Danno esistenziale da immissioni: onere probatorio, anche per presunzioni
 
App. Milano, II sez. civ., 29 gennaio 2007 – Rel. Chindemi – V.P. e altri c. E. spa e Generali assicurazioni spa
 
Danno esistenziale - Da immissioni rumorose - Allegazione del danno esistenziale lamentato,  ai fini di assolvimento della prova anche per presunzioni - Inversione sul danneggiante dell'onere di provare che le immissioni, ancorché  illecite, non abbiano determinato  conseguenze pregnanti nella sfera soggettiva dei danneggiati.
 
Il risarcimento del danno esistenziale, riconducibile alla lesione di valori costituzionalmente garantiti, quali i diritti fondamentali della persona, non può fondarsi su considerazioni che, sia pure basate sulla comune esperienza, si limitino ad un aspetto interiore della persona lesa, occorrendo la prova dell’incidenza, in concreto, della lesione di valori fondamentali dell’individuo sulle attività realizzatrici del soggetto danneggiato, con conseguente alterazione, di contenuto apprezzabile, della personalità del soggetto, sia sotto il profilo personale che relazionale, quindi “esterno”, quale conseguenza del fatto illecito altrui.
Anche se la lesione, è “in re ipsa”, non ne può discendere, quale corollario, come già evidenziato,  che  il danno debba essere risarcito senza che incomba sul danneggiato l’onere quantomeno di allegare circostanze concrete che ne consentano la  prova, anche presuntiva,  della sua esistenza, costituendo la lesione di valori costituzionali un semplice indizio, sia pure di valenza pregnante, dell’esistenza del danno che, tuttavia, dovrà essere provato facendo ricorso ai principi generali in tema di onere della prova.
È necessario, in altri termini, fornire la prova testimoniale, documentale o presuntiva che dimostri i “concreti” cambiamenti che l’illecito ha apportato, in senso peggiorativo, nella qualità di vita del danneggiato evidenziandosi  la possibilità di far ricorso, in tema di danno esistenziale, anche alla prova per presunzione, “mezzo di prova non relegato dall’ordinamento in grado subordinato nella cerchia delle prove, cui il giudice può far ricorso anche in via esclusiva” (Cass., 12.6.2006,n. 13546).
Spetterà, pertanto, al danneggiato allegare precise circostanze, di valenza pregnante, atte a formare il convincimento, anche presuntivo, da parte del giudice, delle rilevanza ai fini della lesione della sfera esistenziale,  in base a presunzioni semplici, sia pure “iuris tantum”, con conseguente inversione dell’onere della prova a carico del danneggiante che deve provare, nella fattispecie, che le immissioni, ancorché  illecite, non abbiano determinato  conseguenze pregnanti nella sfera soggettiva dei danneggiati.
 
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato in data 27.10.1993 V.P. (…) convenivano in giudizio davanti al Tribunale di Milano la società E. S.p.a. (…) chiedendone  la condanna alla immediata cessazione del funzionamento degli impianti di condizionamento collocati a  ridosso del muro condominiale, per la intollerabilità delle immissioni rumorose  eccedenti la normale tollerabilità, oltre al   risarcimento dei danni. 
Instaurato il contraddittorio la convenuta eccepiva, preliminarmente, la carenza di legittimazione passiva essendo solo conduttrice del complesso immobiliare, di proprietà della D. s.r.l., nel merito contestava il fondamento della  domanda, chiedendone  il rigetto, assumendo la normale tollerabilità dei rumori.
Il Contraddittorio veniva integrato nei confronti dell’ Ina s.p.a. (poi incorporata dalla Generali Assicurazioni s.p.a.) , cui la D. aveva venduto, nelle more, il complesso immobiliare che, costituitasi, chiedeva il rigetto della domanda.
Acquisita la relazione di consulenza relativa ad altra causa avente identico oggetto, promossa da altri condomini, il Tribunale di Milano, con sentenza n. 11318 in data 16.9.2004, depositata in data 1.10.2004, dava atto della cessazione della materia del contendere per effetto delle opere di insonorizzazione effettuate dall’Ina s.p.a, che nelle more è stata incorporata dalla  Assicurazioni Generali s.p.a., respingeva la domanda risarcitoria relativa al danno non patrimoniale di natura esistenziale per mancanza di prova al riguardo, ponendo le spese di lite, in forza  della soccombenza virtuale, a carico solidale della convenuta e della terza chiamata, liquidandole d’ufficio nella metà di quelle presumibili.
