- Risarcimento del
danno da demansionamento su basi presuntive
Cass., sez. lav., 26 febbraio 2009, n. 4652
Danno da
demansionamento - Desumibile da indici presuntivi - Risarcibilità anche del
pregiudizio alle chances di carriera.
Ove
sia stato accertato il demansionamento professionale del lavoratore, il giudice
del merito, con apprezzamento di fatto incensurabile in cassazione se
adeguatamente motivato, può desumere l'esistenza del relativo danno,
determinandone anche l'entità in via equitativa, con processo logico - giuridico
attinente alla formazione della prova, anche presuntiva, in base agli elementi
di fatto relativi alla qualità e quantità della esperienza lavorativa
pregressa, alla natura della professionalità coinvolta, alla durata del
demansionamento, all'esito finale della dequalificazione e alle altre
circostanze del caso concreto. (Nel caso di specie la Corte di merito, lungi
dal ritenere la sussistenza di un danno in re ipsa, come erroneamente dedotto
dalla società ricorrente, ha ritenuto provata, sia pure in via presuntiva,
l'esistenza del danno derivante dall'accertato demansionamento. Ed infatti, dopo
aver evidenziato gli aspetti essenziali delle mansioni in precedenza svolte dai
lavoratori, qualificate dalle funzioni di coordinamento e dall'autonomia
organizzativa ed operativa nella soluzione dei problemi attinenti a guasti
concernenti apparecchi ed impianti, la Corte ha osservato che le nuove mansioni
erano caratterizzate da compiti di mera manualità. Ciò ha comportato, in
particolare, un danno alla carriera anche in relazione alla possibilità di
ulteriore qualificazione professionale. E' stato inoltre attribuito rilievo alla
durata del demansionamento considerata, anche alla luce dell'anzianità di
servizio, come indice dell'esperienza professionale).
Svolgimento del
processo
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Il
Tribunale di Napoli, in accoglimento della domanda proposta da I.A., F.F. e
C.G. nei confronti della datrice di lavoro Poste Italiane s.p.a., dichiarava
l'illegittimità del provvedimento, in data 8 febbraio 1999, col quale i
lavoratori erano stati adibiti a nuove mansioni e condannava la suddetta
società alla reintegrazione degli stessi nelle mansioni precedentemente
svolte o in altre equivalenti nonché al risarcimento del danno professionale
liquidato in un importo pari ad un mese di retribuzione per ogni mese di
adibizione a mansioni non equivalenti.
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La Corte
d'appello di Napoli accoglieva parzialmente il gravame proposto da Poste
Italiane s.p.a. e per l'effetto, in parziale riforma della sentenza
impugnata, condannava la Poste Italiane s.p.a. al risarcimento dei danni
subiti dai lavoratori da quantificarsi per I.A. ... omissis ... per C.G. e
F. F. nel 100% della retribuzione mensile ... omissis ... solo per i primi
tre anni dal 8.2.99 e nella misura del 50% della detta retribuzione mensile
per il periodo successivo fino alla data della presente sentenza.
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Rilevava in
primo luogo che dovevano considerarsi provate, in quanto tardivamente
contestate, le mansioni svolte dagli appellanti fino al 8 febbraio 1999 ed
incontestate le nuove mansioni agli stessi assegnate dopo la suddetta data.
Riteneva che dal confronto delle suddette mansioni fosse emersa in modo
palese la dequalificazione professionale atteso che le nuove mansioni, di
tipo meramente esecutivo, non corrispondevano alla professionalità acquisita
in precedenza dai lavoratori ed anzi non erano nemmeno riconducibili
all'area operativa nella quale gli stessi erano inquadrati. Affermava poi
che il suddetto comportamento aziendale non poteva trovare giustificazione
in esigenze tecnico-organizzative atteso che tali esigenze possono
legittimare solo un mutamento di mansioni equivalenti ma non certo l'adibizione
a mansioni inferiori.
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Con
riferimento alla richiesta di condanna al risarcimento dei danni derivanti
dal demansionamento, riteneva che l'esistenza e l'entità del danno potessero
desumersi in via presuntiva tenuto conto anche della durata della
dequalificazione e dell'anzianità dei lavoratori, e procedeva pertanto ad
una determinazione del danno in via equitativa. In particolare affermava che
l'avvenuto demansionamento non poteva aver avuto la medesima incidenza
lesiva per tutto il periodo; ed infatti con il trascorrere del tempo il
progressivo processo di adattamento del lavoratore alla nuova situazione
lavorativa aveva certamente determinato una diminuzione del danno.
