva il grado di vice direttore, a succursali più piccole, ma senza precisare perché le nuove mansioni non consentissero la conservazione e lo sviluppo della professionalità acquisita in precedenza; infatti, la diversa consistenza delle varie filiali è elemento di per sé non rilevante, perché mentre a Tivoli il funzionario agiva alle dipendenze del direttore della filiate, successivamente venne chiamato ad assumere la piena responsabilità di agenzie prive di direttore. Sulla scorta delle generiche allegazioni contenute in ricorso, i giudici di merito hanno negato ingresso alla prova testimoniale richiesta dal lavoratore perché del tutto ininfluente, vertendo essa su circostanze non contestate, e cioè sui successivi trasferimenti del Ciminelli, anziché sul contenuto delle mansioni svolte prima e dopo la riammissione in servizio.

Le valutazioni che il Tribunale ha dato delle risultanze istruttorie e della loro insufficienza a sorreggere la domanda del lavoratore, per essere congruamente motivate e prive di contraddizioni e vizi logici, non sono suscettibili di riesame in sede di legittimità, dovendo la Cassazione limitarsi a controllare la congruità e la razionalità della motivazione della sentenza impugnata, senza possibilità di sostituire una propria valutazione a quella data dal giudice del merito.

Non avendo il ricorrente raggiunto la prova dell’inadempimento contrattuale (dequalificazione e attribuzione di illegittime note di qualifica), vi era quanto bastava per il rigetto della domanda; il Tribunale tuttavia ha ritenuto di evidenziare come il funzionario non avesse neppure provato di aver subito un pregiudizio economico da danno professionale, né di aver subito una lesione fisio‑psichica legata da rapporto di causalità con l’asserita condotta illecita del datore di lavoro, limitandosi, senza produrre documentazione medica, a chiedere una consulenza tecnica d’ufficio, che, come è noto, non vale ad esonerare la parte dall’onere della prova o a supplire alla deficienza delle sue allegazioni (cfr. Cassazione, 7635/03, 8297/05, 16256/04). Questa ulteriore ratio decidendi della sentenza non è stata investita da alcuna specifica censura, fatta eccezione per quella, infondata, della mancata ammissione di consulenza tecnica d’ufficio.

Parimenti infondato è il secondo motivo di ricorso.

Il Tribunale ha preso in esame l’articolo 56 del Ccnl, di cui ha trascritto anche il testo, ed ha ritenuto, con motivazione ampia e logicamente corretta, conforme a detta norma contrattuale il comportamento tenuto della Banca in relazione alle note di qualifica assegnate al funzionario per l’anno 1992. Le censure che il ricorrente muove sul punto alla sentenza impugnata sono per un verso irrilevanti, in quanto fanno riferimento ad una pretesa diversa procedura prevista per l’impiegato e per il funzionario, senza neppure indicare (e trascrivere) la norma contrattuale che tale diversificazione prevede; sono, per altro verso, inammissibili, in quanto si limitano a contrapporre al giudizio di legittimità dato dal Tribunale un opposto giudizio di illegittimità, senza minimamente esplicitare le ragioni di ordine logico e razionale che renderebbero irragionevoli le argomentazioni del giudice di appello e con il generico richiamo a norme del Ccnl che non vengono precisate né riprodotte, in palese violazione del principio di autosufficienza del ricorso.

Per tutte le considerazioni sopra svolte, il ricorso, dunque, deve essere respinto. Al rigetto consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate nella misura indicata in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in euro 23, per esborsi ed in euro duemila per onorari, oltre spese generali e accessori di legge.

 

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