La Cassazione scivola sulla non autonomia del danno esistenziale

 

Cass. sez. III civ., 20 aprile 2007, n. 9514 – Pres. Finocchiaro – Rel. Segreto - P.M. Schiavon (parz. conf.) – Ricorrente  F. M.

 

Danno biologico e danno esistenziale – Il danno estenziale non è autonomo ma è componente del danno biologico ed è finalizzato a consentire la personalizzazione del danno biologico in riferimento  alle modificazioni della vita di relazione.

 

In presenza di una lesione dell’integrità psicofisica della persona, il danno alla vita di relazione (come il danno estetico o la riduzione della capacità lavorativa generica) costituisce una componente del danno biologico perché si risolve nell’impossibilità o nella difficoltà di reintegrarsi nei rapporti sociali per gli effetti di tale lesione e di mantenerli a un livello normale, cosicché anche quest’ultimo non è suscettibile di autonoma valutazione rispetto al danno biologico, ancorché costituisca un fattore di cui il giudice deve tenere conto per accertare in concreto la misura di tale danno e personalizzarlo alla peculiarità del caso (Cassazione 26/02/2004, n.3868).

Ne consegue che, allorché si provvede all’individuazione dell’entità complessiva del danno biologico subito, il giudice deve tener conto dell’apporto delle varie voci che lo compongono e del peso che esse svolgono nella figura unitaria del danno biologico.

Tale accertamento complessivo rientra negli esclusivi compiti del giudice di merito ed è incensurabile in sede di legittimità, se esente da vizi logici.

 

Svolgimento del processo

 

Con citazione del 21.6.1986 F. M.  conveniva davanti al tribunale di Rovigo il Comune di quella città per sentirlo condannare al pagamento della somma di lire 22.172.000 a titolo di risarcimento dei danni subiti a seguito di sinistro stradale verificatosi il 12.7.1985, quando percorrendo a bordo del suo ciclomotore una strada comunale aveva perso il controllo del mezzo, a causa di un avvallamento, rovinando a terra.

Si costituiva e resisteva il convenuto.

Veniva effettuata una prima consulenza tecnica, che diagnosticava sintomi di sclerosi a placche.

Il tribunale, con sentenza del 21.10.1992, accertava l’esclusiva responsabilità del Comune convenuto e lo condannava al pagamento della somma di  lire  29.982.625.

Proponeva appello l’attrice, assumendo che essa non era affetta da sclerosi a placche, ma da patologia generata da trauma cranico e chiedeva che il Comune fosse condannato al pagamento della somma di lire 856.665.028.

Resisteva il convenuto appellato, che proponeva appello incidentale.

La corte di appello di Venezia, con sentenza non definitiva del 9.7.1996, confermava la statuizione di esclusiva responsabilità del Comune e con sentenza definitiva del 18.3.2002, condannava lo stesso Comune al pagamento della somma di lire  407.390.615, da rivalutarsi dal 12.7.1985, oltre gli interessi legali sulla somma annualmente rivalutata.

Riteneva la corte di merito che, sulla base della consulenza collegiale effettuata, risultava che l’attrice fosse affetta da una grave sindrome psico‑organica, espressione di encefalopatia fronto‑basale post contusiva, che si estrinsecava in una grave turbe del comportamento, nella quale prevaleva l’aspetto della ipersessualità, per cui la F. era priva di freni inibitori, si spogliava in pubblico e si concedeva a chiunque; che tale malattia era in necessaria correlazione causale con la lesione contusiva encefalica riportata nel sinistro; che poteva essere accolta la percentuale di invalidità nella misura del 50%, indicata dai consulenti; che il danno biologico , sulla base di tale percentuale e delle tabelle in uso, andava liquidato in lire 157.500.000 e quello morale in lire  97.092.000, mentre il danno patrimoniale, calcolato sulla base del triplo della pensione sociale, andava liquidato in lire 148.478.615.

La corte di appello rigettava la liquidazione del danno per spese sanitarie “sostenute o da sostenere”, nonché per le spese di assistenza (richieste per lire 3.339.750.000) in mancanza di elementi probatori in merito.

Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione.

Resiste con controricorso il Comune convenuto, che ha anche proposto ricorso incidentale.

