- ANCORA
SUL DANNO DA DEMANSIONAMENTO CON PROVA PRESUNTIVA
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- Corte
di cassazione, sez. lav. , 7 febbraio 2004 n. 2354 – Pres. Mattone –
Rel. De Matteis – Schering SpA (avv. Perone, Izar) c. Abate Carmine ed
altro (avv. Marzi, Di Flumeri)
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- Dequalificazione professionale – Risarcimento del danno con
liquidazione equitativa, con prova ricavata dal giudice di merito in via
presuntiva – Spettanza.
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- Secondo l'orientamento prevalente di questa
corte, in caso di accertato demansionamento professionale del lavoratore
in violazione dell'art. 2103 cod. civ., il giudice del merito, con
apprezzamento di fatto incensurabile in Cassazione se adeguatamente
motivato, può desumere l'esistenza del relativo danno, determinandone
anche l'entità in via equitativa, con processo logico giuridico attinente
alla formazione della prova, anche presuntiva, in base agli elementi di
fatto relativi alla durata della qualificazione e alle altre circostanze
del caso concreto (Cass. 2.11.2001 n. 13580; Cass. 18.10.1999
n. 11727; Cass. 16.12.1992 n. 13299, citata dalla ricorrente).
- SVOLGIMENTO
DEL PROCESSO
- Carmine
Abate e Francesco Lubrano, dipendenti della Scherig S.p.a., con mansioni
di RZO (responsabile di zona ospedaliero) e qualifica di quadro, sono
stati assegnati a mansioni di informatore scientifico del farmaco (ISF)
con comunicazione aziendale del 21 dicembre 1998. in parziale accoglimento
del loro ricorso del 27.7.1999, il Giudice Unico del Tribunale di Milano,
con sentenza 6 aprile 2000 n. 980, accertata la violazione dell'art. 2103
cod. civ., ha condannato la Schering al ripristino in mansioni equivalenti
ed al risarcimento del danno, nella misura del 10% della retribuzione per
ogni mese di dequalificazione.
- Avverso
la sentenza hanno proposto appello principale la Schering, chiedendo la
totale reiezione delle domande, ed appello incidentale i lavoratori,
insoddisfatti della misura della liquidazione del danno. La Corte d'Appello di Milano,
con sentenza 13 dicembre 2000/2 marzo 2001 n. 122, ha respinto
entrambi gli appelli. Quanto all'appello principale, la Corte ha respinto
la tesi della Schering, secondo cui la mansione più qualificante dei RZO
era quella di informazione scientifica, comune agli IMS; rispetto a questi
ultimi, i RZO svolgevano in più un'attività tipicamente commerciale per
seguire le varie fasi dell'ordine del prodotto (contatti con gli economi
delle strutture ospedaliere, primari o comunque direttori delle strutture
per gli ordini e le fasi d'acquisto); ma questo ultimo tipo di mansioni
non sarebbe quello più qualificante, per cui il ritorno a fare la sola
informazione scientifica senza l'ulteriore attività di supporto alle
vendite, non realizzerebbe una dequalificazione.
La Corte ha viceversa rilevato, con il primo giudice, che i RZO sono
assegnatari di un proprio budget a fini promozionali, del quale
dispongono, muniti di apposita procura e soprattutto partecipano alle gare
di appalto, potendo formulare, immediatamente e senza interpellare la
direzione, riserve e far constatare eventuali irregolarità.
Il giudice d'appello ha ritenuto che si tratti di una posizione di
responsabilità, dimostrata dallo stesso fatto che i RZO rivestono la
posizione di quadro, che invece non rivestono gli ISF, anche se ai
ricorrenti è stato ovviamente mantenuto l'inquadramento precedentemente
raggiunto.
- La Corte ha concluso che non vi è equivalenza professionale tra le due
posizioni, e pertanto il datore di lavoro ha violato l'art. 2103 cod. civ..
- Ha poi respinto la tesi dell'appellante Schering, secondo cui il
mutamento di mansioni era necessitato dal nuovo assetto aziendale, che
prevedeva la soppressione delle due posizioni in precedenza rivestite e
l'impossibilità di trovarne altre del tutto equivalenti; il lieve
demansionamento sarebbe pertanto stato alternativa al licenziamento con la
conseguenza dell'infondatezza della pretesa di risarcimento del danno.
