Il
danno all'immagine è immanente alla lesione della reputazione nel contesto
sociale
Corte
di cassazione, Sezione lavoro, sentenza 13 aprile 2004, n. 7043
(Il
direttore generale della Asl, il cui contratto di lavoro sia stato
illegittimamente risolto dalla Regione, ha diritto al risarcimento del danno
all'immagine).
- La reputazione personale è
individuabile nella valutazione che, in base alla sua storia personale, la
comunità (locale, nazionale o internazionale) dà di un determinato
soggetto (essa si identifica, secondo Cassazione penale 3217/1995, con il
senso della dignità personale in conformità dell'opinione del gruppo
sociale secondo il particolare contesto storico).
- Taluni
eventi, secondo il comune sentire, comportano, inevitabilmente, una
modificazione peggiorativa di tale valutazione (c.d. danno all'immagine):
al giudice del merito che abbia riscontrato tale evento non va fornita
alcuna prova della lesione della reputazione conseguita all'altrui
comportamento illecito ai sensi dell'art. 2043 c.c., dovendo egli solo
raccordarsi al predetto comune sentire - o coscienza sociale -
individuandovi quali sono gli effetti che solitamente conseguono a
determinati eventi: in tal senso è corretto affermare che per alcuni
eventi (quale ad esempio la perdita del proprio lavoro per ragioni non
onorevoli) il danno è in re ipsa nel senso che ad essi consegue,
inevitabilmente, un effetto pregiudizievole.
- Trattasi,
in definitiva, di valutazioni che non possono essere ignote al giudice
proprio in quanto standardizzate in taluni contesti sociali la cui lesività
va risarcita equitativamente (Cassazione 12483/2003, 10750/2001,
15004/2000 sui cosiddetti standards valutativi conformi ai valori-guida
dell'ordinamento giuridico, esistenti nella realtà sociale).
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. La Giunta della Regione Calabria ha prima revocato (con delibera
4479/96 cui ha fatto seguito il decreto del Presidente della Giunta stessa n.
618/1996) la nomina dell'avv. Dionigi Chiazza a direttore generale della Asl n.
5 di Crotone e, quindi, risolto con provvedimento presidenziale n. 573/97, a
seguito di verifica dei risultati di gestione, il contratto di diritto privato
stipulato con lo stesso per la durata di cinque anni.
2. Il Pretore ha, su ricorso dell'avv. Dionigi, dichiarato la
illegittimità dei predetti provvedimenti ed ha condannato la Regione Calabria a
risarcire allo stesso i danni subiti, liquidati in via equitativa in una somma
pari a lire 200.000.000, oltre alla corresponsione delle somme a lui spettanti
per la durata del contratto.
3. Il Tribunale di Crotone, per quanto interessa nella presente
sede, con sentenza del 13 giugno 2000 ha ritenuto:
a) il difetto di giurisdizione dell'Ago in ordine all'accertamento
della legittimità dei predetti provvedimenti di revoca della nomina e di
risoluzione del contratto di diritto privato;
b) la sussistenza della propria giurisdizione in ordine alla lesione
di interessi legittimi che aveva comportato "danni patiti e patendi"
e, nell'ambito degli stessi, un danno all'immagine, nonché la mancata
percezione dei compensi per la durata pattuita del contratto;
c) il difetto di prova, in ordine al primo tipo di danni postulati,
di un evento lesivo - non potendosi asserire che esso, a fronte dell'illegittimo
comportamento della P.A. - fosse in re ipsa - neanche per il danno all'immagine
(configurazione questa data in sede d'appello) - sicché, anche sotto il profilo
della individuazione dei criteri di quantificazione dello stesso, del tutto
illegittimo s'appalesava il ricorso a quello equitativo;
d) la necessaria pregiudizialità dei giudizi amministrativi,
promossi dall'avv. Dionigi, relativi alla illegittimità dei provvedimenti
adottati nei suoi confronti, rispetto a quello sulle spettanze, anche esse
chieste in via risarcitoria, con accertamento, con effetto di giudicato della
illiceità della condotta della P.A. - dovutegli per effetto della intera durata
pattuita del rapporto di lavoro, con conseguente necessità di sospendere il
giudizio, relativamente a tale punto ex art. 295 c.p.c. e tanto in dichiarato
dissenso con le decisioni 500 e 501/99 delle Sezioni Unite che a fronte della
lesione di interessi legittimi hanno ritenuto che anche l'accertamento
dell'illegittimità del comportamento della P.A. rientri nella giurisdizione
dell'Ago.
