Per essere risarcito, il pregiudizio alla professionalità va allegato (anche se la causa risale al 1994 quando era "in re ipsa" e quindi il ritardo della giustizia viene "pagato" dall'utente giustizia che dopo 13 anni si è trovato di fronte ad un diverso orientamento)

 

Cass., sez. lav. 7 novembre 2007, n. 23150 – Pres. Senese – Rel. Lamorgese- Pm Sepe – conforme – Ricorrente Giannessi – Controricorrente Efimpianti Spa.

 

Danno da demansionamento – Non è in re ipsa – Il pregiudizio subito alla professionalità va dedotto, per consentirne al giudice il riscontro – anche in via presuntiva – e liquidarlo equitativamente – In fattispecie manca qualsiasi allegazione - Rigetto.

 

In tema di demansionamento e di dequalificazione, il riconoscimento del diritto del lavoratore al risarcimento del danno professionale, biologico o esistenziale, che asseritamente ne deriva - non ricorrendo automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale - non può prescindere da una specifica allegazione, nel ricorso introduttivo del giudizio, sulla natura e sulle caratteristiche del pregiudizio medesimo; mentre il risarcimento del danno biologico è subordinato all'esistenza di una lesione dell'integrità psico-fisica medicalmente accertabile, il danno esistenziale - da intendere come ogni pregiudizio (di natura non meramente emotiva ed interiore, ma oggettivamente accertabile) provocato sul fare areddittuale del soggetto, che alteri le sue abitudini e gli assetti relazionali propri, inducendolo a scelte di vita diverse quanto all'espressione e realizzazione della sua personalità nel mondo esterno - va dimostrato in giudizio con tutti i mezzi consentiti dall'ordinamento, assumendo peraltro precipuo rilievo la prova per presunzioni, per cui dalla complessiva valutazione di precisi elementi dedotti (caratteristiche, durata, gravità, conoscibilità all'interno ed all'esterno del luogo di lavoro dell'operata dequalificazione, frustrazione di precisate e ragionevoli aspettative di progressione professionale, eventuali reazioni poste in essere nei confronti del datore comprovanti l'avvenuta lesione dell'interesse relazionale, effetti negativi dispiegati nelle abitudini di vita del soggetto) - il cui artificioso isolamento si risolverebbe in una lacuna del procedimento logico - si possa, attraverso un prudente apprezzamento, coerentemente risalire al fatto ignoto, ossia all'esistenza del danno, facendo ricorso, ai sensi dell'art. 115 cod. proc. civ., a quelle nozioni generali derivanti dall'esperienza, delle quali ci si serve nel ragionamento presuntivo e nella valutazione delle prove".

Allegazioni e prove che qui non risultano affatto dedotte, come ha rilevato il giudice del merito con motivazione che non risulta per niente inficiata dalle doglianze del ricorrente, il quale ha sostenuto che il danno da lui subito è insito nel demansionamento, per cui si tratterebbe solo di stabilire la liquidazione del pregiudizio subito, da quantificarsi, a suo avviso, in base alla retribuzione percepita.

 

Svolgimento del processo

 

Con ricorso dell'11 novembre 1994 l'ing. Giorgio Giannessi proponeva opposizione innanzi al Tribunale di Roma, avverso il provvedimento di esclusione dal passivo della liquidazione coatta amministrativa della Efimpianti s.p.a. di alcuni crediti maturati in pendenza del rapporto di lavoro intercorso con quella società, nonché di quello per risarcimento dei danni derivante da dequalificazione professionale, che affermava di aver subito durante l'ultimo periodo del rapporto di lavoro.

Nel corso del giudizio, nel quale la società si costituiva e resisteva alle pretese del Riannessi, costui limitava la domanda alla indicata voce di danno e al pagamento dell'indennità supplementare, richieste entrambe rigettate dal giudice adito, la seconda con sentenza non definitiva del 26 gennaio 1998, avverso la quale il soccombente riservava l'impugnazione, e l'altra con sentenza depositata il 21 settembre 2000.

Il gravame proposto contro le due pronunce era rigettato dalla Corte di appello con sentenza depositata il 9 febbraio 2004.

