Risarcimento tabellare del danno non patrimoniale e necessaria personalizzazione

 

Cass. – Sezione terza civile – 11 gennaio 2007, n. 394 – Pres.  Di Nanni – Rel.  Massera – P. M. Uccella (parz. conf.) – Ricorrente Narducci

 

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 18 ottobre -19 dicembre 2001 il Tribunale di Roma condannava Enrico Grevo e la Bavaria Assicurazioni Spa (ora Milano Assicurazioni Spa) a pagare in solido ad Emanuela Narducci la somma di lire 162.387.700, a titolo di risarcimento danni da incidente stradale.

Con sentenza in data 8 marzo-20 aprile 2004 la Ca di Roma rigettava le contrapposte impugnazioni.

La Corte territoriale osservava per quanto interessa: l’accertamento del Ctu in ordine alla entità delle lesioni conseguenti al sinistro appare corretto e il danno morale è stato liquidato adeguatamente; l’abbandono dell’attività lavorativa e il trasferimento in Toscana non sono ricollegabili alle lesioni patite nel sinistro.

Avverso la suddetta sentenza la Narducci ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi,

La Milano Assicurazioni ha proposto ricorso incidentale articolato in tre censure.

 

Motivi della decisione

I due ricorsi vanno riuniti ai sensi dell’articolo 335 Cpc.

Con il primo motivo la ricorrente principale denuncia vizio di motivazione con riferimento alla liquidazione del danno biologico comprensivo di quello esistenziale, assumendo che non è stata valutata l’incidenza dell’evento lesivo sull’accelerazione della sclerosi, che prima del sinistro si trovava ancora allo stadio latente.

Inoltre lamenta che sono state applicate pedissequamente le tabelle del Tribunale di Roma senza alcun riferimento alle peculiarità del caso concreto.

Il motivo si articolata, dunque, in due censure la prima delle quali risulta infondata poiché la Corte territoriale ha esplicitamente preso in esame il tema della accelerazione dei tempi della malattia raccordandosi a quanto ritenuto in proposito dal Ctu (dal testo della sentenza risulta che, proprio in considerazione della predetta accelerazione, la valutazione del danno è stata elevata dal 18% al 28%).

Come si evince dalle argomentazioni poste a sostegno della censura, in realtà la Narducci contesta soprattutto le valutazioni espresse dal Ctu, ma tale doglianza non può trovare ingresso in questa sede poiché si verte in tema di apprezzamento di merito che la sentenza impugnata, riferendosi ovviamente alla consulenza tecnica, ha motivato in termini sufficienti e razionali, tra l’altro sottolineando che dalle indagini del Ctu è emerso che la sclerosi multipla si era già manifestata in epoca antecedente al trauma di almeno un anno.

Parimenti infondata è la seconda censura, poiché essa pecca di assoluta genericità.

Anche recentemente questa Corte ha ribadito (Cassazione 11039/06) che unica possibile forma di liquidazione – per ogni danno che sia privo, come il danno biologico e il danno morale, delle caratteristiche della patrimonialità – è quella equitativa, sicchè la ragione del ricorso a tale criterio è insita nella natura stessa di tale danno e nella funzione del risarcimento realizzato mediante la dazione di una somma di denaro, che non è reintegratice di una diminuzione patrimoniale, ma compensativa di un pregiudizio non economico, con la conseguenza che non si può fare carico al giudice di non avere indicato le ragioni per le quali il danno non può essere provato nel suo preciso ammontare – costituente, in linea generale, la condizione per il ricorso alla valutazione equitativa (articolo 1226 Cc) – giacchè intanto una precisa quantificazione pecuniaria è possibile, in quanto esistano dei parametri normativi fissi di commutazione, in difetto dei quali il danno non patrimoniale non può mai essere provato nel suo preciso ammontare, fermo restando, tuttavia, il dovere del giudice di dare conto delle circostante di fatto da lui considerate nel compimento della valutazione equitativa e del percorso logico che lo ha condotto a quel determinato risultato.

