Il controllo dello stato di malattia
Secondo la
dottrina medica può definirsi “malattia” “una situazione dinamica in cui
viene alterato temporaneamente o definitivamente il normale equilibrio
dell’organismo; quindi una condizione abnorme caratterizzata dalla presenza di
danni organici o di disturbi funzionali, localizzati o generalizzati, ad
andamento evolutivo verso un risultato che può essere: la conclusione del
processo morboso (cioè la guarigione) ovvero l’adattamento ovvero l’aggravamento
dello stato morboso sino all’esito infausto” (Castellino, La malattia del
lavoratore subordinato...ecc., suppl. a Not. giurisp. lav. 1988, 22 e
ss.).
Di recente la
Cassazione ha riepilogato i motivi della protezione accordata dal legislatore
allo stato di malattia, nella decisione dell’11 dicembre 1995 n. 12685 (in
Not. giurisp. lav. 1995, 893).
Lo stato di
malattia, secondo la sentenza, è un caso di impossibilità temporanea
sopravvenuta della prestazione lavorativa. Applicando le norme generali sulle
obbligazioni - in particolare gli artt. 1256 e 1463 c.c. - in una situazione del
genere nulla dovrebbe essere corrisposto al lavoratore ed il rapporto di lavoro
si dovrebbe estinguere, se il datore di lavoro non avesse più interesse alla sua
prosecuzione.
In deroga a
questi principi, invece, il rapporto continua, come disposto dall’art. 2110, 2°
co., c.c., per il periodo di comporto fissato dalla legge, dai contratti
collettivi dagli usi o secondo equità, e ciò malgrado sia cessata
temporaneamente l’obbligazione principale del lavoratore di prestare la sua
collaborazione al datore di lavoro. Sempre in via eccezionale, in deroga ai
principi statuiti negli artt. 1256 e 1463 prima ricordati, al lavoratore compete
la retribuzione o un’indennità nella misura e per il tempo determinati dalle la
leggi speciali, dai contratti collettivi, dagli usi o dall’equità o il
trattamento previsto da forme equivalenti di previdenza stabilite dalla legge e
dai contratti collettivi (art. 2110, 1°co., c.c.). Permane inoltre, durante tale
periodo, il rapporto assicurativo ed il periodo di assenza viene computato ai
fini dell’anzianità e del trattamento di fine rapporto. Tutto ciò - spiega la
Cassazione - per “ovviare ad una situazione meritevole di particolare
considerazione per il fatto che è indipendente dalla volontà del lavoratore, il
quale...trae dal reddito di lavoro i mezzi per il sostentamento suo e della
propria famiglia”.
Questo non
significa - prosegue la Cassazione - che vengano meno, sospesa soltanto
l’obbligazione principale, i reciproci diritti ed obblighi delle parti e, se il
lavoratore ha i diritti prima ricordati (retribuzione o indennizzo,
conservazione del posto, ecc.), il datore di lavoro “...non può certo
ritenersi disinteressato al comportamento del lavoratore, connesso con la sua
persistente qualità di collaboratore dell’impresa e della conseguente sua
dedizione funzionale alle esigenze di questa, e rimane titolare di un potere di
controllo dello stato di malattia, nei limiti indicati dalla normativa in vigore”
Una delle
componenti della variegata normativa in vigore (art. 2 L. n. 33/1980) dispone
che il lavoratore è tenuto - entro due giorni dal relativo rilascio -, e
salvo giustificato motivo di impedimento, a recapitare o a trasmettere (a
mezzo raccomandata a.r.), sia al datore di lavoro sia all’Ente previdenziale
(competente per il pagamento dell’indennità di malattia), il certificato del
medico curante. Il mancato invio concreta inadempienza passibile, dietro
previsione nei ccnl, di sanzioni disciplinari (anche incisive) oltre che la
perdita dell’indennità previdenziale o della retribuzione per i giorni di
ritardo in conseguenza del quale viene procrastinato l’inizio dell’attività di
accertamento e la possibilità di un tempestivo esercizio del potere di controllo
sia aziendale sia dell’Ente pubblico erogatore. Ciò secondo un orientamento
giurisprudenziale che ha ritenuto estensibile, agli inadempimenti relativi agli
atti propedeutici idonei a facoltizzare la visita di controllo, la sanzione
legislativamente prevista per l’assenza alla visita domiciliare (Corte cost.
1143/1988, in Not. giurisp. lav. 1988, 809) -.
Notoriamente
l’azienda ha il diritto di far controllare - ex art. 5 Statuto dei lavoratori, e
cioè attraverso i sanitari delle strutture pubbliche previste dalla legge -
l’effettività dello stato di malattia denunciato dal lavoratore.
Prima del
1983 il lavoratore ammalato non era tenuto necessariamente a rimanere presso il
proprio domicilio, ma aveva esclusivamente l’obbligo di presentarsi ad una
visita ambulatoriale ove fosse risultato assente alla disposta visita di
controllo. L’interesse pubblico alla riduzione della spesa sanitaria ed alla
repressione dell’assenteismo abusivo, ha indotto il legislatore ad introdurre
l’obbligo - tramite l’art. 5 L. 11 novembre 1983, n. 638 - per il lavoratore
ammalato di non assentarsi, senza giustificato motivo, dal proprio
domicilio durante le c.d. fasce orarie (10-12 e 17-19 di ogni giorno, anche
festivo, di calendario) così definite dal D.M. 25.2.1984 e successivi, fino al
D.M. 15.7.1986.
