-
L'inattività del chirurgo
determina danno da dequalificazione per fatto notorio ex art. 115 c.p.c.
-
-
Cass.,
sez. lav., 9 settembre 2008 n. 22280 – Pres. Senese – Rel. De Matteis -
Azienda sanitaria locale n. 1 di Avezzano (avv. Di Gravio) c. Flammini R.
(avv. Della Rocca, Giovannini)
Danno da
dequalificazione del chirurgo per inesercizio della propria manualità - Sussiste
senza bisogno di prove perché discende da fatto notorio.
L'inattività
forzata è pregiudizievole della professionalità del chirurgo per cd.
fatto notorio, atteso che, come quella dei musicisti e degli sportivi, necessita
di una continua pratica. Il fatto notorio entra nell'accertamento processuale sulla
base della mera affermazione del giudice, derogando sia al principio dispositivo
della prova, sia a quello del contraddittorio. Per tale motivo la giurisprudenza
di questa Corte circonda il fatto notorio di molte cautele verbali: esso deve
essere inteso in senso rigoroso, cioè come fatto acquisito con tale grado di
certezza da apparire indubitabile ed incontestabile, e non quale evento o
situazione oggetto della mera conoscenza del singolo giudice. Conseguentemente,
per aversi fatto notorio occorre, in primo luogo, che si tratti di un fatto che
si imponga all'osservazione ed alla percezione della collettività, di modo che
questa possa compiere per suo conto la valutazione critica necessaria per
riscontrarlo; il giudice ne constata l’esistenza e gli effetti, e lo valuta ai
fini delle conseguenze giuridiche che ne derivano; in secondo luogo, occorre che
si tratti di un fatto di comune conoscenza, perché appartiene alla cultura media
della collettività, ivi stanziata, o perché le sue ripercussioni sono tanto
ampie ed immediate che la collettività ne faccia esperienza comune anche in
vista della sua incidenza sull'interesse pubblico che spinge ciascuno dei
componenti della collettività stessa a conoscerlo (ex plurimis
Cass. 28 febbraio 2008 n. 5232, Cass. 19 novembre 2007 n. 23978, Cass. 29 aprile
2005 n. 9001). Con queste perimetrazioni, la Corte ammette anche il fatto
notorio locale, e cioè una conoscenza diffusa ma circoscritta limitatamente al
luogo ove esso è invocato; e quello tecnico, sia pure a livelli semplicizzati.
-
Svolgimento del processo
-
-
La Azienda
sanitaria locale n. 1 di Avezzano ha trasferito il dottor Roberto Flammini,
primario chirurgo dell'ospedale di Pescina, all'ospedale di Avezzano con le
mansioni di primario di pronto soccorso.
-
Il giudice
del lavoro adito ha condannato la Asl a reintegrare il dipendente nelle sue
funzioni dì primario chirurgo ed a risarcirgli il danno cagionato dalla
dequalificazione.
-
La Corte
d'appello di L'Aquila, con sentenza 14 aprile 2005 n. 369, ha respinto
l'appello principale della Asl, nonché l'appello incidentale del Flammini,
volto ad ottenere un risarcimento di maggiore ammontare.
-
Il giudice
di appello ha preliminarmente respinto l'eccezione della Asl secondo cui
l'assenza del suo fascicolo di parte al momento della discussione avrebbe
inficiato il procedimento di primo grado, per i seguenti motivi: a) la
appellante non ha spiegato il pregiudizio specifico che da tale assenza
sarebbe derivato; b) l'assenza è comunque addebitabile alla stessa parte,
poiché il fascicolo è rientrato nella sua disponibilità quando ebbe a
ritirarlo per consegnarlo al consulente tecnico d'ufficio, assolvendo
d'altronde un onere che grava sulla parte e non su altri. Nel merito ha
ritenuto:
-
1.i fatti
di causa pacifici;
-
2.sul
piano processuale la Asl non ha dedotto: a) che sussistessero le condizioni
per un licenziamento dell'appellato, e che pertanto la sua adibizione a
diverse mansioni fosse un provvedimento lecito, siccome adottato a suo
vantaggio, per evitare un licenziamento; b) che sussistesse impossibilità di
trasferire il Flammini in altro posto di lavoro conservandogli le sue
mansioni.