In particolare, la liquidazione del danno biologico può essere effettuata dal giudice, con ricorso al metodo equitativo, anche attraverso l’applicazione di criteri predeterminati e standardizzati, quali le cosiddette “tabelle” (elaborate da alcuni uffici giudiziari), ancorché non rientrino nelle nozioni di fatto di comune esperienza, né risultano recepite in norme di diritto, come tali appartenenti alla scienza ufficiale del giudice. La liquidazione equitativa del danno morale, poi, può essere legittimamente effettuata dal giudice sulla base delle stesse “tabelle” utilizzate per la liquidazione del danno biologico, portando, in questo caso, alla quantificazione del danno morale – in misura pari ad una frazione di quando dovuto dal danneggiante e a titolo di danno biologico – purché il risultato, in tal modo raggiunto, venga poi “personalizzato” tenendo conto della particolarità del caso concreto e della reale entità del danno, con la conseguenza che non può giungersi a liquidazioni puramente simboliche o irrisorie.

Ribadita, dunque, la legittimità del ricorso alla liquidazione equitativa tabellare, osserva la Corte che la sentenza impugnata ha tenuto conto della peculiarità della fattispecie e che, per contro, la ricorrente non ha addotto argomentazioni specifiche per dimostrare eventuali errori o omissioni, né ha spiegato quali altri elementi sarebbe stato necessario valorizzare, dal momento che la Corte territoriale ha considerato l’entità delle lesioni conseguenza diretta del trauma, l’effetto accelerativo spiegato sulla malattia che si era già manifestata, la non incompatibilità di essa con l’attività lavorativa espletata, la natura delle lesioni, la durata della malattia, l’entità dei postumi.

Con il secondo motivo la ricorrente lamenta vizio di motivazione anche con riferimento al danno da inabilità lavorativa generica e specifica e al danno morale.

Detto motivo, anche con riferimento al quale valgono le osservazioni precedenti, si raccorda alla prima delle censure contenute nel motivo precedente e risultata, al pari di essa, infondata, poiché la Corte territoriale ha, sia pure sinteticamente, motivato in ordina ad entrambe le questioni.

La ricorrente contesta ancora una volta le indicazioni del Ctu e le conseguenti valutazioni del giudice di appello, svolgendo considerazioni che implicano necessariamente apprezzamenti di fatto non consentiti in questa sede, considerato che la motivazione della sentenza impugnata non presenta, in proposito, omissioni rilevanti, né fratture logiche evidenti.

Pertanto il ricorso principale va rigettato.

Con il primo motivo del ricorso incidentale la Milano Assicurazioni denuncia vizio di motivazione con riferimento alla liquidazione del danno sotto il profilo che la Ca non avrebbe tenuto conto dei precedenti eventi morbosi e traumatici evidenziati anche dal Ctu.

La censura è manifestamente infondata in quanto la sentenza impugnata ha fatto proprie le valutazioni del Ctu che, proprio per quanto riferito dalla stessa ricorrente incidentale, aveva considerato gli eventi pregressi.

In realtà anche la Milano, come già la Narducci, contesta gli accertamenti e le valutazioni del Ctu, quindi anche la sua doglianza è infondata per le medesime ragioni illustrate superiormente.

Con il secondo motivo la Milano lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in tema di condanna alle spese dei due gradi di giudizio.

Il Tribunale prima e la Ca dopo hanno applicato il principio della soccombenza sostanziale, restando nei limiti del potere discrezionale che la normativa attribuisce nella materia al giudice.

D’altra parte la censura è espressa in termini assolutamente generici, tali da determinare l’inammissibilità.

Con il terzo motivo la Milano chiede la restituzione delle somme erogate nel caso di accoglimento del ricorso incidentale.

Trattasi di motivo che presuppone l’accoglimento dei primi due e che, pertanto, resta travolto dalla infondatezza di essi.

Anche il ricorso incidentale va, dunque, rigettato.

