Riconferma dell’onere probatorio in capo all’azienda per il cd. requisito dimensionale sotto i 15 dipendenti.

 

Corte di Cassazione - Sezione lavoro - Sentenza del 1 dicembre 2008, n. 28518 – Italo N. c. Banca Popolare di Puglia e Basilicata.

 

Licenziamento illegittimo – Requisito dimensionale aziendale – Onere probatorio – A carico del datore di lavoro e non del lavoratore dopo Cass. SU n. 141/2006 – Conseguente reintegra.

 

Incorre in errore il giudice che addebiti l'onere della prova in ordine alla sussistenza del requisito dimensionale di cui all'art. 18 dello Statuto dei lavoratori al prestatore di lavoro. L'onere di dimostrare le effettive dimensioni occupazionali dell'impresa, particolarmente ai fini di sottrarsi  - qualora sotto i 15 dipendenti - alla tutela reale e fruire della tutela obbligatoria più favorevole grava, infatti, sul datore di lavoro, potendosi addebitare al lavoratore, in tema di riparto dell'onere probatorio, solo quello di dimostrare sul piano processuale l'esistenza del rapporto di lavoro nonché l'illegittimità del provvedimento espulsivo.

 

Svolgimento del processo

 

Con ricorso alla corte di appello di Lecce Italo N. ha proposto appello avverso la sentenza del Tribunale di Taranto, che aveva annullato il licenziamento intimatogli dalla Banca Popolare di Puglia e Basilicata, soc. coop. a r.l., il 29 settembre 1999 per asserito superamento del periodo di comporto ed aveva condannato l'Istituto di credito a riassumere il lavoratore e, in mancanza, a risarcirgli in danno, corrispondendogli un'indennità pari a 14 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, oltre svalutazione monetaria ed interessi. Ha sostenuto nell'atto di impugnazione che avrebbe dovuto essergli riconosciuta la tutela reale di cui all'art. 18 della l. n. 300 del 1970.

La Banca Popolare, a sua volta, ha proposto appello incidentale. Con sentenza del 18 novembre 2004 la corte territoriale, premesso che, ai fini dell'applicazione della tutela reale in materia di licenziamenti, l'onere di dimostrare il numero dei lavoratori occupati è a carico del lavoratore, ha affermato che era da ritenersi tardiva la produzione dei documenti indicati nell'atto di appello e miranti a dimostrare che il numero dei dipendenti nella sede di Taranto e, più in generale, nel Comune di Taranto superava le 15 unità e che, inoltre, nel ricorso introduttivo non si faceva alcun cenno all'esigenza di tener conto di dipendenti della Banca Popolare dislocati al di fuori dell'agenzia con sede in Talsano (nella quale N. aveva prestato servizio), la cui idoneità a costituire un polo organizzativo funzionalmente autonomo non era stata in quella sede mai posta in discussione. Ha rilevato, inoltre, che i documenti che si era inteso produrre in primo grado erano solo quelli indicati “nella parte in fatto alla fine dei singoli punti contrassegnati da numeri progressivi” e che nessuno di essi riguardava il requisito numerico in relazione all'ambito di Talsano o ad altri ambiti territoriali. Ed ha rigettato, pertanto, l'appello principale, nonché quello incidentale, con il quale era censurata la ritenuta illegittimità del licenziamento.

Avverso tale sentenza Italo N. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi ed illustrato da memoria difensiva. La Banca Popolare ha resistito con controricorso.

 

Motivi della decisione

 

Il ricorso è fondato su due motivi.

Con il primo è denunziata la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 n. 3 c.p.c., degli artt. 415, 416, 421 e 437 c.p.c., nonché dell'art. 18 l. 300/70. Premesso che nell'atto di appello aveva dedotto che il requisito dimensionale risultava ancor più evidente se si considerava l'intero territorio del Comune di Taranto, ma soprattutto quello nazionale, il ricorrente lamenta che il giudice di appello gli abbia negato la produzione in giudizio non solo della visura presso la locale Camera di commercio, ma anche delle Relazione e del bilancio della Banca Popolare per gli anni 1999 e 2000, la cui formazione era successiva al deposito del ricorso di primo grado e dai quali emergeva in modo chiaro che i dipendenti dell'istituto bancario superavano - complessivamente - le 700 unità.

Con il secondo motivo - nel denunciare violazione e falsa applicazione, ex art. 360 n. 3 c.p.c., dell'art. 115 c.p.c. in relazione all'art. 74 disp. att. c.p.c. - il ricorrente lamenta che la corte d'appello abbia affermato che i documenti da lui depositati in primo grado non riguardassero il requisito dimensionale, quando egli, senza che fosse sollevata dalla controparte alcuna eccezione in ordine alla irritale produzione documentale già effettuata in primo grado, aveva esibito le relazioni e i bilanci della convenuta relativi agli anni 1992, 1995 e 1996, attraverso i quali si dimostrava che i dipendenti della Banca superavano in ambito nazionale le 60 unità.