4. La Regione Calabria ha chiesto la cassazione della sentenza con
ricorso sostenuto da quattro motivi di cui due attinenti alla giurisdizione, cui
l'avv. Dionigi ha resistito con controricorso proponendo, a sua volta ricorso
incidentale; ha anche presentato memoria.
5. La causa è stata quindi rimessa alle Sezioni Unite che con
sentenza 6854/2003 hanno ritenuto:
a) la sussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo
quanto alla domanda di accertamento di illegittimità dei provvedimenti adottati
dalla Regione Calabria;
b) che lo scrutinio dei motivi di competenza delle sezioni unite non
poteva estendersi alla questione, contenuta nell'ultimo motivo di ricorso, della
pregiudizialità del giudizio di annullamento degli atti illegittimi dinanzi al
giudice amministrativo che investe il provvedimento di sospensione del
procedimento, di carattere intrinsecamente ordinatorio e non riguardante,
quindi, il riparto di giurisdizione;
c) di rimettere alla Sezione lavoro l'esame delle ulteriori censure.
MOTIVI
DELLA DECISIONE
- 1. Le stesse sono state formulate con il terzo ed il quarto motivo.
- 2. Con il primo di essi il ricorrente denuncia violazione e falsa
applicazione dell'art. 2043 c.c. e dell'art. 1226 c.c., nonché della
normativa sul risarcimento del danno; violazione della normativa in
materia di prova e di liquidazione del danno; difetto di motivazione.
- La censura, dopo una premessa - relativa alla non configurabilità
di un ruolo dirigenziale per il direttore generale dell'Asl che secondo il
ricorrente è un amministratore unico e legale rappresentante della stessa
- ha il suo punto centrale nella contestazione della necessità - asserita
dal Tribunale - di dover provare, per il danno all'immagine - che
costituisce per il ricorrente l'aspetto precipuo degli effetti lesivi da
lui subiti - sia l'esistenza di un evento lesivo in cui lo stesso si sia
concretizzato, sia i criteri di quantificazione dello stesso, con
esclusione dell'utilizzazione del criterio equitativo.
- 2.1. L'esistenza di detto danno era invece suscettibile di
valutazione equitativa perché essa ben può ritenersi in re ipsa, atteso
che era inevitabile l'offuscamento della sua immagine - e la lesione della
sua reputazione - rispetto all'opinione pubblica ed alla pubblica
amministrazione - a seguito di un provvedimento di rimozione fondato su
gravi addebiti.
- 3. La censura è fondata.
- In
materia di danno all'immagine - o più in generale alla reputazione
personale il diritto alla cui integrità trova fondamento nei diritti
della persona umana tutelati dall'art. 2 Cost. - questa Corte, a proposito
del danno in re ipsa inerente alla lesione della reputazione
personale - intesa come la valutazione che di un certo soggetto viene
fatta nel contesto in cui egli vive - ha ritenuto che provata la lesione
della reputazione personale ciò comporta la prova anche della riduzione o
della perdita del relativo valore e che non si contesta la distinzione
ontologica tra lesione del valore e conseguente perdita o diminuzione
della stessa ma si assume solo che provata la prima risulta provata anche
la seconda (Cassazione 7507/2001).
- 3.1.
