I criteri di promozione – ed i motivi di mancata promozione – nelle aziende di credito (articolo non giuridico…ma di fantozziana satira realistica)

 

“ C’è genio e genio” (di Cassius)

 

Come ogni anno le prime illazioni cominciarono a circolare a fine marzo. A metà aprile i soliti "bene informati" giurarono di conoscere alla perfezione nome, grado e raccomandante degli eletti.  A fine mese, finalmente, fu data la comunicazione ufficiale con i nomi dei promossi, seguita dal consueto strascico di mugugni e facce torve.

Chi era stato promosso si mostrò in giro con aria velata di falsa indifferenza: "Sinceramente non me l'aspettavo.  Tutto sommato è solo un doveroso riconoscimento, anche se tardivo.  Dio solo sa quanto sia tardivo!"

Chi era rimasto fuori si fece vedere inviperito ma, al fine di porre le basi per la promozione dell'anno successivo, sconsolatamente impegnato nel lavoro: "Le solite ingiustizie.  Questo è il ringraziamento per chi si fa un mazzo così in ufficio, invece di supplicare i favori di questo o quello!  Pazienza, io continuo a tirare la carretta.  Tanto c'è sempre qualcuno che si sacrifica per gli altri.  Se ne approfittano perché sanno che amo il mio lavoro e non sono capace di stare con le mani in mano, nemmeno per ritorsione!”

Solo e sconsolato un ometto sulla cinquantina se ne tornò nel suo ufficio con le spalle curve, lo sguardo perso nel vuoto.

Nessuno se lo ricordava, nessuno se ne interessava, ma in realtà l'unico impiegato a non avere mai avuto una promozione in trent'anni di banca era proprio lui.  E si che si era impegnato, eppure...

Piegò le braccia sulla scrivania e vi appoggiò sopra la testa, come se piangesse.  Spesso aveva pensato e ripensato a quegli interminabili anni. Dove aveva sbagliato? Cosa aveva fatto di tanto grave per meritare una punizione così umiliante? Forse quella volta che non si era inchinato al passaggio dei direttore? Forse perché si era rifiutato di fare la spia? No, non poteva essere per motivi così abbietti! E intanto veniva superato da tutti, anche da quelli assunti anni ed anni dopo di lui.

Si sentiva offeso ed umiliato. Pensava al geometra Prosecchi, il portaborse dei direttore, giunto ormai alle soglie della dirigenza, talmente stupido che tutti ne parlavano usando il soprannome di "Aquila", eppure sempre lì nell'elenco dei promossi. Pensava al ragionier Poliponi, tristemente noto tra le colleghe per il vizio di allungare le mani, di recente incoraggiato anche da qualificate pronunce giurisprudenziali. E che dire de "Er Faina" abituato a chiedere la bustarella per la concessione di ogni finanziamento di una certa consistenza? Ce n'erano tanti. Tutti puntualmente promossi.

Una volta, facendosi coraggio, aveva chiesto al capo dei personale il perché di quel feroce ostracismo nei suoi confronti. La risposta era stata evasiva: "Le esigenze di servizio, la professionalità obsoleta...Comunque vedremo.... Qualcosa faremo..."

Ed invece non accadde nulla.

Borbottando a mezza voce si alzò lentamente dalla scrivania, l'orario era finalmente finito.

Non se la sentiva di tornare a casa. Cosa avrebbe raccontato?  Che, come sempre, era toccato agli altri? No, era troppo!

Decise di fare una passeggiata ristoratrice sul lungomare. Il sole stava per tramontare, l'aria era tiepida. Camminando sulla spiaggia continuò a fantasticare. Vide un pallone sgonfio. Prese una breve rincorsa e gli diede un calcione sussurrando: "Questa è la testa vuota dei geometra Prosecchi!  Pussa via, ruffiano!"

Poco dopo incontrò un mucchio di alghe accumulato da una precedente mareggiata. Vi sì scagliò sopra come se dovesse battere un rigore alla finale del campionato dei mondo: l'aspetto verdognolo marcio gli ricordava tanto il colorito del ragionier Poliponi. lnfierì sulle alghe per qualche tempo tirando calci alla cieca.

