Insussistenza di demansionamento

 

Cass., sez. lav., 29 maggio 2012, n. 8526 – X.Y. c. Equitalia SpA

 

Lavoro - Assegnazione a mansioni inferiori e trasferimenti - Richiesta di risarcimento - Non sussiste

 

In tema di risarcimento del danno non patrimoniale derivante da demansionamento e dequalificazione, il riconoscimento del diritto del lavoratore al risarcimento del danno professionale, biologico o esistenziale, non ricorre automaticamente in tutti i casi dì inadempimento datoriale e non può prescindere da una specifica allegazione, nel ricorso introduttivo dei giudizio - dall'esistenza di un pregiudizio (di natura non meramente emotiva ed interiore, ma oggettivamente accertabile) provocato sul fare reddituale del soggetto, che alteri le sue abitudini e gli assetti relazionali propri, inducendolo a scelte di vita diverse quanto all'espressione e realizzazione della sua personalità nel mondo esterno. Tale pregiudizio non si pone quale conseguenza automatica di ogni comportamento illegittimo rientrante nella suindicata categoria, cosicché non è sufficiente dimostrare la mera potenzialità lesiva della condotta datoriale, incombendo sul lavoratore non solo di allegare il demansionamento ma anche di fornire la prova ex art. 2697 cod. civ. del danno non patrimoniale e del nesso di causalità con l'inadempimento datoriale.

 

Svolgimento del processo

 

Con sentenza del 14/3/05 il giudice del lavoro del Tribunale di Forlì respinse la domanda proposta nei confronti della (...) s.p.a. da (...) il quale aveva chiesto l’accertamento del diritto a svolgere mansioni d'ufficio interne, la declaratoria di illegittimità dell'assegnazione a mansioni inferiori e dei trasferimenti operati nei suoi riguardi dal 14/1/98 al 13/12/99 presso le sedi di Mercato Saraceno, Forlì e Meldola, con condanna della convenuta al risarcimento dei danni da dequalificazione e di quelli arrecatagli alla salute psico-fisica, nonché al pagamento dei premi di anzianità, di rendimento, di produttività aziendale ed al rimborso delle spese di viaggio.

La Corte d'appello di Bologna - sezione lavoro, investita dal gravame del (...), con sentenza del 9/7/09 - 16/2/10 ha respinto l'impugnazione dopo aver condiviso le motivazioni adottate dal primo giudice per il rigetto della domanda sulla base delle seguenti considerazioni: l'inquadramento alla categoria superiore era stato solo formale, in quanto frutto di accordi desunti dalla contrattazione integrativa aziendale, essendo, invece, rimaste immutate le pregresse funzioni; all'istanza di esonero dall'attività esterna esattiva la datrice di lavoro aveva risposto col trasferimento del dipendente presso la sede di Cesena, ove le funzioni di riscossione restavano complementari rispetto alla prevalente attività interna; gli altri trasferimenti si erano resi necessari per migliorare il clima aziendale alterato dagli stessi comportamenti del (...) il quale non aveva, comunque, ottemperato a tali ordini di trasferimento, lasciando scoperte le sedi di destinazione; la mancata erogazione dei premi connessi alla produttività ed al rendimento era dipesa dalla non positiva efficienza del servizio prestato; le risultanze istruttorie non avevano fornito un riscontro probatorio alla lamentata dequalificazione; il ricorrente non aveva dimostrato l'esistenza di un obbligo della datrice di lavoro di adibirlo a mansioni interne, restando così discrezionale il relativo potere datoriale, né era stato dimostrato che lo stesso era stato esercitato in maniera non corretta, per cui, in definitiva, non sussisteva alcuna responsabilità risarcitola della convenuta.

Per la cassazione della sentenza propone ricorso il (...) il quale affida l'impugnazione a sei motivi di censura.

Resiste con controricorso la società Equitalia (...) s.p.a (già s.p.a.)

 

Motivi della decisione

 

1. Col primo motivo è denunziata la insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio riguardante lo svolgimento da parte del ricorrente delle mansioni "interne" di preposto al reparto riscossione/esecutivo con compiti di controllo e coordinamento degli ufficiali della riscossione e l'idoneità della sottrazione di esse a configurare l'ipotesi di demansionamento o lesione della professionalità illegittimi.