L’assenza
ingiustificata risultava sanzionata, nell’originaria previsione legislativa
(art. 5, comma 14, legge citata) con la perdita del diritto a qualsiasi
trattamento economico per l’intero periodo di malattia fino a 10 giorni e nella
misura della metà (50%) per l’ulteriore periodo (esclusi quelli di ricovero
ospedaliero o già accertati da precedente visita di controllo). La Corte
costituzionale (n. 78/1988, in Riv. it.dir. lav. 1988, II,305), ancora
una volta, ha mitigato il rigore della normativa ordinaria, dichiarando
l’illegittimità del comma 14 dell’art. 5 L. n. 638/1983 nella parte in cui non
prevedeva una seconda visita di controllo quale condizione per sanzionare il
periodo eccedente i 10 giorni di malattia con la perdita del 50% della
retribuzione o indennità, legittimando, per converso, la sanzione della perdita
dell’integrale retribuzione per i primi 10 giorni di malattia vanificata
nell’accertamento per irreperibilità al domicilio del lavoratore durante le
fasce orarie.
Per connessione e necessario chiarimento va evidenziato che l’obbligo di permanenza a casa e di reperibilità nelle c.d. “fasce orarie”– introdotto dalla legge n. 638/1983 e disciplinato con appositi decreti ministeriali attuativi – attiene solo alla “malattia" e non all’astensione dal lavoro per infortunio. In una fattispecie di assenza nelle fasce orarie di un lavoratore infortunato, la Cassazione (n. 1452 del 20 febbraio 1999, est. Filadoro ma in precedenza anche Cass. 2.6.1998, n. 5414) ha avuto modo di chiarire la non sanzionabilità del comportamento del lavoratore “infortunato” assente al controllo medico nelle fasce orarie, in quanto “l’obbligo di permanenza in casa durante le fasce orarie ai fini del controllo – legittimato dall’art.14, co.3°, della Costituzione secondo cui “gli accertamenti e le ispezioni per motivi di sanità e di incolumità pubblica o a fini economici e fiscali sono regolati da leggi speciali” - è previsto dalla legge n. 638 del 1983 soltanto per il caso di assenze per malattia e non per quello delle assenze per infortunio”. “Si tratta – ha specificato la Cassazione – di una riserva assoluta (e non relativa) di legge con la inevitabile conseguenza della impossibilità di estendere le disposizioni di cui alla legge n. 638 del 1983 e dei decreti ministeriali applicativi, oltre l’ipotesi della malattia in essa prevista”. In senso confermativo si è espressa successivamente Cass. n. 1247 del 30 gennaio 2002 (rel. Amoroso) asserendo che: "le norme relative alle fasce orarie di reperibilità che il lavoratore deve osservare ai fini dei controlli medici in caso di assenza (art. 5 della l. n. 638 del 1983) devono interpretarsi restrittivamente, dal momento che incidono sul diritto garantito al lavoratore, quale cittadino, dall'art. 16 della Costituzione, alla libertà di movimento nel territorio dello stato; pertanto esse riguardano solo gli accertamenti espressamente indicati dal legislatore, ossia quelli relativi a malattie ordinarie e non anche quelli sullo stato di inabilità conseguente ad infortunio sul lavoro. In materia può ritenersi sussistente per il lavoratore interessato soltanto un generico obbligo di correttezza e buona fede, che implica un atteggiamento collaborativo per rendere possibile il controllo;questo generico obbligo può anche essere meglio specificato dalla contrattazione collettiva; deve comunque escludersi l'applicabilità delle specifiche prescrizioni recate dalla legge n. 683 del 1983 in materia di reperibilità".
In senso difforme, più di recente, Cass. 9 novembre 2002, n. 15773 (rel. Cuoco, in causa Telecom), che ha dissentito dai precedenti giurisprudenziali sopracitatati ed ha legittimato anche per l'infortunato il controllo domiciliare ex art. 5 Stat. lav. nelle fasce orarie per la malattia (previsto, nella fattispecie esaminata, dal ccnl di categoria), sostenendo la sussistenza di un dovere di disponibilità o assoggettamento al controllo dello stato di salute di natura indefinita da parte del lavoratore infortunato (in ragione dei principi generali di correttezza e buona fede), nei cui confronti la norma contrattuale equiparativa dell'infortunio alla malattia si era rivelata garantista e di favore, circoscrivendo nelle sole fasce orarie (della malattia) l'indeterminato stato di disponibilità al controllo medico ex art. 5 , riferibile anche all'infortunato. C'è da aspettarsi un intervento delle sezioni unite per dirimere il contrasto all'interno della sezione lavoro.
Va
sottolineato, altresì, come risulti prevalente in giurisprudenza l’orientamento
secondo cui la perdita della retribuzione (o dell’indennità di malattia) sia
correlata al solo evento dell’assenza ingiustificata dal domicilio, a
prescindere quindi dall’effettività della malattia, e quindi, dalla successiva
presentazione a visita ambulatoriale e dall’esito confermativo di questa, fermo
restando che la decurtazione retributiva cessa dal momento, e per il periodo
posteriore a quello, in cui viene accertata, tramite visita ambulatoriale,
l’effettività della malattia.
