L’ equivalenza delle mansioni nel P.I. si riscontra sulla base del contenuto delle qualifiche contrattuali

 

Cass., sez. lav., 5 dicembre 2008, n. 28843 – T.A. c. Ministero delle Finanze

 

Demansionamento nel Pubblico impiego privatizzato – Verifica dell’equivalenza delle mansioni – Criteri.

 

Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, il procedimento logico che il giudice di merito deve seguire per la valutazione delle mansioni si articola in tre fasi: a) accertamento delle mansioni previste dalla legge o dalla contrattazione collettiva per una data qualifica; b) accertamento delle concrete mansioni di fatto svolte dal lavoratore; c) comparazione tra queste e le previsioni normative (cfr. tra le tante Cass. n. 11037/2006, n. 17896/2007).

Ciò che rileva ai fini del procedimento in esame è la corrispondenza tra le mansioni di fatto affidate al lavoratore e quelle assegnate dalla contrattazione collettiva alla qualifica di appartenenza. Le mansioni previste per una data qualifica sono per volontà delle parti collettive equivalenti e non sono graduabili secondo un soggettivo giudizio di valore del lavoratore.

 

Svolgimento del processo

 

Con ricorso del 13.12.2000 al giudice del lavoro di Verona, T.A., dipendente del Ministero delle Finanze con inquadramento nella posizione (omissis), esponeva che al rientro in servizio nel (omissis) dopo un lungo periodo di aspettativa sindacale (dal (omissis), era stato adibito a mansioni inferiori rispetto a quelle di inquadramento cui era stato addetto prima dell'aspettativa ed era stato lasciato del tutto inoperoso per lunghi periodi. Chiedeva pertanto che venisse accertato il demansionamento subito dal (omissis) in avanti con conseguente condanna dell'Amministrazione ad adibire il ricorrente a mansioni conformi alla qualifica, e segnatamente a compiti di natura ispettiva. Chiedeva altresì la condanna del Ministero al risarcimento dei danni esistenziale e biologico subiti per effetto di tali illegittimi comportamenti del convenuto, da liquidarsi in via equitativa. Il Ministero delle Finanze si costituiva e resisteva.

Espletata l'istruzione, il Tribunale con sentenza depositata il 23.9.2002, respingeva il ricorso.

L'appello proposto da lavoratore veniva respinto dalla Corte di Appello di Venezia con sentenza depositata il 25.11.2004. La Corte territoriale, premesso che l'appellante non aveva rivendicato ex art. 2013 c.c., l'esercizio di mansioni superiori a quelle della qualifica di appartenenza, osservava che la declaratoria contrattuale della qualifica (omissis) delinea una figura professionale con competenze di carattere semplice e ripetitivo, anche con riferimento alle conclamate mansioni ispettive in precedenza svolte, limitate peraltro a tre ispezioni di breve durata. Riteneva pertanto che le mansioni assegnate al lavoratore al rientro in servizio rientravano indubbiamente nella categoria (omissis) di appartenenza. Quanto poi ai periodi di inattività, la Corte rilevava che dall'istruttoria testimoniale espletata in primo grado era emerso che essi non erano imputabili a condotta inadempiente dell'Amministrazione, ma, per un verso, alle difficoltà di inserimento del T. nei vari uffici cui era stato addetto per contrasti con i colleghi di lavoro e, per altro verso, al comportamento dello stesso lavoratore, che aveva più volte immotivatamente rifiutato lo svolgimento di alcune mansioni. Escludeva, in definitiva, che nel comportamento del datore di lavoro potesse ravvisarsi una condotta persecutoria con carattere sistematico e duraturo, tale da configurare il c.d. mobbing. Per la cassazione di tale sentenza T.A. ha proposto ricorso sostenuto da tre motivi. Il Ministero dell'Economia e delle Finanze resiste con controricorso.

 

Motivi della decisione

 

Si osserva preliminarmente che il controricorso del Ministero è tardivo, in quanto notificato il 26.10.2005, ben oltre il termine previsto dall'art. 370 c.p.c., visto che il ricorso è stato notificato il 9.5.2005. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione dell'art. 2103 c.c., in relazione all'art. 1362 c.c., e lamenta che il giudice di appello ha escluso l'applicabilità del disposto dell'art. 2103 cit. omettendo però di porre a raffronto il complesso delle mansioni svolte dal ricorrente prima dell'aspettative con il complesso delle mansioni affidategli dopo il suo rientro in servizio. Con il secondo motivo, denunciando violazione dell'art. 1362 c.c. e segg., il ricorrente sostiene che il giudice di appello ha erroneamente interpretato le norme contrattuali laddove ha affermato che la declaratoria della qualifica (omissis) delinea una figura professionale con competenze di carattere semplice e ripetitivo. Secondo il ricorrente le mansioni con caratteristiche di semplicità e ripetitività sono riferibili alla categoria (omissis) o al più alla categoria (omissis), mentre le mansioni della superiore categoria (omissis) sono caratterizzate da discreta complessità dei processi e delle problematiche da gestire e da autonomia e responsabilità nell'ambito delle prescrizioni di massima. Ha quindi errato il giudice di appello nel ritenercene le mansioni di fatto affidate al ricorrente (riordino delle cartoline di notifica e relativa correlazione con i verbali di contravvenzione, lavorazione degli atti di accertamento di violazioni in materia di sevizi telefonici cellulari, inserimento al terminale di dati desunti dalla documentazione cartacea) rientrassero tra quelle di competenza della qualifica (omissis). Con il terzo motivo, denunciando violazione degli artt. 2087, 2103 e 1460 c.c., nonché difetto di motivazione, il ricorrente si duole che il giudice di appello abbia imputato a colpa del lavoratore i periodi di mancata utilizzazione, non considerando che il Ministero, non utilizzando il lavoratore in determinati periodi senza emettere ordini scritti circa la sua destinazione e senza adottare misure disciplinari per il caso di inosservanza di detti ordini, si era reso responsabile di inadempimento contrattuale per non aver consentito al dipendente di effettuare la prestazione lavorativa, nonché di violazione degli artt. 2087 e 2103 c.c., che fanno obbligo al datore di lavoro di salvaguardare la professionalità e la dignità, oltre che la salute, dei propri dipendenti.