Il ricorrente rimprovera alla Corte di merito di aver male inteso le sue lamentele, atteso che le stesse non avevano ad oggetto la sua dequalificazione, bensì il suo demansionamento o la lesione alla sua professionalità; aggiunge il (...) che dai documenti versati in atti emergeva che egli era stato assegnato allo sportello di Cesena a decorrere dal 1 giugno 1995, cioè prima ancora che venisse adottata la delibera di aggiornamento della struttura organizzativa del 20/9/95, ragione per la quale non era vero che tale assegnazione costituiva, come sostenuto da controparte, una risposta di fatto alla sua richiesta di esonero dalle mansioni "esterne". Il ricorrente contesta, altresì, la parte della decisione in cui si afferma che le funzioni esterne assegnategli erano complementari alla prevalente attività interna e a quella di coordinamento degli altri agenti esattori, oltre quella in cui si evidenzia che era da considerare legittima la sottrazione delle mansioni interne svolte dal giugno del 1995 al gennaio del 1998, in quanto solo per rispetto delta contrattazione collettiva aziendale gli era stata attribuita una qualifica superiore alle mansioni effettivamente espletate. A confutazione di tali affermazioni il ricorrente richiama le parti del ricorso e dei capitoli di prova tendenti a dimostrare il contenuto effettivo delle mansioni svolte presso lo sportello di Cesena. Il ricorrente passa poi a contestare la parte della decisione in cui si afferma che egli non aveva svolto mansioni di capo-ufficio, bensì di semplice coordinamento in qualità di dipendente dotato di maggiore anzianità, oltre quella in cui si ribadisce che le mansioni prevalentemente interne, assegnategli su sua richiesta, erano da ritenere equivalenti a quelle di carattere esterno precedentemente svolte, non proprie del ruolo di capo-ufficio, per cui non vi era stato demansionamento. Al riguardo il ricorrente obietta che i testi avevano riferito, esplicitamente o implicitamente, che egli aveva regolarmente svolto mansioni all'interno dell'ufficio nel periodo giugno 1995 - gennaio 1998, per cui le risultanze testimoniali erano state mal interpretate, così come erano state erroneamente interpretate sia le norme del contratto collettivo riguardanti l'inquadramento e le qualifiche, sia la lettera dì comunicazione del Consiglio di amministrazione del 19/10/92, sia gli organigrammi prodotti, sia l'art. 8 dell'Accordo Quadro del 26/2/1990.

2. Col secondo motivo si deduce il vizio di insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio riguardante l'idoneità della sottrazione delle mansioni "interne" di preposto al reparto riscossione/esecutivo con compiti di controllo e coordinamento degli ufficiali della riscossione a configurare l'ipotesi di demansionamento o lesione della professionalità illegittimi.

Si contesta, attraverso tale motivo, la parte della decisione che ha escluso il danno alla professionalità una volta ritenuta l'equivalenza delle mansioni prevalentemente interne, ma non superiori, a quelle esterne in precedenza svolte. Sostiene, al riguardo, il ricorrente che la compromissione del patrimonio professionale acquisito sia "in re ipsa" nel fatto stesso che gli siano state fatte svolgere solo attività esterne proprie della figura dell'ufficiale di riscossione e che la Corte d'appello ha mal valutato le risultanze istruttorie.

3. Con la terza censura è dedotta la insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio riguardante l'esclusione dell'illegittimità e pretestuosità dei trasferimenti.

In tal caso il ricorrente contesta la parte della decisione con la quale si è affermato che i suoi trasferimenti erano da ritenere legittimi in quanto determinati dalla situazione di incompatibilità e di tensione sul luogo di lavoro dovuta al suo comportamento collerico ed irascibile nei confronti dei suoi colleghi, asserendo che il giudice d'appello ha mal valutato le risultanze istruttorie e non ha tenuto conto del fatto che la suddetta situazione di incompatibilità non era stata mai fatta oggetto di contestazione, né tantomeno era stata posta a base dei provvedimenti di trasferimento, giustificati, invece, da generiche esigenze tecniche, organizzative e produttive. Inoltre, secondo il ricorrente, la falsa rappresentazione della realtà da parte del giudice d'appello è resa manifesta anche dall'affermazione secondo la quale i trasferimenti a Mercato Saraceno e a Meldola, causa del lamentato demansionamento. sarebbero rimasti ineseguiti per il suo rifiuto di ricevere le consegne, essendo, al contrario, incontestato che tutti i trasferimenti avevano avuto esecuzione, anche se egli si era rifiutato di sottoscrivere i verbali di consegna.

