Danno morale, no alla liquidazione in automatico nella misura pari alla metà del danno biologico

 

Cassazione – Sezione terza civile - 15 marzo 2007, n. 5987 – Pres. Duva – Rel. Petti - PM Velardi (diff.) - Ricorrente: Ravazzolo – Controricorrente: L’Edera assicurazioni Spa

 

Danno morale  - Liquidazione automatica tabellare in misura pro-quota del danno biologico – Illegittimità – Necessità di personalizzazione al caso concreto.

 

Il danno morale ha una sua propria autonomia, inerendo alla integrità morale della persona umana ed al valore universale della dignità, che comprende l’integrità morale, nella ricostruzione della inviolabilità dei diritti data dalle Corti di Giustizia europee e dalla stessa Costituzione europea.

Il fondamento del danno morale da illecito, ed in particolare da un illecito civile che si accompagna ad un illecito penale, è la lesione della integrità morale della persona. Occorre allora sistemare la figura del danno (che è la componente concreta del danno ingiusto che procura l’illecito o il delitto) che lede la integrità morale della persona, in una dimensione europea e costituzionalmente orientata.

Si vuol dire che il principio informatore dell’ordinamento giuridico italiano, per la inviolabilità dei diritti umani è nella realizzazione di un sistema ampio di tutela, che deve essere ripristinatoria o satisfattiva, per gli effetti e conseguenze civili. La incongruità della determinazione tabellare o pro quota del danno morale, non deriva dall’automatismo (che non esprime l’eguaglianza, ma un discrimine per la persona lesa), ma dalla pretesa (dei tabellatori) di considerare il valore della salute e della sua perdita, come valore doppio rispetto alla integrità morale ed alla sua perdita, sia pure contestuale ad un fatto lesivo della salute.

Una volta ammessa la costituzionalizzazione dell’articolo 2059, con le sentenze gemelle del maggio 2003, e consolidato questo orientamento dalla corte Costituzionale n. 233/03, il successivo passo sistematico consiste nella costituzionalizzazione del danno morale, e cioè nel dare alla figura un referente Costituzionale, posto che si tratta di danno alla persona, o meglio di una conseguenza di un illecito ascrivibile a condotta colposa dell’uomo, che provoca un danno non patrimoniale morale.

La stessa recente apertura delle Su civili, al riconoscimento del danno esistenziale, come figura autonoma ma costituzionalmente consolidata (cfr.Cassazione, Su, 6572/06 e la successiva Cassazione 13546/06) conferma la esigenza di un unico conforme orientamento in tema di danno non patrimoniale inerente alla persona ed ai suoi diritti inviolabili.

Le considerazioni svolte, confermano la fondatezza della censura, posto che appare arbitraria, illogica, discriminante e giuridicamente illegittima, la automatica valutazione del danno morale, nella misura della metà del danno biologico grave, essendo violato il principio informatore del risarcimento totale del danno realmente subito, iuxta allegata et probata, dalla vittima.

Le tabelle possono avere un valore sussidiario, ma la vittima ha il pieno diritto di richiedere una equità circostanziata e ponderata, con un miglior sforzo di attenzione alle condizioni umane della vittima e dei suoi stretti congiunti.

 

Svolgimento del processo

 

Iolanda Ravazzolo, con citazione del 9 agosto 1996, nella veste di pedone danneggiato, conveniva dinanzi al Tribunale di Latina Cadau Marco (proprietario assicurato del motorino investitore), il conducente Di Silvio Antonio (minorenne, e per esso i genitori Orlando di Silvio e Vera di Silvio) nonché la assicuratrice L’Edera in bonis, chiedendone la condanna in solido al pagamento di tutti i danni, patrimoniali e non patrimoniali, conseguenti all’investimento avvenuto sulle strisce pedonali, mentre attraversava la Piazza san Marco di Latina il 13 aprile 1995.

Si costituiva l’impresa e deduceva il concorso di colpa del pedone, agendo in manleva verso i genitori del minore.

