- Alla categoria dei
dirigenti tutti non si applica né la normativa sulla "giusta causa" e
"giustificato motivo" né la "reintegra"
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Cass., sez. lav., 13 dicembre
2010 n. 25145 – Pres. Roselli – Rel. Ianniello
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Licenziamento del dirigente
minore - Inapplicabilità della l. n. 604/66 e art. 18 l. n. 300/70 -
Aspettative aziendali tradite - Giustificatezza - Sussiste.
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Tenendo conto della
possibile complessità delle strutture aziendali contemporanee, sono
qualificabili come veri e propri dirigenti anche quelli c.d. medi o minori
"sempre che rientrino nella previsione e definizione della contrattazione
collettiva, che ne può differenziare nell'ambito dell'autonomia negoziale
propria delle organizzazioni sindacali - pure la disciplina attraverso una
modulazione delle tutele rescissorie sulla base del grado di
rappresentatività, di autonomia e di responsabilità in concreto
riconosciuto" (così Cass. S.U. n. 7880/07, cit.).
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Restano peraltro esclusi
dalla disciplina speciale, legale e contrattuale collettiva, stabilita per
la categoria dei dirigenti unicamente «i c.d. pseudo-dirigenti cioè quei
lavoratori che seppure hanno di fatto il nome ed il trattamento dei
dirigenti, per non rivestire nell'organizzazione aziendale un ruolo di
incisività e rilevanza analogo a quelli dei c.d. dirigenti convenzionali
(dirigenti apicali, medi o minori), non sono classificabili come tali dalla
contrattazione collettiva».
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A tale personale sono
viceversa applicabili le tutele legali più incisive previste per il restante
personale in materia di limitazione del potere datoriale di licenziamento,
«non essendo praticabile uno scambio tra pattuizione di benefici economici
(e di più favorevole trattamento) e la tutela garantistica ad essi
assicurata, al momento del recesso datoriale, dalle leggi n. 604 del 1966 e
n. 300 del 1970» (così ancora le sezioni unite di questa Corte nella
sentenza del 2007 citata).
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E’ stato ripetutamente
rilevato da questa Corte che la nozione contrattuale di giustificatezza
adottata da alcuni contratti collettivi per la categoria dei dirigenti (tra
i quali, pacificamente, quello applicabile al rapporto di lavoro tra le
parti) si discosta, sia sul piano soggettivo che su quello oggettivo, da
quella di giustificato motivo di cui all'art. 3 della legge 15 luglio1966 n.
604.
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Sul piano soggettivo, tale
asimmetria trova la sua ragion d'essere nel rapporto fiduciario che lega in
maniera più o meno penetrante al datore di lavoro il dirigente in ragione
delle mansioni a lui affidate per la realizzazione degli obiettivi
aziendali, per cui anche la semplice inadeguatezza del dirigente rispetto ad
aspettative riconoscibili ex ante o una importante deviazione del
dirigente dalla linea segnata dalle direttive generali del datore di lavoro
o un comportamento extralavorativo incidente sull'immagine aziendale a causa
della posizione rivestita dal dirigente possono, a seconda delle
circostanze, costituire ragione di rottura di tale rapporto fiduciario e
quindi giustificare il licenziamento a norma della disciplina contrattuale
dello stesso.
Svolgimento del processo
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Con ricorso notificato a mezzo
del servizio postale il 14 settembre 2007, (...) s.p.a. ha chiesto, con
cinque motivi, la cassazione della sentenza depositata il 15 settembre 2006,
con la quale la Corte d'appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari,
in parziale riforma della decisione di primo grado - la quale, prima con
sentenza non definitiva e quindi con altra definitiva, aveva annullato il
licenziamento intimato dalla società al proprio dirigente disponendo, ai
sensi dell'art. 18 S.L., la reintegrazione di quest'ultimo con la qualifica
di quadro e condannando la convenuta al risarcimento dei danni conseguenti,
quantificato con riferimento al trattamento economico di tale qualifica
minore e previa detrazione delle maggiori somme percepite dal ricorrente,
quale dirigente, in costanza di rapporto -, aveva escluso tale ultima
detrazione, riconoscendogli la qualifica di dirigente seppure non apicale e
quindi maggiorando notevolmente l'importo del danno da risarcire e
confermando nel resto la decisione di primo grado.
