Non assoggettabili ad Irpef gli indennizzi giudiziali risarcitori di danno da demansionamento

Cass., Sez. V (tributaria), 9 dicembre 2008, n. 28887 – Pres. Altieri - Rel. Bisogni - V.M. c. Ministero delle Finanze e Agenzia dell’Entrate.

Somme giudizialmente disposte a risarcimento danno alla professionalità e all’immagine – Imposizione ad Irpef – Esclusione.

La giurisprudenza di legittimità è ferma nel ritenere che in tema di imposte sui redditi, in base al dettato del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 6, comma 2, le somme percepite dal contribuente a titolo risarcitorio possono costituire reddito imponibile ma solo quando abbiano la funzione di reintegrare un danno concretatosi nella mancata percezione di redditi (Cassazione civile sezione 5^ n. 9111 del 21 giugno 2002 e n. 11682 del 21 maggio 2007).

Non sono pertanto fiscalmente assoggettabili le somme erogate a ristoro di danno da demansionamento, in quanto risarcitorie di danno emergente e non di lucro cessante.

 

Svolgimento del processo

V.M. otteneva la condanna del suo datore di lavoro al risarcimento dei danni da demansionamento liquidati dal Pretore di Milano (con sentenza n. 3660 del 22 ottobre 1997) in somma pari a L. 101.385.309. La Banca Nazionale dell'Agricoltura, datore di lavoro del V., gli accreditava la somma detraendo le ritenute fiscali pari a L. 41.567.976 che versava all'Esattoria Imposte dirette di Roma.

V.M. presentava quindi istanza di rimborso dell'IRPEF per L. 45.380.000 e impugnava il silenzio rifiuto dell'amministrazione finanziaria; riteneva infatti che la somma di cui alla condanna emessa dal Pretore di Milano non era soggetta a imposizione fiscale ai fini IRPEF in quanto non rappresentava alcuna reintegrazione di reddito patrimoniale non percepito ma piuttosto il risarcimento del danno alla professionalità e all'immagine derivato dal demansionamento. Il ricorso del contribuente veniva respinto in primo grado dalla Commissione Tributaria Provinciale (sentenza n. 87/10/01) e in appello dalla Commissione Tributaria Regionale di Milano (sentenza n. 45/23/03) che interpretava le disposizioni del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 6, comma 2, e quelle del D.L. n. 41 del 1995, nel senso dell'imponibilità dell'indennità percepita dal contribuente per essere in generale soggette "a tassazione le somme e i valori comunque percepiti anche a titolo risarcitorio a seguito di provvedimento dell'autorità giudiziaria relativa a questioni di lavoro".

Ricorre per cassazione V.M. affidandosi di impugnazione. Si difendono con controricorso il Ministero e l'Agenzia delle Entrate.

Motivi della decisione

Con il primo motivo di ricorso si deduce, in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 1, art. 6, comma 2, art. 48 e D.L. n. 41 del 1995, art. 32 (convertito in L. n. 85 del 1995). Con il secondo motivo di ricorso si deduce, in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 5, la omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia. Il ricorrente insiste nel sottolineare la natura di risarcimento non patrimoniale e non derivante dall'accertamento di una perdita reddituale del suo credito accertato in giudizio nei confronti del datore di lavoro e rivendica quindi il suo diritto al rimborso delle ritenute illegittimamente detratte dalla somma corrisposta dal datore di lavoro e non restituite dall'amministrazione finanziaria. Fa rilevare a tale proposito che nessuna diminuzione stipendiale si era verificata nel quadro dell'accertato demansionamento e afferma l'erroneità dell'interpretazione delle disposizioni di cui al D.P.R. n. 917 del 1986 e al D.L. n. 41 del 1995, recepita dalla CTR milanese.

Il ricorso è manifestamente fondato.

La giurisprudenza di legittimità è ferma nel ritenere che in tema di imposte sui redditi, in base al dettato del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 6, comma 2, le somme percepite dal contribuente a titolo risarcitorio possono costituire reddito imponibile ma solo quando abbiano la funzione di reintegrare un danno concretatosi nella mancata percezione di redditi (Cassazione civile sezione 5^ n. 9111 del 21 giugno 2002 e n. 11682 del 21 maggio 2007). Sicché ad esempio non sono assoggettabili a tributo l'indennità corrisposta dal datore di lavoro, a titolo di risarcimento del danno, per la reintegrazione delle energie psicofisiche spese dal lavoratore oltre l'orario massimo di lavoro da lui esigibile.