Va anche detto che la Cassazione recentemente (sez. lav. n. 6236 del 3.5.2001, est. Toffoli, in Guida al lavoro n.27/2001, 17, con nota) ha legittimato, in costanza di malattia (quindi aldifuori dell'attività lavorativa) il controllo di veridicità della malattia denunciata e certificata (nel caso lomboscialtalgia) ad opera di agenzia investigativa privata. Contro le obiezioni della difesa del lavoratore che sosteneva di non potersi far ricorso, richiamandosi all'art. 5 stat. lav. ,a strutture diverse da quelle pubblicistiche, la Cassazione ha sostenuto che il controllo in questione non era di tipo "sanitario" ma afferiva a "comportamenti o circostanze di fatto" tenute dal lavoratore durante l'assenza per malattia dalle quali poter trarre il convincimento della simulazione, dell'aggravamento della sintomatologia denunciata al medico traendolo in inganno ai fini della redazione della certificazione, ovvero della mancata denuncia di un'avvenuta remissione della malattia stessa che, secondo buona fede e correttezza, gli avrebbe imposto il rientro in servizio. Poiché l'agenzia investigativa aveva riscontrato che il lavoratore affetto da lombosciatalgia aveva effettuato frequenti viaggi alla guida della macchina, aperto un club della moglie ove aveva svolto impegnativa attività di ricezione in piedi della clientela e pubbliche relazioni, la Cassazione ha legittimato il licenziamento per simulazione di malattia, asserendo il principio secondo cui: "Il divieto a carico del datore di lavoro di (far) effettuare accertamenti sanitari relativi all'idoneità e all'infermità per malattia o infortunio del dipendente, stabilito dall'art. 5 della legge 20 maggio 1970 n. 300 (Statuto dei lavoratori), non si estende alle osservazioni su mere circostanze di fatto, effettuate a mezzo di agenzia investigativa, anche se dalle stesse possano emergere incompatibilità logiche con il dichiarato stato di malattia. L'attendibilità delle certificazioni mediche relative allo stato di malattia del lavoratore dipendente...può essere superata da rilevi relativi a circostanze di fatto che, pur non avendo direttamente ad oggetto l'accertamento della situazione sanitaria del dipendente, dimostrino per deduzione logica l'insussistenza dello stato di malattia denunciato, o, comunque, l'inidoneità della malattia a cagionare l'incapacità lavorativa che giustifica l'assenza".
Circa il c.d.
“giustificato motivo” di assenza, la Cassazione ha esplicitato in diverse
decisioni - di recente Cass.4.3.1996, n. 1668, conforme a Cass. 27.6.1994, n.
6166 e a Cass. 16.4.1994, n. 3642, entrambe in Not. giurisp. lav. 1994,
734 e 342 rispettivamente) - il suo pensiero al riguardo, asserendo che il
giustificato motivo di assenza al domicilio idoneo ad escludere la sanzione per
il mancato reperimento del lavoratore alla visita di controllo durante le fasce
orarie di reperibilità, non si identifica necessariamente con lo stato di
necessità o con il caso di forza maggiore ma richiede “un ragionevole
impedimento”, “un qualsiasi apprezzabile e serio motivo” consistente
in situazioni tali da comportare adempimenti del lavoratore non effettuabili in
ore diverse da quelle comprese nelle suddette fasce orarie. Situazioni la cui
ricorrenza determini una situazione di “indifferibilità” o di
“improcrastinabilità” - il cui onere probatorio è a carico del lavoratore - ad
ore diverse da quelle coincidenti con le fasce orarie di reperibilità al
controllo. Solo tali situazioni di “indifferibilità” giustifica, secondo un
criterio di ragionevolezza, il sacrificio dell’interesse al controllo in favore
dell’interesse alla tutela della salute individuale.
Ha statuito
la Cassazione nella decisione n. 1668/’96 che, se esiste un’anomala evoluzione
della malattia ovvero la necessità di accertamenti urgenti, o il riacutizzarsi
di affezioni morbose o anche una ragionevole incertezza determinata dalla
soggettiva preoccupazione circo lo sviluppo della malattia e dalle esigenze di
chiarimento in proposito da parte del medico curante o specialista, ben può
ricorrere il giustificato motivo di assenza, pur nell’orario di controllo,
ancorché la prospettata situazione non presenti caratteri di impedimento
assoluto, quali quelli che caratterizzano la figura della forza maggiore. Al
contrario non costituisce ragionevole impedimento, valevole come giustificato
motivo di esonero del lavoratore dall’obbligo di reperibilità alla visita di
controllo, quel motivo di assenza che è volto al perseguimento di un pur
legittimo interesse, che, senza pregiudizio per lo stesso, può essere ugualmente
soddisfatto in orari non coincidenti con quello di reperibilità. Il
contemperamento dei due interessi contrapposti - quello di tutela della salute e
quello di controllo amministrativo - può ben vedere il secondo sacrificato al
primo, quando tale sacrificio risponde ad un criterio di ragionevolezza.
A conclusioni
non dissimili era giunto l’INPS (con circ. n. 134421 dell’ 8.8.1984 e messaggio
n. 20773 del 9.8.1985) secondo il quale tra i “giustificati motivi “
dell’assenza al controllo nelle fasce orarie potevano includersi:
a) oltre che
la forza maggiore, la concomitanza di visite prestazioni e accertamenti
specialistici (sempre che il lavoratore dimostri che non potevano essere
effettuati in ore diverse dalle fasce orarie);
b) i casi di
imprescindibile ed indifferibile presenza dell’assicurato altrove, per evitare
gravi conseguenze per sé o per i componenti del suo nucleo familiare (ricoveri,
funerali, gravi infortuni e simili, o, sotto altro profilo, convocazione di
pubblica autorità e partecipazione a pubblici esami).