-
3.in fatto
è risultato provato che esisteva la possibilità di adibire il Flammini ad
attività chirurgica in altro posto di lavoro: il primario del reparto di
chirurgia di eventuale destinazione Dott. Cappuccilli, escusso come teste,
ha lealmente ammesso che il possibile trasferimento del Flammini nel suo
reparto non avvenne perché contrastante con le esigenze di carriera dei suoi
aiuti, che già manovravano per disporsi nelle migliori posizioni per
concorrere alla sostituzione del primario, di prossimo pensionamento; la
richiesta del Flammini di avere la responsabilità di un certo numero di
letti è coerente con le sue funzioni;
-
4.in
conseguenza del trasferimento l'appellato non ha svolto attività di chirurgo
per oltre un anno, dall'8 luglio 1998, data del trasferimento, al 2 agosto
1999 quando è stato di nuovo adibito a mansioni di chirurgo in esecuzione di
ordinanza ex articolo 700 c.p.c.;
-
5.tale
inattività è stata pregiudizievole della sua professionalità di chirurgo,
che, come quella dei musicisti e gli sportivi, necessita di una continua
pratica.
-
Avverso
tale sentenza ha proposto ricorso per Cassazione la Azienda sanitaria
locale, con tre motivi di ricorso. L' intimato si è costituito con
controricorso, resistendo; ha depositato memoria ai sensi dell'art. 378
c.p.c...
Motivi
della decisione
-
Con il
primo motivo la Asl ricorrente, deducendo violazione e falsa applicazione di
legge, non meglio precisata; omessa e contraddittoria motivazione in ordine
a punto decisivo della controversia, censura la decisione in punto di
mancata ricostruzione del fascicolo di parte, la cui sparizione sarebbe
addebitabile al c.t.u. che non l'ha riconsegnato.
-
Il motivo
è inammissibile per un duplice motivo: perché deduce una violazione di legge
senza indicare la norma la cui interpretazione o applicazione la sentenza
impugnata avrebbe violato; perché censura una statuizione non resa; infatti
dalla sentenza impugnata non risulta che la parte abbia chiesto la
ricostruzione del proprio fascicolo, ma solo che questo mancava alla udienza
di discussione.
-
Quanto al
vizio di motivazione, la sentenza impugnata ha esposto in maniera
compiutamente argomentata i due argomenti di rigetto, tra i quali è
assorbente il rilievo che la Asl non ha spiegato il pregiudizio specifico
che dall' assenza del fascicolo di parte sarebbe derivato.
-
Con il
secondo motivo la ricorrente, deducendo violazione e falsa applicazione
dell'art. 115, 2° comma, c.p.c., contesta che costituisca fatto notorio che
i chirurghi, come i musicisti e gli sportivi, necessitino di una pratica
manuale continua.
-
Il motivo
non è fondato.
-
Costituiscono principi cardine del nostro sistema processuale civile che il
giudice deve decidere nei limiti della domanda e dei fatti allegati dalle
parti (art. 112 c.p.c.; i quali fatti costituiscono l'unico limite al potere
di rilevazione del giudice: Cass. Sez. un. 3 febbraio 1998, n. 1099) e deve
porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti (art. 115,
1° comma, c.p.c.). Tuttavia per l'accertamento dei fatti oggetto del
giudizio il giudice può avvalersi di altri mezzi, diversi dalla prova
testimoniale e da quella documentale, nei quali rileva in varia misura
l'apprezzamento del giudice: gli argomenti di prova (artt. 116) tratti dall'
interrogatorio libero (artt. 117, 420; Cass. 5 maggio 2003 n. 6815, Cass. 14
settembre 2007 n. 19247); l'ispezione di persone e cose (art. 118); le
informazioni dalla pubblica amministrazione (art. 213), la consulenza
tecnica (artt. 61, 191; sul suo valore di ausilio alla scienza del giudice e
quale mezzo istruttorio: Cass. 17 aprile 2003 n. 6195; Cass. 2 marzo 2004 n.
