Demansionamento: necessità di prova del danno alla professionalità

 

Cass.,  sez. lav., 13 maggio 2004, n. 9129 - Castrovilli c. Fiat Auto SpA.

 

Adibizione del lavoratore a mansioni inferiori a quelle già attribuite - Danno da demansionamento - Onere del lavoratore della dimostrazione della sua sussistenza -Ammissibilità di presunzioni.

 

Il prestatore di lavoro che chieda la condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno per demansionamento deve fornire la prova dell'esistenza di tale danno, prova che costituisce presupposto indispensabile per procedere ad una valutazione equitativa e che può essere fornita anche a mezzo di presunzioni relative alla natura, alla entità, alla durata del demansionamento e alle circostanze del caso concreto. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che, pur avendo ritenuto sussistente il demansionamento, aveva tuttavia rigettato la relativa domanda di risarcimento danni non avendo il lavoratore dedotto alcunché circa il danno subito tenuto anche conto della breve durata della adibizione alle diverse mansioni, peraltro non troppo distanti da quelle di provenienza).

Svolgimento del processo

Con sentenza 1 giugno - 27 settembre 2000, il Tribunale di Torino, decidendo in sede di appello, in riforma della sentenza impugnata, rigettava la domanda riconvenzionale di Antonio Castrovilli, dichiarando legittima la sanzione disciplinare inflitta dalla società per azioni FIAT AUTO con lettera del 29 luglio 1998 (due giorni di sospensione dal servizio e dallo stipendio), oggetto della domanda principale, e ritenendo non provato il danno da demansionamento per il cui risarcimento era stata proposta la riconvenzionale. Sulla questione relativa alla domanda riconvenzionale svolta dal Castrovilli, relativa ai danni da dequalificazione professionale, il Tribunale rilevava che tale domanda era innanzi tutto ammissibile, traendo fondamento dal medesimo rapporto giuridico (di lavoro).

Essa, tuttavia, non poteva considerarsi meritevole di accoglimento. In effetti, la dequalificazione del Castrovilli era stata accertata con sentenza del Pretore, confermata dal Tribunale, ma non vi era prova alcuna del danno derivato da tale dequalificazione,

Solo dopo che l'esistenza del danno sia stata accertata è possibile, infatti, procedere ad una liquidazione dei danni anche in via equitativa.

Nel caso di specie, il Castrovilli non aveva dedotto quale specifico pregiudìzio egli avrebbe subito, come se il danno fosse "in re ipsa".

Avverso tale decisione, per il solo capo relativo al rigetto della domanda riconvenzionale, il Castrovilli ha proposto ricorso per Cassazione sonetto da un unico motivo.

Resiste la FIAT AUTO con controricorso, illustrato da memoria.

Motivi della decisione

Con l'unico motivo, il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt 2103 e 2697 ce, nonché motivazione illogica, contraddittoria ed insufficiente,con conseguente violazione dell'art 2 Cosi (in relazione all'art 360 c.p.c. nn. 3 e 5).

I giudici di appello, secondo il ricorrente, non avrebbero considerato che il danno da demansionamento fatto valere dal Castrovilli è il danno conseguente all'illecito consistito nell'aver adibito il lavoratore a mansioni inferiori a quelle che una norma inderogabile di legge riconosce come diritto soggettivo del lavoratore e che si concretizza nella lesione della dignità della persona e del diritto alla libera esplicazione della personalità del lavoratore nel luogo di lavoro (art 2 Cost).

I giudici di appello avevano posto alla base della loro decisione una decisione di questa Corte relativa ad una controversia in cui era stato espressamente richiesto dal lavoratore il risarcimento del danno morale e del danno biologico subiti a seguito del demansionamento professionale.

Invece, nel caso di specie, il Castrovilli aveva richiesto semplicemente il risarcimento del danno alla professionalità (danno questo insito nella stessa dequalificazione, come più volte riconosciuto da questa Corte in alcune recenti decisioni).

