DANNO ESISTENZIALE DA MANCATA ASSISTENZA DEL MINORE

 

Cass. 1° sez. civ., 7 giugno 2000, n. 7713 Pres. Reale – Rel. Morelli – Cappelletto Francesco (avv. Mastrostefano) c. Hu Cheng Daniele e Hu Cheng Donatela (avv. Pizzorno)

 

Lesione dei diritti fondamentali della persona (in fattispecie quello all’assistenza familiare del minore) – Risarcibilità ex art 2043 c.c. – Danno esistenziale – Sussistenza.

 

La vigente Costituzione, garantendo principalmente e primariamente valori personali impone, infatti una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2043 c.c. (che non si sottrarrebbe altrimenti ad esiti di incostituzionalità), “in correlazione agli articoli della Carta che tutelano i predetti valori”, nel senso appunto che quella norma sia “idonea a compensare il sacrificio che gli stessi valori subiscono a causa dell’illecito”, attraverso “il risarcimento del danno (che) è sanzione esecutiva del precetto primario ed è la minima delle sanzioni che l’ordinamento appresta per la tutela di un interesse”.Il citato art. 2043 c.c., correlato agli artt. 2 e ss. Costituzione, va così “necessariamente esteso fino a ricomprendere il risarcimento non solo dei danni in senso stretto patrimoniali ma di tutti i danni che almeno potenzialmente ostacolano le attività realizzatrici della persona umana”.

Svolgimento del processo

1)– Con sentenza del 31 Ottobre 1992, il Pretore Penale di Mestre assolveva Francesco Cappelletto dal reato di cui all’art. 570 co. 2, c.p.- del quale era stato chiamato a rispondere per aver fatto mancare i mezzi di sussistenza al figlio naturale Daniele Hu Cheng – ritenendo esclusa la sussistenza di tal reato in ragione del fatto che al mantenimento del minore aveva comunque provveduto la madre naturale Danatella Hu Cheng.

2)– Su ricorso proposto per i solo interessi civili, in nome e per conto del minore, dalla Hu Cheng (già, in tal veste, parte civile nel giudizio a quo) l’adita Corte di cassazione – premesso che aveva errato il giudice penale nel non applicare il principio per cui lo stato di bisogno sussiste anche qualora alla somministrazione dei mezzi di sussistenza provveda un solo genitore “essendo, invece, entrambi egualmente obbligati” – cassava, conseguentemente, con sentenza n.566 del 1994, la statuizione pretorile e, ai sensi del previgente art.541 c.p.p., rinviava alla Corte di Venezia “per i soli effetti civili”.

3)- Con citazione del settembre 1995, Daniele Cappelletto (per mezzo della madre e poi, raggiunta la maggiore età, in proprio) conveniva in giudizio Francesco Cappelletto innanzi alla designata Corte di rinvio.

All’uopo deduceva di essere figlio dello appellato, come accertato con sentenza del 12 marzo 1987, la quale aveva posto a di lui carico anche un assegno di mantenimento decorrente (come da parziale riforma in appello) dalla data della domanda giudiziaria; che solo a seguito di convenzione del giugno 1990, il Cappelletto aveva comunque pagato gli importi per tale titolo da lui dovuti “a partire dal settembre 1984” (mentre, per il periodo antecedente, con separata sentenza, era stata accolta la domanda risarcitoria proposta dalla Hu Cheng per il mantenimento esclusivamente da lei assicurato al figlio, dalla nascita).

E, ciò premesso, chiedeva conseguentemente, a sua volta, il risarcimento dei danni personalmente subiti, “sia sotto il profilo affettivo che economico”, in conseguenza del comportamento intenzionalmente e pervicacemente defatigatorio del padre naturale”.

4)– Con sentenza del 7 novembre 1997, la Corte veneziana accoglieva la domanda e, in via equitativa, quantificava in 30 milioni di lire i danni che riconosceva subiti dall’istante in conseguenza dell’ingiusto comportamento del padre naturale.