Ebbe poi a
precisare nel citato messaggio del 1985 l’INPS che, nel caso di assenza per
recarsi all’ambulatorio del medico curante,:
c) l’assenza
può essere giustificata solo quando si tratti di accessi all’ambulatorio del
medico ”che non potevano essere effettuati in ore diverse da quelle
corrispondenti alle fasce orarie di reperibilità”;
d) pertanto, qualora l’orario giornaliero di apertura dell’ambulatorio sia articolato in più periodi, uno dei quali non coincidente con le fasce orarie di reperibilità, non s’intende realizzata la condizione di giustificabilità, salvo il caso di urgenza (da valutare anche in relazione alla diagnosi o alla prestazione eseguita) ovvero quello in cui il sanitario effettui la prestazione solo su prenotazione, fissata nell’orario delle fasce. In tali ipotesi, peraltro, sarà cura del lavoratore richiedere al medico, se l’urgenza non risulti altrimenti ovvero non sia stato provveduto al momento della visita, la relativa attestazione entro il primo giorno utile dalla constatazione dell’assenza da parte della USL.
Al riguardo
va detto che viene considerata giustificata l'assenza dal domicilio (e quindi è
illegittima la pretesa sanzionatoria dell'Inps della perdita dell'indennità di
malattia) - secondo la giurisprudenza di merito che si richiama a precedenti
della Cassazione - qualora l'assenza dipenda da esigenze fondate e ragionevoli
ovvero risponda a prescrizioni mediche che specifichino e considerino
"controindicata" e "terapeuticamente" pregiudizievole (specificatamente per le
malattie a sfondo neurologico e depressivo) la costrizione in casa e, invece,
indicato lo svago e le passeggiate all'aperto. In un caso del genere si è così
espressa la Corte d'Appello di Bari del 24.1.2002 (est. Nettis): "Costituisce
impedimento giustificato e ragionevole (non già espediente dell’ultimo momento)
l’allontanamento quanto più possibile dalla propria abitazione – per sottrarsi
ai rumori provenienti da un adiacente laboratorio clandestino (poi chiuso dalle
forze dell’ordine), causa certificata dal medico di base della nevrosi d’ansia
sofferta dal lavoratore in cura con psicofarmaci – che ha determinato
l’irreperibilità al domicilio da parte del medico di controllo Inps e la
sanzione della privazione dell’indennità di malattia dall’Inps (che va pertanto
erogata in conseguenza dell’accoglimento dell’appello in riforma della decisione
del tribunale).
La Cassazione
ritiene inoltre (Cass. n. 12686 dell’ 11.12.1995, cit. e Cass. 10.3.1992, n.
2880) che il datore di lavoro, oltre a dare esecuzione - quale anticipatore
ex lege dell’indennità previdenziale Inps o erogatore in proprio della
retribuzione come in larga parte del settore del credito - alla sanzione della
decadenza retributivo/indennitaria, possa in aggiunta adottare nei confronti del
dipendente, che si sia reso ingiustificatamente assente alla visita di
controllo, sanzioni disciplinari nell’ambito del rapporto di lavoro, tuttavia
soltanto se la contrattazione collettiva gli riconosca, in tal caso, l’esercizio
del potere disciplinare.
Permangono,
infatti - ad avviso della Corte - durante la malattia i doveri derivanti
dall’art. 2105 c.c. (obbligo di fedeltà, e cioè di non fare concorrenza al
datore di lavoro e di non divulgare notizie attinenti all’organizzazione e ai
metodi di produzione dell’impresa e di non farne uso che possa danneggiarla)
nonché l’obbligo generale di diligenza ex art. 2104 c.c. oltre all’obbligo di
osservanza del contratto secondo le regole della correttezza e buona fede ex
artt. 1175 e 1375 c.c. Quando l’art. 2106 c.c. - afferma la Corte - prevede
l’applicazione delle sanzioni disciplinari per la violazione degli obblighi di
fedeltà e di diligenza, è a questi obblighi intesi in senso lato come sopra che
intende riferirsi.
E in base a
questi concetti la Corte ha giudicato legittimo che un contratto collettivo
possa rendere contrattuali i poteri legali di controllo del datore di lavoro e i
relativi obblighi del lavoratore e quindi sanzionare disciplinarmente le
violazioni di questi ultimi, in aggiunta alle sanzioni economiche (la decadenza
dal trattamento economico di malattia disposta dalla legge per il lavoratore
irreperibile, senza giustificato motivo, al controllo nelle fasce orarie)
previste dalla L. n. 638/’83 che non stabilisce, invece, sanzioni disciplinari.
E’ questa
l’opinione della giurisprudenza prevalente e di più recente emanazione anche se
non mancano sentenze che prevedono questa possibilità di doppia irrogazione
anche in mancanza di previsione espressa contrattuale.
(pubblicato, senza gli attuali aggiornamenti, in Confronti e Intese, rivista del Sinfub, n. 1-2/1997)
Visita medica di controllo, uno strumento da utilizzare con "cura"
Che negli ultimi anni il fenomeno dell’assenteismo si sia notevolmente ridimensionato è un fatto certo e indubbiamente positivo. Mi riferisco in particolare alle malattie brevi, di durata inferiore a tre giorni, il cui effetto disgregante per l’organizzazione è certamente superiore a quello prodotto dalle malattie di lunga durata. Merito di due fattori concomitanti: la crisi economica e la maggiore intensità / efficienza dei controlli. Quando l’azienda è in difficoltà, si va a lavorare anche con il raffreddore o il mal di schiena; soprattutto se le disposizioni contrattuali, che riflettono puntualmente la normativa, impongono di rimanere presso il domicilio nelle ore canoniche (10-12 e 17-19 di tutti i giorni, compresi i festivi) a disposizione del medico accertatore.
