La dequalificazione del tecnico di commutazione costa all'azienda un terzo delle retribuzioni per tutto il periodo di demansionamento

 

Cass., sez. lav., 18 aprile 2012 n. 6040 – Pres. Vidiri – Rel. Manna – Telecom Italia SpA (avv. Cosentino, Maresca) ricorrente -  O.V. controricorrente

 

Clausole controverse della contrattazione collettiva – Onere per la parte di produzione dell’intero testo del ccnl, ex art. 369, 2 co., c.p.c., ai fini della loro interpretazione - Demansionamento e danno biologico – Risarcimento del danno – Sussistenza

 

Per soddisfare l'onere, imposto a pena di improcedibilità del ricorso per cassazione dall'art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, come novellato dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, di depositare i contratti e gli accordi collettivi non basta la mera allegazione dell'intero fascicolo di parte del giudizio di merito in cui tali atti siano stati depositati o siano state allegate per estratto le clausole dei contratti collettivi, a meno che in ricorso non se ne indichi la precisa collocazione in atti (cfr., ex aliis, ord. 13.5.10 n. 11614 di questa S.C., nonché sent. n. 2143/2011), il che nel caso in esame non è avvenuto.

Né basta la trascrizione in ricorso della clausola contrattuale di cui si denuncia errata interpretazione, essendo invece necessaria - alla stregua della giurisprudenza di questa S.C. sopra ricordata - la produzione dell'intero contratto collettivo, poiché solo la lettura dell'intero testo può consentire un'adeguata sua interpretazione nel rispetto dei criteri di cui all'art. 1362 c.c., e segg..

Va riconosciuto il danno alla professionalità in quanto è causalmente ricollegabile alla continua evoluzione tecnica del settore delle telecomunicazioni, di guisa che il demansionamento subito dal controricorrente da un lato non gli consentiva di porre a frutto il proprio precedente bagaglio professionale e, dall'altro, gli impediva di acquisire conoscenze aggiornate.

 

Fatto

 

Con sentenza depositata l'8.1.10 la Corte d'appello di Lecce rigettava il gravame interposto da Telecom Italia S.p.A. contro la sentenza del Tribunale della stessa sede che le aveva ordinato di adibire il dipendente O.V. a mansioni compatibili con il suo profilo professionale e a pagargli a titolo di risarcimento del danno biologico la somma di Euro 25.000,00 nonché - a titolo di risarcimento del danno da demansionamento - un terzo delle retribuzioni percepite nel periodo di dequalificazione sino all'effettiva assegnazione a mansioni confacenti alla sua professionalità di tecnico specialista di commutazione di 4 livello, ex livello D, CCNL telecomunicazioni.

Per la cassazione di tale sentenza ricorre Telecom Italia S.p.A. affidandosi a quattro motivi, poi ulteriormente illustrati con memoria ex art. 378 c.p.c..

Resiste con controricorso l' O..

Diritto

 

Con il primo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione dell'art. 132 c.p.c., per avere la Corte territoriale disatteso l'eccepita nullità della sentenza di primo grado per mancata indicazione delle relative ragioni di fatto e di diritto, a tal fine non potendo supplire il rinvio per relationem al contenuto dei provvedimenti già emessi in sede cautelare.

Il motivo è - ancor prima che infondato - improponibile per carenza di interesse.

1- Si cominci con il dire che il giudice d'appello, ove abbia constatato una causa di nullità della sentenza di primo grado non comportante la rimessione della causa al primo giudice ai sensi di una delle ipotesi tassativamente elencate negli artt. 353 e 354 c.p.c., deve necessariamente decidere la controversia nel merito, tanto che, per giurisprudenza assolutamente consolidata e pacifica fin da Cass. S.U. 14.12.98 n. 12541, l'atto d'appello che si limiti a dedurre vizi di mero rito diversi da quelli previsti dagli artt. 353 e 354 c.p.c., senza, contestualmente, denunziare anche l'ingiustizia sostanziale della decisione deducendo questioni di merito, è inammissibile per mancanza di interesse oltre che per non rispondenza al modello legale di impugnazione (cfr., altresì, Cass. 29.1.2010 n. 2053; Cass. 15.3.2007 n. 6031; Cass. 9.12.2005 n. 27296; Cass. 29.9.2005 n. 19159; Cass. 26.8.2004 n. 17026; Cass. 27.4.2004 n. 8033; Cass. 24.10.2003 n. 16045; Cass. 14.5.2003 n. 7381; Cass. 28.3.2003 n. 4744; Cass. 7.2.2003 n. 1831; Cass. 27.7.2001 n. 10288; Cass. 25.6.2001 n. 8633; Cass. 20.2.2001 n. 2455; Cass. 1.9.2000 n. 11494; Cass. 23.5.2000 n. 6718; Cass. 26.11.99 n. 13195).