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Per la
cassazione della sentenza propone ricorso Poste Italiane s.p.a. affidato a
due motivi; i lavoratori resistono con controricorso; le parti hanno
depositato memoria illustrativa.
Motivi
della decisione
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1.
Preliminarmente deve osservarsi che in corso di causa è stato depositato un
verbale di conciliazione in sede sindacale fra Poste Italiane s.p.a. e I.A.
concernente la controversia in esame.
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Dal
suddetto verbale di conciliazione, debitamente sottoscritto dal lavoratore
interessato, oltre che dal rappresentante delle Poste Italiane s.p.a.,
risulta che le parti hanno raggiunto un accordo transattivo concernente la
controversia de qua.
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Ad avviso
del Collegio il suddetto verbale di conciliazione si palesa idoneo a
dimostrare la cessazione della materia del contendere nel giudizio di
cassazione ed il conseguente sopravvenuto difetto di interesse delle parti a
proseguire il processo; alla cessazione della materia del contendere
consegue pertanto la declaratoria di inammissibilità del ricorso proposto
nei confronti di I. in quanto l'interesse ad agire, e quindi anche ad
impugnare, deve sussistere non solo nel momento in cui è proposta l'azione o
l'impugnazione, ma anche nel momento della decisione, in relazione alla
quale, ed in considerazione della domanda originariamente formulata, va
valutato l'interesse ad agire (Cass. S.U. 29 novembre 2006 n. 25278).
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In
definitiva il ricorso deve essere dichiarato inammissibile per sopravvenuta
carenza di interesse.
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Tenuto
conto del contenuto dell'accordo transattivo intervenuto tra le parti, si
ritiene conforme a giustizia compensare integralmente tra le stesse le spese
del giudizio di cassazione.
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2.
Col primo motivo la società ricorrente denuncia violazione degli artt. 2697
e 1223 cod. civ. nonché vizio di motivazione su punti decisivi della
controversia. Premesso che, in applicazione dei principi enunciati da Cass.
S.U. 24 marzo 2006 n. 6572, il danno (e in particolare quello esistenziale)
conseguente al demansionamento deve essere provato dal lavoratore e può
essere risarcito solo in quanto conseguenza diretta ed immediata di quella
forma di inadempimento derivante dalla dequalificazione, censura la sentenza
impugnata sull'assunto che la stessa avrebbe disapplicato i suddetti
principi avendo ritenuto sussistere un collegamento automatico fra
demansionamento e diritto al risarcimento del danno. Osserva altresì che la
domanda dei ricorrenti era priva di allegazioni in ordine all'esistenza di
un pregiudizio effettivo di natura patrimoniale direttamente derivante dal
(presunto) demansionamento.
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3.
Il motivo è infondato.
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Questa
Corte Suprema (Cass. 26 novembre 2008 n. 28274) ha recentemente stabilito
che, ove sia stato accertato il demansionamento professionale del
lavoratore, il giudice del merito, con apprezzamento di fatto incensurabile
in cassazione se adeguatamente motivato, può desumere l'esistenza del
relativo danno, determinandone anche l'entità in via equitativa, con
processo logico - giuridico attinente alla formazione della prova, anche
presuntiva, in base agli elementi di fatto relativi alla qualità e
quantità della esperienza lavorativa pregressa, alla natura della
professionalità coinvolta, alla durata del demansionamento, all'esito finale
della dequalificazione e alle altre circostanze del caso concreto.
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Nel caso di
specie la Corte di merito, lungi dal ritenere la sussistenza di un danno
in re ipsa, come erroneamente dedotto dalla società ricorrente, ha
ritenuto provata, sia pure in via presuntiva, l'esistenza del danno
derivante dall'accertato demansionamento. Ed infatti, dopo aver evidenziato
gli aspetti essenziali delle mansioni in precedenza svolte dai lavoratori,
qualificate dalle funzioni di coordinamento e dall'autonomia organizzativa
ed operativa nella soluzione dei problemi attinenti a guasti concernenti
apparecchi ed impianti, la Corte ha osservato che le nuove mansioni erano
caratterizzate da compiti di mera manualità. Ciò ha comportato, in
particolare, un danno alla carriera anche in relazione alla possibilità di
ulteriore qualificazione professionale. E' stato inoltre attribuito rilievo
alla durata del demansionamento considerata, anche alla luce dell'anzianità
di servizio, come indice dell'esperienza professionale.
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Ad avviso
del Collegio si tratta di un apprezzamento di fatto che, in quanto
adeguatamente e logicamente motivato, è incensurabile in sede di
legittimità, in applicazione del principio di diritto sopra enunciato.