Oggi l’imprenditore ha a disposizione armi molto concrete per reprimere gli abusi e per scoraggiare il ricorso alle malattie di comodo. Anzitutto la certificazione. Posto che per malattia s’intende l’alterazione, acuta o cronica, dello stato di salute psicofisica del lavoratore, tale da determinare l’impossibilità di attendere - senza grave pregiudizio - alle proprie mansioni, i contratti pongono dei vincoli estremamente rigidi circa i termini di giustificazione dell’assenza. In genere il dipendente indisposto deve comunicare al più presto (di norma entro la mattinata) all’azienda il proprio stato di malattia, con l’obbligo di far pervenire il certificato medico recante la prognosi entro 24 ore dall’inizio dell’evento morboso o della ricaduta. Non si parla, naturalmente, di diagnosi in quanto ciò che rileva legalmente è l’esistenza di una condizione patologica effettiva che impossibilita il lavoratore a rendere la prestazione; non la sua natura né la sua entità. Ricevuta la comunicazione dell’assenza a titolo di malattia (quindi prima ancora di venire in possesso del certificato), il datore di lavoro è già nella condizione - giuridica e operativa - di disporre l’accertamento del titolo dell’assenza, richiedendo - anche per via telefonica - alla sede competente dell’Inps l’effettuazione della visita medica di controllo.
I lavoratore deve sottostare a due semplici obblighi: rispettare le prescrizioni del medico curante e farsi trovare a casa (o al diverso domicilio che dovrà sempre notificare per tempo all’azienda, pena sanzioni disciplinari anche estreme) dalle 10 alle 12 e dalle 17 alle 19 di tutti i giorni, compresi i festivi. Il dipendente in malattia che risulti assente, senza giustificato motivo, alla visita di controllo perde il diritto al relativo trattamento economico per i primi 10 giorni e alla metà per il periodo successivo. Una sanzione fortemente dissuasiva, dunque, che però si stempera molto grazie alla possibilità, opportunamente prevista dalla legge (e dai contratti), di sottoporsi alla vita ambulatoriale presso la struttura sanitaria pubblica. L’inciso "salvo giustificato motivo" ha scatenato un contenzioso enorme e paradossale, fatto di citofoni che non funzionano, di sonniferi che impediscono di sentire il campanello, di corse dal veterinario o di partecipazioni a funerali in concomitanza delle fasce orarie predette. In effetti è impossibile stabilire a priori una casistica esauriente dei "giustificati motivi" che non fanno scattare la sanzione economica. Complessivamente, però, il sistema tiene, e i risultati sono nelle statistiche: l’assenteismo "breve" (cioè il vero assenteismo) è sceso a livelli nordeuropei. Anche se:
- gli operai, in quanto percepiscono l’indennità di malattia direttamente dall’Inps, risultano nettamente svantaggiati rispetto agli impiegati;
- vi sono troppi margini d’incertezza;
- i costi non sono indifferenti;
- non si sono quasi mai visti dei medici fiscali che non abbiano confermato la prognosi del medico curante, facendo anticipare la data del rientro al lavoro.
Ma dagli strumenti normativi, per quanto migliorabili, non ci si può aspettare di più. Questa procedura mira, con accettabili risultati, alla repressione dell’assenteismo. Io credo che tutte le imprese, piccole e grandi, dovrebbero porsi come fine la prevenzione dell’assenteismo. E questa si fa lavorando sul clima, rendendolo il più possibile positivo sia sul piano fisico ambientale che sul piano psicologico. Facendo consulenza a un’azienda tessile, ho visitato uno stabilimento penalizzato da un’assenteismo medio superiore al 10%: rumorosità intollerabile, gelo d’inverno e caldo infernale d’estate; al tutto si aggiungeva l’incertezza sulle prospettive occupazionali, visto che il management ne minacciava periodicamente la chiusura, a causa della "produttività insufficiente". Era evidente che le visite di controllo "a tappeto" sarebbero servite a ben poco.
Mal comune mezzo gaudio?
Un problema particolarmente avvertito (e quasi mai risolto) nella stragrande maggioranza delle aziende è quello della gestione "politica" degli accertamenti domiciliari. Gli interrogativi sono due: chi li dispone? E su quali categorie di dipendenti? (ricordo per inciso che la normativa di legge vale per tutti i lavoratori subordinati e quindi, almeno in via di principio, anche per quadri e dirigenti). Di norma la direzione del personale stabilisce delle linee guida, entro le quali dovranno poi muoversi i responsabili delle funzioni e dei reparti. Nessuno meglio di loro, del resto, è in grado di percepire se l’assenza è sospetta e se la visita è opportuna. Quando il dipendente, rientrato dalla malattia, si risente con il suo capo perché gli ha mandato il medico fiscale, si sente dire quasi sempre che è stata la direzione del personale a disporre l’accertamento. E in alcuni casi è vero, perché certi direttori del personale, per non far torto a nessuno, mandano la vista a tutti i collaboratori assenti per malattia.