4252); presunzioni semplici (art. 2729 c.c.).
-
Il giudice
può anche porre a fondamento della decisione le nozioni di fatto che
rientrano nella comune esperienza (art. 115, secondo comma, c.p.c.).
-
Su tale
norma, che è una delle più problematiche ed illuminanti del processo civile
dal punto di vista sistematico, dottrina e giurisprudenza concordano nelle
seguenti proposizioni:
-
- il fatto
notorio è appunto un fatto, essenziale della decisione;
-
- la sua
esistenza non è provata dalle parti, ma è meramente affermata dal giudice;
-
- il quale
non ha obbligo di motivare, data la sua natura,
-
- che
consiste nell'affermazione da parte del giudice che la conoscenza di un dato
di fatto (ad esempio i tassi di interesse praticati dalle banche: Cass. 2
agosto 2005 n. 16132; il requisito dimensionale dell'impresa Ferrovie dello
Stato: Cass. 25 novembre 2004 n. 22271, etc.) appartiene alla cultura media;
-
-in quanto
fatto, ammette la prova contraria (Cass. 19 gennaio 2006 n. 981).
-
Esso
quindi introduce nell' accertamento dei fatti processualmente rilevanti un
fatto non provato, distinguendosi in ciò sia dai fatti acquisiti per effetto
della non contestazione, che dipende dalla volontà defensionale della parte,
sia dagli altri mezzi di prova.
-
Diversamente dalla prova testimoniale, che viene udita dalle difese delle
parti e consacrata in un verbale, dalla prova documentale, contenuta in un
documento, dagli altri elementi di prova cennati, comunque oggettivati in un
documento, verificabile e confrontabile con altre risultanze processuali, e
soggetti a critica intrinseca e comparativa, il fatto notorio entra
nell'accertamento processuale sulla base della mera affermazione del
giudice, derogando sia al principio dispositivo della prova, sia a quello
del contraddittorio. Per tale motivo la giurisprudenza di questa Corte
circonda il fatto notorio di molte cautele verbali: esso deve essere inteso
in senso rigoroso, cioè come fatto acquisito con tale grado di certezza da
apparire indubitabile ed incontestabile, e non quale evento o situazione
oggetto della mera conoscenza del singolo giudice. Conseguentemente, per
aversi fatto notorio occorre, in primo luogo, che si tratti di un fatto che
si imponga all'osservazione ed alla percezione della collettività, di modo
che questa possa compiere per suo conto la valutazione critica necessaria
per riscontrarlo; il giudice ne constata l’esistenza e gli effetti, e lo
valuta ai fini delle conseguenze giuridiche che ne derivano; in secondo
luogo, occorre che si tratti di un fatto di comune conoscenza, perché
appartiene alla cultura media della collettività, ivi stanziata, o perché le
sue ripercussioni sono tanto ampie ed immediate che la collettività ne
faccia esperienza comune anche in vista della sua incidenza sull'interesse
pubblico che spinge ciascuno dei componenti della collettività stessa a
conoscerlo (ex plurimis Cass. 28 febbraio 2008 n. 5232, Cass.
19 novembre 2007 n. 23978, Cass. 29 aprile 2005 n. 9001). Con queste
perimetrazioni, la Corte ammette anche il fatto notorio locale, e cioè una
conoscenza diffusa ma circoscritta limitatamente al luogo ove esso è
invocato; e quello tecnico, sia pure a livelli semplicizzati.
-
Quanto
alle fonti di conoscenza del fatto notorio, essa è costituita dalla cultura
media cui appartiene il giudice, non solo scolastica ed accademica, ma anche
derivante dai moderni mezzi di comunicazione di massa o da altre forme
pubblicitarie (ex plurimis Cass. 4 giugno 2007 n. 13056, Cass. 31
maggio 2005 n. 11609, Cass. 27 novembre 1993 n. 11774).