Interveniva in lite l’Assitalia, la quale chiedeva il rimborso, da parte dei convenuti, della somma di lire 42.455.950, che aveva corrisposto alla Ravazzolo sulla base di polizza infortuni. Il giudizio era interrotto per la messa in liquidazione della impresa l’Edera in data 18 dicembre 1997 ed era quindi riassunto dalla Ravazzolo nei confronti della impresa rappresentata dal Commissario liquidatore e della Assitalia.

Istruita la lite il tribunale di Latina,con sentenza del 23 aprile 2001 dichiarava Di Silvio Antonio responsabile esclusivo del sinistro e condannava i coniugi Di Silvio ed il Cadau al risarcimento dei danni patiti dalla Ravazzolo, nella misura complessiva di lire 374.455.950 ed alla rifusione delle spese di lite e compensava tra la impresa designata e quella in liquidazione le spese di lite. Il tribunale rilevava in particolare che la riassunzione era irrituale nei confronti del Commissario liquidatore della L’Edera in nome e per conto del fondo di garanzia e che la unica legittimata passiva era l’impresa designata, nei confronti della quale non era stato integrato il contraddittorio.

Avverso la decisione proponeva appello la Ravazzolo, in punto di legittimazione del Commissario liquidatore della L’Edera ed in punto di ridotta liquidazione dei danni. Tutte le controparti restavano contumaci in appello ad eccezione della impresa in liquidazione che resisteva chiedendo il rigetto dello appello.
Con sentenza depositata il 25 gennaio 2005 la Corte di appello di Roma così decideva: rigetta l’appello e condanna l’appellante alla rifusione, in favore dell’appellata L’Edera, delle spese del grado.

Contro la decisione ricorre la Ravazzolo con unico articolato motivo, contenente sette censure, resiste l’assicuratrice L’Edera, in persona del Commissario liquidatore con controricorso.

 

Motivi della decisione

 

Il ricorso merita accoglimento per quanto di ragione.

Il motivo peraltro si articola in varie censure che occorre considerare secondo l’ordine logico.

Per ragioni di chiarezza espositiva seguiremo nella analisi dei motivi la puntualizzazione data dal ricorrente con le lettere da A.a. sino ad A.f.

A.a (ff XX del ricorso)

La censura pregiudiziale, che attiene alla integrità del contraddittorio, concerne la partecipazione al giudizio di secondo grado della impresa in liquidazione e della impresa designata in nome e per conto del Fondo di Garanzia.

Sul punto la ricorrente sostiene la difettosità della motivazione contenuta alle pagine da 7 a 9 della sentenza di appello, assumendo come giuridicamente errata la estromissione dal processo, fatta dalla Corte di appello, delle due imprese di assicurazione, una in liquidazione coatta (ma in bonis al tempo della citazione) e l’altra quale impresa designata a rispondere in luogo della impresa in liquidazione, che pure aveva preso parte al giudizio di primo grado, con intervento volontario. Tali errori configurano lesione delle norme speciali sulla legittimazione attiva e passiva contenute nelle leggi RCA ed in particolare nell’articolo 1 del Dl 576/78 ed articolo13 della legge 39/1977, nonché degli articoli106 e 267 cpc (sull’intervento del terzo Assitalia) e vengono dedotti come errores in iudicando ai sensi dell’articolo 360 n.3 Cpc (v.ricorso ff XX).

Le censure, che attengono all’atto di riassunzione posto in essere dopo la interruzione del processo, nei confronti della società L’Edera, in persona del Commissario Liquidatore e nei confronti della società Assitalia in proprio, sono, ad avviso di questa Corte, fondate in relazione alla idoneità dell’atto di riassunzione nei confronti della impresa in liquidazione, ed infondate in relazione alla sua idoneità in ordine alla vocatio in ius della Assitalia quale impresa designata.