Delegare il controllo
A me non pare una scelta illuminata; la gestione del personale è (e sarà sempre di più) gestione delle persone, perciò ha poco senso trattare tutti allo stesso modo, senza distinguere in base alla storia del rapporto individuale con l’azienda. Estremizzo: se un collaboratore che è con me da trent’anni si ammala una tantum, che senso ha amareggiargli la malattia (molto probabilmente vera) con un’indisponente visita domiciliare? Non è meglio fidarsi? All’opposto, quando esiste un fondato sospetto, la vista medica è un ottimo deterrente. Ma sarà il manager funzionale a decidere. Ed è giusto che la funzione personale assuma su questa partita un ruolo neutro, che si limita all’indirizzo politico e all’amministrazione delle visite. Perché sono i capi a gestire, di fatto, le loro persone. L’importante è che non ci siano sperequazioni tra una funzione e l’altra né "vacche sacre" (tipo "agli operai sempre e ai quadri mai"). E soprattutto che l’uso degli accertamenti sanitari risulti in linea con la politica generale (o per meglio dire, la filosofia globale) dell’azienda. I casi sono due: o ci si fida dei dipendenti fino a prova del contrario (e quindi si attuano dei controlli spot, salvo che vi siano dei sospetti obiettivamente giustificati), oppure non ci si fida mai (e li si sottopone a dei controlli vessatori, che in quanto tali non sono più nemmeno dei controlli). Ma in quest’ultima ipotesi l’azienda rischia grosso. Il pericolo, infatti è di ridurre marginalmente l’assenteismo fisico e di fare andare alle stelle l’assenteismo psicologico. Un rimedio molto peggiore del male.
Roberto Merlini
(fonte: www.virgilio.it )
Legittimità della richiesta di certificazione medica anche per un solo giorno di malattia
TAR del Veneto - sentenza n. 7 del 9.1.2007 – Pres. Zotti – M.L. c. ULSS n. 36 di Venezia
L’assenza del lavoratore per malattia, anche per un solo giorno, non esclude lo stesso dall’obbligo dal produrre all’amministrazione la certificazione medica giustificatrice dell’assenza medesima; inoltre, in sede di procedimento disciplinare non risulta violato il principio del contraddittorio quando l’interessato regolarmente convocato per l’audizione non si presenta, non producendo valida documentazione che ne giustifica l’assenza. A queste conclusioni è giunto il TAR del Veneto nella sentenza n. 7 del 9.1.2007. La questione ha riguardato un dipendente di una struttura sanitaria di Venezia che, assente per malattia per un giorno, non ha prodotto il relativo certificato medico giustificativo dell’assenza dal servizio. All’interessato veniva comminata la sanzione disciplinare della riduzione di 1/10 dello stipendio per la durata di mesi cinque e, pertanto, lo stesso impugnava il provvedimento al TAR del Veneto adducendo, tra l’altro, tra i motivi di doglianza l’eccesso di potere in quanto l’amministrazione, in luogo della certificazione medica non prodotta dall’interessato, poteva disporre comunque degli strumenti idonei per ottenere il medesimo risultato attraverso la verifica fiscale della malattia e per violazione di legge, considerato il tipo e l'entità della sanzione disciplinare irrogata ritenendo leso in particolare il criterio di ragionevolezza e proporzionalità della sanzione in relazione alla gravità del fatto commesso. Lamentava, altresì, la violazione del principio del contraddittorio, per avere l’amministrazione consentito la trattazione orale del procedimento disciplinare senza la presenza del dipendente impedito. Per il TAR adito, la normativa in tema di assenza per malattia così come prevista dall’art. 28 del D.P.R. 270/87 e dall’art. 8 del D.P.R. 348/1983, che fissa il termine per la presentazione del certificato medico entro il terzo giorno di assenza, non esclude la obbligatorietà del dipendente a produrre, se l’amministrazione lo richieda, il certificato medico anche per un’assenza più breve. Il fatto che l’amministrazione disponga del potere di controllo ispettivo, attraverso la visita medico-fiscale – sempre ad avviso del Tribunale amminitrativo – “non per questo la richiesta del certificato è superflua e gravatoria, perché, com’è noto, il controllo fiscale non sostituisce la certificazione dell’assenza ma ne verifica, quando ciò è possibile, l’effettiva sussistenza e indirettamente la regolarità della certificazione medica che tale assenza giustifica”. Il Collegio, in merito all’asserita violazione del contraddittorio in sede disciplinare, fa altresì osservare che il dipendente nella seduta in cui è stato convocato, per una seconda volta, aveva giustificato la sua assenza adducendo la sussistenza di generici “concomitanti” impegni non documentati e quindi (giustamente) non ritenuti validi dalla commissione di disciplina che d’altra parte ha rilevato che l’incolpato aveva presentato una memoria difensiva. La sanzione, pertanto, ad avviso del TAR, è giustificata ed anche nella misura, posto che il ricorrente risultava recidivo per lo stesso motivo, per cui era stata irrogata la sanzione della censura, inoltre, dalla documentazione prodotta in giudizio risultava aver cumulato nel biennio precedente una serie cospicua di assenze per una o due giornate, rendendo così nel complesso coerente e proporzionata la sanzione della trattenuta stipendiale di 1/10 per cinque mesi in rapporto all’infrazione accertata. (nt. Gesuele Bellini)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, terza sezione, costituito da:
Angelo De Zotti Presidente, relatore
Angelo Gabbricci Consigliere
Riccardo Savoia Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso n. 853/94 proposto da M.L., rappresentato e difeso dall’avv. Giuliano Crescente ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in Venezia-Mestre, Via Pepe n. 100, come da mandato a margine del ricorso;
contro
l’Unità Locale Socio Sanitaria n. 36 di Venezia, in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Franco Zambelli, con elezione di domicilio presso lo studio dello stesso in Venezia-Mestre via Cavallotti n. 22, come da mandato a margine della memoria di costituzione;
per l'annullamento
del provvedimento n. 2 in data 05.01.1994 emesso dalla ULSS n. 36 Terraferma Veneziana e di ogni atto presupposto e conseguente.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
visto l’atto di costituzione in giudizio dell’ULSS n. 36 di Venezia, depositato in data 25 marzo 1904;
viste le memorie depositate dalle parti costituite;
visti gli atti tutti di causa;
uditi nella pubblica udienza del 22 giugno 2006 - relatore il Presidente Angelo De Zotti - l’avv. Barutta, in sostituzione dell’avv. Crescente, per il ricorrente e l’avv. Briganti, in sostituzione dell’avv. Zambelli, per l’Amministrazione resistente;
ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
Fatto
Il sig. Luciano M.L. ha impugnato il provvedimento con il quale l’amministratore straordinario della ULSS n 36 di Venezia ha inflitto al ricorrente – allora operatore tecnico centralinista applicato alla portineria del presidio ospedaliero di Mestre – la sanzione disciplinare della riduzione di 1/10 dello stipendio per la durata di mesi cinque, per non aver prodotto il certificato medico giustificativo dell’assenza dal servizio per malattia nella giornata del 17 gennaio 1993.