Entrambe le parti hanno presentato memorie.

Motivi della decisione

1. Preliminarmente vanno riuniti i ricorsi.

Con il primo motivo di ricorso la ricorrente lamenta l’omessa o comunque insufficiente motivazione in ordine al non accoglimento della domanda di risarcimento del danno nella misura del 100% (articolo 360 n. 5 Cpc).

Assume la ricorrente che, pur avendo la sentenza impugnata condiviso le conclusione dei C.T.U., secondo cui la psicopatologia, di cui era affetta l’attrice, incideva in modo notevole sulla vita di relazione, impedendole una normale vita di sentimenti e di rapporti, poi riteneva che la stessa avesse subito un danno biologico del 50% e non del 100%.

2. Con il secondo motivo di ricorso la ricorrente lamenta l’insuffíciente motivazione in ordine al non accoglimento della domanda di risarcimento del danno alla vita di relazione, come voce autonoma rispetto al danno biologico, nonché la violazione o falsa applicazione degli articoli 2056, 2059 e 2043 Cc (articolo 360 n.3 Cpc).

3.1. I due motivi, essendo connessi, vanno trattati congiuntamente.

Essi sono infondati.

In presenza di una lesione dell’integritá psicofisica della persona, il danno alla vita di relazione (come il danno estetico o la riduzione della capacità lavorativa generica) costituisce, una componente del danno biologico perché si risolve nell’impossibilità o nella difficoltà di reintegrarsi nei rapporti sociali per gli effetti di tale lesione e di mantenerli a un livello normale, cosicché anche quest’ultimo non è suscettibile di autonoma valutazione rispetto al danno biologico, ancorché costituisca un fattore di cui il giudice deve tenere conto per accertare in concreto la misura di tale danno e personalizzarlo alla peculiarità del caso (Cassazione 26/02/2004, n.3868).

Ne consegue che, allorché si provvede all’individuazione dell’entità complessiva del danno biologico subito, il giudice deve tener conto dell’apporto delle varie voci che lo compongono e del peso che esse svolgono nella figura unitaria del danno biologico.

Tale accertamento complessivo rientra negli esclusivi compiti del giudice di merito ed è incensurabile in sede di legittimità, se esente da vizi logici.

3.2. Pertanto è immune da censure l’impugnata sentenza che nell’accertare l’entità del danno biologico subito dalla F., in conseguenza della psicopatologia, causata dal sinistro,  ha ritenuto che complessivamente il danno biologico raggiungeva la percentuale del 50%.

In altri termini il giudice di appello, senza incorrere nei vizi lamentati dalle censure prospettate, ha, anzitutto, escluso una liquidazione autonoma della voce di danno alla vita di relazione, in presenza di una lesione psicofisica della F., valutandola nell’ambito del danno biologico, ed inoltre nel contrappeso delle varie voci, che compongono tale danno ha ritenuto che l’entità complessiva dello stesso fosse da fissare nel 50%, in conformità delle conclusioni del collegio del c.t.u.

4. Con il terzo motivo di ricorso la ricorrente lamenta la violazione di norme di diritto processuale (articolo 184 Cpc e 359 Cpc) in ordine alla riconosciuta possibilità di precisare la domanda in sede di precisazione delle conclusioni.

Lamenta la ricorrente che erratamente la sentenza impugnata ha ritenuto che essa, avendo richiesto al tribunale ed alla corte di appello di fissare il paramentro‑base per la liquidazione del danno patrimoniale nel triplo della pensione sociale, non potesse in sede di precisazione delle conclusioni davanti alla corte di appello modificare tale parametro in quello del reddito di un perito chimico.

Assume, la ricorrente che, così opinando, la corte di appello avrebbe violato gli articoli 184 e 359 Cpc, che permettevano l’emendatio  libelli anche in sede di precisazione delle conclusioni.

5.Il motivo è infondato.

Infatti va osservato che la corte di appello ha correttamente ritenuto che il ricorso al parametro del triplo della pensione sociale, al fine del calcolo del danno patrimoniale era già stato adottato dal tribunale (su espressa richiesta dell’attrice).

La F., appellante, non aveva mosso censure avverso questo parametro adottato dal primo giudice, anzi con l’atto di appello, si riportava espressamente ad esso.