La Corte territoriale rilevava l'inapplicabilità della legge 27 dicembre 1994 n. 738, su cui il ricorrente aveva fondato la rivendicazione della indennità supplementare, in quanto la normativa era entrata in vigore il 5 gennaio 1995, in epoca successiva alla risoluzione del rapporto di lavoro: il recesso era stato comunicato al dipendente con lettera del 28 ottobre 1994, in cui era stabilita la decorrenza della risoluzione del rapporto al 31 ottobre 1994, ed il Giannessi, esonerato dal prestare l'attività lavorativa durante il periodo di preavviso, aveva percepito la relativa indennità il 29 novembre 1994. Sempre ai fini della medesima indennità, la Corte di merito aggiungeva che non poteva farsi riferimento all'accordo del 3 ottobre 1989 allegato al ccnl per i dirigenti delle aziende industriali, esulando la fattispecie in esame dalle specifiche ipotesi considerate in detta pattuizione, cioè ristrutturazioni, riorganizzazione, riconversione, ovvero crisi settoriale o aziendale, accertate o dichiarate a norma dell'art. 2 della legge 12 agosto 1977 n. 675, nonché situazioni aziendali accertate dal Ministero del lavoro ai sensi dell'art. 1 della legge 19 dicembre 1984 n. 863, oltre che all'amministrazione straordinaria di cui alla legge 3 aprile 1979 n. 95. Relativamente all'altra richiesta, il giudice del gravame, pur affermando l'inadempimento dell'azienda per non avere mantenuto il dipendente nelle funzioni in precedenza assegnategli, rilevava la mancanza di prove del pregiudizio sofferto dal ricorrente, il quale si era limitato ad una generica affermazione di danno.

Per la cassazione di questa sentenza il Giannessi ha proposto ricorso, sulla base di tre motivi.

La intimata ha resistito con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative, e il ricorrente ha presentato osservazioni per iscritto sulle conclusioni del Procuratore Generale.

 

Motivi della decisione

 

Il primo motivo denuncia violazione dell'art. 1, comma 2 bis, legge n. 738 del 1994, e deduce la permanenza dell'efficacia reale del preavviso anche in caso di pagamento della indennità sostitutiva, con la conseguenza che il rapporto di lavoro del ricorrente doveva intendersi protratto sino all'ottobre 1995, quindi ben oltre l'entrata in vigore della norma denunciata, che riconosceva ai dirigenti delle società finanziarie caposettore, delle società di servizi e delle società di servizi finanziari, controllate dall'Efim, la possibilità di usufruire dei trattamenti indicati nell'articolo 3, comma 2 - quater, del decreto-legge 19 dicembre 1992, n. 487, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 febbraio 1993, n. 33, come previsto per i dirigenti Efim. D'altra parte al momento della risoluzione del rapporto di lavoro, cioè 29 novembre 1994, era già pendente il ricorso del ricorrente in opposizione all'ammissione al passivo, circostanza questa ignorata dal giudice del merito. Trattandosi di azienda interamente di proprietà dell'Efim, si doveva perciò fare applicazione della norma denunciata.

Il secondo motivo denuncia violazione degli artt. 1362 - 1365 cod. civ., in relazione all'accordo del 3 ottobre 1989 allegato al ccnl per i dirigenti delle aziende industriali, nonché vizio di motivazione. La liquidazione coatta amministrativa era conseguenza della crisi aziendale accertata, per cui la sentenza impugnata ha male interpretato l'accordo del 3 ottobre 1989 nel ritenerlo circoscritto alle ipotesi là elencate, senza comprendere anche le situazioni ricollegabili a quelle specificamente indicate.

Il terzo motivo denuncia violazione degli artt. 1226 e 2103 cod. civ., falsa applicazione dell'art. 2697 stesso codice. Accertato il demansionamento del lavoratore, erroneamente la Corte ha ritenuto la mancanza di prova del danno, che invece poteva essere desunto dalla durata del relativo periodo e quantificato in rapporto alla retribuzione percepita dal dipendente danneggiato; questi inoltre si era rimesso alla valutazione equitativa del giudice, il quale non ha spiegato perché non ha fatto ricorso ad essa.

