Prescrizione dei crediti retributivi

 

Cass., sez. lav., 16 maggio 2012, n. 7640

 

Prescrizione dei crediti retributivi - Termine di decorrenza dei crediti retributivi - Decorrenza dalla cessazione del rapporto di lavoro - Sussiste.

 

Con sentenza 10 giugno 1966, n.63, la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità degli artt. 2948, n. 4, 2955, n. 2 e 2956, n.1, c.c. limitatamente alla parte in cui consentivano che la prescrizione del diritto alla retribuzione decorresse durante il rapporto di lavoro; la posticipazione del decorso della prescrizione per i crediti retributivi alla cessazione del rapporto è stata motivata dalla constazione che  il lavoratore può essere indotto a non esercitare il proprio diritto in corso di rapporto, per lo stesso motivo per cui molte volte é portato a rinunciarvi, cioè per il timore del licenziamento.

Successivamente la Corte, con sentenza n. 143 del 1969 (cfr. anche sent. n. 174 del 1972), ha precisato che il principio affermato dalla precedente sentenza n. 63 del 1966 non trovava applicazione tutte le volte che il rapporto di lavoro subordinato fosse caratterizzato da una particolare forza di resistenza, derivante da una disciplina che assicurasse normalmente la stabilità del rapporto e fornisse le garanzie di appositi rimedi giurisdizionali contro ogni illegittima risoluzione.

Quindi per effetto delle citate pronunce della Corte costituzionale la prescrizione dei crediti retributivi inizia a decorrere dalla cessazione del rapporto di lavoro, eccetto che nei casi in cui sul datore di lavoro non incombe alcun obbligo di reintegrazione del lavoratore illegittimamente licenziato. Il regime differenziato della decorrenza della prescrizione dipende, dunque, dall'esistenza o meno di una condizione di stabilità del loro rapporto di lavoro.

 

 

Svolgimento del processo

 

1. M.G., con ricorso depositato in data 22 marzo 2001, conveniva innanzi al Tribunale del lavoro di Trani il proprio datore di lavoro, la società S. s.n.c. (S.) ed esponeva: di avere lavorato alle dipendenze della società convenuta dal 1° gennaio 1988 al 2 gennaio 2001 svolgendo essenzialmente mansioni di guardiano notturno e palista (ovvero conducente - operatore di pale meccaniche), nonché altre mansioni funzionali alle due predette, con orario di lavoro dalle 22 alle nove del giorno successivo fino al 1° novembre 1997 e dalle 22 alle sei del giorno successivo per il restante periodo; di avere osservato un giorno di riposo settimanale, il sabato, soltanto a far tempo dal 1 novembre 1997; di avere ricevuto un compenso interiore alle vigenti tariffe sindacali e nulla per lavoro straordinario, festivo, notturno, tredicesima mensilità, ferie non godute e ogni altra indennità di legge; di essere pertanto creditore nei confronti del datore di lavoro della complessiva somma di £ 313.208.149 oltre accessori di legge come da conteggi analitici allegati al ricorso.

Tanto premesso chiedeva che il Tribunale di Trani, riconosciuta la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato nei tempi e con le modalità indicati in ricorso, condannasse la società convenuta al pagamento della somma richiesta o di quell'altra, maggiore e minore, che fosse ritenuta equa e giusta anche ai sensi dell'art. 36 della Costituzione, oltre accessori di legge e spese del giudizio.

In via istruttoria deferiva interrogatorio formale al legale rappresentante della società convenuta e chiedeva prova per testi sulle circostanze articolate in ricorso. Produceva conteggi analitici e contratto collettivo di categoria con le tariffe.

2. Si costituiva ritualmente la società convenuta e resisteva al ricorso chiedendone il rigetto con articolate motivazioni.

Preliminarmente eccepiva la nullità del ricorso per genericità e contestava i conteggi perché non riferiti ad alcun contratto collettivo. Eccepiva altresì la propria carenza di legittimazione passiva per il periodo precedente il 10 novembre 1997 quando - a suo dire - il ricorrente aveva lavorato per parte dell'anno nell'azienda agricola di P.V. e per altra parte aveva condotto i terreni del padre, circostanza che sarebbe stata riferita dallo stesso M. agli ispettori del lavoro di Bari. Eccepiva altresì la prescrizione quinquennale per i presunti crediti anteriori al 27 marzo 1996 nonché quella decennale per i crediti anteriori al 17 marzo 1991.