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Deve
sottolinearsi che la soluzione adottata non è in contrasto con i principi
recentemente affermati dalle Sezioni Unite di questa Corte (Cass. 11
novembre 2008 n. 26972) atteso che il danno individuato dalla Corte di
merito, concernente, in sostanza, la menomazione della capacità
professionale del lavoratore ha natura patrimoniale (Cass. S.U. 24 marzo
2006 n. 6572).
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Né, infine,
appare fondata l'ulteriore censura, contenuta nel primo motivo di ricorso,
secondo cui i lavoratori non avevano ottemperato all'onere di allegazione
relativamente alla sussistenza di un danno derivante dal demansionamento.
Basterà osservare che la sentenza impugnata ha sottolineato che i lavoratori
avevano allegato la sussistenza, in conseguenza del demansionamento subito,
di una lesione della loro professionalità e di un danno alla carriera. Di
tale allegazione si trova del resto conferma anche nel ricorso proposto da
Poste Italiane s.p.a., nel quale infatti si riconosce che i lavoratori
avevano lamentato, in particolare, la sussistenza di un danno grave
consistente nell'impossibilità di avvalersi del patrimonio professionale
acquisito attraverso l'esercizio quotidiano di compiti richiedenti
specifiche conoscenze professionali e nella perdita del corredo delle
cognizioni e capacità professionali acquisite.
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4.
Col secondo motivo la società ricorrente denuncia vizio di motivazione su un
punto decisivo della controversia costituito dalla soppressione dei posti di
lavoro occupati dai dipendenti fino alla data del 8 febbraio 1999. Deduce di
aver puntualmente allegato, sia nella memoria difensiva nel giudizio di
primo grado, sia nel ricorso in appello, la circostanza relativa alla
ristrutturazione dell'organizzazione aziendale nell'ambito della quale le
mansioni alle quali erano assegnati i lavoratori erano state soppresse, con
la conseguente impossibilità di una loro utilizzazione in mansioni
equivalenti. La sentenza impugnata aveva omesso di valutare la legittimità,
o meno, del mutamento di mansioni alla luce della suddetta circostanza.
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5.
Il motivo è inammissibile. Secondo l'insegnamento di questa Corte (Cass. 27
gennaio 2006 n. 1755) l'omessa pronuncia su alcuni dei motivi di appello -
così come, in genere, l'omessa pronuncia su domanda, eccezione o istanza
ritualmente introdotta in giudizio - risolvendosi nella violazione della
corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, integra un difetto di
attività del giudice di secondo grado, che deve essere fatto valere dal
ricorrente non con la denuncia della violazione di una norma di diritto
sostanziale ex art. 360 c.p.c., n. 3 o del vizio di motivazione ex art. 360
c.p.c., n. 5, in quanto siffatte censure presuppongono che il giudice del
merito abbia preso in esame la questione oggetto di doglianza e l'abbia
risolta in modo giuridicamente non corretto ovvero senza giustificare (o non
giustificando adeguatamente) la decisione al riguardo resa, ma attraverso la
specifica deduzione del relativo error in procedendo - ovvero della
violazione dell'art. 112 cod. proc. civ., in relazione all'art. 360 c.p.c.,
n. 4 - la quale soltanto consente alla parte di chiedere e al giudice di
legittimità - in tal caso giudice anche del fatto processuale - di
effettuare l'esame, altrimenti precluso, degli atti del giudizio di merito
e, così, anche dell'atto di appello. La mancata deduzione del vizio nei
termini indicati, evidenziando il difetto di identificazione del preteso
errore del giudice del merito e impedendo il riscontro ex actis
dell'assunta omissione, rende, pertanto, inammissibile il motivo.
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6.
Il ricorso nei confronti di C. e F. deve essere in definitiva rigettato.
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7.
Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
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La Corte
dichiara inammissibile il ricorso nei confronti di I. e compensa fra lo
stesso e Poste Italiane s.p.a. le spese del giudizio di cassazione; rigetta
il ricorso nei confronti di C. e F. e condanna la società ricorrente a
rimborsare agli stessi le spese processuali, liquidate complessivamente in
Euro 30,00, oltre Euro 2.000 per onorari e oltre spese generali, IVA e CPA,
da distrarsi a favore dell'avv. Gerardo Russillo, antistatario.
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Così deciso
in Roma, nella Camera di consiglio, il 27 novembre 2008.
Depositato in
Cancelleria il 26 febbraio 2009.
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