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Alle domande della società
resiste (...) con rituale controricorso, chiedendo il rigetto del ricorso e
in subordine l'accoglimento della domanda svolta in via subordinata per
il caso di riconoscimento della qualifica di dirigente apicale, di
erogazione dell'indennità di preavviso e di quella supplementare prevista
dal CCNL di settore.
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La società ha infine
depositato una memoria difensiva a norma dell’art. 378 c.p.c.
Motivi della decisione
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1 - Col primo motivo di
ricorso, viene denunciata la violazione degli artt. 413 e 414 c.p.c. nonché
1323, 1325, 1362, 1388, 1398 e 1399 c.c.
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Il motivo attiene al rigetto
del motivo di appello relativo alla eccezione di incompetenza territoriale
del Tribunale di Sassari, respinta dal giudice di primo grado sul rilievo
che la formale assunzione sarebbe stata in realtà preceduta da un contratto
di lavoro stipulato a Sassari.
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Alle deduzioni
dell'appellante, secondo cui tale contratto era stato prodotto tardivamente
dal ricorrente e che comunque chi lo aveva sottoscritto per la società non
ne avrebbe avuto i poteri, la Corte territoriale aveva ribattuto che la
lettera contratto era stata prodotta nel primo momento utile dopo la
eccezione della società formulata nella memoria di costituzione e che,
ancorché chi l'aveva sottoscritta per la società non ne avesse avuto il
potere, sarebbe intervenuta la ratifica implicita con effetto ex tunc.
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La ricorrente censura tale
decisione, sostenendo che il documento sottoscritto a Sassari non sarebbe
una lettera di assunzione ma un alto precontrattuale, che la ratifica deve
comunque essere fatta per iscritto e che tale non può essere considerala la
successiva lettera di assunzione del (...) che viceversa va interpretata
come vera e propria proposta di assunzione.
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Conseguentemente, i criteri di
collegamento territoriale di cui all’art.. 413 c.p.c. ricondurrebbero al
Tribunale di Milano o a quello di Piacenza.
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Il motivo conclude con la
formulazione dei seguenti quesiti di diritto:
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a) dica la suprema Corte se
sia conforme all'art. 414 c.p.c. l'omessa declaratoria da parte della Corte
d'appello di tardività e inammissibilità della lettera senza data
sottoscritta tra il sig. R. ed il T. presso la Lega delle cooperative di
Sassari;
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b) “se sia conforme agli artt.
1321 e I325 c.c. la ritenuta natura di contratto di lavoro della scrittura
senza data sottoscritta fra il (...) presso la Lega...
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c) "se sia conforme agli artt.
1388, 1398 e 1399 c.c. nonché all'art. 1362 c.c. l'affermata natura di
ratifica del precedente contratto di lavoro attribuita dalla Corte d'appello
alla lettera di assunzione del (...) del 1° luglio 1999."
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d) "infine se sia conforme
alle nonne sulla competenza per territorio del giudice del lavoro ex art.
413, 2° comma c.p.c. la pronuncia della Corte d'appello che ha ritenuto la
propria competenza e quella del Tribunale di Sassari individuando in Sassari
anziché in Piacenza il luogo ove era sorto il rapporto di lavoro."
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2 - Col secondo motivo
la ricorrente denuncia la violazione degli artt. 112, 414 e 416 c.p.c. 10
della legge n. 604 del 1966, 2095 c.c. 12 prel. e 1418 c.c.
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I giudici di merito avevano
ritenuto fondata la domanda di reintegrazione, affermando in via di
principio che il licenziamento ad nutum riguarda unicamente i
dirigenti apicali, mentre il (...) sarebbe un dirigente minore; che tale
licenziamento dovendo pertanto essere sostenuto da una giusta, causa o da un
giustificato motivo, non poteva conseguire alla stipula di una clausola
risolutiva espressa e che il licenziamento non sarebbe sostenuto da un
giustificalo motivo ai sensi della legge n. 604 del 1966.
