INFARTO DA SUPERLAVORO: DANNO BIOLOGICO E IRRILEVANZA  CONCAUSE

 

Cass. sez. lav., 11 settembre 1997, n. 8267 - Pres.  Panzarani - Est.  Guglielmucci - La Venuta c. Ente autonomo Fiera del Levante di Bari.

 

Tutela dell'integrità fisica e della personalità morale del lavoratore - Art. 2087 c.c. - Obblighi del datore di lavoro - Criteri - Eccessivo carico di lavoro - Effetti - Comportamento dei dipendente - Rilevanza - Limiti.

 

L'attività di collaborazione cui l'imprenditore è tenuto nei confronti dei lavoratori a norma dollari. 2087 c.c. non si esaurisce nella predisposizione di misure tassativamente imposte  dalla legge, ma si estende  all'adozione di tutte le misure che si rivelino idonee a tutelare l'integrità psico-fisica del lavoratore.  Ne consegue che anche il mancato adeguamento dell'organico aziendale (in quanto e se determinante un eccessivo carico di lavoro), nonché il mancato impedimento di un superlavoro eccedente - secondo le regole di comune esperienza - la normale tollerabilità, con conseguenti danni alla salute de lavoratore, costituisce violazione degli artt. 41, comma secondo, Cost. e 2087 c.c., e ciò anche quando l'eccessivo impegno sia frutto di una scelta del lavoratore (estrinsecantesi nell'accettazione di straordinario continuativo - ancorché contenuto nel cosiddetto monte ore massimo contrattuale - o nella rinuncia a periodi di ferie),, atteso che il comportamento del lavoratore non esime il datore di lavoro dall'adottare tutte le misure idonee alla tutela dell'integrità fisico-psichica dei dipendenti, comprese quelle intese ad evitare l’eccessività di impegno da parte di soggetti in condizioni di subordinazione socio-economica.

 

Fatto. - Il dr.  Pasquale La Venuta, capo dell'Ufficio P/A2 dell'Ente autonomo Fiera del Levante di cui è dipendente, ha chiesto la condanna dello stesso al pagamento, in suo favore, di lire 50.000.000 per risarcimento del danno biologico derivato dall’infarto da lui subito in conseguenza della stressante attività cui aveva dovuto sottoporsi per fronteggiare il carico di lavoro dell'ufficio cui egli era preposto, con un organico del tutto insufficiente.

Il Pretore ha rigettato la domanda.

Il Tribunale di Bari, innanzi al quale il dr. La Venuta ha proposto appello, con sentenza del 12 maggio 1994, ha confermato la sentenza pretorile ricalcandone le ragioni decisionali.

Secondo il Tribunale l'esistenza presso un ufficio di un carico di lavoro eccessivo - in relazione alla entità dell'organico esistente presso l'ufficio stesso - non obbliga il datore di lavoro ad adeguare l'organico: essendo riservato il relativo dimensionamento esclusivamente alle sue scelte imprenditoriali.

Il lavoratore che, di sua iniziativa, si assoggetti ad un super lavoro per mantenere - nonostante la carenza di organico - l'efficienza del reparto a lui affidato compie una scelta da ascriversi esclusivamente a sua responsabilità, senza che possa esser evocata quella del datore di lavoro.

Il dr. La Venuta non era stato costretto ad assoggettarsi a lavoro straordinario - che peraltro aveva contenuto nel limite annuale di 500 ore; cosi come, di sua iniziativa, non aveva, con continuità, fruito dei periodi ferie.

Per questa ragione, anche a voler consentire con la c.t.u. espletata in primo grado - che aveva ravvisato nello «stress» da eccessivo lavoro il principale fattore dell'infarto cardio circolatorio - al datore di lavoro non era addebitabile alcuna responsabilità.

Il dr. La Venuta chiede la cassazione della sentenza con ricorso articolato in due motivi; l'Ente Mostra resiste con controricorso.

Diritto. - Con il primo motivo il ricorrente denuncia omesso esame delle prove testimoniali e della consulenza tecnica, e sostiene che il Tribunale ha completamente ignorato quanto risultato dalle stesse in ordine all'incessante impegno cui aveva dovuto egli sottoporsi, per non compromettere il livello di efficienza del reparto - centrale, nell'ambito della organizzazione aziendale a lui affidato, nonostante le carenze di organico.

Con il secondo motivo denuncia violazione degli artt. 2087 e 2043 c.c. e contesta l'asserzione del Tribunale secondo cui il datore di lavoro è esente da responsabilità in ordine alla salute del proprio dipendente - anche quando il danno alla stessa trovi origine nella organizzazione lavorativa - se l'assoggettamento all'abnorme attività lavorativa derivi da sua scelta.