Pensò di tornare indietro, si era fatto tardi.

Vide qualcosa nella sabbia, una calotta luccicante. Pensò alla testa calva de "Er Faina". Si avvicinò saltellando e vi assestò una pedata micidiale gridando: "Beccati questa, ladro!"

Cadde sulla sabbia mugolando dal dolore. La calotta luccicante era la parte emersa di un oggetto metallico piuttosto pesante.

lmprecando a mezza voce si massaggiò il piede dolorante. Pensò di fare una capatina al vicino ospedale per controllare eventuali traumi.

Ebbe un attimo di esitazione. Guardò meglio l'oggetto di metallo. Ma che razza di...?

Lo sfilò lentamente dalla sabbia che lo ricopriva.  Sembrava una di quelle vecchie lampade ormai introvabili, roba da collezionisti, una chicca da mercatino dell'antiquariato. Di quelle descritte nelle favole ambientate nell'antico oriente. Con la mano cercò di liberarla dai granelli di sabbia che vi erano rimasti appiccicati. Prese un fazzoletto e cominciò a strofinare, sotto la patina del tempo sembrava lucente. Improvvisamente un bagliore, un tuono, grandi nuvole di fumo si sprigionarono dal becco della lampada. Sventolò le mani per diradare la nebbia. Gli sembrò di vedere... non credette ai suoi occhi.

Un omone piuttosto robusto, vestito come un inserviente dei Circo Orfei, si era materializzato dinanzi a lui. Inchinandosi servilmente esclamò: "Salve, padrone, hai ordini per me?"

L'ometto rimase esterrefatto. Lentamente si fece coraggio e balbettò: "Chi ...chi sei?" "Sono il Genio della Lampada, rinchiuso qui dentro da mille anni.  E tu, padrone, chi sei?" "Sono un impiegato, lavoro in banca." "Il mio ultimo padrone si chiamava Alì Babà, lavorava per quaranta ladroni. E tu?" "Più o meno come il tuo ex padrone. Non mi dirai che posso esprimere tre desideri?" "No!” disse il Genio.

"Ti pareva!  Tutte a me le fregature!" replicò l’ometto.

"Puoi esprimere un solo desiderio. Chiedi qualunque cosa, ed io ti accontenterò!"ribattè il Genio.

"Beh, meglio che niente... Fammi pensare." disse ancora l’ometto.

Quindi si appartò e cominciò a percorrere con la mente tutte le cose che aveva desiderato in vita sua e che, puntualmente, non aveva mai ottenuto. L'elenco era interminabile.

Prese carta e penna e cominciò a scrivere. Avrebbe compilato una lista e poi avrebbe spuntato i desideri meno urgenti.

Era giunto a depennare la voce "uomo più bello dei mondo", quando si sentì chiamare dal Genio: "Ei, padrone, il tempo sta per scadere. Se non ti sbrighi, torno nella lampada e arrivederci tra mille anni."

"Ho fatto, ho fatto, una attimo soltanto."

Erano rimase due sole opzioni: "uomo più ricco della terra" oppure "presidente della banca dove lavoro". Nel primo caso avrebbe potuto togliersi tutti gli sfizi che non si era mai tolto, nell'altro avrebbe potuto finalmente vendicarsi di una vita di ingiustizie.

"Allora? Devo andare! La uno o la due?" gridò il Genio.

"Presidente della banca dove lavoro"

"Confermi?"

"Sì, due e confermo!"

Un lampo squassò il silenzio della sera, una nuvola di fumo avvolse tutto e tutti. In quegli attimi mille pensieri vagarono nella mente dell'ometto.

Guardò intorno incuriosito. La nebbia si diradò lentamente. Il Genio era scomparso, la lampada era affondata nuovamente nella sabbia.

"Chissà se era vero o si trattava solo di un sogno?" borbottò avviandosi verso casa.

Ma la risposta non tardò ad arrivare. Aveva fatto solo pochi passi, infatti, quando un uomo si gettò ai sui piedi e cominciò a lustrargli le scarpe freneticamente: "Sono sporche di sabbia, Eccellenza, ci penso io".