- La Corte ha osservato in contrario che la datrice di lavoro avrebbe
dovuto provare la consensualità del demansionamento e cioè che i
dipendenti vi avessero aderito per evitare il licenziamento.
- La Corte ha concluso sul punto che, non essendovi la prova di un tale
accordo, il demansionamento risulta un'iniziativa unilaterale del datore
di lavoro che, malgrado ogni migliore intenzione, realizza una
dequalificazione professionale non consentita.
- Quanto all'appello incidentale, il giudice d'appello ha ritenuto che la
misura del risarcimento stabilita dal primo giudice, pari al 10% della
retribuzione per ciascun mese di dequalificazione, è ragionevolmente
contenuta e costituisce un congruo ristoro del danno alla professionalità
inteso come il protrarsi di una situazione di minore qualificazione
professionale rispetto a quella prima raggiunta.
- Ha escluso infine che potesse essere invocato il danno biologico,
rispetto al quale, a differenza di quello alla professionalità, si
richiede una prova specifica dell'effettiva sussistenza.
- Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per Cassazione la Schering
s.p.a., con tre motivi.
- Gli intimati si sono costituiti con controricorso, resistendo.
- MOTIVI
DELLA DECISIONE
- Con il primo motivo la società ricorrente, deducendo violazione e falsa
applicazione degli artt. 1362 segg., 2103 cod. civ.; 115 e 116 c.p.c.
(art. 360, n. 3 c.p.c.), censura la sentenza impugnata per avere omesso di
valutare le disposizioni del contratto collettivo applicabile alla
fattispecie (chimici e chimico-farmaceutici), il quale colloca nel livello
B l'informatore scientifico del farmaco, e nell'inferiore livello
impiegatizio C le funzioni commerciali, identiche a quelli degli RZO,
dell'operatore di vendita senior e addetto esperto costumer service.
- Il motivo è palesemente infondato, perché si scontra con l'accertamento
di fatto del giudice d'appello e sulla sua valutazione complessiva
dell'insieme delle mansioni dei RZO, basata anche sulla loro collocazione
nella scala valutativa del contratto collettivo. Con il secondo motivo la
società ricorrente, deducendo omessa, insufficiente e contraddittoria
motivazione su punto decisivo della controversia (art. 360, n. 5 c.p.c.)
censura la sentenza impugnata nella parte in cui non ha considerato
prioritaria la salvezza del posto di lavoro. Anche questo motivo è
infondato.
- La giurisprudenza di questa Corte ammette la modifica "in pejus"
delle mansioni del lavoratore per evitare il licenziamento o la messa in
cassa integrazione, ma solo con il consenso del dipendente
(Cass.18.10.1999 n. 11727).
- Con il terzo motivo di ricorso la società ricorrente, deducendo
violazione e falsa applicazione degli artt. 2043 (o 1218), 2056, 1223. 1226 cod. civ., 115 e 116
c.p.c.; omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punto
decisivo della controversia (art.
360, nn. 3 e 5 c.p.c.), censura la sentenza impugnata per avere
riconosciuto un danno alla professionalità senza la prova di esso, e,
comunque, senza che l'inadempimento fosse di notevole gravità.
- Secondo l'orientamento prevalente di questa corte, in caso di accertato
demansionamento professionale del lavoratore in violazione dell'art. 2103
cod. civ., il giudice del merito, con apprezzamento di fatto incensurabile
in Cassazione se adeguatamente motivato, può desumere l'esistenza del
relativo danno, determinandone anche l'entità in via equitativa, con
processo logico giuridico attinente alla formazione della prova, anche
presuntiva, in base agli elementi di fatto relativi alla durata della
qualificazione e alle altre circostanze del caso concreto (Cass. 2.11.2001
n. 13580; Cass. 18.10.1999 n. 11727; Cass.
16.12.1992 n. 13299, citata dalla ricorrente).
- La valutazione della gravità dell'inadempimento è compito precipuo del
giudice del merito, al quale la ricorrente si limita ad opporre una
propria valutazione.
- Il ricorso va pertanto respinto.
- Le spese processuali seguono la soccombenza e sono liquidate in Euro
32,00 oltre Euro tremila per onorari di avvocato.
- P.Q.M.
- rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a pagare le spese del
presente giudizio liquidate in Euro 32,00, oltre Euro tremila per onorari
di avvocato.
- Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Lavoro, il
4 novembre 2003.
- Depositato in Cancelleria il 7 febbraio 2004