Ulteriore corollario è che la parte che all'esito del giudizio d'appello sia risultata soccombente nel merito non ha interesse a dolersi, mediante ricorso per cassazione, del mancato accoglimento, da parte del giudice di secondo grado, di un'eccezione di nullità della sentenza di prime cure non implicante rimessione della causa al primo giudice ex artt. 353 e 354 c.p.c., poiché tale nullità, ove mai sussistente, non potendo dare luogo a regressione del processo non era comunque idonea a determinare una differente decisione da parte del giudice d'appello, comunque tenuto a pronunciarsi nel merito.

A ciò è appena il caso di aggiungere, solo per mera completezza espositiva, che il motivo sarebbe altresì manifestamente infondato, perché la motivazione per relationem è perfettamente consentita, dovendosi giudicare la sua completezza e logicità sulla base degli elementi contenuti nell'atto al quale si opera il rinvio che, proprio in ragione di ciò, diviene parte integrante dell'atto rinviante, sempre che sia identificabile ed accessibile alle parti (cfr., ex aliis, Cass. S.U. 12.7.10 n. 16277; da ultimo cfr. Cass. 11.2.11 n. 3367).

Nel caso di specie, il Tribunale ha integrato (e non basato esclusivamente, peraltro) la motivazione della propria sentenza rinviando ai provvedimenti già emessi in sede cautelare sul ricorso ex art. 700 c.p.c., proposto dall' O. nei confronti di Telecom Italia S.p.A., di guisa che il rinvio ha avuto ad oggetto provvedimenti ben conosciuti dalle parti, che ne erano le destinatarie.

2- Con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 2103 c.c. e dell'art. 23 CCNL telecomunicazioni del 2000, per avere l'impugnata sentenza ravvisato la dequalificazione lamentata dal lavoratore malgrado la profonda riorganizzazione del settore tecnico operata dalla ricorrente, non contestata neppure dall' O., che aveva determinato l'accorpamento di tutte le attività tecniche nel CLU, in cui erano confluiti il COR, il COP e il PS, senza considerare - poi - che il bagaglio professionale dell' O. medesimo era costituito da esperienze e conoscenze in tecnologie (centrali elettromeccaniche e a tecnica numerica a commutazione analogica) ormai superate da quella informatica.

Osserva questa S.C. che il motivo è esterno all'area dell'art. 360 c.p.c., perché, in realtà, non segnala un'erronea interpretazione cognitiva o decisoria dell'art. 2103 c.c., ma sostanzialmente sollecita soltanto una nuova delibazione in punto di fatto delle risultanze di causa, operazione preclusa in sede di legittimità.

Nella parte in cui, poi, deduce una violazione dell'art. 23 CCNL telecomunicazioni del 2000, il motivo è improcedibile per omessa produzione dell'intero testo del cit. CCNL, che non è stato allegato al ricorso secondo quanto é previsto dall'art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4.

Invero, il mancato deposito, unitamente al ricorso, della contrattazione collettiva su cui l'impugnazione si basa, non consente alla Corte la verifica della fondatezza della proposta impugnativa e l'erroneità della esegesi effettuata dalla sentenza impugnata e della relativa motivazione.

A riguardo va ricordato che per soddisfare l'onere, imposto a pena di improcedibilità del ricorso per cassazione dall'art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, come novellato dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, di depositare i contratti e gli accordi collettivi non basta la mera allegazione dell'intero fascicolo di parte del giudizio di merito in cui tali atti siano stati depositati o siano state allegate per estratto le clausole dei contratti collettivi, a meno che in ricorso non se ne indichi la precisa collocazione in atti (cfr., ex aliis, ord. 13.5.10 n. 11614 di questa S.C., nonché sent. n. 2143/2011), il che nel caso in esame non è avvenuto.