Dal riscontro degli atti processuali (posto che la questione attiene alla regolare costituzione di un litisconsorzio processuale) emerge che l’atto di riassunzione del 18 dicembre 1997 nei confronti del Commissario Liquidatore della società L’Edera posta in liquidazione coatta, recava la dizione in nome e per conto del Fondo di Garanzia, ma risulta anche che detta società si è costituita per resistere alle domande proposte con l’atto di riassunzione che si rifaceva alla citazione originaria,ed in tale veste ha partecipato al giudizio di primo grado ed anche agli ulteriori gradi sino alla Cassazione. In sostanza La Edera in liquidazione, rappresentata dal suo liquidatore, ha interesse sostanziale a contraddire, anche per la sola pronuncia di accertamento dell’illecito e delle responsabilità riferite all’originario rapporto di assicurazione RCA ed allo accoglimento o al rigetto delle pretese risarcitorie. Non sembra dunque che la errata formula apposta dal riassumente fosse tale da rendere l’atto nullo o inidoneo alla vocatio in ius, posto che andava invece esaminato il suo intero contenuto, e che, comunque la costituzione in giudizio e l’accettazione del contraddittorio aveva un effetto sanante, tale da impedire la estromissione dalla lite. Non senza rilevare che la vocatio in ius era stata successivamente integrata nei confronti della L’Edera, rappresentata dal Commissario liquidatore, con richiesta di condanna in solido con la impresa designata e che tale atto non risulta travolto da alcuna nullità.

La società in liquidazione ha dunque preso parte, ne la qualità, al giudizio di primo grado, e tale partecipazione sana qualsiasi irregolarità della citazione, che ha realizzato il suo scopo di mantenere in giudizio un litisconsorte processuale, nei cui confronti opporre l’accertamento dei crediti risarcitori.

Sul punto la decisione del giudice di appello (ff 7 e v.dispositivo) di confermare la statuizione di estromissione dalla lite presa dal primo giudice, è giuridicamente errata, dovendosi ritenere presente in lite e ritualmente costituita la società posta in liquidazione e raggiunta da atto di citazione in riassunzione.

L’accoglimento del motivo di ricorso, su tale punto, sarà tenuto in considerazione dal giudice del rinvio, in relazione all’accoglimento di una parte degli altri motivi del ricorso che attengono alla corretta valutazione delle voci di danno.

Non è invece fondata la censura sulla irrituale vocatio in ius della Assitalia, la quale ha partecipato al giudizio di primo grado con intervento in proprio e per un rapporto assicurativo privato con la parte infortunata. L’impresa Assitalia è stata correttamente citata, quale impresa designata, solo nella fase dell’appello, restando contumace e correttamente la corte di appello (ff 9 ) rileva il difetto del contraddittorio in primo grado, confermando la statuizione del primo giudice sul punto.

Non senza rilevare che, per questa seconda censura, difetta l’interesse ad impugnare, da parte del danneggiato, posto che già il tribunale di Latina aveva dichiarato opponibile la sentenza nei confronti della Assitalia quale impresa designata, in forza della comunicazione della lite. Statuizione ribadita dalla Corte di appello (a ff 9 della motivazione).

La censura risulta pertanto infondata e deve ritenersi estranea la Assitalia, quale impresa designata, alla partecipazione alla procedura ancora in essere e dunque nella fase del giudizio di rinvio.

A.b. (seconda censura, ff XXIII del ricorso).

La censura (che in parte argomentativa segue anche nel punto A.c.) concerne la ridotta liquidazione del danno biologico, in relazione alla omessa liquidazione della cd. inabilità, prima del consolidamento degli esiti invalidanti; prosegue inoltre (nel punto A.c.) in relazione alla ridotta valutazione della invalidità permanente, deducendosi che l’applicazione non personalizzata delle tabelle milanesi conduce ad un risarcimento parziale; si assume che nella personalizzazione era da includere la perdita della vita di relazione e la perdita del lavoro intesa come perdita della capacità produttiva.

La censura è fondata nella parte relativa alla omessa liquidazione: la lesione della salute, intesa come menomazione della integrità psicofisica, con invalidità permanente, nella prassi valutativa medico legale, include un periodo di inabilità psicofisica, a carattere temporaneo, durante il quale l’infortunato riceve le cure necessarie per la sua guarigione (che non implica un recupero totale delle condizioni biologiche) ed abbisogna di riposo e di medicazioni e medicine e spesso di assistenza. Questa condizione di infermità (assoluta o relativa) è considerata come parte integrante di un danno biologico liquidato sulla base dei giorni necessari alla guarigione, secondo tabelle orientative del tribunale, che assicurano una parità di trattamento. Ovviamente l’infortunato può dare la prova di aver subito un danno superiore, in relazione alla natura e gravità della lesione ed alle condizioni soggettive del suo vivere quotidiano.