Nel merito asseriva che il ricorrente era stato assunto il 10 novembre 1997 come operaio generico livello F) del contratto collettivo nazionale di lavoro e industria Olio e Margarina, adibito a pulizia delle torri e palista per tre mesi all'anno, mentre non aveva mai svolto funzioni di vigilanza notturna, affidate alla S.r.l. V.. Il 3 gennaio 2001 il ricorrente si era assentato senza preavviso e il successivo 12 gennaio aveva ribadito l'intenzione di non riprendere il lavoro.

L'orario di lavoro si era svolto sempre dalle 14 alle 20 dal lunedì al sabato mentre lo straordinario era stato di volta in volta retribuito in busta paga. Il lavoratore era stato retribuito secondo contratto collettivo. Le festività soppresse erano state pagate in busta paga ed era stato altresì corrisposto il premio di produzione mensile. Aveva sempre goduto delle ferie retribuite giusta busta paga.

Con domanda riconvenzionale la resistente chiedeva la condanna del ricorrente al pagamento della somma di £ 565.402 a titolo di indennità per il mancato preavviso pari a sei giorni di retribuzione alla stregua di quanto previsto dall'art. 65 del contratto collettivo nazionale di lavoro vigente per il settore industrie Olio e Margarina. In via istruttoria, chiedeva interrogatorio formale del ricorrente e prova per testi sulle circostanze dedotte in comparsa di risposta.

3. Espletata l'istruttoria, il Tribunale del lavoro di Trani, con sentenza in data 16 dicembre 2005, rigettava sia il ricorso principale sia la domanda riconvenzionale. Riteneva il primo giudice, sostanzialmente accogliendo la prima eccezione della resistente, che la domanda appariva generica con riferimento alle mansioni e all'orario di lavoro. Quanto alla corresponsione di emolumenti inferiori a quelli previsti dal contratto collettivo, la circostanza non sarebbe stata provata per la mancata produzione del contratto collettivo di cui si invocava l'applicazione e il rispetto. L'istruttoria non avrebbe evidenziato la mansione preponderante. Ometteva completamente il primo giudice di argomentare sulla eccepita prescrizione e sulla carenza di legittimazione passiva nonché sulla domanda riconvenzionale che si limita a rigettare nel solo dispositivo.

4. Avverso tale pronuncia proponeva appello il M. con ricorso depositato il 23 gennaio 2006 chiedendone la riforma.

La società S. si costituiva nuovamente; invocava il rigetto dell'appello e proponeva appello incidentale con comparsa depositata il 12 gennaio 2006 chiedendo dichiararsi la nullità del ricorso introduttivo di primo grado per genericità e mancata esposizione degli elementi di fatto e di diritto sui quali la domanda era fondata, la prescrizione dei crediti vantati per il periodo antecedente il 10 novembre 1997, la propria carenza di legittimazione passiva per il periodo dal 29 maggio 1989 al 10 novembre 1997, la condanna dell'appellante al pagamento di € 292 pari a sei giorni di retribuzione a titolo di indennità per il mancato preavviso, la condanna al pagamento delle spese di entrambi i gradi di giudizio.

Dopo l'espletamento di consulenza tecnica di ufficio la Corte d'appello di Bari con sentenza del 19 marzo 2009 - 31 dicembre 2009 accoglieva l'appello principale e, per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata, condannava la S. s.n.c al pagamento in favore del M. della somma di € 404.266,55 oltre accessori di legge a far tempo dal 30 novembre 2007. Rigettava l'appello incidentale. Condannava la società appellata al pagamento, in favore del M., delle spese del doppio grado del giudizio.

In particolare la Corte d'appello riteneva che il ricorso introduttivo del giudizio non era affatto nullo per genericità atteso che erano specificati tutti i fatti e gli elementi di diritto su cui si fondava la domanda (durata del rapporto, mansioni, orario di lavoro); che l'eccezione preliminare di prescrizione quinquennale per essere rapporto assistito dalla stabilità reale era infondata perché la società appellata aveva in realtà prodotto le denunce trimestrali presentati all'Inps dell'azienda agricola di P.V., ossia di soggetto del tutto diverso dalla società; soggetto cui il M. figurava dipendente ma in maniera fittizia; che anche l'eccezione di carenza di legittimazione passiva limitatamente al periodo dal 29 maggio 1989 al 10 novembre 1997 era infondata perché dalla prova testimoniale svolta risultava che il M. aveva lavorato continuativamente alle dipendenze della società; che nel merito la domanda era fondata perché le deposizioni testimoniali avevano offerto la prova della durata del rapporto, delle mansioni, dell'orario di lavoro. In particolare la Corte d'appello richiama le deposizioni di F.G. (metronotte), S.V. (altro dipendente della società), F.N. (anch'egli dipendente della società). Inoltre la Corte d'appello riferiva, di un quarto teste, F.G., che aveva reso una deposizione si favorevole alla società, ma successivamente era stato ritenuto responsabile del reato di falsa testimonianza. La quantificazione del credito del lavoratore risultava dalla consulenza tecnica d'ufficio espletata in grado d'appello.