Si ritiene sussistano giusti motivi per compensare interamente le spese del giudizio di cassazione.

PQM

Riunisce i ricorsi e li rigetta. Spese compensate.

 

Danno biologico e morale: il giudice può impiegare le "tabelle" ma deve sempre personalizzare la liquidazione

 

Dalla Suprema corte di cassazione una conferma dell'utilizzabilità delle cd. «tabelle» ai fini della liquidazione del danno non patrimoniale, sia nella voce del danno biologico che in quella del danno morale. Con la precisazione, del massimo rilievo, che il giudice non può mai venir meno al proprio dovere di dar conto delle specifiche circostanze di fatto considerate ai fini della liquidazione e di «personalizzare» adeguatamente la medesima.

Questo, in sintesi, il responso della sentenza 394/2007 consultabile tra gli arretrati del 16 gennaio scorso.

 

La vicenda. Una donna subisce lesioni in un incidente stradale. Ne sorge una lite, nel corso della quale il giudice dispone come di consueto Ctu medico legale per la quantificazione del danno biologico patito dalla vittima. Sulla base dell'accertamento tecnico, poi, egli decide la causa, liquidando alla donna il dovuto, oltre che per danno biologico, per danno morale, calcolato in una frazione del primo. Confermata la pronuncia in appello, la danneggiata, in sede di legittimità, lamenta che il giudice, ai fini della liquidazione, abbia applicato pedissequamente le «tabelle» del tribunale di Roma senza alcun riferimento alle peculiarità del caso concreto: peculiarità consistenti essenzialmente in ciò, che le lesioni conseguite al sinistro avrebbero determinato un'accelerazione della sclerosi multipla da cui ella era già prima affetta.

La Sc riconosce la legittimità della liquidazione equitativa, sulla base delle «tabelle», di entrambe le voci di danno, ma ammonisce che il giudice non può in nessun caso discostarsi - cosa che nel caso esaminato, peraltro, non aveva fatto - dall'obbligo di attenta personalizzazione della liquidazione.

 

La liquidazione necessariamente equitativa del danno non patrimoniale

La pronuncia ha anzitutto osservato, senz'altro esattamente, che il danno non patrimoniale, nelle due voci del danno biologico (in questo caso comprensivo del danno esistenziale definibile come «dinamico») e di quello morale, non può che essere oggetto di liquidazione equitativa, ai sensi dell'articolo 1226 Cc.

Unica possibile forma di liquidazione - per ogni danno che sia privo, come il danno biologico ed il danno morale, delle caratteristiche della patrimonialità - è difatti quella equitativa, giacché la ragione del ricorso a tale criterio è insita nella natura stessa del danno non patrimoniale e nella funzione del risarcimento realizzato mediante la dazione di una somma di denaro, che non è reintegratrice di una diminuzione patrimoniale, ma compensativa di un pregiudizio non economico (Cassazione 11039/2006, inedita; Cassazione 8386/2006, in Guida al lav., 2006, 27, 35; Cassazione 20320/2005, in Foro it., 2006, I, 2097; Guida al dir., 2005, 44, 54; Fam. e dir., 2006, 253; Danno e resp., 2006, 510; Dir. e formaz., 2006, I, 34; Cassazione 14645/2003, inedita; Cassazione 8827/2003, in Giur. it., 2004, 1129; Danno e resp., 2003, 831; Nuova giur. civ. comm., 2004, 233; Foro it., 2003, I, 2273; Corr. giur., 2003, 1017; Guida al dir., 2003, 25, 38; Cassazione 484/2003, in Foro it., 2003, I, 1502; Giur. it., 2003, 2254; Arch. giur. circ. sin. strad., 2003, 600).

Corollario del principio appena esposto, secondo il medesimo indirizzo, è l'affermazione che il giudice non incorre in violazione dell'articolo 1226 Cc - violazione certamente configurabile, altrimenti, in materia di liquidazione equitativa del danno patrimoniale - se omette di indicare le ragioni per le quali il danno non può essere provato nel suo preciso ammontare, giacché in tanto una precisa quantificazione pecuniaria è possibile, in quanto esistano parametri normativi fissi di commutazione, in difetto dei quali il danno non patrimoniale non può essere mai provato nel suo preciso ammontare.