Avverso tale sentenza proponeva appello gran parte dei condomini già istanti nel giudizio di primo grado, con atto di citazione  notificato in data 19.7.2005, per i seguenti motivi: 1) omessa valutazione delle presunzioni in tema di prova del danno esistenziale; 2) erronea reiezione delle richieste istruttorie formulate in tema di prova del danno esistenziale, 3) erronea liquidazione delle spese processuali ed omessa indicazione degli onorari.
Chiedeva, in riforma della sentenza impugnata, previa sospensione della provvisoria esecutorietà della sentenza, l’accoglimento delle conclusioni rassegnate in epigrafe, con vittoria di spese del doppio grado di giudizio.
Si costituiva la E. s.p.a. (società incorporante la D. s.p.a.)  contestando i motivi addotti dall’appellante,censurando la sentenza con appello incidentale per l’erroneo rigetto della eccezione di carenza di legittimazione passiva e per l’asserita  erronea declaratoria di immissioni dell’impianto di condizionamento eccedenti la normale tollerabilità .
La Assicurazioni Generali s.p.a. contestava i motivi dell’appello principale, censurando, con appello incidentale, la sentenza per l’ erronea regolamentazione delle spese e, con  appello incidentale condizionato, formulava richiesta di condanna in  manleva nei confronti della E. 
Respinta l’istanza di sospensione dell’esecutività della sentenza, la causa passava, quindi, in decisione sulle conclusioni delle parti trascritte in epigrafe.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Ancorché sia cessata la materia del contendere relativamente alla dedotta situazione di intollerabilità delle immissioni per l’avvenuta esecuzione dei lavori di insonorizzazione , in ordine logico, essendo le relative questioni preliminari a quelle dedotte con l’appello principale in tema di risarcimento del danno esistenziale, vanno esaminati i motivi dell’appello incidentale della E. relativi alle censure di erroneo rigetto della eccezione di carenza di legittimazione passiva e di  erronea declaratoria di immissioni eccedenti la normale tollerabilità dell’impianto di condizionamento.
Va rilevato che l'azione tendente a far valere il divieto di immissioni eccedenti la normale tollerabilità, ex art. 844 cod. civ.,ha carattere reale e rientra nel paradigma delle azioni negatorie, predisposte a tutela della proprietà, le quali tendono a far dichiarare e sanzionare non soltanto la inesistenza di vere e proprie servitù vantate sul fondo dell'attore ma anche a far accertare, in senso più ampio, l'inesistenza di qualsiasi diritto nonché l'illegittimità di turbative o molestie in danno del fondo stesso.
Al fine di ottenere la cessazione di queste ultime, l'azione deve ritenersi esperibile non soltanto nei confronti del proprietario dell'immobile da cui le immissioni derivano ma anche nei confronti dell'autore delle stesse, indipendentemente dal titolo vantato e, quindi, sia nei confronti del  possessore, sia anche del  detentore a titolo precario dell'immobile, quali autori di un fatto illecito.
Ovviamente tale responsabilità può essere estesa anche al proprietario dell’immobile, ancorché non autore delle immissioni stesse e tale estensione del contraddittorio è necessaria nel caso in cui non ci si limiti a chiedere la cessazione delle immissioni, ma l’adozione delle misure necessarie ad eliminarle, con la richiesta di adottare accorgimenti tecnici idonei ad impedire la prosecuzione dell’illecito, se trattasi di modifiche strutturali di competenza esclusiva del proprietario.
Nella fattispecie tale estensione del contraddittorio  non è necessaria essendo ormai cessate le immissioni rumorose.
Quanto alla censura relativa alla affermazione di responsabilità per relationem, correttamente il primo giudice ha fatto riferimento, quale elemento di prova, ad una consulenza tecnica d’Ufficio, esperita in altro giudizio, avente ad oggetto il medesimo quesito ed il medesimo bene da cui provenivano  le immissioni,  asseritamene eccedenti la normale tollerabilità e, in mancanza di specifiche ed analitiche censure  a tale relazione è anche sufficiente il generico richiamo alle risultanze dell’elaborato peritale, ove prodotto in giudizio.
