I contributi sindacali dopo la modifica referendaria dell’art. 26  dello Statuto dei lavoratori

 

1. Nel commentare  le decisioni del Tribunale di Milano del 21 febbraio 1998 e del Pretore di Cosenza del 20 dicembre 1997 (pubblicate in Lav. prev. Oggi 1998, rispettivamente a p. 1872 e 1875)  è giocoforza entrare nel merito alle problematiche indotte dalla modifica (parziale) dell’art. 26 Statuto dei lavoratori ad opera  del d.p.r. 28 luglio 1995, n. 313 che, per effetto del referendum indetto con d.p.r. 5 aprile 1995, ha abrogato il 2° e 3° comma dell’art. 26 st. lav. In conseguenza della predetta abrogazione l’attuale art. 26 dispone: che: “I lavoratori hanno diritto di raccogliere contributi e di svolgere opera di proselitismo per le loro organizzazioni sindacali all’interno dei luoghi di lavoro, senza pregiudizio del normale svolgimento dell’attività aziendale”. Sono state abrogate, pertanto le precedenti disposizioni che addizionavano alla previsione soprariportata quelle che prevedevano che: “Le associazioni sindacali dei lavoratori hanno diritto di percepire, tramite ritenuta sul salario, i contributi sindacali che i lavoratori intendono loro versare, con modalità stabilite dai contratti di lavoro, che garantiscano la segretezza del versamento effettuato dal lavoratore a ciascuna associazione sindacale” (2° co.).

“Nelle aziende nelle quali il rapporto di lavoro non è regolato da contratti collettivi, il lavoratore ha diritto di chiedere il versamento del contributo sindacale all’associazione sindacale da lui indicata” (3° co.)”.

In buona sostanza, in omaggio ad un (prevalso) atteggiamento ostile e livoroso verso l’istituzione sindacale, è stato soppresso l’obbligo per il datore di lavoro di effettuare quel “sevizio gratuito” sempre mal sopportato dall’opinione borghese e “bottegaia”, in quanto imposto ad una parte del rapporto di lavoro (l’azienda) a favore della “controparte antagonista” (il sindacato) – consistente nella raccolta ed nel versamento delle contribuzioni necessarie per la vita e la continuità dell’organizzazione - mentre  si consentivano e si consentono, pacificamente,  senza reazioni di sorta, in assenza di una norma  di legge speciale e sulla base delle norme di diritto comune in tema di “cessione di credito” (art. 1260 e ss. c.c.), le ritenute ed i versamenti alle varie finanziarie operanti sul mercato, con le quali i lavoratori hanno contratto finanziamenti  e mutui ed alle quali hanno ceduto (parzialmente) il proprio credito sulla retribuzione (e sul t.f.r.) dovutagli dal datore di lavoro in conseguenza della prestazione contrattualmente pattuita.

Il metodo dei “due pesi e due misure” nell’effettuazione del servizio di esazione, con indisponibilità nel caso si tratti dell’avversario sindacale, con indifferenza o benevolenza nel caso dell’operatore finanziario/commerciale, è altresì illuminante in ordine alla genesi ed alla funzione dell’art. 26 st. lav. Si vuole cioè dire che - come evidenzia la notazione soprariferita -  anche in mancanza di una norma speciale in ordine all’obbligo di esazione a favore del creditore cessionario (il sindacato, esistevano per il creditore cedente (lavoratore) istituti di diritto comune – come la cessione di credito ex art. 1260 e ss. c.c. – idonei a realizzare in capo al datore di lavoro (debitore ceduto) l’obbligo del servizio di esazione, senza  che questi si potesse opporre o potesse  pretendere di  manifestare il suo consenso all’operazione in questione.

Ci si chiede e ci si è chiesti – anche nel corso delle vertenze giudiziarie – perché allora il legislatore statutario abbia sentito l’esigenza di imporre al datore di lavoro l’obbligo di provvedere all’esazione dei contributi a favore dell’organizzazione sindacale, quando un simile risultato poteva essere egualmente conseguito secondo le norme di diritto comune.