Rileva innanzitutto il Collegio che la presente fattispecie è analoga a quelle concernenti altri dirigenti della medesima società, odierna resistente, i cui ricorsi per cassazione, tutti avverso pronunce della stessa Corte di appello di Roma, e con motivi coincidenti con quelli proposti dal Giannessi, sono stati già decisi da questa Corte con le sentenze n. 11089 del 26 maggio 2005 (ricorrente Lorenzo Cesa), la n. 17564 del 2 agosto 2006 (ricorrente Giuliano Cenciarelli), la n. 17565 della stessa data (ricorrente Stefano Bencivenga), la n. 18551 del 26 agosto 2006 (ricorrente Francesco Giordano), tutti in senso sfavorevole ai lavoratori.

Ciò premesso, con riguardo alle doglianze del primo motivo, si è rilevato che durante il periodo di preavviso di licenziamento il rapporto di lavoro prosegue e permangono tutti gli effetti del contratto, verificandosi invece l'immediata cessazione del rapporto quando intervenga tra le parti un accordo in proposito, anche manifestato per fatti concludenti, come nel caso di accettazione senza riserve da parte del lavoratore dell'indennità sostitutiva del preavviso (v. più di recente, oltre a Cass. 29 luglio 1999 n. 8256, Cass. 29 maggio 1999 n. 5284 citate in motivazione nelle precedenti controversie in cui erano parte gli ex colleghi del Giannessi, Cass. 30 agosto 2004 n. 17334, Cass. 23 luglio 2004 n. 13883, Cass. 8 maggio 2004 n. 8797, Cass. 21 novembre 2001 n. 14646).

Si è inoltre precisato che l'esistenza del consenso tramite l'accettazione dell'indennità sostitutiva del preavviso costituisce accertamento di fatto insindacabile in sede di legittimità, se congruamente motivato, come appunto nella fattispecie in esame. Invero, la sentenza qui impugnata è pervenuta all'affermazione della estinzione del rapporto, con motivato convincimento, fondato su argomentazioni logiche ed immuni da errori. Il giudice di merito ha infatti evidenziato che il Giannessi, licenziato con lettera del 28 ottobre 1994, con specificazione della decorrenza del recesso dal 31 dello stesso mese e con esonero dal prestare il lavoro nel periodo preavviso, aveva "accettato senza riserva alcuna la risoluzione immediata del rapporto di lavoro, percependo regolarmente l'indennità sostitutiva di preavviso, per cui si può ritenere configurabile un tacito accordo con la Efimpianti in l.c.a. per la cessazione immediata del rapporto dì lavoro al 31 ottobre 1994". Né l'esistenza di siffatto accordo viene adeguatamente censurata dal ricorrente, il quale per negarlo si limita a sostenere che all'epoca in cui aveva percepito l'indennità, era già pendente l'opposizione da lui proposta avverso il provvedimento di rigetto del giudice delegato della istanza di ammissione al passivo della società, degli altri crediti (per indennità supplementare e per danno da dequalificazione professionale, come sottolineato dal ricorrente anche nel ricorso per cassazione a pag. 2).

Anche le censure formulate con il secondo motivo devono essere disattese, così come questa Corte ha ritenuto nelle precedenti pronunce, innanzi richiamate, aventi ad oggetto le medesime questioni.

Si deve infatti osservare, sulla scorta di quanto già precisato dalla giurisprudenza di legittimità, che la funzione nomofilattica investe l'intera attività del giudice della legittimità, e dunque, con riguardo a pretese fondate sopra fonti pattizie, non soltanto il rispetto delle disposizioni di cui agli artt. 1362 ss. cod. civ., ma anche il controllo della motivazione ex art. 360, n. 5, cod. proc. civ., con la conseguenza che la infondatezza del ricorso può essere ritenuta anche in relazione a motivi che contestino l'interpretazione data dal giudice di merito ad un contratto collettivo, allorché precedenti controversie siano già state scrutinate dalla Corte con riguardo a decisioni di merito fondate sugli stessi profili di fatto ed argomentazioni sostanzialmente identiche (vedi Cass. 21 marzo 2003 n. 6703, Cass. 13 maggio 2003 n. 7355).