La predetta statuizione - che merita adesione nella parte in cui
afferma la naturale lesività della perdita o della diminuzione della
reputazione personale - non sembra, tuttavia, condivisibile laddove sembra
postulare la prova della lesione di tale valore.
- 3.2. Come si è detto la
reputazione personale è individuabile nella valutazione che, in base alla
sua storia personale, la comunità (locale, nazionale o internazionale) dà
di un determinato soggetto (essa si identifica, secondo Cassazione penale
3217/1995, con il senso della dignità personale in conformità
dell'opinione del gruppo sociale secondo il particolare contesto storico).
- Taluni
eventi, secondo il comune sentire, comportano, inevitabilmente, una
modificazione peggiorativa di tale valutazione (c.d. danno all'immagine):
al giudice del merito che abbia riscontrato tale evento non va fornita
alcuna prova della lesione della reputazione conseguita all'altrui
comportamento illecito ai sensi dell'art. 2043 c.c., dovendo egli solo
raccordarsi al predetto comune sentire - o coscienza sociale -
individuandovi quali sono gli effetti che solitamente conseguono a
determinati eventi: in tal senso è corretto affermare che per alcuni
eventi (quale ad esempio la perdita del proprio lavoro per ragioni non
onorevoli) il danno è in re ipsa nel senso che ad essi consegue,
inevitabilmente, un effetto pregiudizievole.
- 3.3. Trattasi, in definitiva, di valutazioni che non possono
essere ignote al giudice proprio in quanto standardizzate in taluni
contesti sociali la cui lesività va risarcita equitativamente (Cassazione
12483/2003, 10750/2001, 15004/2000 sui cosiddetti standards valutativi
conformi ai valori-guida dell'ordinamento giuridico, esistenti nella realtà
sociale).
- 4. Con il quarto motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa
applicazione degli artt. 2043, 1226 c.c. e della normativa sul
risarcimento, degli artt. 4 e 5 l.a.c., 295 c.p.c., nonché difetto di
motivazione.
- Egli censura il tribunale per aver affermato, in contrasto con la
statuizione delle Sezioni Unite (500/1999) che assegna alla competenza
giurisdizionale dell'Ago l'accertamento della illegittimità dell'azione
amministrativa cui sia conseguita la lesione di un interesse legittimo, la
pregiudizialità necessaria di detto accertamento da parte del giudice
amministrativo con conseguente sospensione del giudizio, ai sensi
dell'art. 295 c.p.c., relativo al risarcimento del danno, sino a quando
questi non abbia reso la sua decisione in ordine allo stesso.
- 5. La censura è fondata.
- 5.1. Va rilevato che le Sezioni Unite con la decisione che ha
definito le censure relative alla giurisdizione hanno affermato che con il
loro esame doveva ritenersi esaurito lo scrutinio di competenza delle
sezioni unite e che la censura testé esaminata investe il provvedimento
di sospensione del procedimento di carattere intrinsecamente ordinatorio
che non riguarda il riparto di giurisdizione.
- 5.2. Tanto premesso, la decisione del Tribunale, contraddice, senza
valide argomentazioni, l'asserzione integrante una delle parti centrali
della statuizione delle Sezioni Unite che individua nella illiceità
dell'azione amministrativa uno degli elementi costitutivi dell'illecito
cui consegue il risarcimento della posizione soggettiva richiedibile al
giudice ordinario (14432/2000, 469/2000).
- Di conseguenza non sussisteva alcuna pregiudizialità del giudizio
amministrativo che giustificasse la sospensione del giudizio relativo al
risarcimento del danno per mancata percezione di quanto spettante al
ricorrente in relazione alla intera durata del rapporto di lavoro.
- P.Q.M.
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- La Corte, preso atto della decisione delle Sezioni Unite sulla
disposta riunione dei ricorso, sul rigetto dei primi due motivi del
ricorso principale e sulla dichiarazione di inammissibilità del ricorso
incidentale, accoglie i motivi terzo e quarto del ricorso principale,
cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese alla Corte di
appello di Catanzaro.
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