La regione è eminentemente di “politica del diritto”. Con lo Statuto, il legislatore si è ripromesso di dotare il sindacato di una serie di diritti implicanti un dovere di cooperazione datoriale. E’ questa cooperazione che ha inteso “forzare” ed affermare come dovuta dal datore di lavoro (c.d. obbligo di “pati”): così è avvenuto per l’ipotesi di approntamento di “appositi spazi” (o bacheche) per l’esercizio del diritto di affissione, ex art. 25 s.d.l., per i locali delle R.s.a., ex art. 27 s.d.l., per il locale di tenuta delle assemblee, ex art. 20 s.d.l., cui ha addizionato, per similitudine di materia e per vincere l’indisponibilità psicologica datoriale a collaborare al finanziamento dell’antagonista sindacale, l’obbligo dell’esazione dei contributi, sulla base del principio secondo cui “quod abundat non deficit”. Salva l’esigenza (mai realizzata nei fatti) di favorire , per via contrattuale, sistemi di salvaguardia della segretezza dei soggetti versanti al sindacato, cioè a dire degli iscritti, la disposizione statutaria aveva un significato eminentemente “emblematico o di affermazione di principio” e si inquadrava nell’ottica della mera completezza del disegno legislativo in ordine alla garanzia dei diritti di sostegno delle Oo.Ss., piuttosto che essere finalizzata ad un obiettivo altrimenti non conseguibile.

Come osserva, condivisibilmente, anche il Pretore di Cassino (1): “con la promulgazione dello Statuto dei Lavoratori il legislatore ha voluto evidentemente realizzare un ‘catalogo’ dei diritti sia dei singoli lavoratori, sia delle organizzazioni sindacali, disegnando un quadro unitario…; in quest’ottica la previsione espressa di un diritto del sindacato ad ottenere il versamento dei contributi a mezzo di ritenuta sul salario, ben si spiega con la volontà del legislatore di dare ampio riconoscimento agli interessi superindividuali e collettivi dei lavoratori, ma non può evidentemente significare che lo stesso risultato pratico – del sostentamento sindacale a mezzo di ritenute sullo stipendio dei lavoratori/iscritti – non potesse essere raggiunto ricorrendo ai normali principi civilistici, operanti anche al di fuori del settore lavoristico (come avvenuto nella specie, con il ricorso allo schema negoziale della cessione del credito). Del resto una previsione espressa, come quella contenuta nei commi 2 e 3 dell’art. 26 st. lav., oltre al valore ‘simbolico’ di cui si è detto, portava con sé anche effetti giuridici specifici, che ne attestavano la peculiarità rispetto alle generali previsioni civilistiche: si pensi alla necessità di assicurare la segretezza del versamento, che è profilo estraneo alle figure civilistiche della cessione del credito o della delegazione di pagamento, attraverso le quali lo stesso risultato della contribuzione al sindacato può essere raggiunto”.

Con il venir meno dell’obbligo legale di esazione dei contributi per ritenuta sulla retribuzione, è stato detto  - piuttosto superficialmente – che l’obbligazione poteva essere reintrodotta solo per via contrattuale,  cioè dietro pattuizione collettiva o individuale.

Di fatto invece si è assistito:

a)               ad una riaffermazione dell’obbligazione esattiva datoriale per via negoziale, normalmente ad opera delle Oo.Ss. stipulanti i Ccnl, sia tramite pattuizione nuova (è il caso delle Oo.Ss. del personale direttivo del credito il cui previgente Ccnl non prevedeva l’obbligo esattivo datoriale) sia in virtù di pattuizione preesistente, già contemplante il diritto del lavoratore al versamento del contributo al sindacato prescelto (è il caso più ricorrente, e viene in considerazione nella fattispecie decisa da Trib. Milano 21 febbraio 1998);

b)               alla soluzione unilaterale, e non già pattizia, del ricorso al negozio della “cessione del credito”, attraverso cui i lavoratori (prevalentemente iscritti a sindacati non firmatari dei Ccnl applicati nell’unità produttiva) hanno notificato all’azienda, ai fini e per gli effetti della trattenuta e del relativo versamento al sindacato, una delega d’iscrizione al sindacato che, contemporaneamente, li impegnava – per espressa menzione dell’istituto della “cessione di credito” ex art. 1260 e ss. c.c. - al versamento nei confronti dell’organizzazione di una quota mensile, a titolo di contributo associativo, per la durata di un anno (o più anni), salvo revoca da notificarsi in tempo utile (è il caso ricorrente nella fattispecie decisa dal Pretore di Cosenza).