4. Oggetto del quarto motivo è il vizio rappresentato dalla insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio riguardante la pretesa legittimità della riduzione delle note di qualifica e dell'esclusione della debenza de! premio di anzianità nella misura prevista per i lavoratori transitati in Corit dalla Cassa di Risparmio di Cesena e dei premi di rendimento e di produttività anche per l'anno 1998 e successivi.

Lamenta il ricorrente che male hanno fatto i giudici del merito a ritenere che le classificazioni di "sufficiente" e "mediocre" attribuitegli dalla datrice di lavoro sarebbero state giustificate dalla violazione del dovere di subordinazione gerarchica manifestatosi nel suo reiterato rifiuto di prendere possesso degli uffici di Mercato Saraceno e di Meldola. rifiuto fatto oggetto di contestazione, in quanto essi non hanno considerato la violazione, ad opera della società, della norma di cui all'art. 104 del ceni per i dipendenti delle Casse di Risparmio del 1994 che prevedeva la specificazione dei motivi della contestazione, circostanza, questa, non realizzatasi nella fattispecie.

5. Col quinto motivo è dedotta il vizio dì motivazione insufficiente e contraddittoria circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio riguardante l'erronea esclusione del diritto alla percezione di indennità chilometrica, diaria e rimborsi spese per i trasferimenti. In pratica, si contesta la parte della decisione in cui si è affermato che i rimborsi per le indennità chilometriche non erano dovuti per la mancata esecuzione dei trasferimenti in quanto si deduce che il giudicante avrebbe limitato la propria decisione sul punto ai soli trasferimenti a Meldola e a Mercato Saraceno ed avrebbe erroneamente scambiato il rifiuto di sottoscrizione dei verbali di consegna per mancata esecuzione del provvedimento di trasferimento.

6. Con l'ultimo motivo è segnalato il vizio di insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio riguardante l'erronea esclusione del diritto dell'appellante al risarcimento del danno biologico esistenziale e morale che, invece, trovava riscontro negli atti di causa, ragion per cui il giudice d'appello avrebbe dovuto ammettere la consulenza d'ufficio per la relativa quantificazione.

Osserva la Corte che tutti e sei i motivi possono essere trattati congiuntamente in quanto attraverso gli stessi vengono prospettati dal ricorrente diversi aspetti della medesima vicenda oggetto di causa.

Orbene, il ricorso, così come proposto, presenta profili di inammissibilità, di improcedibilità e di infondatezza che ne impongono il rigetto.

Anzitutto, corre obbligo rilevare che il ricorrente non ha prodotto i contratti collettivi richiamati, né l'Accordo Quadro del 26/2/90, le disposizioni dei quali assume essere state violate dalla parte datoriale o male interpretate dal giudice d'appello, né la lettera di comunicazione del Consiglio di amministrazione del 19/10/92. la cui disamina ritiene essere stata trascurata, né la delibera di aggiornamento della struttura organizzativa del 20/9/95, il cui contenuto sarebbe stato pretestuosamente adoperato per la giustificazione del suo trasferimento. Ne consegue che tale mancata produzione non consente di verificare nella presente sede di legittimità la sussistenza o meno delle relative doglianze Queste, come è dato rilevare dalla parte narrativa dei summenzionati motivi, concernono questioni fondamentali della controversia, quali quella dell'inquadramento, del contenuto delle mansioni, delle qualifiche e del trasferimento, per cui l'impossibilità di esaminarle a causa del rilevato difetto di autosufficienza del ricorso non può non avere conseguenze anche sulla disamina delle altre questioni in qualche modo ad esse correlate

Si è, infatti, affermato (Cass. sez. 5, sentenza ti. 303 del 12/1/2010) che "l'art. 369. quarto comma, cod. proc. civ nel prescrivere che unitamente al ricorso per cassazione debbano essere depositati a pena d'improcedibilità "gli atti processuali, i documenti, i contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda", non distingue tra i vari tipi di censura proposta: ne consegue che. anche in caso di denuncia di "error in procedendo", gli atti processuali devono essere specificamente e nominativamente depositati unitamente al ricorso e nello stesso."