Il ricorso va pertanto accolto con conseguente cassazione della sentenza impugnata e decisione nel merito di accoglimento del ricorso introduttivo del contribuente diretto all'accertamento della non soggezione a tassazione IRPEF della somma percepita dalla Banca Nazionale dell'Agricoltura, a seguito della sopracitata sentenza n. 3660/1997 del Pretore di Milano, e al conseguente diritto al rimborso delle ritenute fiscali effettuate dal datore di lavoro. Sussistono i presupposti di legge per la compensazione delle spese dell'intero giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso introduttivo proposto in primo grado dal contribuente. Compensa le spese processuali dell'intero giudizio.

Depositato in Cancelleria il 9 dicembre 2008.

 

*****************  

Sulla non assoggettabilità a Irpef delle somme corrisposte ai lavoratore a titolo di risarcimento dei danni alla professionalità e all'immagine

 

Nonostante la vasta eco della sentenza in commento, i principi ivi affermati dalla Suprema Corte devono ritenersi assolutamente pacifici.

L'art 6 del DPR 22/12/86 n. 917 (Tuir) contenente il testo unico delle imposte sui redditi dopo aver individuato le varie categorie di reddito (1° comma), stabilisce, infatti, che solo «i proventi conseguiti in sostituzione di redditi (...) a titolo di risarcimento dei danni consistenti nella perdita di redditi, esclusi quelli dipendenti da invalidità permanente o morte, costituiscono redditi della stessa categoria di quelli sostituiti o perduti» (2° comma).

Tale norma, dunque, esclude in via generale dalla nozione di reddito «il risarcimento del danno per la parte destinato a reintegrare il patrimonio del percettore per le perdite subite e per le spese sostenute (danno emergente)» mentre «assoggetta a imposta sul reddito delle persone fìsiche» (facendoli rientrare nella stessa categoria dei redditi perduti) «gli indennizzi risarcitori del lucro cessante in quanto emolumenti sostitutivi di un reddito che il danneggiato non ha potuto conseguire per effetto dell'evento lesivo» (lucro cessante) con l'unica eccezione dei danni dipendenti da invalidità permanente o morte[1].

Alla luce dell'art. 6,2° comma Tuir, non possono quindi considerarsi reddito imponibile in capo al lavoratore le somme a questi corrisposte dal datore dì lavoro, ad esempio, a titolo di risarcimento dei danni alla salute, dei danni esistenziali sofferti a causa di infortuni sul lavoro o demansionamento[2], trattandosi di somme che vanno a risarcire un danno emergente e non la perdita di un reddito.

A questo proposito, non potrebbe fondatamente giungersi a diverse conclusioni né alla luce della nozione di reddito dipendente contenute nell'art 51,1° comma, Tuir né, per quanto riguarda le transazioni relative alla risoluzione di rapporti di lavoro subordinato, sulla base del disposto dell'art. 17, lett a) Tuir laddove si prevede l'assoggettamento a tassazione separata delle somme corrisposte al lavoratore «anche se a titolo risarcitorio» nell'ambito di tali transazioni.

Sotto il primo profilo, infatti, l'art. 6, 2° comma, Tuir detta un principio di carattere generale allorché distingue tra risarcimento del lucro cessante e risarcimento del danno emergente, escludendo quest'ultimo dall'imponibile conformemente al precetto costituzionale di cui all'art 53 Cost. secondo cui tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche, in base al criterio di progressività, «in ragione della loro capacità contributiva».

Il disposto dell'art 17, lett a) e lett c) Tuir, invece, disciplina le modalità del prelievo fiscale e tele norma non può certamente contemplare una deroga all'art 53 Cost e all'art 6, 2° comma, Tuir, con conseguente assoggettamento a Irpef (ancorché a tassazione separata) delle somme che costituiscono risarcimento del danno emergente, per il solo fatto di essere erogate nell'ambito di transazioni relative alla risoluzione del rapporto di lavoro subordinato[3].

In questo senso, del resto, si è pronunciata la giurisprudenza, anche della Corte Costituzionale[4], affermando che l'art 32,1° comma, DL 23/02/95 n. 41, conv. in L. 22/03/95 n. 85, con cui era stata introdotta l'attuale formulazione dell'art 17, lett a) Tuir[5], non ha apportato alcuna innovazione ai principi sanciti dall'art 6,2° comma, Tuir in materia di esclusione dalla nozione di reddito delle somme corrisposte a titolo di risarcimento del danno emergente, essendosi tale norma limitata a prevedere una particolare modalità di tassazione (separata) solo per quelle somme che costituiscono reddito imponibile secondo i principi generali[6].