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Tale decisione è censurata
dalla società col sostenerne in primo luogo il vizio di ultrapetizione, in
quanto, in via principale, l’originario ricorrente avrebbe richiesto la
tutela di cui all'art. 18 S.L., negando quindi la natura dirigenziale del
rapporto; mentre solo in via subordinata, avrebbe chiesto, quale dirigente,
l'indennità sostitutiva del preavviso e l'indennità supplementare prevista
dalla contrattazione collettiva.
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Inoltre, nel l'istituire una
differenza tra dirigente apicale e dirigente minore ai fini della
individuazione della tutela applicabile, la Corte territoriale avrebbe
violato l'art. 10 della legge n. 604 del 1966, che al riguardo, non
stabilisce alcuna distinzione all'interno della categoria dei dirigenti.
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Conseguentemente la sentenza
sarebbe altresì illegittima laddove ha ritenuto nulla per contrasto con
l'art. 1418 c.c. la clausola risolutiva espressa in applicazione della quale
era stata effettuata la risoluzione di rapporto col T., in quanto tale
clausola azzererebbe le garanzie di cui alla legge n. 604, in tema di giusta
causa e di giustificato motivo di licenziamento.
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3 - Col terzo motivo,
la società deduce la violazione degli artt. 112 c.p.c. (e omessa pronuncia),
1456 1462 e 1463 c.c. 115 e 116 c.p.c. e 2697 c.c. nonché il vizio di
motivazione.
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In proposito, la ricorrente
ribadisce che al contratto di lavoro del dirigente può inerire una clausola
risolutiva espressa e lamenta che la Corte non si sia pronunciata sulla
ricorrenza dei fatti cui era legata la risoluzione espressa. La Corte
avrebbe contraddittoriamente fatto unicamente un accenno ad uno dei fatti
cui era connessa la risoluzione espressa del contratto di lavoro.
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La ricorrente illustra poi in
maniera specifica le ragioni che l'avevano indotta a stipulare tale
clausola.
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4 - Col quarto motivo,
la società denuncia la violazione degli artt. 112 c.p.c. (e omessa
pronuncia) 2118 e 2697 c.c. nonché il vizio di motivazione.
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In realtà la società fin dal
primo grado di giudizio avrebbe formulato, in via di eccezione, la domanda
di accertamento della giustificatezza del licenziamento del dirigente, ma su
ciò la Corte territoriale non si era pronunciata.
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5 - Col quinto motivo,
viene denunciata la violazione degli artt. 10 della L. n. 604/66, 18 L. n.
300/70 e 112 c.p.c. nonché il vizio di motivazione della sentenza impugnata.
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Richiamando la parte di
sentenza che riguarda la condanna al risarcimento del danno, la società
ribadisce ancora una volta che ai dirigenti non si applica la tutela reale,
salvo il caso che questa sia prevista dai C.C.N.L.. come non sarebbe
avvenuto nel caso in esame.
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Il primo motivo di ricorso è
inammissibile, per la inconferenza e la genericità dei relativi quesiti di
diritto, la cui esatta formulazione è prescritta a pena di inammissibilità
dall'art. 366-bis c.p.c., applicabile ratione temporis al presente
giudizio.
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Secondo la giurisprudenza di
questa Corte, infatti, la formulazione del quesito di diritto deve essere
tale da consentire l'individuazione del principio di diritto che è alla base
del provvedimento impugnato e correlativamente di un diverso principio la
cui auspicata applicazione ad opera della Corte di cassazione sia idonea a
determinare una decisione di segno diverso". (Cass. sez. 1, 22 giugno 2007
n. 14682).