Pure nella fattispecie in esame, con motivazione che ricalca quella fornita dalla Corte territoriale nelle altre controversie, il medesimo giudice nell'interpretare l'accordo 3 ottobre 1989, allegato al contratto collettivo di lavoro per i dirigenti industriali, ha rimarcato come l'indennità supplementare al trattamento di fine rapporto competesse ai dirigenti di aziende industriali soltanto in talune specifiche ipotesi, quali ".... ristrutturazione, riorganizzazione, riconversione, ovvero crisi settoriale o aziendale, accertate e dichiarate a norma dell'art. 2 della legge 12 agosto 1977 n. 675, nonché situazioni aziendali accertate dal Ministero del lavoro ai sensi dell'art. 1 della legge 19 dicembre 1984, n. 863, oltre che all'amministrazione straordinaria attuata ai sensi e con la procedura della legge 3 aprile 1979 n. 95"; ed ha sottolineato come in presenza di una siffatta specifica indicazione l'applicazione delle disposizione dell'accordo menzionato non potesse essere estesa "a situazioni non espressamente contemplate, che tra l'altro non sono assimilabili, nei loro presupposti logici e giuridici, alle fattispecie considerate nell'accordo stesso".

La censura formulata con il terzo motivo non può essere accolta in applicazione del principio di diritto elaborato dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 6572 del 24 marzo 2006 n. 6572. Esso è stato così formulato dal Massimario di questa Corte: "In tema di demansionamento e di dequalificazione, il riconoscimento del diritto del lavoratore al risarcimento del danno professionale, biologico o esistenziale, che asseritamente ne deriva - non ricorrendo automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale - non può prescindere da una specifica allegazione, nel ricorso introduttivo del giudizio, sulla natura e sulle caratteristiche del pregiudizio medesimo; mentre il risarcimento del danno biologico è subordinato all'esistenza di una lesione dell'integrità psico-fisica medicalmente accertabile, il danno esistenziale - da intendere come ogni pregiudizio (di natura non meramente emotiva ed interiore, ma oggettivamente accertabile) provocato sul fare areddittuale del soggetto, che alteri le sue abitudini e gli assetti relazionali propri, inducendolo a scelte di vita diverse quanto all'espressione e realizzazione della sua personalità nel mondo esterno - va dimostrato in giudizio con tutti i mezzi consentiti dall'ordinamento, assumendo peraltro precipuo rilievo la prova per presunzioni, per cui dalla complessiva valutazione di precisi elementi dedotti (caratteristiche, durata, gravità, conoscibilità all'interno ed all'esterno del luogo di lavoro dell'operata dequalificazione, frustrazione di precisate e ragionevoli aspettative di progressione professionale, eventuali reazioni poste in essere nei confronti del datore comprovanti l'avvenuta lesione dell'interesse relazionale, effetti negativi dispiegati nelle abitudini di vita del soggetto) - il cui artificioso isolamento si risolverebbe in una lacuna del procedimento logico - si possa, attraverso un prudente apprezzamento, coerentemente risalire al fatto ignoto, ossia all'esistenza del danno, facendo ricorso, ai sensi dell'art. 115 cod. proc. civ., a quelle nozioni generali derivanti dall'esperienza, delle quali ci si serve nel ragionamento presuntivo e nella valutazione delle prove".

Allegazioni e prove che qui non risultano affatto dedotte, come ha rilevato il giudice del merito con motivazione che non risulta per niente inficiata dalle doglianze del ricorrente, il quale ha sostenuto che il danno da lui subito è insito nel demansionamento, per cui si tratterebbe solo di stabilire la liquidazione del pregiudizio subito, da quantificarsi, a suo avviso, in base alla retribuzione percepita.

In conclusione, assorbito ogni altro rilievo, il ricorso deve essere rigettato, e il ricorrente, in quanto soccombente, va condannato al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, determinate come in dispositivo.

 

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della società, delle spese del presente giudizio, liquidate in euro 27, 00 e in euro 2.000,00 (duemila/00) per onorari, oltre a spese generali, Iva e Cpa.

 

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