5. Avverso questa pronuncia ricorre per cassazione la società con tre motivi.

Resiste con controricorso la parte intimata.

Entrambe le parti hanno depositato memoria.

 

Motivi della decisione

 

1. Il ricorso è articolato in tre motivi.

Con il primo motivo la società ricorrente denuncia la violazione dell'art. 112 c.p.c. Deduce in particolare che l'originario ricorrente non aveva allegato né chiesto nell'atto introduttivo del giudizio un accertamento in ordine alla fittizietà del rapporto di lavoro alle dipendenze dell'azienda agricola P.V.. In assenza di qualsiasi domanda sul punto la Corte d'appello ha ritenuto fittizia l'iscrizione del M. quale dipendente dell'azienda di P.V., così violando il principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato previsto dall'art. 112 c.p.c.

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 116 c.p.c. e artt. 1414, 2113, 2727, 2735 e 2697 c.c. nonché il vizio di motivazione. Censura in particolare l'affermazione della sentenza impugnata che ha ritenuto fittizia l'iscrizione del M. quale dipendente dell'azienda agricola di P.V., senza che quest'ultima fosse parte del giudizio. Inoltre la società ricorrente lamenta che la Corte d'appello abbia valorizzato solo due deposizioni testimoniali senza tener conto della prova documentale fornita dalla società ed in particolare dei cosiddetti fogli di ingaggio circa l'effettuazione di attività lavorativa, da parte deI M., in favore dell'azienda agricola per numerose giornate. Inoltre la ricorrente ricorda che il Tribunale di Traili con la sentenza n. 7645 del 2008 ha annullato la cartella esattoriale per contribuzione previdenziale escludendo che nel periodo 1989 1997 fosse intercorso un rapporto di lavoro tra il M. e la società S. La ricorrente ha poi dedotto la genericità delle deposizioni testimoniali sulle quali - secondo la Corte d'appello - si sarebbe infondata la prova dei presupposti di fatto della domanda del lavoratore ricorrente.

Con il terzo motivo la società denuncia violazione falsa applicazione dell'art. 115 c.p.c. nonché dell'art. 2948 c.c. Deduce che il M. non aveva mai contestato né dedotto la inapplicabilità della tutela reale al rapporto con la società. La Corte d'appello quindi avrebbe dovuto dichiarare prescritti tutti i crediti maturati anteriormente al 27 marzo 1996.

2. Il ricorso - i cui tre motivi possono essere esaminati distintamente è infondato.

2.1. Quanto al primo motivo, deve considerarsi che la Corte d'appello ha puntualmente motivato in ordine alla conformità del ricorso introduttivo del giudizio ai requisiti richiesti dall'art. 414 c.p.c. Infatti il ricorso precisava la durata complessiva del rapporto di lavoro, le mansioni, l'orario di lavoro; inoltre erano state prodotte le tariffe sindacali unitamente al contratto collettivo per il calcolo delle differenze retributive richieste con il ricorso.

2.2. Il secondo motivo è inammissibile perché, pur diffusamente argomentato, nella sostanza contiene una censura di merito. Va solo precisato che l'accertamento effettuato dalla Corte d'appello riguarda la sussistenza del rapporto di lavoro subordinato del M. con la società S. non era quindi necessario l'integrazione del contraddittorio con l'azienda agricola della P. (non senza considerare che il P. era titolare sia dell'azienda agricola sia del sansificio che costituiva oggetto dell'attività della società ricorrente).

2.3. Il terzo motivo è infondato.

Va ribadito in proposito quanto già più volte affermato da questa Corte (ex plurimis Cass., sez. lav., 6 agosto 2002, n. 11793) secondo cui la prescrizione dei crediti del lavoratore decorre, anche in costanza del rapporto, dalla data di maturazione dei crediti di lavoro, ove questo sia assistito dalla garanzia della stabilità; l'onere di provare il requisito occupazionale grava sul datore di lavoro che eccepisca la decorrenza del termine di prescrizione.