L’appellante principale censura la sentenza per non avere riconosciuto il danno esistenziale in forza di presunzione semplice.
Va, al riguardo rilevato che la prova del danno esistenziale, ormai definitamene riconosciuto dalle Sezioni Unite della Cassazione con la sentenza 24.3.2006, n. 6572  “da intendere come ogni pregiudizio (di natura non meramente emotiva ed interiore, ma oggettivamente accertabile) provocato sul fare areddittuale del soggetto, che alteri le sue abitudini e gli assetti relazionali propri, inducendolo a scelte di vita diverse quanto all'espressione e realizzazione della sua personalità nel mondo esterno,  può essere data anche a mezzo di presunzioni”.
Tale danno  “va dimostrato in giudizio con tutti i mezzi consentiti dall'ordinamento, assumendo peraltro precipuo rilievo la prova per presunzioni, per cui dalla complessiva valutazione di precisi elementi dedotti”.
Deve trattarsi di presunzioni c.d. semplici (art. 2729 c.c.) che per essere rilevanti devono essere gravi, precise e concordanti.
Le presunzioni semplici si differenziano da quelle legali che rappresentano, invece, un espediente di tecnica legislativa, imperniato sulla distribuzione dell’onere della prova ed ispirato alla  finalità di facilitare la tutela di alcune situazioni giuridiche in quanto  è la stessa legge a trarre le conseguenza da un fatto noto per risalire a un fatto ignoto.
La Sezioni unite specificano ulteriormente che “la presunzione semplice e la presunzione legale “iuris tantum” si distinguono unicamente in ordine al modo di insorgenza, in quanto mentre il fatto sul quale la prima si fonda deve essere provato in giudizio, ed il relativo onere grava su colui che intende trarne vantaggio, la seconda è stabilita dalla legge e, quindi, non abbisogna della prova di un fatto sul quale possa fondarsi e giustificarsi. Una volta, tuttavia, che la presunzione semplice si sia formata e sia stata rilevata (cioè, una volta che del fatto sul quale si fonda sia stata data o risulti la prova), essa ha la medesima efficacia che deve riconoscersi alla presunzione legale iuris tantum, quando viene rilevata, in quanto l’una e l’altra trasferiscono a colui, contro il quale esse depongono, l’onere della prova contraria”.
Tale enunciazione richiede alcune precisazioni concettuali per inquadrare correttamente il sistema probatorio in tema di onere della prova del danno esistenziale che deve ormai ritenersi ben individuato dalla giurisprudenza .
Parte della giurisprudenza di legittimità riteneva  che la  lesione di un diritto costituzionalmente garantito relativo alla persona configurasse un  danno “evento”  e ne riconosceva “la tutela risarcitoria (minima) a seguito della violazione del diritto costituzionalmente dichiarato fondamentale” (cfr in tema di danno biologico, Corte Cost., 14.7.1986,n. 184); la  prova della lesione di tale diritto sarebbe anche  prova del danno, nel senso che la lesione è  “in re ipsa”( Cass, 10.5.2001, n. 6507; Cass., 3.4.2001, n. 4881).
Tale criterio di prova suscita, tuttavia, qualche perplessità ove rapportato al danno esistenziale, in quanto  la violazione di un diritto costituzionalmente garantito non attribuisce il  diritto al risarcimento del danno, anche senza necessità di prova.
La prova dell’esistenza della lesione non significa che tale prova sia sufficiente ai fini del risarcimento, in quanto deve ritenersi necessaria anche la prova ulteriore dell’entità del danno.
Nel codice civile sono previste forme di responsabilità oggettiva (es: responsabilità dei genitori per fatti commessi dai figli minori (art. 2047 cod. civ.), dei datori di lavoro (art. 2049 cod. civ.) o presunta , quale quella della P.A. per beni in custodia), ma  non è prevista alcun danno di natura oggettiva, risarcibile indipendentemente dalla sua prova, né alcuna  presunzione di danno.