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In altri termini, secondo le
S.U. (sent. 14 febbraio 2008 n. 3519, seguita da sez. 3a, sent. 9 maggio
2008 n. 11535) “il quesito non può consistere in una mera richiesta di
accoglimento del motivo ovvero nell’interpello della S.C. in ordine alla
fondatezza della censura così come illustrata nello svolgimento dello stesso
motivo, ma deve costituire la chiave di lettura delle ragioni esposte e
porre la medesima Corte in condizione di rispondere ad esso con
l'enunciazione di una regula iuris che sia, in quanto tale,
suscettibile di ricevere applicazione in casi ulteriori rispetto a quello
sottoposto all'esame del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata.
Ciò vale a dire che la Corte di legittimità deve poter comprendere dalla
lettura del solo quesito, inteso come sintesi logico-giuridica della
questione, l'errore di diritto asseritamene compiuto dal giudice di merito
nel caso in esame e quale sia secondo la prospettazione del ricorrente, la
regola da applicare".
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A fini indicativi, questa
Corte (S.U. ord. 5 febbraio 2008 n. 2658) ha in proposito altresì affermato
che "potrebbe apparire utile il ricorso ad uno schema secondo il quale
sinteticamente si domandi alla Corte se, in una fattispecie quale quella
contestualmente e sommariamente descritta nel quesito (fatto), si applichi
la regola di diritto auspicata dal ricorrente in luogo di quella diversa
adottata nella sentenza impugnata", le ragioni della cui erroneità siano
state adeguatamente illustrate nel motivo.
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Alla luce dei principi così
elaborati da questa Corte, è evidente, dalla semplice lettura, che i quesiti
riprodotti sono in realtà formulati in termini di conclusioni, senza alcun
riferimento al principio di diritto affermato dai giudici di merito in
relazione alla situazione di fatto accertata, in ipotesi errato in quanto in
contrasto con altro opposto desumibile da una determinata norma di legge.
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Per di più, il secondo e il
terzo quesito, più che introdurre temi legati all'applicazione del diritto,
chiedono sostanzialmente a questa Corte di legittimità giudizi di fatto
nella valutazione delle risultanze istruttorie, secondo un modulo operativo
estraneo al nostro Ordinamento processuale.
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Il secondo e il quinto motivo
di ricorso sono viceversa fondati nei limiti che verranno di seguito
specificati, con conseguente assorbimento degli altri.
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Va anzitutto esclusa la
fondatezza della censura di ultrapetizione contenuta nel secondo motivo di
ricorso, in quanto risulta chiaramente dalla descrizione delle vicende
processuali operata dalla sentenza impugnata (e non specificatamente
contestata dalla ricorrente) che il dipendente, assumendo di rivestire la
qualifica di dirigente non apicale (e quindi medio o minore) aveva invocato,
in via principale, sulla scia di un orientamento giurisprudenziale allora
non univoco, la tutela legale contro i licenziamenti e, qualora viceversa
fosse stato ritenuto dirigente apicale, aveva chiesto, in via subordinata,
quella, contrattuale connessa alla ingiustificatezza del licenziamento.
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Va poi premesso che nella
evoluzione della elaborazione giurisprudenziale della nozione di dirigente
(vedine il puntuale riassunto in Cass. S.U. 30 marzo 2007 n. 7880) l'approdo
più recente è rappresentato dall'affermazione secondo la quale “la qualifica
di dirigente non spetta al solo prestatore di lavoro che, come "alter ego"
dell'imprenditore, ricopra un ruolo di vertice nell'organizzazione o,
comunque, occupi una posizione tale da poter influenzare l'andamento
aziendale, essendo invece sufficiente che il dipendente, per l'indubbia
qualificazione professionale, nonché per l'ampia, responsabilità in tale
ambito demandata, operi con un corrispondente grado di autonomia e
responsabilità, dovendosi, a tal fine, far riferimento, in considerazione
della complessità della struttura dell'azienda, alla molteplicità delle
dinamiche interne nonché alle diversità delle forme di estrinsecazione della
funzione dirigenziale (non sempre riassumibili a priori in termini compiuti)
ed alla contrattazione collettiva di settore, idonea ad esprimere la volontà
delle associazioni stipulanti in relazione alla specifica esperienza
nell'ambito del singolo settore produttivo " (cfr., tra le altre,
recentemente Cass. 24 giugno 2009 n. 14835).