Questa parte di danno biologico, rilevante, per il lungo periodo di malattia e di degenza(per 120 gg di inabilità assoluta e 120 di inabilità totale, come documentato), e per la gravità delle lesioni (indicate dai medici di fiducia pari al 40% e ridotte dal CTU al 31%) non risulta liquidata (cfr ff 9 della motivazione della sentenza impugnata) e pertanto la censura deve trovare accoglimento, avendo la parte lesa diritto alla liquidazione totale del danno.

La seconda parte della censura non può trovare accoglimento per difetto di specificità ed autosufficienza. Non contiene infatti la puntuale illustrazione delle ragioni, né la puntuale contestazione dei punti della sentenza, da cui poter desumere che l’applicazione delle tabelle attuariali milanesi sia stata fatta senza tener conto di condizioni soggettive personalizzanti, né i calcoli da comparare a quelli dei giudici milanesi, né le circostanze rilevanti ad illustrare le due componenti relative alla incidenza negativa sulle attività quotidiane (come condizioni soggettive delle abitudini personali compromesse) ed alla perdita della vita di relazione (aspetti dinamico relazionali come condizioni soggettive socialmente rilevanti).

La specificità della censura, quando si deduce l’error in iudicando, per essere violato il principio informatore del risarcimento integrale della menomazione biologica da illecito della circolazione, consiste nel indicare esattamente le poste risarcitorie pretermesse e le circostanze e le prove dedotte per la loro esatta consIderazione.

Nel codice delle assicurazioni, in vigore dal 1 gennaio 2006, il principio regolatore del risarcimento totale del danno biologico da illecito della circolazione è chiaramente espresso negli articoli 138 e 139, mediante la definizione analitica del danno biologico, definizione tratta sia dal diritto vivente (che include le note pronunce della Corte Costituzionale a partire da quella organica del 14 giugno 1986, per finire con quella sistematica del 11 luglio 2003 n 233 che colloca il danno biologico nell’ambito dell’articolo 2059 Cc, a sua volta costituzionalmente orientato ed aperto alla tutela di diritti inviolabili della persona), e si deduce proprio dalla definizione analitica di tale danno, secondo nuovi criteri nazionali, prevedendo tabelle medico legali nazionali (per la valutazione delle varie menomazioni secondo tipologie ) e tabelle attuariali (per il valore dell’equivalente economico) ed un ulteriore correttivo in relazione a condizioni soggettive.

Orbene, se nel caso di specie, che attiene a lesioni gravi, non è ancora applicabile la tabella medico legale approvata dalla Commissione costituita ma non dal nuovo Governo che non l’ha rinnovata o prorogata, il parametro attuariale delle tabelle milanesi, resta quello maggiormente testato (in relazione al maggior numero dei casi da valutare) e dunque è pienamente utilizzabile nell’ambito della valutazione dell’illecito civile, ai sensi dell’articolo 2056 Cc.

Solo deducendo e dimostrando che il parametro del tribunale territorialmente competente era superiore a quello adottato, era possibile contestare la congruità del criterio adottato, per la valutazione di un danno non patrimoniale.

Quanto poi alle due componenti sociali del danno biologico, che accompagnano la valutazione della lesione (menomazione) psicofisica, la definizione data dal codificatore delle assicurazioni private, altro non è che la riproduzione puntuale della definizione data dalla Commissione ministeriale nel preambolo in cui essa illustra le tabelle medico legali nazionali, approvate ed in vigore. Tale rilievo, evidenziato dalla più attenta dottrina, è giuridicamente rilevante, posto che evidenzia un consensus tra medicina legale e legislatore codificante, in ordine alla natura complessa del danno biologico, che deve essere risarcito per la totalità in tutti i suoi elementi biologici e sociali (intesi come perdite o incidenze negative del fare o del pensare o del partecipare).