Peraltro, giova ricordare che l'accordo transattivo non è opponibile all'amministrazione finanziaria con riferimento a quanto pattuito dalle parti in merito alla natura di risarcimento del danno emergente delle somme corrisposte al lavoratore ancorché si tratti di verbale di conciliazione sottoscritto innanzi al giudice del lavoro o in una delle sedi indicate dagli artt. 410 e 411 cpc. [7].

Nella materia in esame occorre comunque procedere con la massima prudenza, considerato che, nonostante gli obblighi gravanti sul sostituto d'imposta (ex artt. 23 e 24 DPR 600/73), il lavoratore è comunque tenuto ad adempiere all'obbligo tributario presentendo una dichiarazione fedele[8]. Inoltre, ai sensi degli artt. 23 e 24,1° comma, DPR 600/73, il sostituto d'imposte ha un obbligo di rivalsa nei confronti del sostituito e, pertanto, anche qualora l’amministrazione finanziaria si limitasse ad agire nei confronti del solo soggetto erogante per ottenere il pagamento dell'imposta omessa, questi potrebbe (anzi dovrebbe) sempre agire in via di rivalsa nei confronti del lavoratore/collaboratore per recuperare la stessa.

 

Renato Scorcelli

(fonte: Riv. crit. dir. lav. 4/2008, 1232)

 


 

[1] Così A. Uricchio, in L'imposta sul reddito delle persone fisiche, di D'Amati, Torino 1992, p. 40 e, nello stesso senso, tra le molte, Cass. sez. trib. 21/5/07 n. 11682, citata in motivazione; Cass. sez. trib. 17/8/04 n. 16014 in Mass. Giur. lav. 2004 917 e Cass. sez. trib. 24/7/03 n. 11501; Cass. sez. trib. 26/6/03 n. 10185; Cass. sez. trib. 14/11/02 n. 15991, in Rass. trib. 2003, n. 5,1748 con note di Galletti; Cass. sez. trib. 21/6/02 n. 9111, in Dir. e Giust. 2002,30, 74 citate in motivazione; Cass. sez. trib. 2/2/01 n. 1467, in Giur. Imp. 2001, 519. Cfr., tuttavia, Ris. n. 356/E del 7/12/07 dell'Agenzia delle entrate, secondo cui le somme corrisposte a un lavoratore autonomo a titolo di risarcimento del danno all'immagine costituirebbe il risarcimento di un lucro cessante, in quanto questo tipo di danno «reintegrerebbe» una «perdita di credibilità e di stima agli occhi della clientela» andando quindi a ristorare una lesione alla capacità del percepiente di produrre reddito, commentate criticamente da G. Rocchetti «Risarcimento del danno e reddito di lavoro autonomo», in Il Fisco 2008,2316. In tema, vedi anche R. Scorcelli, «Ancora in tema di mobbing», in questa Rivista 2005,181.

[2] Così, in tema, Arquilla, «Le indennità di natura risarcitoria erogate ai lavoratori dipendenti», in Corriere tributario 2003,1208; Crovato, I redditi di lavoro dipendente nel sistema delle imposte sui redditi, Padova 2001, p. 120 e sgg.; Fantozzi, Diritto tributario, Torino 1991, p. 581; Maiolino,«Imponibilità previdenziale e fiscale delle somme di transizione», in Guida al lavoro 2004 n. 32-33, 53; D'Andrea, «Erogazioni da accordi transattivi tra datore e lavoratore», ivi 2003, n.16, 64, Bodrito, «Le condizioni di non imputabilità delle indennità dei dipendenti», in Corriere tributario 2002,2795. Cfr. anche Agenzia delle Entrate, Ris. 27/5/02 n. 155/E.

[3] F. Marchetti, «Le somme corrisposte dal datore di lavoro per la cessazione del rapporto», in Corriere Tributario 2003,2397.