Lo guardò attentamente.  Sembrava... Ma sì, era l'autista del presidente.

Con la schiena piegata ed un sorriso servile sulle labbra lo scortò fin dentro un'automobile blu di circa ventimila cc. di cilindrata.

"Dove andiamo, Sahib?"

L'ometto si guardò intorno. L'automobile era stata arredata con sfarzo. Ovunque drappi preziosi e legni pregiati, ai piedi tappeti persiani, alle pareti un Monet e due Renoir.  Il sedile sul quale si era accomodato era, addirittura, il trono d'oro ed avorio dell'Archimandrita di Aleppo.

"Allora sono il Presidente!!  Il Genio esiste davvero!" sussurrò incredulo.

"Le ho portato i documenti che aveva chiesto, Effendi." disse l'autista porgendogli un plico.

"Che documenti?" Prese le carte e cominciò a sfogliare.

Si trattava delle cartelle personali di tutti i dipendenti, dalla fondazione della banca ai giorni nostri.

Lesse avidamente i trascorsi, le raccomandazioni, i pettegolezzi, la storia di tanti colleghi.  Finalmente trovò la sua. Era giunto il momento di scoprire il perché di decenni di persecuzioni. Toccò con mano tremante le innumerevoli note di qualifica accumulatesi negli anni. Ma quelle le conosceva a memoria, erano solo l'aspetto ufficiale di un qualcosa che ufficiale non era.  Ad un certo punto scorse una busta sigillata con sopra scritto: "Notizie riservate."

L'aprì nervosamente. Finalmente il mistero della sua vita stava per essere svelato. All'interno della busta un foglio ingiallito dal tempo con tre righe scritte a mano.

La prima portava una data di pochi mesi posteriore alla sua assunzione: "l) Non si inchina al passaggio del direttore."

La seconda era scritta con inchiostro rosso: "2) Si rifiuta di fare la spia."

La terza era scritta tutta in caratteri maiuscoli: "3) QUINDI NON DOVRA' MAI ESSERE PROMOSSO."

Alcune lacrime scivolarono lentamente lungo le gote.

La sua muta disperazione venne interrotta dal solerte dipendente: "Dove andiamo, Eminenza?"

"Alla banca! Voglio tutto il personale nella sala delle riunioni entro dieci minuti!"

"Non sarà un po' tardi?"

Guardò l'orologio. Era un Cartier d'oro con cucù di platino incorporato.  Effettivamente si era fatto tardi.

"Non importa! Faccia le convocazioni via radio.  Quando arrivo li voglio tutti in fila. E sull'attenti!  Dica pure che è un ordine del Presidente!"

"Come lei desidera, Mahatma!"

Guardò attraverso il finestrino. I palazzi sfrecciavano via silenziosi ad una velocità impressionante.  Con quel ritmo sarebbero arrivati alla banca in un attimo. L'ometto cominciò a fantasticare pregustando l'acre sapore della vendetta. Da chi avrebbe cominciato? Certo, per prima cosa il direttore.  Degradato a commesso?  No, troppo poco. Ecco: strizza-mocio degli addetti alle pulizie.

Per il geometra Prosecchi, detto "Aquila", non c'era molto da pensare. Idiota com'era non avrebbe potuto far altro che il giullare per divertire i colleghi nell'intervallo del pranzo. Il ragionier Poliponi l'avrebbe fatto trasferire ad una filiale in Marocco, possibilmente nella famigerata agenzia numero 3 di Ciulamabad.

Per "Er Faina" ci sarebbe stato sicuramente il taglio della mano destra dinanzi a tutto il personale schierato. Forse la cosa avrebbe potuto suscitare le proteste di qualcuno, ma si sa come vanno a finire queste cose: basta sostenere che il tutto viene fatto per improrogabili esigenze di servizio...