E' vero che successivamente Cass. civ., sez. un., 10 gennaio 2006, n. 141, ha ritenuto che il regime della tutela reale (art. 18 della legge n. 300 del 1970) sia la regola e quello della tutela obbligatoria (art. 8 della legge n. 604 del 1966) sia l'eccezione. Ma, a ben considerare la ragione del decidere dell'intervento delle Sezioni unite, deve ritenersi che la regola dell'onere probatorio operante nelle controversie aventi ad oggetto l'impugnativa del licenziamento, in cui è il lavoratore che allega la tutela reale, non sia la stessa nelle controversie aventi ad oggetto crediti retributivi, di cui i] datore di lavoro eccepisce la prescrizione allegando la tutela reale. Ossia non può predicarsi che in quest'ultima fattispecie - per effetto dell'arresto delle sezioni unite - il rapporto debba considerarsi assoggettato alla tutela reale sicché sarebbe il lavoratore che invoca il regime della tutela obbligatoria ad essere onerato della prova del requisito dimensionale.

In realtà il principio affermato dalle lezioni unite nella citata pronuncia va riferito alla fattispecie dell'impugnativa del licenziamento che costituiva l'oggetto del contendere. Invece quanto alla prescrizione dei crediti retributivi, per i quali rileva, come elemento di specialità, la tutela costituzionale approntata dall'art. 36 Cost., il rapporto "regola-eccezione" si pone diversamente nel senso che la regola è la sospensione del decorso del termine di prescrizione e l'eccezione è invece da normale decorrenza del termine anche in pendenza del rapporto di lavoro.

Devono infatti richiamarsi le pronunce della Corte costituzionale in materia.

Con sentenza 10 giugno 1966, n.63, la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità degli artt. 2948, n. 4, 2955, n. 2 e 2956, n.1, c.c. limitatamente alla parte in cui consentivano che la prescrizione del diritto alla retribuzione decorresse durante il rapporto di lavoro. Tale declaratoria d'incostituzionalità é stata argomentata dalla Corte Costituzionale in base ad un'interpretazione estensiva dell'art. 36 della Corte costituzionale dal quale si ricava il carattere della irrinunciabilità del diritto alla retribuzione, desumibile dall'ultimo comma dello stesso art. 36, che stabilisce l'irrinunciabilità del diritto alle ferie ed al riposo settimanale. Posta questa premessa interpretativa, la Corte é giunta alla conclusione che il lavoratore può essere indotto a non esercitare il proprio diritto per lo stesso motivo per cui molte volte é portato a rinunciarvi, cioè per il timore del licenziamento; cosicché la prescrizione, decorrendo durante il rapporto di lavoro, produce proprio l'effetto che l'art.36 ha inteso precludere vietando qualunque tipo di rinuncia. Con tali argomentazioni la Corte costituzionale ha differito al momento della cessazione del rapporto di lavoro la decorrenza non solo della prescrizione estintiva, ma anche di quella presuntiva.

Successivamente la Corte, con sentenza n. 143 del 1969 (cfr. anche sent. n. 174 del 1972), ha precisato che il principio affermato dalla precedente sentenza n. 63 del 1966 non trovava applicazione tutte le volte che il rapporto di lavoro subordinato fosse caratterizzato da una particolare forza di resistenza, derivante da una disciplina che assicurasse normalmente la stabilità del rapporto e fornisse le garanzie di appositi rimedi giurisdizionali contro ogni illegittima risoluzione.

Quindi per effetto delle citate pronunce della Corte costituzionale la prescrizione dei crediti retributivi inizia a decorrere dalla cessazione del rapporto di lavoro, eccetto che nei casi in cui sul datore di lavoro non incombe alcun obbligo di reintegrazione del lavoratore illegittimamente licenziato. Il regime differenziato della decorrenza della prescrizione dipende, dunque, dall'esistenza o meno di una condizione di stabilità del loro rapporto di lavoro.

In conclusione - quanto ai crediti retributivi - la regola generale è quella della sospensione del termine di prescrizione e l'eccezione di quella della normale decorrenza del termine. Quindi il datore di lavoro che eccepisce la prescrizione per essere il rapporto non stabile deve dimostrarne presupposti.

Nella specie la sentenza impugnata ha correttamente ritenuto che il termine prescrizione cominciasse a decorrere dalla cessazione del rapporto atteso che il datore di lavoro (la società ricorrente) non aveva adempiuto all'onere di provare la insussistenza del requisito dimensionale per l'applicabilità della tutela reale.

3. Il ricorso nel suo complesso va quindi rigettato con condanna della ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di cassazione nella misura liquidata in dispositivo.

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di cassazione liquidate in euro 50,00 oltre euro 3.000,00 (tremila) per onorario d'avvocato ed oltre IVA, CPA e spese generali.

 

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