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Ne consegue che tenendo conto
della possibile complessità delle strutture aziendali contemporanee, sono
qualificabili come veri e propri dirigenti anche quelli c.d. medi o minori
"sempre che rientrino nella previsione e definizione della contrattazione
collettiva, che ne può differenziare nell'ambito dell'autonomia negoziale
propria delle organizzazioni sindacali -pure la disciplina attraverso una
modulazione delle tutele rescissorie sulla base del grado di
rappresentatività, di autonomia e di responsabilità in concreto
riconosciuto" (così Cass. S.U. n. 7880/07, cit.).
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Restano peraltro esclusi dalla
disciplina speciale, legale e contrattuale collettiva, stabilita per la
categoria dei dirigenti unicamente "i c.d. pseudo-dirigenti cioè quei
lavoratori che seppure hanno di fatto il nome ed il trattamento dei
dirigenti, per non rivestire nell'organizzazione aziendale un ruolo di
incisività e rilevanza analogo a quelli dei c.d. dirigenti convenzionali
(dirigenti apicali, medi o minori), non sono classificabili come tali dalla
contrattazione collettiva".
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A tale personale sono
viceversa applicabili le tutele legali più incisive previste per il restante
personale in materia di limitazione del potere datoriale di licenziamento,
"non essendo praticabile uno scambio tra pattuizione di benefici economici
(e di più favorevole trattamento) e la tutela garantistica ad essi
assicurata, al momento del recesso datoriale, dalle leggi n. 604 del 1966 e
n. 300 del 1970” (così ancora le sezioni unite di questa Corte nella
sentenza del 2007 citata).
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Il collegio intende dare
continuità a tale orientamento - espresso anche al massimo livello di
esercizio della funzione nomofilattica -, in quanto esso assicura la
unitarietà della categoria, pur nella maggiore articolazione della figura
nella mutata realtà socioeconomica delle aziende, alla stregua del dettato
programmatico di cui all'art. 2095 c.c. con la prevista mediazione della
contrattazione collettiva di settore.
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Ciò premesso in via di
principio, si rileva che nel caso in esame, la Corte territoriale,
ancorché con qualche oscillazione terminologica, riconduce motivatamente le
mansioni del T. (descritte a pag. 55) alla declaratoria contrattuale
collettiva del dirigente (v. diffusamente la parte motiva e in particolare
pag. 58, in relazione alla declaratoria contrattuale riprodotta a pag. 41),
pur escludendo che l'appellante rivestisse la qualifica di dirigente
apicale.
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Quindi la Corte d'appello,
accomunando erroneamente la disciplina degli pseudo-dirigenti a quella dei
dirigenti convenzionali (nel senso indicato dalle sezioni unite) diversi da
quelli apicali (medi o minori), ha ritenuto applicabile anche al T., pur
qualificato - alla stregua della declaratoria contrattuale collettiva -
dirigente minore, la disciplina limitativa del potere di licenziamento di
cui alle leggi n. 604 del 1966 e 300 del 1970, che secondo i principi
richiamati è semmai riferibile unicamente a coloro che, pur ricevendo il
trattamento di dirigente, tali non sono qualificabili neppure alla stregua
della contrattazione collettiva di riferimento.
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Ne consegue che nel valutare
la risoluzione del rapporto di lavoro del T. con i parametri del
giustificato motivo soggettivo, collegando alla relativa assenza le
conseguenze di cui all'art. 18 della legge n. 300/70, come modificato
dall'art. 1 della legge n. 108/90, la Corte territoriale non ha fatto
corretta applicazione dell’art. 10 della legge n. 604 del 1962, che esclude
la categoria dei dirigenti dalla disciplina legale limitativa del potere di
licenziamento e pertanto la relativa censura formulata dalla società
ricorrente è fondata.