Da ultimo le Sezioni unite di questa Corte hanno statuito (Cass. Sez. Un. n. 22726 del 3/11/2011) che "in tema dì giudizio per cassazione, l'onere del ricorrente, di cui all'art. 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., così come modificato dall'art. 7 del d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, di produrre, a pena di improcedibilità del ricorso, "gli atti processuali, i documenti, i contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda" è soddisfatto, sulla base del principio di strumentalità delle forme processuali, quanto agli atti e ai documenti contenuti nel fascicolo di parte, anche mediante la produzione del fascicolo nei quale essi siano contenuti e, quanto agli atti e ai documenti contenuti nel fascicolo d'ufficio, mediante il deposito della richiesta di trasmissione di detto fascicolo presentata alla cancelleria del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata e restituita al richiedente munita di visto ai sensi dell'art 369, terzo comma, cod proc. civ., ferma, in ogni caso, l'esigenza di specifica indicazione, a pena di inammissibilità ex art. 366, n. 6, cod. proc. civ., degli atti, dei documenti e dei dati necessari al reperimento degli stessi." Nella fattispecie quest'ultimo onere non risulta essere stato assolto in relazione ai suddetti documenti, in quanto in calce al presente ricorso è fatto solo generico riferimento al fascicolo dì parte del giudizio di appello, mentre nel ricorso sono solo indicati i suddetti singoli atti societari ed estrapolate delle parti di alcuni articoli dei diversi accordi collettivi richiamati, mentre questi avrebbero dovuto essere prodotti nella loro interezza, atteso che la mancanza del testo integrale del contratto collettivo non consente di escludere che in altre parti dello stesso vi siano disposizioni indirettamente rilevanti per l'interpretazione esaustiva della questione che interessa.

A tal riguardo le Sezioni Unite di questa Corte (C. Sez. U. n 20075 del 23/9/2010) hanno, invero, affermato che "l'art 369, secondo comma, n 4, cod. proc. civ., nella parte in cui onera il ricorrente (principale od incidentale,), a pena di improcedibilità del ricorso, di depositare i contratti od accordi collettivi di diritto privato sui quali il ricorso si fonda, va interpretato nel senso che, ove il ricorrente impugni, con ricorso immediato per cassazione ai sensi dell'art. 420 bis, secondo comma, cod. proc. civ., la sentenza che abbia deciso in via pregiudiziale una questione concernente l'efficacia, la validità o l'interpretazione delle clausole di un contratto od accordo collettivo nazionale, ovvero denunci, con ricorso ordinario, la violazione o falsa applicazione di norme dei contratti ed accordi collettivi nazionali di lavoro ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. (nel testo sostituito dall'art. 2 del d.lgs. n. 40 del 2006), il deposito suddetto deve avere ad oggetto non solo l'estratto recante le singole disposizioni collettive invocate nei ricorso, ma l'integrale testo del contratto od accordo collettivo di livello nazionale contenente tali disposizioni, rispondendo tale adempimento alla funzione nomofilattica assegnata alla Corte di cassazione nell'esercizio dei sindacato di legittimità sull'interpretazione della contrattazione collettiva di livello nazionale. Ove, poi, la Corte ritenga di porre a fondamento della sua decisione una disposizione dell'accordo o contratto collettivo nazionale depositato dal ricorrente diversa da quelle indicate dalla parte, procedendo d'ufficio ad una interpretazione complessiva ex art. 1363 cod. civ. non riconducibile a quanto già dibattuto, trova applicazione, a garanzia dell'effettività del contraddittorio, l'art, 384, terzo comma, cod. proc. civ. (nel testo sostituito dall'art. 12 del d.lgs. n 40 del 2006), per cui la Corte riserva la decisione, assegnando con ordinanza al P.M. e alle parti un termine non inferiore a venti giorni e non superiore a sessanta dalla comunicazione per il deposito in cancelleria di osservazioni sulla questione.' Un ulteriore profilo di inammissibilità del ricorso è ravvisabile nelle parti in cui si tenta di eseguire una mera rivisitazione delle risultanze istruttorie, in special modo di quelle testimoniali già vagliate in sede di merito in ordine alla ravvisata insussistenza del lamentato demansionamento ed alla ritenuta esistenza di cause di giustificazione del disposto trasferimento, senza che venga nemmeno dimostrata la decisività delle questioni asseritamente disattese.