5)– Avverso quest’ultima sentenza il Cappelletto ha proposto ricorso per cassazione, illustrato anche con memoria ex art. 378 c.p.c.

Nel costituirsi in questo giudizio, con congiunto controricorso, Daniele e Donatella Hu Cheng hanno eccepito, entrambi, l’improcedibilità del ricorso per omesso deposito della prescritta copia autentica della sentenza impugnata e – la sola Donatella – il proprio difetto di legittimazione passiva.

Motivi della decisione

1)– Va preliminarmente respinta l’eccezione di improcedibilità del ricorso poiché, contrariamente a quanto dedotto da resistenti, il Cappelletto non ha mancato di depositare la copia autentica della sentenza impugnata come prescritto dall’art. 369 c.p.c..

2)- Accolta va invece l’ulteriore eccezione della Hu Cheng – ed il ricorso va di conseguenza nei suoi confronti dichiarato inammissibile – per non essere essa parte del giudizio risarcitoria promosso contro il Cappelletto dal di lui figlio naturale.

3)– Anche nei confronti di Daniele Hu Cheng l’odierno ricorso è comunque in ogni sua parte infondato.

4)– Privi di giuridica consistenza risultano, infatti, i primi tre connessi motivi di detta impugnazione, con i quali – nella triplice prospettiva della elusione del “dictum” della sentenza di rinvio ex art. 384 c.p.c., del vizio di ultrapetizione ex art.112 stesso codice e della carenza di motivazione – sostanzialmente si addebita al Collegio a quo di aver omesso di svolgere l’ulteriore istruttoria, che gli sarebbe stata demandata con la precedente sentenza di cassazione, in ordine, alla effettiva sussistenza di una responsabilità civile del Cappelletto.

Ed invero ciò che la richiamata sentenza della Cassazione penale aveva demandato al Giudice del rinvio – in conseguenza dell’annullamento del giudicato assolutorio del Cappelletto dal reato di cui all’art. 570 cpv c.p. – era “un nuovo esame dei fatti ai soli fini civili”. Ed è evidente che la prescrizione di un tale riesame non equivale né contiene in sé, come a torto ex adverso preteso, anche l’”obbligo di acquisire nuove prove”, che motivatamente quei giudici hanno comunque ritenuto superflue ai fini del decidere.

5)– Parimenti non condivisibili sono poi tutte le ulteriori censure svolte nel residuo quarto (ancorché non formalmente numerato come tale) mezzo del ricorso, con cui si attacca la statuizione risarcitoria per la (non rilevata) “inesistenza, nella fattispecie, di alcun danno risarcibile in correlazione con il fatto residuale naturalisticamente addebitato al Cappelletto”, e la conseguente non ricorrenza dei presupposti per una “decisione equitativa ai sensi dell’art.114 c.p.c.”.

5.1) – In relazione al primo e più rilevante profilo di doglianza, anche in sede di discussione orale la difesa del ricorrente ha tenuto a ribadire il carattere “suicida” della sentenza impugnata, la quale avrebbe liquidato il contestato risarcimento ancorché avesse in premessa accertato la già intervenuta corresponsione da parte del Cappelletto, in parte al figlio e in parte alla Hu Cheng, di tutto quanto da lui dovuto a titolo di mantenimento o di concorso del mantenimento nei confronti del minore; e nonostante avesse – la stessa sentenza – altresì sottolineato come, nella specie, (a prescindere dal “danno patrimoniale”, così escluso) neppure alcuni “danno morale” fosse liquidabile, in conseguenza della esclusa illiceità del fatto per effetto della sentenza pretorile assolutoria, passata in giudicato agli effetti penali.

Ma tali rilievi, pur suggestivi, non valgono a scalfire la statuizione contestata.