Tuttavia - ripete costantemente la Sc - rimane fermo il dovere del giudice del merito di dar conto delle circostanze di fatto da lui considerate nel compimento della valutazione equitativa, nonché del percorso logico che lo ha condotto al risultato finale della liquidazione, in ordine al quale egli deve considerare tutte le circostanze del caso concreto, quali, in caso di lesioni fisiche, l'attività svolta dal danneggiato, le condizioni sociali e familiari, la gravità delle lesioni e degli eventuali postumi permanenti.

 

L'impiego delle «tabelle»

Come procedere, dunque, alla liquidazione del danno non patrimoniale? Se si tratta di danno biologico, come tutti sanno, il giudice può fare applicazione di criteri predeterminati e standardizzati, quali quelli previsti dalle cosiddette «tabelle» elaborate da molti uffici giudiziari, sebbene queste non rientrino nelle nozioni di fatto di comune esperienza, né siano recepite in norme di diritto. Anche la liquidazione equitativa del danno morale, poi, può essere legittimamente effettuata - stando ancora al costante insegnamento della Sc - sulla base delle stesse «tabelle» utilizzate per la liquidazione del danno biologico, in misura percentuale di esso. E può qui incidentalmente aggiungersi che, invece, la terza voce di cui si compone il danno non patrimoniale, ossia il danno esistenziale, non si presta (almeno per ora e fintanto che il numero dei precedenti non sarà massiccio) all'impiego di barème, data l'eterogeneità delle ripercussioni attraverso cui esso può realizzarsi (sul tema si veda la nota Cassazione, Su, 6752/2006, in Danno e resp., 2006, 852; Not. giur. lav., 2006, 179; Riv. it. dir. lav., 2006, 687; Mass. giur. lav., 2006, 478; Gius. civ., 2006, I, 1443; Foro it., 2006, I, 2334; Orient. giur. lav., 2006, 86; Riv. crit. dir. lav., 2006, 473; Giur. it., 2006, 1359; Dir. prat. lav., 2006, 1057; Corr. giur., 2006, 791).

Ebbene, le regole di base che presiedono all'applicazione della liquidazione tabellare sono state fissate dalla Sc in una dettagliata pronuncia (Cassazione 4852/1999, in Foro it., 1999, I, 2874; Danno e resp., 1999, 1104; Giur. it., 2000, 479; Nuova giur. civ. comm., 2000, 226) da cui emerge che:

a) l'impiego delle «tabelle» si basa sul «potere-dovere di procedere alla liquidazione con criterio equitativo ai sensi degli articoli 2056 e 1226 Cc»;

b) il fondamento delle «tabelle» è la «media dei precedenti giudiziari in un dato ambito territoriale e la finalità è quella di uniformare i criteri di liquidazione», sicché, se adotta la «tabella» elaborata presso il proprio ufficio giudiziario, il giudice è di regola esonerato dall'indicare le ragioni della scelta;

c) se, viceversa, il giudice «adotta, come è certamente nel suo potere equitativo, le “tabelle” in uso presso altri uffici giudiziari, poiché ciò si discosta da quella che è la funzione tipica delle “tabelle” (fissare criteri tendenzialmente uniformi in una data sede giudiziaria …), deve motivare perché».

 

La personalizzazione della liquidazione

L'adozione delle «tabelle» - pur costruite in considerazione dei parametri dell'età e del grado di invalidità del soggetto leso - non esonera però il giudice dall'obbligo di personalizzare la liquidazione in funzione degli aspetti concreti della lesione patita dal danneggiato.