Si risvegliò improvvisamente da quelle fantasticherie vendicative. Qualcosa non quadrava con la scena di poco prima. Tanto per cominciare l'autista non era più l'elegante lacchè conosciuto sulla spiaggia, bensì un energumeno piuttosto rozzo, mal vestito e mal lavato, che emanava un intenso olezzo, un misto di arbre magique al pompelmo e sigaro toscano. L'automobile sembrava un taxi, forse una Fiat Ritmo del '78 mai revisionata.

Anche l'interno lasciava alquanto a desiderare. Al posto dei quadri alcuni cartelli con il decalogo del perfetto passeggero, invece dei tappeti cicche di sigaretta e scorze di noccioline.

"Il Genio mi ha bidonato.  Non mi ha detto che la magia era a tempo determinato."

Guardò l'orologio: era un patetico Esposito Water Sbruff in finta plastica, made in Forcella.

"Torni subito sulla spiaggia!" Ordinò all'autista.

"A dotto', ce semo appena stati e mo' ce ritornamo?  Ma li...”

"Mancia raddoppiata se ci arriviamo in meno di cinque minuti."

Stimolato dall'incentivo, l'incolto tassista ce la mise tutta ed in breve tempo giunsero sul posto.

L'ometto si precipitò sulla spiaggia. Corse in lungo e in largo. Rovistò sotto gli innumerevoli mucchi di spazzatura, sotto le alghe, sotto le barche rovesciate. Alla fine la trovò.

Agguantò la lampada e cominciò a strofinare. Niente. Strofinò con rinnovato vigore. Ancora niente.

Provò con una pelle di daino. Cominciò ad urlare: "Genio!  Genio!! Non mi abbandonare!"

Fu in quel momento che si svegliò.

Si trovava nel suo ufficio, abbracciato alla lampada della scrivania. Con un fazzoletto la stava strofinando freneticamente.

Dinanzi a lui, impietriti, tutti i colleghi. Erano disposti nella tipica formazione a falange macedone. In prima fila il direttore, in seconda due dirigenti, poi quattro funzionari e cosa via. In ultima fila i capi reparto che, per assistere alla scena, erano costretti a saltare come gazzelle nella savana.

Il direttore si fece carico di rompere l'imbarazzante silenzio: "Ma cosa sta combinando? Si è addormentato sulla scrivania? Si rende conto che lei è il peggiore impiegato che abbai mai lavorato qui dentro? Si rende conto che, solo grazie alla Nostra magnanimità ed all'innato senso dì discrezione, non abbiamo diffuso le notizie che la riguardano? Ma c'è un limite a tutto.  Ed ora verrà smascherato. Lui si lamenta dei fatto che non è stato mai promosso. Sapete perché?"

"Perché??" Chiesero in coro i colleghi al colmo della curiosità.

"Perché una volta non si è inchinato al passaggio del direttore!"

Una bordata di fischi investi l'ometto. Dalla quarta fila un collega solerte tentò di sputargli addosso.

"Ma non basta!  Si è anche rifiutato di fare la spia!"

A questa rivelazione cominciarono a volare oggetti di ogni tipo. Qualcuno tentò di rovesciargli in testa il cestino della carta straccia.

L'ometto, cercando di ripararsi da quell'improvvisato tiro al bersaglio, balbettò: "Ma, ma il Genio mi aveva promesso..."

"Quale Genio? Qui l'unico genio è il geometra Prosecchi. Segua il suo esempio, invece di addormentarsi sulla scrivania.  "

"Esempio, quale esempio?"

Adesso glielo dimostro: “geometra, prenda subito la Mia borsa e la porti di corsa nel Mio ufficio!"

Il geometra Prosecchi eseguì puntualmente l'ordine. Passando davanti alla scrivania il suo sguardo demenziale ebbe un lampo di sarcasmo. Ma fu solo un attimo. Riprese subito il suo aspetto ebete e sparì velocemente. "Visto?" infierì il direttore.

"Ma è umiliante!" protestò l'ometto.

"Si, ma a lui frutterà un'ennesima promozione.  A lei, invece…"

 

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(scritto da Cassius,  con il titolo “C’è genio e genio”, pubblicato su “La voce dei bancari”, mensile  Fabi, n. 5, luglio 2001, p. 6 e ss.)

 

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