Di tale provvedimento, assunto in esito al procedimento disciplinare promosso nei confronti del ricorrente, e della successiva nota che conferma l’irrogazione della sanzione, il ricorrente chiede l’annullamento, con vittoria di spese per i seguenti motivi:
1) violazione di legge ed eccesso di potere.
Sostiene, innanzitutto, che il provvedimento sanzionatorio si fonda sull'applicazione di un ordine di servizio illegittimo, in quanto, in contrasto con l'art. 8 del dpr 348/1983 e con l’art. 28 del dpr n. 270/1987, prevede la facoltà per l’amministrazione di richiedere ai dipendenti che si assentino per malattia di chiedere la certificazione medica dell’assenza laddove le norme citate prescrivono unicamente che il dipendente è tenuto a “trasmettere il certificato medico entro il terzo giorno di assenza”; che l'ordine di servizio su cui si fonda l'atto impugnato è altresì viziato per eccesso di potere, in quanto l’amministrazione ricorre all’imposizione illegittima pur disponendo degli strumenti per ottenere il medesimo risultato attraverso la verifica fiscale della malattia; che infine l’atto è viziato anche in considerazione del tipo e dell'entità della sanzione disciplinare irrogata, ed in particolare per essere stato violato il criterio di ragionevolezza e proporzionalità della sanzione in relazione alla gravità del fatto commesso; che la riduzione di 1/10 dello stipendio per mesi cinque non appare infatti congrua, ove si consideri la condizione di invalido civile al 55% propria del ricorrente; che, da ultimo, la sanzione risulta viziata anche sotto il profilo del mancato rispetto delle garanzie poste dalla L. 3/57 e dalla L. 241/90, posto che nella specie è stato violato il principio del contraddittorio, per avere l’amministrazione consentito la trattazione orale del procedimento disciplinare senza la presenza del dipendente impedito o di un difensore da questi designato.
L’amministrazione intimata si è costituita in giudizio e con due distinte memorie, contesta sia l’esposizione di fatto che la fondatezza dei motivi di diritto, chiedendo la reiezione del ricorso con vittoria di spese.
All’udienza del 22 giugno 2006, previa audizione dei difensori delle parti, la causa è stata posta in decisione.
Diritto
Il ricorso è infondato.
L’amministrazione eccepisce innanzitutto che i primi due motivi di doglianza, con i quali il ricorrente contesta la richiesta del certificato medico per l’assenza dal servizio per un solo giorno, sono inammissibili perché rivolti nella sostanza contro un provvedimento (l’ordine di servizio dell’11 novembre 1990) che non è stato impugnato, pur essendo, quest’ultimo, l’atto che ha introdotto ed imposto in via generale la prescrizione facoltativa di richiedere ai dipendenti che avessero superato un determinato numero di assenze brevi per malattia la presentazione del certificato medico anche in relazione ad una assenza dal servizio di un giorno o a frazione della giornata.
Tale eccezione appare fondata.
Il ricorrente, invero, ha omesso di impugnare l’ordine di servizio che prescriveva la certificazione medica anche per le assenze brevi pur essendogli noto che la prescrizione era stata espressamente richiamata negli atti di diffida che hanno preceduto la sanzione ed in particolare nella lettera del 18 marzo 1991 (doc. 1 prodotto dall’U.L.S.S. n. 36) con la quale era stato espressamente avvertito, e per questo in seguito censurato, che “a seguito delle sue ripetute assenze per malattia di una sola giornata, Le è fatto obbligo dalla prossima assenza e sino a nuova comunicazione scritta, di presentare certificato medico sin dal 1^ giorno di malattia, anche se singolo …in conformità a quanto stabilito con ordine di servizio n. 19 del 19 novembre 1990”.
Ne discende che ogni contestazione, che peraltro appare infondata, in ordine alla possibilità per l’amministrazione di richiedere la presentazione del certificato medico in caso di assenza per malattia di un giorno, deve ritenersi, per tale ragione, preclusa.
Il Collegio nondimeno ritiene di osservare che le norme che il ricorrente invoca a sostegno della tesi della non esigibilità del certificato medico per assenze inferiori a tre giorni non sono affatto incompatibili, come egli assume, con la facoltà per l’amministrazione di richiedere ai propri dipendenti di documentare l’assenza mediante certificato medico anche se questa si limiti ad una sola giornata.