Ne consegue che la richiesta in sede di comparsa conclusionale di adottare il più alto parametro, costituito dal reddito di un perito chimico, prima ancora di costituire una mutatio libelli (introducendo nel giudizio un elemento fattuale e di calcolo nuovo che, pur esistendo già al momento della proposizione della domanda, non era stato introdotto nel giudizio di primo grado, con conseguente violazione dell’articolo 345 Cpc anche nell’originaria formulazione) costituisce una violazione del principio devolutivo al giudice di appello e delle modalità con cui esso si attua in merito alle statuizioni del giudice di primo grado.

In altri termini,ai fini dell’esatta applicazione del principio devolutivo, avendo il giudice di primo grado (peraltro su espressa richiesta dell’attrice) adottato come base di calcolo del danno patrimoniale il triplo della pensione sociale, ove l’attrice avesse ritenuto tale parametro errato, avrebbe dovuto impugnare la sentenza anche nella parte in cui adottava tale criterio (rimanendo impregiudicata la diversa questione se essa, non essendo soccombente sul punto, era legittimata a tale impugnazione).

6. Con il quarto motivo di ricorso la ricorrente lamenta la contraddittorietà della motivazione in relazione al mancato accoglimento della domanda di rimborso delle spese mediche e la violazione degli articoli 1226 Cc e 360 n. 3 e 5 Cpc.

La ricorrente lamenta che la corte di merito non abbia liquidato il risarcimento per le spese mediche, nonostante la gravità della malattia.

7. Con il quinto motivo di ricorso la ricorrente lamenta l’omessa, contraddittoria o comunque insufficiente motivazione in relazione al mancato accoglimento della domanda di rimborso delle spese di assistenza, nonché la violazione delle norme in materia di liquidazione equitativa del danno (articolo 1226 Cc, in relazione all’articolo 360 n. 3 e 5 Cpc).

Assume la ricorrente che ogni giorno essa è assistita da accompagnatori, data la gravità della sua malattia (per effetto della quale si spogliava in pubblico e si offriva sessualmente a chiunque), mentre gli anziani genitori non sono in grado di provvedere per l’intera giornata all’assistenza.

8. Con il sesto motivo di ricorso la ricorrente lamenta il vizio motivazionale dell’impugnata sentenza per il mancato accoglimento della domanda di rimborso delle spese mediche future e la violazione dell’articolo 1226 Cpc, ai sensi dell’articolo 360 n. 3 e 5 Cpc.

Lamenta la ricorrente che la corte di merito non ha spiegato perché non abbia accolto la domanda di rimborso delle spese mediche future.

9.1.1 predetti tre motivi, essendo connessi, vanno esaminati congiuntamente.

Essi sono infondati.

Va preliminarmente osservato che la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico ‑ formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risulzanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando, così, liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisíti (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge).

9.2. Nella fattispecie la sentenza impugnata, con motivazione esente da censure in questa sede di legittimità, ha ritenuto, quanto alle spese mediche sostenute o da sostenere che non era stato offerto alcun elemento utilizzabile per la liquidazione equitativa, sia per le spese future che per quelle già sostenute.

La semplice gravità della malattia, infatti, pur essendo elemento decisamente fondante la necessità di spese sanitarie, non è dimostrativa del fatto che esse rimangano a carico del danneggiato e non siano invece sostenute dagli organismi pubblici preposti.

9.3. Quanto alla necessità di assistenza continua, la corte di merito ha egualmente ritenuto che non sono stati forniti elementi per cui l’attrice aveva la necessità di un’assistenza continua, il cui costo sarebbe ammontato a lire 3.339.750.000.

Escluso, quindi, l’an del danno, correttamente la corte di merito non ha provveduto ad alcuna liquidazione equitativa dello stesso.

Infatti il ricorso al criterio equitativo per la liquidazione del danno patrimoniale previsto dall’articolo 1226 Cc (e nel rito del lavoro anche dall’articolo 432 Cpc) presuppone che il pregiudizio economico, del quale la parte reclama il risarcimento, sia certo nella sua esistenza ed è consentito al giudice  soltanto in presenza di una impossibilità ovvero di una oggettiva difficoltà per la parte interessata di provare l’esatto ammontare  del danno.