A prescindere infatti dalla considerazione che il pagamento, pacificamente effettuato a molti anni di distanza dalla nascita del piccolo Daniele, sia pur di tutti gli arretrati dovuti dal Cappelletto, a titolo di mantenimento secondo le prescrizioni del giudice civile, non esclude residuali profili di danno patrimoniale (conseguenti proprio al rilevante ritardo della erogazione), è assorbente comunque il rilievo che ciò che soprattutto la Corte veneziana, nella specie, ha inteso risarcire è la lesione in sé, che dal comportamento del ricorrente (di iniziale ostinato rifiuto di corrispondere al figlio i mezzi di sussistenza), ne è scaturita di fondamentali diritti della persona, in particolare inerenti alla qualità di figlio e di minore.

E’, in questa prospettiva, non v’è dubbio che il comportamento sanzionato dall’art. 570 del codice penale – sia pur costituito nella sua materialità dalla mancata corresponsione di mezzi di sussistenza – rilevi, sul piano civile, in termini di violazione non di un mero diritto di contenuto patrimoniale ma di sottesi e più pregnanti diritti fondamentali della persona, in quanto figlio e in quanto minore.

Ed è poi del pari innegabile che la lesione di diritti siffatti, collocati al vertice della gerarchia dei valori costituzionalmente garantiti, vada incontro alla sanzione risarcitoria per il fatto in sé della lesione (danno evento) indipendentemente dalle eventuali ricadute patrimoniali che la stessa possa comportare (danno conseguenza).

Il che è stato del resto già ben posto in luce dalla Corte costituzionale con la nota sentenza n. 184 del 1986, relativa al danno-evento da lesione del diritto alla salute (cd. Danno biologico) ma riferibile (per la latitudine dei suoi enunciati) ad ogni analoga lesione di diritti comunque fondamentali della persona; risolventesi in un danno esistenziale ed alla vita di relazione.

La vigente Costituzione, garantendo principalmente e primariamente valori personali impone, infatti una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2043 c.c. (che non si sottrarrebbe altrimenti ad esiti di incostituzionalità), “in correlazione agli articoli della Carta che tutelano i predetti valori”, nel senso appunto che quella norma sia “idonea a compensare il sacrificio che gli stessi valori subiscono a causa dell’illecito”, attraverso “il risarcimento del danno (che) è sanzione esecutiva del precetto primario ed è la minima delle sanzioni che l’ordinamento appresta per la tutela di un interesse”.

Il citato art. 2043 c.c., correlato agli artt. 2 e ss. Costituzione, va così “necessariamente esteso fino a ricomprendere il risarcimento non solo dei danni in senso stretto patrimoniali ma di tutti i danni che almeno potenzialmente ostacolano le attività realizzatrici della persona umana”.

Per cui, quindi – essendo le norme costituzionali di garanzia dei diritti fondamentali della persona pienamente e direttamente, operanti “anche nei rapporti tra privati” (cd. “drittwirkung”) – “non è ipotizzabile limite alla risarcibilità”, della correlativa lesione, “per sé considerata” (n.184/1986 cit.), ai sensi dell’art. 2043 c.c.: che, per tal profilo la Corte veneziana ha per ciò correttamente applicato, riconoscendo all’attore il ristoro del danno (non già “morale” da illecito penale, ma) da lesione in sé di suoi diritti fondamentali, in conseguenza della riferita condotta del suo genitore.

5.2) – D’altra parte il contenuto stesso del danno riconnesso ad un tal tipo di lesione ne comporta naturaliter la liquidazione equitativa: che resta, a sua volta, così immune da censure (in ricorso impropriamente, per di più, formulate sull’erroneo presupposto di equivalenza di una tal liquidazione ad una statuizione secondo equità ai sensi dell’art. 114 c.p.c.).

6)– Il ricorso nei confronti di Daniele Hu Cheng, va pertanto integralmente respinto.

7) – Le spese di questo giudizio seguono la soccombenza e si liquidano, come in dispositivo, in favore di ciascun resistente.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile nei confronti di Donatella Hu Cheng e lo rigetta nei confronti di Daniele Hu Cheng; condanna il ricorrente alle spese che liquida, in favore di ciascun resistente, in L.173.000 oltre a L.2.000.000 per onorario.

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