Il ricorso non è meritevole di accoglimento.

Il primo motivo è infondato.

Secondo il ricorrente per il giudizio di equivalenza a norma dell'art. 2103 c.c., il giudice di appello avrebbe dovuto mettere a raffronto il complesso delle mansioni svolte prima dell'aspettativa con quelle a lui affidate dopo il rientro. Tale tesi non può essere condivisa. Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, il procedimento logico che il giudice di merito deve seguire per la valutazione delle mansioni si articola in tre fasi: a) accertamento delle mansioni previste dalla legge o dalla contrattazione collettiva per una data qualifica; b) accertamento delle concrete mansioni di fatto svolte dal lavoratore; c) comparazione tra queste e le previsioni normative (cfr. tra le tante Cass. n. 11037/2006, n. 17896/2007). Questo procedimento logico risulta correttamente seguito dalla Corte di Appello e nessuna violazione dell'art. 2103 c.c., è di conseguenza ravvisabile. Ciò che rileva ai fini del procedimento in esame è la corrispondenza tra le mansioni di fatto affidate al lavoratore e quelle assegnate dalla contrattazione collettiva alla qualifica di appartenenza. Le mansioni previste per una data qualifica sono per volontà delle parti collettive equivalenti e non sono graduabili secondo un soggettivo giudizio di valore del lavoratore.

Parimenti infondato è il secondo motivo con il quale si denuncia violazione dei canoni di ermeneutica contrattuale nell'interpretazione della declaratoria contrattuale della qualifica (omissis). Per costante giurisprudenza di questa Corte, l'interpretazione dei contratti collettivi di diritto comune è riservata al giudice di merito ed è censurabile in sede di legittimità solo per vizi di motivazione o per violazione dei canoni di ermeneutica contrattuale; ha precisato la Corte che, ove la doglianza attenga alla violazione dei canoni interpretativi, il ricorrente deve precisare quale sia il principio violato ed in qual modo il ragionamento del giudice abbia da esso deviato, non essendo ammissibile un generico richiamo ai criteri astrattamente intesi e neppure una critica della interpretazione data dal giudice di merito che si risolva nella mera prospettazione di una interpretazione diversa da quella accolta nella sentenza impugnata (cfr. tra le tante Cass. n. 15653/2006, n. 1754/2006). Nella specie il ricorrente, mentre non precisa quale sia il canone ermeneutico violato dal giudice di appello, richiamando genericamente l'art. 1362 c.c. e segg., si limita a prospettare una propria interpretazione delle norme contrattuali che contengono le declaratorie delle qualifiche (omissis) ed a sostenere che la sua interpretazione è più corretta di quella accolta dalla Corte di Appello. La censura pertanto, si rivela inammissibile, prima ancora che infondata. Infondato, infine, è il terzo motivo di ricorso. Il ricorrente, contro ogni logica, addebita alla sentenza impugnata di non aver rilevato che l'inattività in cui è venuto a trovarsi in determinati periodi per aver rifiutato di svolgere le mansioni affidategli dal dirigente è imputabile all'Amministrazione, che non ha attivato i suoi poteri disciplinari per obbligarlo a lavorare. In tale omissione raffigura una violazione degli artt. 2087 e 2103 c.c., e addirittura un inadempimento contrattuale da parte del datore di lavoro valutabile ex art. 1460 c.c., Il capovolgimento delle posizioni tentato dal ricorrente è ardito quanto inconsistente. La mancata adozione di misure disciplinari da parte del datore di lavoro nei confronti del lavoratore inadempiente all'obbligo primario di prestare l'attività lavorativa viene prospettato come fatto illecito datoriale fonte di responsabilità per i pretesi danni biologici subiti, nonché giustificativo del proprio inadempimento. La violazione delle norme sopra richiamate è del tutto fantasiosa ed inconsistente e la censura priva di fondamento, atteso che il rifiuto del lavoratore di espletare le mansioni (proprie della qualifica di appartenenza, come in precedenza assodato) assegnategli dal datore di lavoro (non importa se con ordine scritto o verbale) si configura esso solo come inadempimento contrattuale, passibile di conseguenze negative per il datore di lavoro, non già per il contraente inadempiente. In definitiva il ricorso deve essere respinto. Nulla deve disporsi per le spese del giudizio di cassazione, poiché il controricorso è tardivo e l'Avvocatura erariale non ha partecipato alla discussione.

 

P.Q.M.

 

La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 1 ottobre 2008 (depositato in Cancelleria il 5 dicembre 2008)

 

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