-
Rimane che
la conoscenza generale di un fatto, per tale motivo notorio, viene filtrata
ed affermata dal giudice, senza la mediazione delle parti e senza obbligo di
motivazione sulle proprie fonti di convincimento; sicché in definitiva, come
affermato dalla dottrina processuale più avvertita, la previsione
dell'articolo 115, secondo comma, c.p.c., si risolve in un limite al divieto
di utilizzazione del sapere privato da parte del giudice.
-
Quanto
alla censurabilità in cassazione dell'affermazione di un fatto notorio,
questa Corte ha con grande frequenza deciso sulla natura di un fatto come
notorio, affermando o negando che un fatto posto a base della decisione dal
giudice del merito in quanto notorio, abbia o non abbia tale caratteristica
(ex plurimis Cass. 5232/08 e Cass. 23978/07 cit.).
-
La
dottrina giustifica la censurabilità in cassazione, così ammessa, con vari
argomenti, tra cui il più evidente è la violazione della norma processuale
(art. 115, 2° comma, c.p.c.), per averne il giudice del merito fatto
applicazione entro o al di fuori dei limiti consentiti, per la esistenza o
inesistenza del notorio.
-
Il
sindacato della Corte di legittimità chiamata a verificare l'osservanza
della norma processuale di cui all'art. 115, 2° comma, c.p.c., non può
dunque realizzarsi se non verificando i presupposti per la sua applicazione,
e cioè l'esistenza del fatto notorio, e cioè ripercorrendo il medesimo
processo cognitivo dello stato di conoscenza collettiva, operato dal giudice
del merito.
-
In
effetti, poiché il giudice del merito non è tenuto ad indicare gli elementi
sui quali l'affermazione del notorio si fonda (ex plurimis
Cass. 13056/20078 cit.), la Corte di legittimità non può operare un
controllo motivazionale, come per gli altri fatti posti a base della
decisione, deferibili al sindacato di legittimità sotto il profilo della
violazione dell'articolo 360 n. 5 c.p.c.. Ma poiché l'affermazione del
notorio costituisce comunque un criterio decisionale, esso non può rimanere
l'unico elemento di giudizio insindacabile, diversamente dalle norme di
legge applicate e dalla valutazione degli altri elementi di fatto derivanti
dalle prove assunte.
-
Si deve
pertanto concludere che ove il giudice del merito abbia posto a base della
decisione un fatto, qualificandolo come notorio, tale fatto e la sua
qualificazione sono denunciabili alla corte di legittimità sotto il profilo
della violazione dell'articolo 115, 2° comma, c.p.c., la quale eserciterà il
proprio controllo ripercorrendo il medesimo processo cognitivo dello stato
di conoscenza collettiva, operato dal giudice del merito.
-
Alla luce
di tali criteri, risulta corretta l'affermazione del giudice del merito
secondo cui rientra nella comune esperienza, senza bisogno di prove (art.
115, 2° comma, c.p.c.), che per l'attività del chirurgo è essenziale una
adeguata manualità, e che la relativa professionalità decade
nisi eam exerceas.
-
Con il
terzo motivo la ricorrente, deducendo violazione di legge, contesta la
valutazione dei fatti operata dalla sentenza impugnata.
-
Il motivo
è inammissibile, perché non indica la norma di legge della cui violazione si
duole, ed attiene in realtà alla valutazione dei fatti, senza dedurre alcun
vizio specifico nel ragionamento del giudice del merito. Il ricorso va
rigettato. Le spese processuali del presente giudizio seguono la soccombenza
e vengono liquidate come in dispositivo.
p.q.m.
-
rigetta il
ricorso e condanna la Ausl ricorrente alle spese del presente giudizio,
liquidate in Euro 23,00 oltre 3500 Euro per onorari, oltre spese
generali, IVA e CPA.
-
Così
deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione lavoro il 5 giugno
2008 (depositato il 9 settembre 2008).
(Torna alla
Sezione Mobbing)