La mancanza dell'opera di personalizzazione, infatti, comporterebbe, di fatto, l'abdicazione del giudice al potere di liquidazione equitativa in favore dei criteri rigidi ed automatici previsti dalle «tabelle», pur in assenza di una previsione legale in tal senso (per quest'affermazione, oltre a Cassazione 4852/1999, cit., v., tra le altre, Cassazione 20323/2005, in Arch. giur. circ. sin. strad., 2006, 14; Cassazione 4186/2004, in Arch. giur. circ. sin. strad., 2004, 879; Cassazione 11376/2002, in Assicurazioni, 2003, 31; Cassazione 11704/2003, in Not. giur. lav., 2004, 170; Cassazione 10996/2003, inedita; Cassazione 13445/2004, in Arch. giur. circ. sin. strad., 2005, 33).

Il giudice, insomma, deve provvedere ad un'applicazione flessibile delle «tabelle», definendo una regola ponderale su misura per il caso specifico e motivando congruamente in ordine all'adeguamento dell'importo riconosciuto alla peculiarità del caso.

Anche nella liquidazione del danno morale, poi, il dato scaturito delle «tabelle» predisposte per la liquidazione del danno biologico va adattato alle circostante della vicenda. Si trova infatti affermato che la liquidazione equitativa del danno morale può essere legittimamente effettuata dal giudice sulla base delle stesse «tabelle» utilizzate per la liquidazione del danno biologico portando, in questo caso, alla quantificazione del danno morale - in misura pari ad una frazione di quanto dovuto dal danneggiante a titolo di danno biologico - purché il risultato in tal modo raggiunto, anche in tale ipotesi, venga poi «personalizzato», tenendo conto delle particolarità del caso concreto e della reale entità del danno (da ultimo Cassazione 11039/2006, inedita).

Il giudice di merito deve allora tener conto, nell'effettuare la valutazione delle effettive sofferenze patite dall'offeso, della gravità dell'illecito e di tutti gli elementi della fattispecie concreta, in modo da rendere il risarcimento adeguato al caso (Cassazione 10996/2003, inedita). Il potere di liquidazione equitativa, in tale ipotesi, trova un limite soltanto quando la quantificazione del danno appaia manifestamente simbolica, irrisoria, o per nulla correlata con le premesse di fatto in ordine alla natura ed all'entità del pregiudizio dal medesimo giudice accertate (Cassazione 11039/2006, inedita; Cassazione 4186/2004, in Arch. giur. circ. sin. strad., 2004, 879).

 

Una modesta obiezione

I principi che si sono esposti appaiono quasi per intero condivisibili. Ma, forse, non del tutto condivisibili.

Dopo la «svolta» giurisprudenziale del 2003 (Cassazione 8828/03 e 8827/03 insieme a Corte cost. 233/03) molti tasselli del puzzle della responsabilità civile sono venuti a trovarsi fuori posto. Uno degli effetti della «svolta» è consistito in una -  non ancora pienamente meditata - rivalutazione del danno morale soggettivo, che si è almeno virtualmente affrancato dalla evidente condizione di inferiorità che lo affliggeva. Secondo l'interpretazione tradizionale dell'articolo 2059 Cc, infatti, era la componente sanzionatoria a prevalere nel danno morale, che poteva essere riconosciuto soltanto in caso di reato. Oggi, nel nuovo articolo 2059 Cc, il danno morale sembra aver conquistato un rilievo mai in precedenza posseduto quale componente, equiordinata ai danni biologico ed esistenziale, del danno non patrimoniale.

Ebbene, se fino alla «svolta» il danno morale soggettivo è stato perlopiù ricondotto alla indistinta, opaca, approssimativa nozione di «turbamento dell'animo transeunte», sorge oggi la questione di approfondire l'effettivo contenuto della sofferenza in cui il danno morale si compendia. Ma, così stando le cose, ha effettivamente senso, tuttora, affermare che il danno morale soggettivo può essere liquidato quale frazione del biologico?

E perché mai - bisognerebbe chiarire - la misura della lesione medico-legale dovrebbe essere anche misura della sofferenza?

 

(fonte: D&G del 19.1.2007)

Mauro Di Marzio -Magistrato

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