10. Con il settimo motivo di ricorso la ricorrente lamenta la violazione degli articoli 91 Cpc e 4 della tariffa forense DMG 5.10.1994, n. 585, ai sensi dell’articolo 360 n. 3 Cpc.

Assume la ricorrente che , pur tenendo conto dello scaglione relativo alla somma liquidata, ed applicato lo stesso nel minimo, gli onorari dovutile (e dettagliatamente indicati in ricorso) erano pari nel minimo ad  euro 8.705,00, a fronte delle lire 12 milioni liquidati.

Assume la ricorrente che anche i diritti di procuratore sono stati liquidati in misura inferiore ai minimi.

11.1. Il motivo è infondato.

Infatti, quanto agli onorari per le udienze, indicate in numero di 19, non è specificato, in ossequio del principio di autosufficienza del ricorso, quali fossero le udienze in cui non era stato disposto un mero rinvio, tenuto conto che per quest’ultimo tipo di udienza sono dovuti solo i diritti di procuratore nel suo ricorso.

11.2. Quanto agli onorari per le memorie di replica successive alle comparse conclusionali, va osservato che gli onorari spettanti all’avvocato per la redazione delle difese non sono dovuti in relazione ad ogni singolo atto difensivo. Non possono considerarsi scritti difensivi autonomi e distinti dalle comparse conclusionali le memorie (che costituiscono insieme la “redazione delle difese”, cui riferisce il punto 38 parte V - per le cause davanti alla corte di appello‑ della tabella A allegata alla tariffa forense). Per le memorie non è dovuto quindi un distinto onorario ma può solo stabilirsi un aumento dell’onorario corrisposto per la redazione della comparsa conclusionale (cfr. Cassazione 3.7.1991, n. 7275; Cassazione, 11 febbraio 1960, n. 206; 3 febbraio 1964, n. 273; 10 gennaio 1966, n. 196).

Quanto all’onorario richiesto per “esame perizia” va osservato che tale voce non rientra tra quelle per cui è dovuto l’onorario, ma solo un diritto di procuratore.

Cosi ridotte le voci relative agli onorari, la liquidazione effettuata dal giudice di appello non viola la tariffa forense applicabile alla fattispecie.

11.3. Quanto alla censura relativa alla liquidazione dei diritti di procuratore, la stessa è inammissibile.

Infatti, in tema di controllo della legittimità della pronuncia di condanna alle spese del giudizio, è inammissibile il ricorso per cassazione che si limiti alla generica denuncia dell’avvenuta violazione del principio di inderogabilità della tariffa professionale, atteso che, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, devono essere specificati gli errori commessi dal giudice e precisate le voci di tabella degli onorari, dei diritti di procuratore che si ritengono violate (Cassazione 23/09/2003, n.14110).

12. Con il ricorso incidentale il ricorrente lamenta l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione in merito all’accertamento del nesso di causalità tra il trauma cranico subito dall’attrice nell’incidente e la malattia mentale successivamente manifestatasi.

Lamenta il ricorrente che la sentenza impugnata abbia ritenuto di condividere le conclusioni cui era pervenuto il collegio dei consulenti, senza tener conto delle osservazioni critiche mosse dal consulente di parte, le quali tale nesso di causalità escludevano.

13.1. Il motivo è infondato.

Il giudice del merito, che riconosca convincenti le conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, non è tenuto ad esporre in modo specifico le ragioni del suo convincimento, poiché l’obbligo della motivazione è assolto già con l’indicazione delle fonti dell’apprezzamento espresso(Cassazione n. 19475/2005). Infatti, il giudice del merito, quando aderisce alle conclusioni del consulente tecnico che nella relazione abbia tenuto conto, replicandovi, dei rilievi dei consulenti di parte, esaurisce l’obbligo della motivazione con l’indicazione delle fonti del suo convincimento; non è quindi necessario che egli si soffermi sulle contrarie deduzioni dei consulenti di fiducia che, anche se non espressamente confutate, restano implicitamente disattese perchè incompatibili con le argomentazioni accolte. Le critiche di parte, che tendano al riesame degli elementi di giudizio già valutati dal consulente tecnico, si risolvono in tal caso in mere allegazioni difensive, che non possono configurare il vizio di motivazione previsto dall’articolo 360 n. 5 Cpc (Cassazione 13/09/2000, n.12080).