 

2. Nella fattispecie decisa da Trib. Milano 21 febbraio 1998 – come già anticipato – il diritto dei lavoratori iscritti al Sindacato FLMU di versare i contributi associativi ed il diritto di quest’ultimo a percepirli, è stato fondato (e giudizialmente riscontrato) sulla preesistente pattuizione o clausola dell’art. 6, D.G. Sez. II (rubricata “Diritti sindacali”) del Ccnl 5 luglio 1994 per i metalmeccanici la quale, quantunque collocata graficamente nella c.d. “parte obbligatoria” del Ccnl dispone indifferenziatamente (e senza alcuna menzione di riserva per i lavoratori iscritti alle Ooo.Ss. firmatarie del contratto) che: “L’azienda provvederà alla trattenuta dei contributi sindacali ai dipendenti che ne facciano richiesta mediante delega debitamente sottoscritta dal lavoratore e consegnata o fatta pervenire all’azienda dal lavoratore stesso.

Le deleghe avranno validità permanente, con verifica annuale e salvo revoca che può intervenire in qualsiasi momento…”.

Il Collegio  ha ritenuto che il diritto del lavoratore e del Sindacato si fondino sulla disposizione contrattuale che, per il suo tenore, è una disposizione di “carattere normativo”, cioè sostanzialmente riconducibile a quella parte del Ccnl che predetermina il futuro contenuto dei contratti individuali e,quindi, fissa i diritti ed i doveri fra lavoratori ed azienda. Il rifiuto di trattenuta sul salario e di conseguente versamento al sindacato – in quanto la privazione dei mezzi di sostentamento ostacola indubitabilmente l’attività (e la stessa sopravvivenza) del sindacato medesimo – attualizza comportamento antisindacale reprimibile ex art. 28 st. lav.

Quello che tuttavia appare interessante, è l’opinione che il Collegio esprime in ordine alla tesi subordinata prospettata dalla difesa del Sindacato, secondo cui – nel caso in cui il diritto all’esazione contributiva  non si basasse sulla norma contrattuale (che realizza la fattispecie della delegazione di pagamento, ove il consenso datoriale è implicito nella pattuizione) – la richiesta del lavoratore in ordine alla trattenuta  ed il diritto del sindacato alla percezione dei contributi si baserebbe sull’istituto della “cessione di credito”(2).

E’ una tesi che il Collegio ritiene pienamente fondata, in quanto l’istituto civilistico  della “cessione del credito” realizza un’operazione “economicamente utile e meritevole di tutela giacché con un unico passaggio viene estinta l’obbligazione del lavoratore verso il Sindacato e (parzialmente) l’obbligazione del datore di lavoro verso il lavoratore, senza necessitare dell’accettazione o consenso del debitore ceduto (datore di lavoro) per il quale è sufficiente la notifica, che non richiede un atto formale e che integra una mera condizione di opponibilità del negozio al debitore medesimo (datore di lavoro), nel senso che lo priva del diritto di liberarsi adempiendo al cedente (lavoratore (3).

La fattispecie  presa in considerazione da Pret. Cosenza 20 dicembre 1997 attiene ad un ipotesi in cui i lavoratori iscritti al sindacato non firmatario del Ccnl  si sono riappropriati – dopo la modifica referendaria dell’art. 26 st. lav. – dell’istituto di diritto comune della “cessione del credito”, facendo pervenire all’azienda richiesta-notifica di voler versare il contributo associativo al sindacato prescelto. Anche per questo magistrato “l’istituto della ‘cessione del credito’ appare adeguato ed attinente alla volontà negoziale delle parti che hanno inteso trasferire all’associazione di categoria una quota del credito retributivo del dipendente”. Ed anche questo magistrato giunge alla conclusione – a fronte dell’obiezione per cui con tale istituto si ripristinerebbe in frode alla legge, un obbligo contro il quale si è espresso il corpo elettorale nel referendum – che “a seguito dell’esito referendario è stato eliminato dal nostro ordinamento l’obbligo legale di effettuazione del versamento delle quote sindacali da parte dei datori di lavoro ma non è certo stato imposto un divieto di realizzare il medesimo effetto mediante l’utilizzo di strumenti negoziali tipici e legali”. Ciò è tanto vero che nessuno dubita che  per via  di contrattazione possa essere reintrodotto l’istituto in questione, senza che la pattuizione possa considerarsi affetta da nullità per contrasto con norma imperativa.

 

3.Naturalmente non mancano nel panorama giurisprudenziale e dottrinale opinioni contrarie (4), facenti leva principalmente su talune presunte  insufficienze  o lacune che l’istituto civilistico della cessione del credito presenterebbe, ai fini di attagliarsi convincentemente all’obbligo di ripristinare l’esazione contributiva a favore delle Oo.Ss., firmatarie e non del Ccnl.

