- Il
danno esistenziale sta vivendo un fortunato sviluppo in seguito alle note
sentenze gemelle
della Suprema Corte ed alla pronuncia del Giudice delle leggi,
dove è stato definito come un danno a valori della persona, diversi dalla
salute.
- Così
che il danno esistenziale sarebbe una categoria risarcitoria dove far
convergere tutti i diritti costituzionalmente garantiti attinenti alla
persona umana, in quanto nascerebbe da una lettura combinata dell’art.
2059 c.c. con i principi della stessa Costituzione; la stessa
giurisprudenza penale,
poi, sarebbe del medesimo avviso, tanto che ha ritenuto di considerare il
danno da ingiusta detenzione come un danno esistenziale perché, appunto,
vi sarebbe stato un danno lesivo di un diritto costituzionale come la
libertà personale, tenendo presente anche che la suddetta tipologia di
danno si riferisce agli sconvolgimenti delle abitudini di vita e delle
relazioni interpersonali provocate dal fatto illecito.
- La
dottrina
che si è occupata dell’argomento, ha avuto modo di precisare che, in
fondo, il danno esistenziale sarebbe un “non fare”, o meglio un “non
poter più fare”, un “dover agire altrimenti”, un “relazionarsi in
altro modo”, diversamente dal danno morale che riguarderebbe un
“sentire”: il danno esistenziale, pertanto, riguarderebbe proprio le
attività realizzatrici della persona umana, per cui ogni illecita
compressione ovvero limitazione ne dovrebbe imporre il risarcimento,
soprattutto alla luce dell’art. 2 Cost.
- In
altri termini, se
la Costituzione
garantisce taluni diritti a livello “esistenziale”, è necessario
trovare un riscontro applicativo nel codice civile, nell’ambito delle
responsabilità, al fine di non individuare un vulnus nella stessa
Carta Fondamentale, riducendola a mero dato letterale e astratto; in
questa prospettiva di interpretazione concreta, allora, il riscontro
applicativo sarebbe individuabile nell’art. 2059 c.c.
- Così,
nell’ipotesi di perdita del padre, illecitamente causata da altri, il
figlio potrebbe vantare un risarcimento per lesione del diritto
all’integrità della famiglia (ovvero all’intangibilità degli affetti
familiari),
ex art. 2059 c.c. in combinato disposto con l’art. 29 Cost.
- Tuttavia,
il concetto stesso di “non poter più fare” rischia di essere
sfuggente, soprattutto perché, si dice, non sarebbe del tutto chiaro il
referente normativo: va bene il referente costituzionale e l’art. 2059
c.c., ma in seguito all’illecito si dovrebbe tener presente il danno
(nella sua duplice veste di danno evento e danno conseguenza) e non tanto
i profili esistenziali che, in fondo, in misura diversa seguono ad ogni
tipologia di illecito; id est ogni tipologia di danno alla persona,
soprattutto nelle ipotesi di astratta configurabilità di un reato
potrebbe implicare un “non poter più fare” oppure un “non aver
fatto come si voleva” o, ancora, un “non aver scelto liberamente cosa
fare” (lesione del diritto alla libera autodeterminazione,
costituzionalmente garantito), seppure in misura diversa.
- Questa
ricostruzione, allora, sembra avvicinarsi molto al concetto di lucro
cessante ovvero mancato guadagno, seppure operante sul piano non
patrimoniale.
- Il
lucro cessante, ex art. 1223 c.c., viene definito
come il guadagno netto che viene meno al creditore a causa
dell’inadempimento (anche a causa dell’illecito): a differenza del
danno emergente il lucro cessante è un danno che concerne una ricchezza
non conseguita dal danneggiato.
- Si
tratterebbe di un danno normalmente futuro, che richiede in ogni caso una
ragionevole certezza in ordine al suo accadimento, e che deve, di regola,
valutarsi in via equitativa.
- Accogliendo
tale definizione, sembrerebbe proprio che il lucro cessante o mancato
guadagno attenga proprio al “non poter più fare”, al “non aver
potuto fare” al “dover agire altrimenti”, proprio a causa di un
danno che ha imposto scelte diverse da quelle che si sarebbero fatte in
assenza del danno; il lucro cessante riguarderebbe il “non poter fare”
sul piano patrimoniale, con una proiezione futura, diversamente dal danno
esistenziale che sembrerebbe riguardare il “non poter fare” sul piano
non patrimoniale ovvero esistenziale.
- Secondo
questa ricostruzione, pertanto, il danno esistenziale non sarebbe
nient’altro che un mancato guadagno non patrimoniale; così,
nell’ipotesi classica di decesso di un padre di famiglia,
causato dal comportamento illecito altrui, i conviventi (moglie e figli)
potranno vantare
il risarcimento del danno esistenziale, inteso come mancato guadagno non
patrimoniale derivante dalla mancata sussistenza di una famiglia completa,
con affetti, know-how esistenziali, educazione, serenità, ecc.