La tutela accordata alla lesione di valori costituzionali, anche in mancanza di una normativa specifica, non può legittimare l’esclusione della prova del danno che anche in caso di violazione di diritti fondamentali della persona non è contrastante  con i principi della Carta Costituzionale, vigendo anche in materia di onere della prova del danno alla persona, sia o meno il diritto leso costituzionalmente garantito, la generale enunciazione di cui all’art. 2697 cod. civ.
Il danno esistenziale, così come la malattia psichica, non hanno una  sola genesi , ma solitamente , trovano la loro eziologia  in molteplici fattori (familiare, sociale, psicologico , intellettivo) che interagiscono in varia misura tra loro ed è possibile far ricorso, da parte del giudice, alla prova presuntiva fondata anche sul  principio di probabilità che deve far ritenere  possibile e verosimile , in base alle regole dell’esperienza, la connessione causale tra il danno esistenziale ed il fatto illecito, tenendo conto non solamente degli aspetti cd “interni” della lesione esistenziale, ma anche e soprattutto delle ripercussioni nell’ambito cd “esterno”.
La prova, può anche essere di segno negativo, potendo anche  dimostrarsi che, senza il fatto dannoso, l’alterazione della qualità della vita non si sarebbe manifestata, o avrebbe avuto una intensità minore.
Bisogna anche  far riferimento allo “stato preesistente” del soggetto e  come avviene  in caso di malattia psichica con riferimento alla struttura psichica del soggetto leso, tale indagine va effettuata in caso di danno esistenziale ove non viene in rilievo un danno accertabile con criterio medico legale ma che può, tuttavia, sovrapporsi ad una situazione di valenza esistenziale già compromessa;   in tale ultimo caso  sarà risarcibile solamente il danno esistenziale cd.  differenziale.
In termini generali non può, quindi,  desumersi in forza di presunzione, che il danno esistenziale sia connaturato con l’ illecito, sic et simpliciter, che in presenza di immissioni eccedenti la normale tollerabilità vi siano conseguenze esistenziali per i condomini, occorrendo, invece, che tali evenienze vengano ritualmente prospettate ed allegate, spettando poi al giudice valutare tali allegazioni ed attribuire o meno valenza di prova alle stessa anche facendo ricorso alle presunzioni.  
Il risarcimento del danno esistenziale, riconducibile alla lesione di valori costituzionalmente garantiti, quali i diritti fondamentali della persona, non può fondarsi su considerazioni che, sia pure basate sulla comune esperienza, si limitino ad un aspetto interiore della persona lesa, occorrendo la prova dell’incidenza, in concreto, della lesione di valori fondamentali dell’individuo sulle attività realizzatrici del soggetto danneggiato , con conseguente alterazione, di contenuto apprezzabile, della personalità del soggetto, sia sotto il profilo personale che relazionale, quindi “esterno”, quale conseguenza del fatto illecito altrui.
Anche se la lesione, è “in re ipsa” , non ne può discendere, quale corollario, come già evidenziato,  che  il danno debba essere risarcito senza che incomba sul danneggiato l’onere quantomeno di allegare circostanze concrete che ne consentano la  prova, anche presuntiva,  della sua esistenza, costituendo la lesione di valori costituzionali un semplice indizio, sia pure di valenza pregnante, dell’esistenza del danno che, tuttavia, dovrà essere provato facendo ricorso ai principi generali in tema di onere della prova.
Non può, infatti,  escludersi, in linea di principio, che la lesione di valori costituzionali, non provochi alcun pregiudizio concreto, per ragioni peculiari o contingenti o per particolari situazioni ambientali, legati alla sfera del danneggiato,
Relativamente ai mezzi di prova ammissibili,  potrà anche farsi riferimento, come già evidenziato dalla Corte, alle presunzioni semplici o a  situazioni reali, di valenza sintomatica, da cui desumere in termini di certezza o di elevata probabilità, l’effettività del pregiudizio subito.
Peraltro costituisce principio pacifico, che, anche ove si ricorra alla valutazione equitativa, nel caso in cui il danno non possa essere provato nel suo preciso ammontare (art. 1226 c.c.), occorra pur sempre fornire la prova del danno stesso.   