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La sentenza impugnata va
pertanto cassata, con rinvio ad altro giudice, che si atterrà al seguente
principio di diritto:
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"La disciplina limitativa del
potere di licenziamento di cui alle leggi nn. 604 del 1962 e 300 del 1970
non è applicabile, ai sensi dell'art. 10 della prima delle leggi citate, ai
dirigenti convenzionali, quelli cioè da ritenere tali alla stregua delle
declaratorie del contratto collettivo applicabile, sia che si tratti di
dirigenti apicali, che di dirigenti medi o minori, ad eccezione degli
pseudo-dirigenti, vale a dire di coloro i cui compiti non sono in alcun modo
riconducibili alla declaratoria contrattuale del dirigente ".
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Conseguentemente, il giudice
di rinvio dovrà valutare, alla luce delle deduzione delle parti, la
legittimità del comportamento della società oggetto della impugnazione nel
presente giudizio, stabilendo:
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- se sia legittima in un
rapporto di lavoro di tipo dirigenziale la previsione di una condizione
risolutiva espressa, con particolare riferimento a quella convenuta tra le
parti;
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- in caso affermativo, se i
fatti condizionanti la risoluzione, ove verificati, costituiscano o non, nel
caso in esame, giusta causa di recesso (ai fini dell'eventuale
riconoscimento dell'indennità sostitutiva del preavviso);
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- e se, ai fini dell’eventuale
riconoscimento della invocata indennità supplementare prevista dalla
contrattazione collettiva applicata al rapporto, la risoluzione del rapporto
di lavoro del (...) possa ritenersi giustificata alla stregua di tale
contrattazione.
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A quest'ultimo proposito è
stato infatti ripetutamente rilevato da questa Corte che la nozione
contrattuale di giustificatezza adottata da alcuni contratti collettivi per
la categoria dei dirigenti (tra i quali, pacificamente, quello applicabile
al rapporto di lavoro tra le parti) si discosti, sia sul piano soggettivo
che su quello oggettivo, da quella di giustificato motivo di cui all'art. 3
della legge 15 luglio1966 n. 604.
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Sul piano soggettivo, tale
asimmetria trova la sua ragion d'essere nel rapporto fiduciario che lega in
maniera più o meno penetrante al datore di lavoro il dirigente in ragione
delle mansioni a lui affidate per la realizzazione degli obiettivi
aziendali, per cui anche la semplice inadeguatezza del dirigente rispetto ad
aspettative riconoscibili ex ante o una importante deviazione del
dirigente dalla linea segnata dalle direttive generali del datore di lavoro
o un comportamento extralavorativo incidente sull'immagine aziendale a causa
della posizione rivestita dal dirigente possono, a seconda delle
circostanze, costituire ragione di rottura di tale rapporto fiduciario e
quindi giustificare il licenziamento a norma della disciplina contrattuale
dello stesso.
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Sul piano oggettivo, la
concreta posizione assegnata al dirigente nella articolazione della
struttura direttiva dell'azienda può inoltre divenire nel tempo non
pienamente adeguata nello sviluppo delle strategie di impresa del datore di
lavoro nell'esercizio della sua iniziativa economica e quindi rendere, anche
solo per questa minore utilità, giustificata la sua espulsione nei quadro di
scelte orientate ai miglior posizionamento dell'impresa sul mercato.
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Infine va ricordato che anche
la nozione legale di giusta causa di cui all'art. 2119 c.c. risente - sia
pure in misura più contenuta in quanto legata ad una definizione legale più
precisa dettata dall'esigenza di tener conto della maggiore gravità delle
conseguenze - dell'investimento di fiducia fatto dal datore di lavoro con
l'attribuire al dirigente compiti, di volta in volta strategici o comunque
di impulso, direzione e di orientamento nella struttura organizzativa
aziendale.
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Concludendo, nei termini
indicati in motivazione il ricorso va accolto e la sentenza impugnata va
cassata con rinvio, anche per il regolamento delle spese di questo giudizio
di cassazione, alla Corte d'appello di Cagliari in diversa composizione.
P.Q.M.
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Accoglie il ricorso, cassa la
sentenza impugnata e rinvia, anche per il regolamento delle spese di questo
giudizio, alla Corte d'appello di Cagliari in diversa composizione.
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(Torna alla
Sezione Mobbing)
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