Le dimissioni dall’incarico legittimano il demansionamento unilaterale aziendale, per salvaguardarne il posto di lavoro

 

Cass., sez. lav. 10 ottobre 2006 n. 21700 – Pres. Sciarelli – Rel. Di Nubila – P.M. Fuzio (conf.) - D.V. c. Banca Intesa SpA

 

Demansionamento unilaterale per evitare il licensiamento – In conseguenza di dimissioni dall’incarico di direttore di filiale, suscettibile di occasionare licenziamento per sopravvenuta incapacità alla mansione – Legittimità – Insussistenza del diritto al risarcimento danni da demansionamento per essere stato assegnato dalla categoria dei quadri direttivi a quella di impiegato di 3° livello.

 

Il patto di demansionamento che, ai soli fini di evitare un licenziamento, attribuisce al lavoratore mansioni e conseguentemente retribuzione inferiori a quelle per le quali era stato assunto o che aveva successivamente acquisito, prevalendo l’interesse del lavoratore a mantenere il posto di lavoro su quello tutelato dall’articolo 2103 Cc, è valido non solo ove sia promosso dalla richiesta del lavoratore ma anche quando l’iniziativa sia stata presa dal datore di lavoro.

 

Svolgimento del processo

 

1. D. V. adiva il Tribunale di Monza per sentir dichiarare illegittimo il demansionamento subito ad opera del datore di lavoro Banca Intesa Spa. Egli chiedeva di essere reintegrato in mansioni corrispondenti alla categoria “quadri direttivi”, in luogo di quelle di impiegato di terzo livello di fatto espletate. La Banca si costituiva ed eccepiva che il preteso demansionamento era frutto di un accordo col dipendente, teso ad evitare il licenziamento per inadeguatezza ad espletare le mansioni

2. Proponeva appello il D. sostenendo che il posto di lavoro non era mai stato in discussione e che egli aveva rassegnato le dimissioni da direttore della filiale di Filiale di Trezzo d’Adda, ma non aveva mai chiesto né concordato un demansionamento.

3. La Ca respingeva l’impugnazione, così motivando:

- l’articolo 2103 Cc può essere derogato quando sorga la concreta esigenza della conservazione del posto di lavoro;

- risulta nella specie che il D. rassegnava le dimissioni da direttore di filiale di Filiale di Trezzo d’Adda  per motivi familiari e personali;

- l’attore accettava la posizione di gestore clienti speciali, previsto espletamento di un corso di riqualificazione professionale;

- la pregressa richiesta di essere esonerato dalle mansioni di direttore di filiale e trasferito a Milano centro avrebbe legittimato la banca alla risoluzione del rapporto di lavoro per sopravvenuta incapacità di svolgere le funzioni di direttore;

- pertanto il ripensamento del D., il quale per oltre un anno ha svolto le mansioni di gestore di clienti primari, è irrilevante.

4. Ha proposto ricorso per Cassazione D. V. deducendo due motivi. Resiste con controricorso la Banca Intesa, la quale propone ricorso incidentale condizionato, affidato ad un motivo.

 

Motivi della decisione

 

5. Col primo motivo del ricorso, il ricorrente deduce omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa punti decisivi della controversia, ex articolo 360 n. 5 Cpc: i giudici di merito non hanno assolutamente approfondito le motivazioni che hanno portato il ricorrente a rassegnare le dimissioni; non hanno tenuto conto che motivo determinante di tali dimissioni erano state le pressioni ricevute per un finanziamento “insolito”; che l’insoddisfazione per l’attribuzione delle nuove mansioni era stata manifestata “immediatamente” e non dopo un anno; che il corso di riqualificazione era obbligatorio.

6. Con il secondo motivo del ricorso, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’articolo 360 n. 3 Cpc, dell’articolo 2103 Cc, oltreché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa punti decisivi della controversia, ex articolo 360 n. 5 Cpc: non sussisteva alcuna esigenza di salvaguardare il posto di lavoro, né alcun motivo di salute per legittimare le mansioni dequalificanti. Il lavoratore non ha chiesto di essere dequalificato, ma soltanto di essere trasferito a Milano, ha rassegnato le dimissioni da direttore di una particolare filiale e non dalla qualifica di direttore in generale. Ha chiesto di essere adibito ad altro servizio, ma non ha mai accettato la dequalificazione. L’affermazione della sentenza di appello secondo cui le dimissioni da direttore avrebbero legittimato il recesso della banca del rapporto di lavoro è apodittica e assurda. Non vi era quindi alcun rischio di licenziamento.

7. I due motivi del ricorso sono strettamente connessi e possono essere congiuntamente esaminati. Essi risultano infondati.

Entrambe le parti sono concordi circa l’esistenza di una interpretazione costante dell’articolo 2103 Cc, secondo la quale il demansionamento o la dequalificazione sono legittimi allorché rappresentino una sorta di extrema ratio onde conservare il rapporto di lavoro. Vedi per tutte Cassazione 2375/05: «il patto di demansionamento che, ai soli fini di evitare un licenziamento, attribuisce al lavoratore mansioni e conseguentemente retribuzione inferiori a quelle per le quali era stato assunto o che aveva successivamente acquisito, prevalendo l’interesse del lavoratore a mantenere il posto di lavoro su quello tutelato dall’articolo 2103 Cc, è valido non solo ove sia promosso dalla richiesta del lavoratore ma anche quando l’iniziativa sia stata dal datore di lavoro». Conforme Cassazione 10339/00.

8. L’accertamento circa la sussistenza di tale presupposto costituisce una questione di fatto, in suscettibile di riesame in Cassazione se non sotto il profilo del vizio di motivazione.

Nel caso in esame, la Ca accerta che il comportamento del lavoratore, il quale rinunciava ad espletare le funzioni di direttore di una filiale con 29 addetti, avrebbe potuto legittimare il datore di lavoro al recesso dal rapporto per sopravvenuta incapacità. L’accordo col quale il D. accettava le mansioni di gestore clienti primari (ammesso che si trattasse di mansioni dequalificanti) viene quindi ritenuto valido in quanto idoneo a scongiurare il possibile recesso.

9. La motivazione della sentenza di merito, la quale ripercorre l’iter della vicenda, appare esauriente e completa, immune da contraddizioni e da lacune logiche, onde essa si sottrae a censura in sede di legittimità. Vero è che il D. insiste nella tesi secondo la quale la rinuncia a svolgere le mansioni di direttore non implica dimissioni tout court ma solo una richiesta di trasferimento; ma la valutazione al riguardo costituisce queastio facti, come tale sottratta al riesame da parte della Corte di cassazione.

10. Il ricorso, per i suesposti motivi, deve essere rigettato. Il ricorso incidentale, il quale investe la (presunta) equivalenza delle mansioni in argomento, deve considerarsi assorbito.

11. Giusti motivi, in relazione all’opinabilità della materia del contendere ed al comportamento processuale delle parti, consigliano la compensazione integrale delle spese del giudizio di cassazione.

PQM

 

La Corte riunisce i ricorsi; rigetta il ricorso principale, assorbito il ricorso incidentale, compensa le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma  il 13 luglio 2006 (depositato il 10 ottobre 2006)

 

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