[4] In questo senso, si è pronunciato anche la Corte Costituzionale con l’ordinanza n. 292 del 7/7/05, depositata il 19/7/05 e leggibile su www.giurcost.org. La Corte Costituzionale, infatti, nel dichiarare la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art 32, 1° comma, lett a) DL 23/2/95 n. 41, convertito in L. 22/3/95 n. 85, ha evidenziato che l'assoggettamento a irpef delle somme percepite dal lavoratore a titolo di risarcimento del danno deriva non già da tale norma bensì dall'art 6, 2° comma, Tuir che, a tal fine, distingue, appunto, tra somme che costituiscono il risarcimento del danno emergente e somme che, invece, vengono corrisposte a titolo di risarcimento del lucro cessante, assoggettando a tassazione soltanto tali ultime erogazioni.

[5] Com'è noto, la norma in questione era state emanata dal legislatore del 1995 con finalità antielusive su sollecitazione del Servizio Ispettivo del Ministero delle Finanze (Secit) che, nella relazione sull'attività svolte nel 1991, aveva segnalato il frequente mancato assoggettamento a tassazione dette somme corrisposte al lavoratore a titolo di risarcimento dei danni nell'ambito di accordi transattivi relativi alla risoluzione del rapporto di lavoro.

[6] Così Cass. sez.trib. 16/9/05 n.18369; Cass. sez. trib. 17/8/04 n. 16014 cit; Cass. sez. trib. 24/7/03 n. 11501, cit.; Cass. sez. trib. 26/6/03 n. 10185, cit.;Cass, sez. trib., 14/11/02 n. 15991, cit; Cass. sez. trib. 2/2/01 n. 1467, cit.

[7] Così, tra te molte, Cass. sez. trib. 21/10/03 n. 3802, in Rass. trib. 2004, 1826 con nota di Galletti. Tale sentenza è particolarmente interessante in quanto si diffonde sulla rilevanza tributaria (alla luce della sopra menzionata distinzione tra risarcimento del lucro cessante e risarcimento del danno emergente) delle varie voci di danno (impoverimento delle capacità professionali, perdite di chances intese come possibilità di guadagno, lesione dell'integrità fisica e dell'immagine professionale, pregiudizio alla vita di relazione) che possono derivare in capo al lavoratore dalla violazione dell'art 2103 cc, per poi evidenziare che solo talune di queste voci possono ricondursi nella categoria del danno emergente con esclusione dall'imponibilità fiscale ai sensi dell'art 6,2° comma, Tuir. Alla luce di tali considerazioni, sarebbe senz'altro opportuno elencare in modo specifico ciascuna di tali voci sia nella formulazione delle conclusioni del ricorso del lavoratore che in sede di sentenza di condanna del datore di lavoro, in modo da consentire un corretto trattamento tributario delle somme conseguentemente percepite dal lavoratore.

[8] È, infatti legittimo l'avviso di accertamento a carico del lavoratore subordinato, rivolto a contestargli la mancata inclusione nella denuncia annuale di una componente del reddito tassabile, anche quando la stessa sia soggetta alle ritenute d'acconto prescritte dall'art 23 DPR 600/73 e il datore di lavoro abbia omesso di effettuarla. La sostituzione con ritenute d'acconto (e dovere di rivalsa) è delineata infatti come strumento per la più agevole e anticipata riscossione dell’imposta sui reddito dovuta dal percipiente e, quindi «senza implicare mutamento nella posizione del debitore d'imposta, aggiunge all'obbligazione di lui un dovere di pagamento a carico di chi eroga il reddito imponibile», cosi Cass. sez. trib. 1/8/2000 n. 10057, in Il Fisco 2001,4129 e, nello stesso senso, Cass. sez. trib. 3/3/03 n. 3107, ivi 2003,1879; Cass. sez. I, 28/2/2000 n. 2212, e Cass. sez. 121/3/2000 n. 3330. Secondo tale giurisprudenza, la posizione del sostituito nel caso di ritenuta a titolo di acconto si differenzia da quella del sostituito nell'ipotesi di ritenuta a titolo di imposte. In tal caso (ritenuta di imposte), infetti, si tratta di vera e propria imposte sostitutiva rispetto alla quale la posizione del sostituito è residuale e diviene operante soltanto se sia stata accertata l’omissione del sostituto in ordine sia alla ritenuta che al versamento. L'art 35 DPR 3/9/73 n. 60, in tema di ritenuta a titolo di imposte, configura infatti una responsabilità solidale del sostituito (per l'imposta evasa, soprattasse e interessi) che si fonda sul titolo costituito dalla iscrizione a ruolo del sostituto. In tema, A. Ghini, «I rischi che corrono  i lavoratori, ammministratori e altri sostituti per la non applicazione della ritenuta», in II Fisco 2001,4030.

 

(Torna alla Sezione Mobbing)