Se questa è la situazione del diritto vivente, confermata da questa Corte, a partire dalle innovative sentenze del 31 maggio 2003  seguite dalla sentenza della Cassazione  10035/04, che confermava le ragioni del trasloco sistematico della tutela della lesione della salute sotto l’ambito del danno non patrimoniale, lasciando invariata la complessità del danno ed i criteri di risarcimento elaborati dalla giurisprudenza, appare evidente che non basta dedurre la perdita della vita di relazione o della socialità o della capacità lavorativa (cioè di componenti essenziali del danno biologico lieve o grave), ma occorre darne la prova anche in via presuntiva.

La deduzione difetta dunque di specificità posto che per un principio di completezza avrebbe dovuto indicare che già nella domanda iniziale tali componenti erano state indicate e richieste e quindi provate.

In conclusione le censure in esame debbono essere accolte limitatamente al riconoscimento del diritto ad avere una liquidazione analitica del periodo di inabilità permanente come medicalmente documentato. Nel resto la valutazione del danno e della sua gravità (nella misura del 31%) appare espressione di un prudente apprezzamento equitativo e satisfattivo.

La terza censura (A.c. pag XXVI del ricorso) che attiene alla quantificazíone errata del danno biologico, applicandosi erroneamente le tabelle di Milano e non il calcolo patrimoniale suggerito dall’articolo4 della legge 39/1977 è già venuta in esame nelle considerazioni che precedono. Legittima l’applicazione delle tabelle, inconferente il riferimento a criteri reddituali per un danno non patrimoniale.

A.d. (quarta censura, pag XXVIII del ricorso).

Si deduce la ridotta liquidazione del danno morale,  liquidato in automatico nella misura pari alla metà del danno biologico fisico e si contesta come apparente e apodittica la motivazione data (ff 10) dalla Corte di appello, che si limita a confermare la prima valutazione.

Il motivo deve essere accolto per la ragione che non risponde alle censure svolte dalla vittima, che ha ampiamente dedotto le sue traversie, la discriminazione da parte del datore di lavoro (una impresa di assicurazione che risolve il rapporto con il proprio agente infortunato), le sofferenze patite.

Questa Corte, in funzione di nomofilachia, intende ribadire i principi espressi nelle recenti sentenze (Cassazione 1877/06 e Cassazione  15760/06) da questa stessa sezione, con una migliore puntualizzazìone del principio informatore, secondo cui il danno morale ha una sua propria autonomia, inerendo alla integrità morale della persona umana ed al valore universale della dignità, che comprende l’integrità morale, nella ricostruzione della inviolabilità dei diritti data dalle Corti di Giustizia europee e dalla stessa Costituzione europea nell’articolo II-61 che bene si coordina con gli articolo 2 e 3 della Costituzione italiana. (cfr:Corte UE 30 settembre 2003 causa C‑224 Kobler, Corte di Lussemburgo, 19 novembre 1991 Frankovic, e vedi anche l’articolo 41 della CEDU che consente alla Corte del Consiglio di Europa di condannare lo Stato che ha violato un diritto fondamentale, anche attraverso la giurisdizione).

La riflessione sistematica è dunque la seguente: nello spazio di giustizia e di libertà posto dalla Unione europea e dalla sua Legge fondamentale, il valore universale della dignità umana, include l’integrità morale a pieno titolo, alla pari della integrità fisìca e psichíca e del diritto alla vita. (cfr:Cassazione 15760/06, nel testo integrale, che evidenzia tale ricostruzione in esteso).

Il fondamento del danno morale da illecito, ed in particolare da un illecito civile che si accompagna ad un illecito penale, è la lesione della integrità morale della persona. Occorre allora sistemare la figura del danno (che è la componente concreta del danno ingiusto che procura l’illecito o il delitto) che lede la integrità morale della persona, in una dimensione europea e costituzionalmente orientata.