Chiarimenti significativi sull’onere della prova provengono dalle ultime pronunce della Corte di Cassazione che ammettono la prova presuntiva ma solamente previa allegazione puntuale del danno “sull’oggetto e sul modo di operare dell’asserito pregiudizio, non potendo (il giudice) sopperire alla mancanza di indicazione in tal senso nell’atto di parte, facendo ricorso a formule standardizzate e sostanzialmente elusive della fattispecie concreta
Precisano le S.U. nella citata sentenza che “il danno esistenziale, essendo legato indissolubilmente alla persona e quindi non essendo passibile di determinazione secondo il sistema tabellare - al quale si fa ricorso per determinare il danno biologico, stante la uniformità dei criteri medico-legali applicabili in relazione alla lesione dell’ integrità psico-fisica, necessita imprescindibilmente di precise indicazioni che solo il soggetto danneggiato può fornire, indicando le circostanze comprovanti l’alterazione delle sue abitudini di vita…”.
Spetterà, pertanto, al danneggiato allegare precise circostanze, di valenza pregnante, atte a formare il convincimento, anche presuntivo, da parte del giudice, delle rilevanza ai fini della lesione della sfera esistenziale,  in base a presunzioni semplici, sia pure “iuris tantum”, con conseguente inversione dell’onere della prova a carico del danneggiante che deve provare, nella fattispecie, che le immissioni, ancorché  illecite, non abbiano determinato  conseguenze pregnanti nella sfera soggettiva dei danneggiati.
Si assicura, mediante la allegazione dei fatti posti a fondamento della richiesta di danno esistenziale, anche il diritto al contraddittorio nei confronti del  danneggiante che è posto  in grado di sapere, in base alle allegazioni dei danneggiati, quali siano le circostanze ed i fatti posti a  base della richiesta di danno, con possibilità, non sempre agevole per la verità, di fornire la eventuale prova contraria.
Molteplici possono essere le implicazioni esistenziali nella sfera della vittima dipendendo dalle abitudini di vita, dagli sport praticati, dalle frequentazioni esterne e dai rapporti endofamiliari che non possono essere generalizzati in una enunciazione generale con valore di presunzione semplice valida per tutte le fattispecie, essendo onere della parte indicare specificamente gli elementi di valenza pregnante posti a fondamento del danno esistenziale, mentre  è compito  del giudice valutare tali allegazioni, ammettendo la relativa prova testimoniale, ove richiesta, o ritenendo provati i fatti anche per presunzione, con la precisazione che la prova presuntiva dei fatti costituisce anche prova del danno esistenziale
È necessario, in altri termini, fornire la prova testimoniale, documentale o presuntiva che dimostri i “concreti” cambiamenti che l’illecito ha apportato, in senso peggiorativo, nella qualità di vita del danneggiato evidenziandosi  la possibilità di far ricorso, in tema di danno esistenziale, anche alla prova per presunzione, “mezzo di prova non relegato dall’ordinamento in grado subordinato nella cerchia delle prove, cui il giudice può far ricorso anche in via esclusiva” (Cass., 12.6.2006,n. 13546)
Non tutti i soggetti hanno, infatti, le stesse reazioni e la stessa resistenza di fronte ad avvenimenti psico-stessanti; alcuni individui riescono a sopportare meglio situazioni psichiche anche di intensa sofferenza, mentre altri, di equilibrio instabile, risentono negativamente di tali situazioni, con conseguenze diverse anche sulla alterazione della qualità della vita che può variare da soggetto a  soggetto.
Nella fattispecie nessuna allegazione o prova risulta ritualmente fornita.
Le prove dedotte in primo grado non sono state  ammesse e non è stato proposto reclamo al Collegio avverso tale provvedimento, trattandosi di causa c.d. “vecchio rito”.
Inoltre in sede di precisazione delle conclusioni tanto in primo grado che in appello nessuna richiesta di prova testimoniale, con la deduzione dei relativi capitoli, è stata formulata dagli appellanti che hanno richiesto, in primo grado,  una inammissibile remissione della causa in istruttoria, senza indicazione delle prove richieste, respinta dal Tribunale, non formulando, nelle conclusioni rassegnate in appello, alcuna richiesta istruttoria.
Va, conseguentemente disatteso anche il motivo di appello relativo alla erronea reiezione delle richieste istruttorie.