Si è fatto rilevare da taluno, infondatamente, che la “cessione del credito“ non potrebbe riguardare crediti futuri né essere parziale – come nel caso di specie, relativo ad una quota della retribuzione mensile – ma è stato obiettato che il 2° comma dell’art. 1262 c.c., riguardante la documentazione dovuta dal cedente  al cessionario, contempla esplicitamente tale ipotesi (5), laddove dice: “Se è stata ceduta solo una parte del credito, il cedente è tenuto a dare al cessionario una copia autentica dei documenti”.

Ancora si è obiettato che l’istituto della “cessione di credito” dovrebbe implicare l’indifferenza dei costi cioè a dire l’assenza di oneri per il debitore ceduto (il datore di lavoro) mentre invece l’azienda se niente sopporta per la trattenuta retributiva sul salario del lavoratore sostiene, invece,  dei costi per il bonifico bancario a favore del Sindacato. A tale obiezione  si è risposto, in sede giurisprudenziale, con la considerazione che in materia era richiamabile il  generale principio in tema di obbligazioni che prevede che “le spese del pagamento sono a carico del debitore “(6) (art. 1196 c.c.)  e, che, comunque, tale “onerosità non appariva certamente eccessiva e debordante rispetto al normale obbligo di collaborazione e salvaguardia nella esecuzione del contratto fissato dalla legge ove si consideri che per lunghi anni questi oneri sono stati assunti per espressa previsione normativa”(7).

Altra obiezione è consistita nella mancanza – nell’istituto bilaterale  della cessione del credito – della revocabilità per atto unilaterale del lavoratore, che invece sarebbe consentita, dall’art. 1269, 2° co. c.c.,  nello schema unilaterale della“delegazione di pagamento”(ragion per cui la dottrina che inquadrò l’obbligo imposto dallo Statuto sul datore di lavoro, preferì ricondurlo alla delegatio solvendi, di cui all’art. 1268 e ss. c.c., piuttosto che alla cessione di credito (8). E’ questa l’ unica obiezione di seria consistenza che  può indurre a dubitare che  una pattuizione contrattuale in cui sia prevista la “revocabilità unilaterale” possa  prefigurare lo schema della “cessione di credito” in luogo della “delegazione di pagamento”(9). Sul piano pratico, affinché il lavoratore non rischi di restare iscritto a tempo indeterminato all’associazione sindacale prescelta inizialmente (e a cui ha ceduto il credito retributivo per un importo pari alla quota sindacale), dovrà pre-acquisire dal Sindacato il consenso alla revoca in qualsiasi momento, il ché potrà avvenire qualora nella delega (predisposta dal sindacato) venga inserita una formula con cui il creditore cessionario (appunto il Sindacato) “dà sin d’ora atto del proprio consenso alla revoca, in qualsiasi momento, del credito parziale  da parte del cedente “(il lavoratore), “con tutti i conseguenti effetti estintivi nei confronti del debitore ceduto” (il datore di lavoro).Altra considerazione prospettata dagli avversari a consentire l’utilizzo della cessione del credito per la riscossione dei contributi sindacali – implicante l’assenza di consenso della controparte datoriale – è rappresentata dal fatto che “per effetto della cessione il credito è trasferito al cessionario con le caratteristiche e le garanzie proprie del credito retributivo originario, in particolare che, ai sensi dell’art. 1263 c.c., il credito è trasferito con i privilegi e le garanzie personali e reali…”(10), con la conseguenza che , stante l’orientamento giurisprudenziale secondo cui il credito di un’associazione sindacale per contributi non gode del privilegio generale accordato ai crediti di lavoro dall’art. 2751 bis, n. 1,  (trattandosi di diritto autonomo), “si verrebbe a configurare il paradossale effetto di estendere il suddetto privilegio ai crediti delle organizzazioni sindacali dei lavoratori nei cui riguardi sia stata applicata la cessione del credito e non invece ai crediti delle organizzazioni firmatarie dei contratti collettivi” (11).