13.2. Nella fattispecie la consulenza tecnica collegiale è stata depositata il 27.4.1998 e gli stessi c.t.u.  hanno risposto con nota del 27.11.1998 ai rilievi critici mossi dal c.t. del Comune convenuto.

Ne consegue che, essendosi il giudice di appello, riportato alle conclusioni del collegio di consulenza, si è riportato anche alle risposte date dagli stessi ai rilievi critici dei c.t. parte, facendole proprie.

14.1.  ricorsi vanno pertanto rigettati. Esistono giusti motivi per compensare le spese del giudizio di cassazione.

PQM

Riunisce i ricorsi e li rigetta. Compensa tra le parti le spese del giudizio di cassazione.

 

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QUEL CHE LA CASSAZIONE NON DICE (OVVERO “QUANDO IL TITOLO INGANNA”)-

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La sentenza in oggetto, in effetti, si limita a ribadire un orientamento pacifico e consolidato, secondo il quale - laddove sia in gioco la lesione dell’integrità psico-fisica della vittima – la voce del danno biologico assumerà carattere onnicomprensivo rispetto a tutte le ricadute relazionali dell’illecito derivanti dal torto. 

Si tratta di conclusioni intorno alle quali, oramai da anni, vige un generale consenso: le vecchie figure di natura pseudo-patrimoniale - ed in particolare il danno alla vita di relazione - inventate dalla giurisprudenza al fine di integrare una risposta risarcitoria altrimenti insufficiente nei confronti della vittima di una lesione alla salute, sono destinate dopo la creazione del danno biologico a perdere di autonomia, per essere risucchiate all’interno di tale voce del pregiudizio. 

E’ proprio questo che si limita a ribadire Cass. 9514/2007, la quale afferma che “in presenza di una lesione dell’integrità psico-fisica della persona, il danno alla vita di relazione (come il danno estetico o la riduzione della capacità lavorativa generica) costituisce una componente del danno biologico perché si risolve nell’impossibilità o nella difficoltà di reintegrarsi nei rapporti sociali per gli effetti di tale lesione e di mantenerli a livello normale”. Non si riesce a comprendere, allora, come da questi nient’affatto innovativi dati giurisprudenziali possa essere desunta una battuta d’arresto nel processo che ha visto riconoscere l’autonoma risarcibilità del danno esistenziale.

Sarà utile, allora, ribadire come il danno esistenziale rappresenti una voce destinata a fornire autonomo riscontro alle compromissioni delle attività realizzatrici della persona ove sia in gioco un torto che viene a ledere un interesse della vittima diverso da quello alla salute. In tali ipotesi la categoria in questione consentirà di tener conto di tutte le ripercussioni risentite dalla vittima nella sua sfera dell’ “agire non reddituale”, che come tale comprende ovviamente la dimensione relazionale della vittima. Laddove, invece, le ripercussioni relazionali derivino da una lesione dell’integrità psico-fisica, è pacifico che i riflessi coinvolgenti tale dimensione dovranno essere ricondotti sotto l’egida del danno biologico, come riconosce la Cassazione. Nessuna smentita quanto ad un simile assetto si trae dalle recenti righe dei giudici di legittimità.

Ma quanti sono effettivamente coloro che si spingeranno a leggere concretamente il testo della pronuncia di cui si discute? La tendenza sarà quella a confidare nelle affermazioni di chi ha tratto quelle conclusioni errate. L’eco di quelle parole finirà per diffondere una “falsa luce agli occhi del pubblico”, dalla quale si potrebbe ricavare l’errata idea di una categoria in crisi. E’ certo che - nella battaglia che combattuta sul fronte dell’estensione della tutela aquiliana della persona – pesano “condizionamenti di natura economica ed ideologica”, per usare le parole con le quali chiude l’articolo che si viene commentando. Ma è bene sottolineare che quei condizionamenti non possono mai pesare fino al punto da pervenire ad una manipolazione dei dati interpretativi – attraverso “massime mentitorie” ovvero “titoli ingannevoli” – tale da spingersi oltre le soglie della correttezza.

Patrizia ZIVIZ

(fonte: www.personaedanno.it )

 

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