Né basta la trascrizione in ricorso della clausola contrattuale di cui si denuncia errata interpretazione, essendo invece necessaria - alla stregua della giurisprudenza di questa S.C. sopra ricordata - la produzione dell'intero contratto collettivo, poiché solo la lettura dell'intero testo può consentire un'adeguata sua interpretazione nel rispetto dei criteri di cui all'art. 1362 c.c., e segg..

3- Con il terzo motivo si lamenta vizio di motivazione in ordine al contenuto delle mansioni dell' O. assunte come dequalificanti, in particolare laddove la Corte salentina ha affermato che l' O. fu addetto, in modo prevalente dal maggio 2003 ed esclusivo dall'ottobre dello stesso anno, alla permutazione, in tal modo trascurando la deposizione dei testi Oc., Q. e B., da cui si evinceva che il lavoratore era stato adibito anche ad una serie di compiti di natura tecnico-specialistica richiedenti specifiche conoscenze ed autonomia operativa.

Anche tale motivo di doglianza si rivela estraneo al novero di quelli spendibili ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, perché con esso, lungi dall'isolare i singoli passaggi motivazionali affetti da illogicità o contraddittorietà o dallo specificare su quali fatti decisivi sarebbe stata omessa la motivazione, in realtà la società ricorrente finisce solo con l'invocare un nuovo apprezzamento in punto di fatto delle deposizioni testimoniali relative alla natura delle mansioni cui è stato in concreto adibito il controricorrente e che hanno dato causa al lamentato demansionamento.

Infatti, per costante giurisprudenza di questa Corte Suprema - da cui non si ravvisa motivo alcuno di discostarsi - il vizio di omessa o insufficiente motivazione, deducibile in sede di legittimità ex art. 360 c.p.c., n. 5, sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di un punto (ora, dopo la novella di cui al D.Lgs. n. 40 del 2006, di un "fatto") decisivo della controversia, potendosi in sede di legittimità controllare unicamente sotto il profilo logico - formale la valutazione operata dal giudice del merito, soltanto al quale spetta individuare le fonti del proprio convincimento e, all'uopo, valutare le prove, controllarne l'attendibilità e la concludenza e scegliere, tra esse, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (cfr., ex aliis, Cass. S.U. 11.6.98 n. 5802 e innumerevoli successive pronunce conformi).

4- Con il quarto ed ultimo motivo si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1223, 1226 e 2697 c.c. nella parte in cui l'impugnata sentenza ha ritenuto il danno alla professionalità dell' O. in mancanza di sua deduzione e prova, ravvisandolo nella mera impossibilità di utilizzare nelle nuove mansioni di tecnico del CSU le proprie precedenti cognizioni professionali, in realtà relative a tecnologie ormai obsolete; inoltre, conclude il ricorso, la sentenza è incorsa nell'abbaglio di ritenere l'IPTV un settore nuovo dal quale sarebbe stato escluso il ricorrente, mentre in realtà l'IPTV altro non era che una delle molteplici attività svolte all'interno del CSU, vale a dire del settore in cui era inserito l' O..

Il motivo è infondato perché, come risulta da pag. 10-12, l'impugnata sentenza non ha affatto accolto la domanda risarcitoria a prescindere da deduzione e prova del danno, ma - anzi - ha adeguatamente argomentato in proposito in virtù del rilievo che il danno alla professionalità è causalmente ricollegabile alla continua evoluzione tecnica del settore, di guisa che il demansionamento dell' O. da un lato non gli consentiva di porre a frutto il proprio precedente bagaglio professionale e, dall'altro, gli impediva di acquisire conoscenze aggiornate.

Quanto all'errore di considerare l'IPTV un settore nuovo anziché una delle molteplici attività svolte all'interno del CSU, si tratta di censura relativa ad un accertamento di fatto, non suscettibile di verifica innanzi a questa S.C..

5- In conclusione il ricorso è da rigettarsi.

Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

 

P.Q.M.

 

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente a pagare le spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 50,00 per esborsi e in Euro 3.000,00 per onorari, oltre spese generali, I.V.A. e C.P.A..

Così deciso in Roma, il 7 marzo 2012.

Depositato in Cancelleria il 18 aprile 2012

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