Non è nostra intenzione realizzare la “quadratura del cerchio” intorno all’istituto della “cessione di credito” applicato all’esazione dei  contributi sindacali. Indubbiamente qualche “sfrido” tra  l’attuale configurazione contrattuale  (o fattuale) delle “deleghe” per la trattenuta ed il versamento dei contributi  con lo schema legale codicistico  è innegabile che ci sia, tuttavia i “nei” riscontrati, o enfaticamente evidenziati dagli oppositori, non ci sembrano  di tale consistenza  giuridica da essere ostativi all’utilizzo dell’istituto legale, nella materia de qua. Ci sembra, invero, di cogliere nei detrattori un accanimento sostenuto da un’ideologia contraria al diritto alla vita ed all’operatività delle organizzazioni sindacali, nelle multiformi varietà consentite dal pluralismo costituzionale, che non consente di fare  distinzioni –  perlomeno in ordine al diritto del cittadino/lavoratore di sostenere il sindacato prescelto come più confacente alle sue inclinazioni – tra sindacati “firmatari” di Ccnl e sindacati “non firmatari”, rilevando il dato dell’effettività della forza sul campo ( talora surrogabile dalla disponibilità datoriale ad un accreditamento, consentendo al sindacato meno antagonista e conflittuale la sottoscrizione dei Ccnl) nel nuovo testo dell’art. 19 s.d.l., solo ai fini della legittimazione  a radicarsi in azienda, tramite la costituzione di R.s.a.

 

Mario Meucci

(pubblicato in Lav. prev. Oggi 1998, 10, 1879)

NOTE

(1) Pret. Cassino 8 febbraio 1996 (decr.) in Mass. giur. lav. 1996, 163, con annotazione di Rendina, Riflessioni in tema di contributi sindacali e cessione del credito.

(2) Nello stesso senso risulta essersi espresso Trib. Milano 27 marzo 1998 e Trib. Milano 20 marzo 1998 (inedite allo stato); Pret. Cosenza 22 maggio 1996, in Riv. crit. dir. lav. 1997, 263; Pret. Pomigliano d’Arco 12 marzo 1996 (Slai-Cobas c. Fiat Auto, inedita). In dottrina, in senso conforme, vedi esaustivamente il lucido articolo di Fezzi, Inutilità ed irrilevanza del referendum sull’art. 26 SL i materia di versamento dei contributi sindacali, anche in favore di sindacati non stipulanti il CCNL, ibidem, 1995, 775.

(3) Così Cass. 12 maggio 1990, n. 4077, in Mass. Foro it. 1990, voce “ Cessione dei crediti”, n. 3; Cass. n. 3887/1975; Trib. Milano 18 luglio 1985, in Riv. it. leasing. 1986, 711, ecc. Conf. Fezzi, op. cit. 779, cui si devono anche (unitamente a Trib Milano 21 febbraio 1998 e a Pret. Cosenza 20 dicembre 1997,  cit.) le citazioni delle decisioni sopra riportate.

(4) In giurisprudenza, Pret. Milano 13 febbraio 1996, in Mass. giur. lav. 1996, 162; Pret. Milano 31 gennaio 1996, ibidem 1996, 163; Pret. Torino 16 gennaio 1996, ibidem 1996, 22; Pret. Monza 5 gennaio 1996, in Riv. crit. dir. lav. 1996, 368; Pret. Milano 28 novembre 1995, in Mass. giur. lav. 1995, 670; Pret. Napoli 28 novembre 1995, in Not. giurisp. lav. 1995, 700, ecc. In dottrina, vedi Rendina, op. cit., 162 e ss., nonché , in senso riepilogativo delle  contrapposte posizioni, Galeone, Omesso versamento di contributi sindacali e condotta antisindacale del datore di lavoro, in Guida al diritto, 1998, n. 23, p. 21.

(5) Ancora da Fezzi, op. cit., 779 e Pret. Cassino 5 febbraio 1996.

(6) Così Pret. Cassino 5 febbraio 1996, cit. e Pret. Cosenza 20 dicembre 1997.

(7) Così Pret. Cosenza 20 dicembre 1997.

(8) Così Dell’Olio, in Commentario dello statuto dei lavoratori (diretto da Prosperetti), Milano 1975, 847; Giugni, Diritto sindacale, Bari 1991, 111; G. Santoro Passarelli, in Commentario allo statuto dei diritti dei  lavoratori (diretto da Giugni), Milano 1979, 438 e ss.. Aveva invece qualificato l’istituto quale “cessione di credito” Aranguren, La tutela dei diritti del lavoratore, Padova, 1981, 218.

(9) Così si è verificato nella fattispecie decisa, a favore della “delegazione di pagamento” da Pret. Milano 13 febbraio 1996, cit.

(10) Così Rendina, op. cit., 167.

(11) Così ancora Rendina, op. cit., 167.

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