Censurano gli appellanti anche la dedotta erronea liquidazione delle spese processuali ed omessa indicazione degli onorari.
Quanto ala regolamentazione delle spese del giudizio di primo grado il Tribunale correttamente, tenuto conto del principio della parziale soccombenza, sia pure virtuale, ha compensato parzialmente tra le parti le spese del giudizio, sia pure adoperando una espressine non chiara (“tenuto conto del principio della soccombenza virtuale, giustifica, sia pure in parte per via della parziale soccombenza, il buon diritto di parte attrice ad ottenere quanto meno la parziale rifusione delle spese processuali”)
Avverso tale capo della sentenza, relativamente alla compensazione parziale delle spese di lite, solo le Generali Assicurazioni censura la compensazione anche nei suoi confronti, legittimamente disposta, invece, dal giudice in forza del principio della parziale soccombenza  anche nei confronti del proprietario dell’immobile responsabile delle immissioni eccedenti la normale tollerabilità.
Nessuna censura specifica è stata, invece, formulata, sulla compensazione parziale, dalla E., che lamenta, erroneamente, la decurtazione delle spese per la mancata presentazione della nota spese, mentre la decurtazione è imputabile unicamente alla compensazione parziale delle spese di causa, liquidate nei limiti di valore del giudizio.
È , invece , fondato il motivo dedotto dalla E., relativo alla omessa indicazione degli onorari, in quanto il giudice deve mettere le parti in condizione di poter specificare le singole voci ai fini della valutazione di congruità o dell’osservanza dei minimi tariffari, all’epoca sussistenti, con la necessità di specificare almeno gli onorari di avvocato consentendo così alla parte di effettuare,per esclusione,  un controllo adeguato del quantum anche delle voci residue (Cass., 23.6.1997). 
Nel caso di successivo ricorso per Cassazione la parte che intende impugnare le singole voci di tariffa, ha, infatti, l’onere di precisare ciò che ritiene non dovuto o liquidato in misura eccessiva, ovvero, all'opposto, specificando ciò che assume dovuto ma non attribuito o liquidato in misura esigua, in modo da consentire il controllo di legittimità senza necessità di ulteriori indagini; occorre, quindi, quantomeno la  specificazione degli onorari, essendo le rimanenti voci ricavabili anche per presunzione, in base ad una mero calcolo aritmetico, (cfr Cass. 27.10.2005, n. 20904)
Non avendo provveduto il primo giudice a tale specificazione, la Corte  provvede alla valutazione degli onorari , tenendo conto del valore della causa, della complessità del giudizio e dell’attività svolta, determinandoli nella somma di € 11.500,00.
Va  confermata, nel resto, l’impugnata sentenza.
Stante la reciproca soccombenza sussistono giusti motivi per dichiarare compensate per metà tra le parti le spese del grado di giudizio, ponendo la residua metà a carico degli appellanti principali soccombenti sulla principale questione dedotta nei motivi di appello
PQM
definitivamente pronunciando, sull’appello proposto, con atto di citazione notificato in data 19.7.2005, da V. P. + 33 nei confronti di E. e Generali Assicurazioni s.p.a. (già Ina s.p.a.) e sull’appello incidentale delle società appellate, contro la sentenza del Tribunale di Milano n. 11318 in data 16.9.2004, depositata in data 1.10.2004, respinta ogni contraria domanda, eccezione e difesa , in parziale riforma della impugnata sentenza,
DETERMINA
gli onorari sulla complessiva somma di € 15.000,00 liquidata in primo grado per le spese di lite, in € 11.500,00
CONFERMA
nel resto la sentenza impugnata
DICHIARA
compensate per metà tra le parti le spese processuali del grado  di giudizio e condanna in solido gli appellanti  principali al   rimborso, a favore delle parti  appellate,  della residua metà che liquida a favore di E. s.p.a.  in € 38,00 per spese,€ 490,00 per diritti,€ 2.450,00 per onorario e a favore di Generali Assicurazioni s.p.a. in € 75,00 per spese, €  540,00 per diritti, € 2.890,00 per onorario  oltre, su entrambe le liquidazioni, accessori di legge.
 
Milano 6.12.2006 (depositata in data 29.1.2007)
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