Incombe, infatti, al datore di lavoro - in ottemperanza al disposto dell'art. 2087 c.c. - dimensionare la propria organizzazione lavorativa in maniera tale da salvaguardare la integrità psicofisica dei propri dipendenti.

Le censure, che per la loro connessione possono essere congiuntamente esaminate, sono entrambe fondate.

Come si è detto, la decisione del Tribunale poggia su una asserzione di assoluta irresponsabilità del datore di lavoro in ordine ai danni alla salute del lavoratore che dipendano da iniziative dello stesso volte a sopperire a carenze di organico per mantenere il livello di efficienza del settore cui egli sia addetto.

Secondo il Tribunale, infatti, il datore di lavoro, nell'ambito della sua libertà di iniziativa economica, è libero di determinare, insindacabihnente, la dimensione dell'organico aziendale necessario per conseguire determinati obiettivi produttivi.

Se gli stessi siano raggiunti - allorché rispetto ad essi l'organico sia inadeguato - con un apporto dei propri dipendenti che ecceda l'impegno proprio di una normale prestazione - trasformandosi in lavoro stressante - ciò è frutto di un' iniziativa del lavoratore che ad esso si assoggetti: senza che in ordine a tale operazione sia ravvisabile, per l'appunto, alcuna responsabilità del datore di lavoro.

Il criterio che sorregge la decisione dei Tribunale, a quanto emerge dalla sentenza impugnata, sembra poggiare su una concezione non coerente con i principi di tutela del lavoro esistenti nel vigente ordinamento giuridico.

Tali principi escludono, invero, la legittimità di un potere imprenditoriale volto alla massimizzazione della produzione senza incontrare l'imprescindibile limite di non arrecar danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana, giusta quanto disposto - con immediata efficacia - nella regolazione del conflitto di interessi e di valori, dall'art. 41, comma 2, Cost.

In ottemperanza a tale precetto il datore di lavoro non può, pertanto, esimersi dall'adottare tutte le misure necessarie - compreso l'adeguamento dell'organico - volte ad assicurare livelli competitivi di produttività senza compromissione, tuttavia, della integrità psico-fisica dei lavoratori soggetti al suo potere organizzativo e di dimensionamento delle strutture aziendali.

L’accettazione, pertanto, da parte del lavoratore, di un lavoro straordinario-continuativo - ancorché contenuto nel c.d. monte ore contrattuale massimo - o la rinuncia ad un periodo feriale effettivamente rigenerativo dell'impegno lavorativo - cui non contraddice il giusto disegno di una progressione in carriera - non possono mai esimere il datore di lavoro dall'adottare tutte le misure tutelative dell’integrità fisico-psichica del lavoratore: comprese quelle intese ad evitare eccessività di impegno da parte di un soggetto che è in condizioni di subordinazione socio-economica.

Come è noto - e la regola è stata elaborata in materia di infortuni sul lavoro - l'eventuale concorso di colpa del lavoratore non ha efficacia esimente per il datore di lavoro che abbia omesso le misure atte ad impedire l'evento lesivo; restando egli esonerato da ogni responsabilità solo quando il comportamento del dipendente presenti i caratteri dell'abnormità, inopinablità ed esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive fissate (cfr. sent., Cass., nn. 7636 del 1996, 3510 del 1996).

La regola consolidata nell'ambito dell'art. 2087 c.c. - individuata da questa Corte nella materia in questione - prescrive che l'attività di collaborazione cui l'imprenditore è tenuto, ai sensi di tale norma, in favore dei lavoratori, non si esaurisca nella predisposizione di misure tassativamente imposte dalla legge ma si estenda alle altre iniziative o misure che appaiono utili per impedire l'insorgere o l'ulteriore deterioramento di una situazione tale per cui lo svolgimento dell'attività lavorativa determini - con nesso di causalità il cui accertamento è riservato al giudice di merito - effetti patologici o traumatici nei lavoratori.

Di conseguenza, anche il mancato adeguamento dell'organico che abbia determinato un eccessivo impegno di lavoro da parte dei lavoratore, ovvero il mancato impedimento di un superlavoro eccedente - secondo regole di esperienza - la normale tollerabilità, con conseguente danno per la salute del lavoratore stesso, costituiscono violazione, oltre che dell'art. 41, comma 2, della Costituzione, della regola contenuta nell'art. 2087 c.c., con responsabilità di natura contrattuale.

Il Tribunale non si è attenuto a questi principi di diritto non dando, di conseguenza, rilievo ai risultati istruttori (testimonianze e consulenza tecnica). Il ricorso va quindi accolto, la sentenza cassata e la causa rinviata ad altro giudice, che si designa nel Tribunale di Foggia, che attenendosi ai predetti principi di diritto esaminerà la controversia, provvedendo anche sulle spese del giudizio di cassazione. (Omissis).

 

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