Invero, come è stato già statuito da questa Corte (Cass. sez. lav n. 2272 del 2/2/2007), "il difetto dì motivazione, nel senso di sua insufficienza, legittimante la prospettazione con il ricorso per cassazione del motivo previsto dall'art. 360, comma primo, n. 5), cod. proc. civ., è configurabile soltanto quando dall'esame del ragionamento svolto dal giudice del merito e quale risulta dalla sentenza stessa impugnata emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione ovvero quando é evincibile l'obiettiva deficienza, nel complesso della sentenza medesima, del procedimento logico che ha indotto il predetto giudice, sulla scorta degli elementi acquisiti, al suo convincimento, ma non già, invece, quando vi sia difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato attribuiti dal giudice di merito agli elementi delibati, poiché, in quest'ultimo caso, il motivo di ricorso si risolverebbe in un'inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti dello stesso giudice di merito che tenderebbe all'ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, sicuramente estranea alla natura e alle finalità del giudizio di cassazione. In ogni caso, per poter considerare la motivazione adottata dal giudice di merito adeguata e sufficiente, non è necessario che nella stessa vengano prese in esame (al fine di confutarle o condividerle) tutte le argomentazioni svolte dalle parti, ma è sufficiente che il giudice indichi (come accaduto nella specie) le ragioni del proprio convincimento, dovendosi in tal caso ritenere implicitamente disattese tutte le argomentazioni logicamente incompatibili con esse". Orbene, nella fattispecie in esame può tranquillamente affermarsi che, nel loro complesso, le valutazioni del materiale probatorio operate dal giudice d'appello appaiono sorrette da argomentazioni logiche e perfettamente coerenti tra di loro, oltre che aderenti ai risultati fatti registrare dall'esito delle prove orali su punti qualificanti della controversia, per cui le stesse non mentano affatto le censure di omessa disamina mosse col ricorso.

In tal modo non risulta nemmeno scalfita la "ratio decidendi" posta a base dell'accertata insussistenza del lamentato demansionamento, vale a dire il carattere assorbente attribuito dal giudice d'appello alla valenza dell'accordo sindacale del 24/4/90 sull'inquadramento solo formale in una categoria superiore pur in costanza de) mantenimento delle pregresse mansioni, con conseguente ritenuta irrilevanza del tentativo di dimostrare l'espletamento di mansioni esclusive di attività interna di ufficio. Sotto tale aspetto i motivi coi quali il ricorrente tenta di affrontare la questione si rivelano, pertanto, infondati.

Egualmente infondato è il motivo col quale si tenta di sostenere sia la produzione di una automatica lesione alla professionalità acquisita, sia l'esistenza di un danno biologico, di un danno esistenziale e di un danno morale

A tal proposito è bene ricordare che “in tema di risarcimento del danno non patrimoniale derivante da demansionamento e dequalificazione, il riconoscimento del diritto del lavoratore al risarcimento del danno professionale, biologico o esistenziale, non ricorre automaticamente in tutti i casi dì inadempimento datoriale e non può prescindere da una specifica allegazione, nel ricorso introduttivo dei giudizio - dall'esistenza di un pregiudizio (di natura non meramente emotiva ed interiore, ma oggettivamente accertabile) provocato sul fare reddituale del soggetto, che alteri le sue abitudini e gli assetti relazionali propri, inducendolo a scelte di vita diverse quanto all'espressione e realizzazione della sua personalità nel mondo esterno. Tale pregiudizio non si pone quale conseguenza automatica di ogni comportamento illegittimo rientrante nella suindicata categoria, cosicché non è sufficiente dimostrare la mera potenzialità lesiva della condotta datoriale, incombendo sul lavoratore non solo di allegare il demansionamento ma anche di fornire la prova ex art. 2697 cod. civ. del danno non patrimoniale e del nesso di causalità con l'inadempimento datoriale” (Cass. sez. lav. n. 19785 del 17/9/2010; in senso conforme v. anche Cass. sez. lav, n. 29832 del 19/12/2008) In ogni caso, la rilevata infondatezza dei motivi che interessano la questione principale del lamentato demansionamento, alla cui prova é indissolubilmente legata la dimostrazione dei suddetti danni, finisce per vanificare qualsiasi tentativo di una autonoma disamina di questi ultimi. In definitiva il ricorso va rigettato.

Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza del ricorrente e vanno poste a suo carico nella misura liquidata come da dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente alle spese del presente giudizio nella misura di 1.500,00 per onorario e di € 40,00 per esborsi, oltre spese generali, IVA e CPA ai sensi di legge.

 

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