Infatti, sia l’art. 28 del D.P.R. 270/87 che l’art. 8 del D.P.R. 348/1983, che fissano il termine per la presentazione del certificato medico entro il terzo giorno di assenza, non escludono per ciò solo che il dipendente non sia tenuto a produrre, se l’amministrazione lo richieda, il certificato medico anche per un’assenza più breve.
Nessuna delle norme invocate vieta, infatti, all’amministrazione, nè potrebbe, essendo il potere di verifica delle assenze funzionale al loro riconoscimento, il potere di verificare la legittimità delle cause di assenza del dipendente dal servizio, ed a fortiori delle assenze (brevi) per malattia, che per la loro imprevedibilità sfuggono al controllo dell’amministrazione e costituiscono la più ricorrente ed onerosa forma di assenza dal servizio tra quelle previste e consentite dalla legge.
Ed a maggior ragione questo potere di controllo va riconosciuto all’amministrazione nei confronti di dipendenti che denunciano con particolare frequenza malattie di breve durata che essi stessi evidentemente si autodiagnosticano, laddove l’assenza per malattia è all’evidenza classificabile come tale solo quando è comprovata da un certificato medico che individui e dichiari lo stato patologico che giustifica l’astensione dal lavoro.
E se ciò vale in generale, a maggior ragione l’obbligo di presentare la certificazione medica doveva essere noto nella specie al ricorrente che per le sue assenze dal lavoro, giustificate o meno dalla condizione di invalidità, era stato inserito nel numero dei dipendenti che per ricorso reiterato e frequente alle assenze brevi per malattia era tenuto a documentare anche quelle di durata giornaliera.
Né appare rilevante al Collegio la circostanza che il ricorrente fosse, come è pacificamente riconosciuto, invalido civile con riduzione del 55% della capacità lavorativa, perché ciò che rileva ai fini della sanzione disciplinare inflitta al ricorrente non è la credibilità o meno dell’assenza per malattia accusata dallo stesso dipendente, quanto il preteso diritto da questi rivendicato di fruire dell’assenza per malattia (sino a due giorni) nella forma dell’autocertificazione e senza possibilità per l’amministrazione di richiedere il certificato medico che tale stato impediente comprovi.
Né vale parimenti obiettare al riguardo che disponendo l’amministrazione del potere di controllo ispettivo la richiesta del certificato sarebbe superflua e gravatoria, perché, com’è noto, il controllo fiscale non sostituisce la certificazione dell’assenza ma ne verifica, quando ciò è possibile, l’effettiva sussistenza e indirettamente la regolarità della certificazione medica che tale assenza giustifica.
Pertanto correttamente l’amministrazione ha richiesto al sig. M.L. la documentazione dell’assenza per malattia nella giornata del 17 gennaio 1993 e altrettanto legittimamente, a fronte del rifiuto di produrre tale certificazione, con la motivazione riportata nel modulo di segnalazione dell’assenza, che “se fornivo certificato, sicuramente non era di un solo giorno”, lo ha deferito alla commissione disciplinare per la contestata violazione dei doveri d’ufficio.
Anche le residue censure appaiono, a questo punto, infondate.
Invero, in merito all’asserita violazione del contraddittorio in sede disciplinare il Collegio osserva che una prima assenza del sig. M.L. è stata giustificata perché ascritta a validi e documentati motivi medici, mentre così non è stato per l’assenza accusata nella successiva seduta del 23 novembre, per la quale l’incolpato ha addotto la sussistenza di generici “concomitanti” impegni che non sono stati documentati né prima né dopo la richiesta e quindi (giustamente) non ritenuti validi dalla commissione di disciplina che d’altra parte ha rilevato che l’incolpato aveva presentato una memoria difensiva; non risulta invece che il M.L., che di ciò si duole, abbia mai incaricato alcun difensore né, ove l’avesse fatto, la ragione dell’assenza di quest’ultimo.
Pertanto non sussiste alcuna lesione del contraddittorio né alcun vizio formale nella decisione della commissione di disciplina la quale ha accertato che il sig. M.L. dopo aver segnalato all’ufficio l’assenza alle 11,30 di domenica 17 gennaio 1993 non ha fornito prova né di avere chiamato la guardia medica, come pare aver sostenuto nella memoria difensiva, né di essersi recato il giorno successivo dal proprio medico per ottenere la certificazione dello stato di malattia, rifiutandosi di produrle nella convinzione, destituita di fondamento, nonostante il contrario parere espresso dagli uffici regionali e dimesso in atti, che per le assenze brevi l’amministrazione non potesse pretendere alcuna certificazione medica.
La sanzione è quindi giustificata ed appare tale, al Collegio, anche nella misura, posto che il ricorrente risulta essere già stato soggetto, per lo stesso motivo, alla sanzione della censura, ed è quindi recidivo e che dalla documentazione dimessa in giudizio risulta aver cumulato nel biennio 92/93 una serie cospicua di assenze per una o due giornate che nel complesso rendono coerente e proporzionata la sanzione della trattenuta stipendiale di 1/10 per cinque mesi in rapporto all’infrazione accertata.
Il ricorso va quindi respinto.
Le spese le competenze di causa possono tuttavia, per ragioni equitative, essere interamente compensate tra le parti.
P.Q.M.
Il Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, terza Sezione, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo respinge.
Compensa tra le parti le spese e le competenze di causa.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Venezia, nella Camera di consiglio addì 22 giugno 2006 (depositata il 9.1.2007)
L'esaurimento nervoso o la sindrome depressiva non giustificano l'assenza alle visite di controllo medico
Nota
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