II ricorrente richiama le decisioni di questa Corte che hanno individuato quali siano gli effetti dell'illegittimo demansionamento sulla professionalità del lavoratore, intesa quale bene giuridicamente tutelabile ed effettivamente tutelato sia dall'art. 2103 c.c. che dall'art 2 Cost.

È di tutta evidenza, prosegue il ricorrente, che gli effetti negativi individuati da questa Corte costituiscono un profilo di danno differente e distinto sia dal danno biologico e morale che da quello relativo alla perdita di chances.

Ed era proprio il risarcimento di questo ultimo danno che il Pretore aveva accertato nella sentenza già oggetto di appello (e passata in giudicato).

Numerose sentenze di questa Corte hanno chiarito che la lesione dei valori della personalità del lavoratore comportano un danno che può essere valutato patrimonialmente.

Ogni diversa interpretazione, che ne consentisse la violazione - senza adeguata riparazione sotto profilo patrimoniale - sarebbe difficilmente conciliabile con il senso della norma di cui all'art 35 Cost, primo comma. Non può dubitarsi, infatti, del carattere patrimoniale del pregiudizio connesso al mancato svolgimento del lavoro e delle proprie mansioni.

La prevalente giurisprudenza di questa Corte,continua il ricorrente, ha confermato che la violazione della disposizione di cui all'art 2103 c.c. è produttiva di danni valutabili sul piano economico e che il danno può essere ritenuto in re ipsa, senza necessità di prova.

La professionalità di un lavoratore dipende ed è costituita non solo dalle nozioni teoriche ma anche dalle capacità applicative delle stesse nella prassi lavorativa; essa si forma nel rapporto con le esigenze concrete poste dalla pratica quotidiana e viene stimolata e incrementata dalla attività di soluzione delle evenienze che di volta in volta si pongono.

Da ciò consegue che l'assegnazione a mansioni inferiori priva il lavoratore della possibilità di utilizzare e valorizzare la sua professionalità, determinandone l'impoverimento ed, al tempo stesso, ne impedisce la crescita.

In tale prospettazione, è evidente che il demansionamento determina per il lavoratore un pregiudizio al suo bagaglio professionale che si traduce in un danno patrimoniale valutabile e ciò senza necessità di individuare un intento persecutorio nel datore di lavoro.

Osserva il Collegio.

Il ricorso è infondato.

I giudici di appello hanno rilevato che il demansionamento era stato accertato, ma mancava la prova del danno subito dal Castrovilli.

La prevalente giurisprudenza di questa Corte è ferma nel ritenere che occorra la prova del danno derivante dal demansionamento professionale (Cass. 8 novembre 2003 n. 16792, 4 giugno 2003 n. 8904, 14 maggio 2002 n. 6992, 2 novembre 2001 n. 13580).

Questa Corte ha precisato che la quantificazione può avvenire anche in via equitativa, una volta che sia stata data la prova del danno, con un apprezzamento degli elementi presuntivi acquisiti al giudizio, e relativi alla natura, all'entità ed alla durata del demansionamento, nonché alle altre circostanze del caso concreto (Cass. 27 agosto 2003 n. 12553,  12 novembre 2002 n. 15868, 4 febbraio 1997 n. 1026).

Nel  caso di specie, i giudici di appello hanno precisato che il ricorrente nulla ha dedotto circa il danno subito dal demansionamento ed hanno sottolineato che lo stesso avrebbe avuto breve durata (poco più di un anno) in mansioni non troppo distanti da quelle di provenienza, tale quindi da non fondare, neppure presuntivamente, quel danno alla professionalità su cui oggi si diffonde il ricorrente.

In tale quadro, ogni censura di violazione di legge e di vizio di motivazione si configura come inammissibile e volta ad ottenere una diversa interpretazione delle risultanze processuali.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Compensa le spese del giudizio.

Così deciso in Roma, il 16 dicembre 2003.

Depositato in Cancelleria il 13 maggio 2004.

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