- La
famiglia, di massima, elargisce nei confronti dei suoi membri dei valori
comuni e affetti profondi, strumentalmente necessari per lo sviluppo della
persona umana, ex art. 2 Cost., la cui illecita lesione impone alle
vittime secondarie dell’illecito un “non poter più fare” certe
attività (giocare, discutere, “filosofeggiare”, ecc.) con la vittima
primaria dell’illecito, ovvero (detto con i termini della tesi esposta)
un mancato guadagno di tutti quegli elementi non patrimoniali necessari
allo sviluppo dell’individuo; laddove l’illecito, che abbia causato la
morte del padre di famiglia (nel caso preso in esame), non si fosse
verificato, vi sarebbe stato quel guadagno non patrimoniale di affetti,
serenità, equilibrio (per taluni aspetti), ecc.
- D’altronde,
tale ricostruzione volta a qualificare il danno esistenziale come un
mancato guadagno non patrimoniale sembrerebbe coerente anche con il dato
normativo.
- Più
precisamente, l’art. 2056 c.c. che si occupa della valutazione dei danni
(anche alla persona) da illecito opera un rinvio agli artt. 1223, 1226 e
1227 c.c.; nell’art. 1223 c.c. si dice che nel risarcimento del danno
bisognerebbe tenere presente tanto la perdita subita (c.d. danno
emergente) quanto il mancato guadagno
(c.d. lucro cessante).
- Tale
rinvio, di massima, è stato ritenuto operante solo con riferimento ai
danni patrimoniali, perché sembrava difficile immaginare un mancato
guadagno di natura non patrimoniale.
- Tuttavia,
tale rinvio dell’art. 2056 c.c. verso l’art. 1223 c.c., a rigore,
potrebbe operare anche verso il danno non patrimoniale; l’art. 2056 c.c.
si riferisce alla responsabilità da fatto illecito, come desumibile dalla
sua collocazione sistematica,
dove vengono presi in considerazione tanto i danni patrimoniali che quelli
non patrimoniali, ex art. 2059 c.c.
- Se,
pertanto, si tiene presente che in tema di illecito aquiliano si ritiene
risarcibile il danno patrimoniale e non patrimoniale e che la valutazione
dei danni aquiliani deve essere fatta secondo i parametri dell’art. 1223
c.c. dove si parla di perdita subita e mancato guadagno, allora, ne segue,
come corollario logico-giuridico, che anche nel danno non patrimoniale
bisognerà tener conto del mancato guadagno (oltre che della perdita
subita), perché, appunto, sarebbe lo stesso art. 1223 c.c. ad imporlo; in
altri termini, si dice, l’art. 2056 c.c. rinvia all’art. 1223 c.c. per
la valutazione dei danni non solo patrimoniali, ma anche non patrimoniali,
in quanto si riferisce al risarcimento del danno da illecito nel suo
complesso, e non limitatamente a quello patrimoniale.
- Così,
anche nella valutazione del danno alla persona, si dovrebbe far
riferimento ai danni non patrimoniali, sotto il profilo del danno subito e
del mancato guadagno (che, poi, coinciderebbe con il danno esistenziale).
- Diversamente
argomentando, si rischierebbe di entrare in contrasto con il dato
letterale sotto un duplice profilo: sotto il primo profilo, ci si porrebbe
in contrasto con la lettera dell’art. 2056 c.c. che opera un rinvio
ampio all’art. 1223 c.c. (per la valutazione del danno), con riguardo al
danno patrimoniale e non patrimoniale; sotto il secondo profilo, non si
terrebbe presente la lettera dell’art. 1223 c.c. che impone il
risarcimento del danno subito e del mancato guadagno (e non del solo danno
subito).
- In
questa prospettiva, allora, si tratterebbe semplicemente di tener presente
il dato letterale e “portare” il danno esistenziale nella sua esatta
qualificazione giuridica voluta dal legislatore.
- Inoltre,
accogliendo tale ricostruzione, sembrerebbe anche chiarirsi il profilo
della legittima cumulabilità tra danno biologico e danno esistenziale: il
primo sarebbe un danno non patrimoniale subito, mentre il secondo un
mancato guadagno non patrimoniale, ex art. 1223 c.c.
- Il
danno morale, poi, potrebbe divenire un danno-evento (e non più
danno-conseguenza, come generalmente ritenuto),
perché riguarderebbe un danno subito non patrimoniale a carattere
transitorio, non potendosi ritenere mancato guadagno, sub specie non
patrimoniale, in quanto non potrebbe avere una proiezione futura su tutta
l’esistenza dell’individuo danneggiato illecitamente.
- In
definitiva, pertanto, sembrerebbe potersi dire che, in fondo, lo stesso
danno esistenziale c’è sempre stato e che non sia una forzatura della
lettera della legge ovvero del sistema, ma, al contrario, sarebbe la sua
negazione a portare ad una forzatura del sistema, soprattutto se si opta
per un’interpretazione rigorosa della lettera delle legge, ex art. 2056
c.c. e 1223 c.c., rispettosa della collocazione sistematica voluta dal
legislatore, in una visione costituzionalmente orientata.
- avv.
Luigi Viola
-
(fonte:
www.altalex.com) 26.8.2005