La Corte ritiene il ricorso fondato. Premesso che in questa sede è esclusivamente in discussione l'applicabilità, nella fattispecie, della tutela obbligatoria ovvero di quella reale, si osserva che in grado di appello l'attuale ricorrente - come risulta dalla sentenza impugnata - aveva sostenuto che, ai fini del computo numerico richiesto dall'art. 18 della legge n. 300 del 1970, i dipendenti della unità di “Taranto tre”, con sede in Talsano, nella quale egli aveva prestato servizio, andavano sommati con quelli impiegati nell'agenzia centrale di Taranto, trattandosi di un'unica sede operativa ed anzi con quelli presenti nell'intero territorio di detto Comune (non essendo peraltro Talsano un comune a sé stante); e per dimostrare il proprio assunto aveva chiesto di produrre in giudizio idonea documentazione. In questa sede il ricorrente, oltre a ribadire quanto testé riportato, assume che nei motivi di impugnazione egli aveva altresì asserito che in territorio nazionale vi erano più di 60 dipendenti, e precisamente oltre 700, come emergeva dalle Relazioni di bilancio del quinto e sesto esercizio dell'Istituto di credito, pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale, delle quali pure aveva invano chiesto la produzione in giudizio dinanzi alla corte d'appello.

Di fronte alle doglianze formulate da N. , il giudice del gravame, premesso che “l'onere di dimostrare il numero dei dipendenti occupati è a carico del lavoratore”, ha ritenuto, sulla scia della giurisprudenza di questa Corte, che la produzione dei documenti attraverso i quali questi intendeva dimostrare che il numero dei dipendenti occupati presso l'istituto di credito fosse superiore a quello previsto dall'art. 18 cit., al fine di ottenere la tutela reale, fosse tardiva, una volta che essi non erano stati indicati nel ricorso introduttivo del giudizio né in quel grado depositati; e che, inoltre, in tale atto non si era fatto cenno dell'esigenza di tener conto del territorio di Taranto o di cumulare i dipendenti impiegati a Talsano con quelli occupati a Taranto, per cui doveva concludersi che legittimamente si era esclusa, nel caso in esame, l'applicabilità della tutela reale. Sennonché, le argomentazioni svolte dal giudice di appello si fondano tutte su una erronea premessa, quella, cioè, secondo cui ricadrebbe sul lavoratore l'onere di provare il superamento della soglia numerica di cui all'art. 18, comma 1, della legge 30 maggio 1970, n. 300, e succ. modif., al fine di ottenere la tutela reale da tale disposizione prevista; laddove - come è noto - è stato affermato da questa Corte (con sentenza delle Sezioni unite n. 141 del 2006) che in tema di riparto dell'onere probatorio in ordine ai presupposti di applicazione della tutela reale o obbligatoria al licenziamento di cui sia accertata l'invalidità, fatti costitutivi del diritto soggettivo del lavoratore a riprendere l'attività e, sul piano processuale, dell'azione di impugnazione del licenziamento sono esclusivamente l'esistenza del rapporto di lavoro subordinato e l'illegittimità dell'atto espulsivo, mentre le dimensioni dell'impresa, inferiori ai limiti stabiliti dall'art. 18 della legge n. 300 del 1970, costituiscono, insieme al giustificato motivo del licenziamento, fatti impeditivi del suddetto diritto soggettivo del lavoratore e devono, perciò, essere provati dal datore di lavoro.

Ne consegue che la questione relativa alla tardività della produzione documentale da parte di N. era, a ben vedere, irrilevante nella fattispecie. Una volta che questi aveva comunque dedotto in primo grado che nel caso in esame avrebbe dovuto trovare applicazione la tutela reintegratoria, sarebbe stato, infatti, onere della Banca resistente provare il mancato superamento del requisito dimensionale così come, essendo stato questo punto della decisione investito dall'atto di appello, l'accertamento di detta circostanza avrebbe dovuto essere compiuto dalla sentenza impugnata in conformità al principio di diritto dianzi richiamato, per cui già sotto questo profilo essa deve essere annullata, restando assorbito in tale statuizione il secondo motivo di ricorso. In conclusione, cassata la sentenza impugnata, la causa va rimessa ad altra corte di appello, designata come in dispositivo, la quale stabilirà, alla stregua dell'enunciata regula juris, se all'atto del licenziamento di cui trattasi fosse stata o meno superata la soglia numerica prevista dall'art. 18, comma 1, della legge n. 300 del 1970. Al medesimo giudice si rimette la decisione circa le spese processuali del presente giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

 

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese processuali, alla Corte d'appello di Bari.

 

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