Si vuol dire che il principio informatore dell’ordinamento giuridico italiano, per la inviolabilità dei diritti umani è nella realizzazione di un sistema ampio di tutela, che deve essere ripristinatoria o satisfattiva, per gli effetti e conseguenze civili. La incongruità della determinazione tabellare o pro quota del danno morale, non deriva dall’automatismo (che non esprime l’eguaglianza, ma un discrimine per la persona lesa), ma dalla pretesa (dei tabellatori) di considerare il valore della salute e della sua perdita, come valore doppio rispetto alla integrità morale ed alla sua perdita, sia pure contestuale ad un fatto lesivo della salute.

Una volta ammessa la costituzionalizzazione dell’articolo 2059, con le sentenze gemelle del maggio 2003 appena ricordate, e consolidato questo orientamento dalla corte Costituzionale, il successivo passo sistematico consiste nella costituzionalizzazione del danno morale, e cioè nel dare alla figura un referente Costituzionale, posto che si tratta di danno alla persona, o meglio di una conseguenza di un illecito ascrivibile a condotta colposa dell’uomo, che provoca un danno non patrimoniale morale.

La stessa recente apertura delle Su civili, al riconoscimento del danno esistenziale, come figura autonoma ma costituzionalmente consolidata (cfr.Cassazione, Su, 6572/06 e la successiva Cassazione 13546/06) conferma la esigenza di un unico conforme orientamento in tema di danno non patrimoniale inerente alla persona ed ai suoi diritti inviolabili.

Le considerazioni svolte, confermano la fondatezza della censura, posto che appare arbitraria, illogica, discriminante e giuridicamente illegittima, la automatica valutazione del danno morale, nella misura della metà del danno biologico grave, essendo violato il principio informatore del risarcimento totale del danno realmente subito, iuxta allegata et probata, dalla vittima.

Le tabelle possono avere un valore sussidiario, ma la vittima ha il pieno diritto di richiedere una equità circostanziata e ponderata, con un miglior sforzo di attenzione alle condizioni umane della vittima e dei suoi stretti congiunti.

A.e (quinta censura, ff XXX del ricorso).

Parimenti fondata è la censura sulla illegittimità della esclusione della perdita della capacità lavorativa specifica, esclusa con apodittica e sintetica motivazíone (a ff.IO della sentenza impugnata).

Come ha esaurientemente spiegato la ricorrente (sin dalle prime difese) due erano le prove rilevanti della esistenza della perdita economica: la gravità delle lesioni, che impedivano l’attività locomotoria e relazionale di agente assicurativo, la decisione dell’impresa di sciogliere il rapporto di lavoro a causa della contratta invalidità. Il giudice del merito disponeva di prove scientifiche (sulla cinestèsì lavorativa) e documentali (scioglimento del rapporto subito dopo la guarigione con postumi invalidanti) da cui desumere (non presuntivamente, ma razionalmente data l’evidenza delle prove) la esistenza di un danno certo per la attualità, per la causalità giuridica diretta, per il suo permanere come perdita di chances lavorative future. Tanto andava liquidato, considerando anche il criterio suggerito dall’articolo 2057, trattandosi dì danno permanente e patrimoniale alla persona. La norma affida al giudice il potere autonomo di provvedere alla liquidazione tenendo conto delle condizione delle parti (impresa di assicurazione e suo dipendente) e della natura del danno (che preclude l’attività professionale).

Sussiste dunque l’omessa pronuncia su voce debitamente richiesta e provata.

A.f. ( Sesta censura, ff.XXXIV del ricorso).

Resta assorbita la censura in ordine al computo di interessi e rivalutazione sulla entità dei danni liquidati, posto che il calcolo complessivo dovrà tener conto dei corretti criteri di valutazione sin qui definiti.

A.g ( Settima censura, ff XXXV del ricorso)

Parimenti resta assorbita la censura relativa alla corretta liquidazione delle spese processuali, posto che tale valutazione sarà nuovamente fatta dal giudice del rinvio anche per la attribuzione delle spese del giudizio di cassazione.

La cassazione è con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Roma, che si atterrà ai principi di diritto come sopra precisati, anche per la costituzione del contraddittorio nei confronti della L’Edera assicurazioni spa in liquidazione.

 

POM

 

Accoglie per quanto di ragione il ricorso,cassa in relazione e rinvia anche per le spese del giudizio di cassazione ad altra sezione della Corte d’appello di Roma.

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