Danno alla professionalità: è in re ipsa (o conseguente a fatto notorio, per nozione  di comune esperienza, ex art. 115 c.p.c.) ed è quantificabile in via equitativa

 

I

Corte di Cassazione, sez. lav., 2 novembre 2001, n. 13580 (ud. 20 giugno 2001) – Pres. Saggio – Rel. De Matteis – Breda Progetti & Costruzioni SpA (avv. Pulsoni) c. Andrea Pierantoni (avv. Pirani, Parascandolo)

 

Demansionamento per riduzione dei poteri del dirigente e confinamento in stato di  inoperosità – Diritto al risarcimento del danno alla professionalità – Sussiste, indipendentemente da prova di pregiudizio patrimoniale.

 

Il demansionamento professionale di un lavoratore non solo viola lo specifico divieto di cui all'art. 2103 cod. civ. ma ridonda in lesione del diritto fondamentale, da riconoscere al lavoratore anche in quanto cittadino, alla libera esplicazione della sua personalità nel luogo di lavoro con la conseguenza che il pregiudizio correlato a siffatta lesione, spiegandosi nella vita professionale e di relazione dell'interessato, ha una indubbia dimensione patrimoniale che lo rende suscettibile di risarcimento e di valutazione anche equitativa, secondo quanto previsto dall'art. 1226 cod. civ. (così Cass. 18 ottobre 1999 n. 11727, che ha cassato la sentenza impugnata la quale aveva respinto la domanda di risarcimento del danno proposta dal lavoratore demansionato sull'assunto del mancato assolvimento, da parte dello stesso, dell'onere probatorio relativo alla sussistenza di un danno patrimoniale in qualche modo risarcibile; nonché Cass, 6 novembre 2000  n.14443).

Il giudice del merito, accertata l'esistenza di una dequalificazione, può desumere l'esistenza del relativo danno, determinandone anche l'entità in via equitativa, con processo logico giuridico attinente alla formazione della prova, anche presuntiva (sufficiente di per sé sola a sorreggere la decisione: Cass. 18 gennaio 2000 n. 491), in base agli elementi di fatto relativi alla durata della dequalificazione, e alle altre circostanze relative al caso concreto.

(In fattispecie sulla base di risultanze testimoniali  favorevoli alla sussistenza dei presupposti per il risarcimento danni alla professionalità a causa della riduzione dei poteri del dirigente ed in relazione alla durata dell’inoperosità – per 18 mesi -, è stata confermata la decisione di merito che aveva stabilito la liquidazione equitativa di £. 98 milioni a tale titolo).

Svolgimento del processo

 

Con ricorso in opposizione ex art. 209 L.F. depositato il 12.9.1995 l'ing.  Pierantoni Andrea ha convenuto in giudizio, innanzi al Tribunale di Roma Sezione Fallimentare, la Breda Progetti e Costruzioni s.p.a. in liquidazione coatta amministrativa, chiedendo che venisse riconosciuto il suo diritto all'ammissione al passivo, in via privilegiata, di L. 501.785.718, per i seguenti crediti di lavoro:

- indennità c.d. supplementare (prevista dal contratto dei dirigenti di azienda), pari al corrispettivo del preavviso + n. 2 mensilità aggiuntive L. 149.928.482;

-  idem: aumento in funzione dell'età £. 42.836.748;

-  risarcimento del danno per dequalificazione (18 mensilità) £ 257.020.488;

-  differenza gratifica contrattuale £ 52.000.000, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali.

Con sentenza 2-23 luglio 1997 n. 14560 il Tribunale di Roma ha dichiarato il diritto dello stesso all'ammissione, in via privilegiata, nello stato passivo della società Breda Progetti e Costruzioni in liquidazione coatta amministrativa per la somma di L. 128.660.000, di cui 98 milioni per risarcimento del danno alla professionalità, cosi quantificato in via equitativa, e L. 30.660.000 per gratifica di bilancio, oltre interessi e rivalutazione, i primi sino alla liquidazione dell’attivo, la seconda sino al deposito dello stato passivo; ha respinto la richiesta di indennità supplementare; ha compensato per metà le spese processuali.

Avverso detta sentenza hanno proposto appello principale il Pierantoni, dolendosi del mancato riconoscimento dell' indennità supplementare, ed appello incidentale la Breda, per ottenere la dichiarazione di insussistenza del diritto del Pierantoni al risarcimento del danno alla professionalità e all'ammissione allo stato passivo della somma di L. 128.600.000.

Con sentenza 1-19 luglio 1999 n. 2325 la Corte d'Appello di Roma ha respinto entrambi gli appelli, compensando le spese del grado.

Avverso tale sentenza, depositata il 19.7.1999 e non notificata, ha proposto ricorso per Cassazione la Breda Progetti e Costruzioni s.p.a. in liquidazione coatta amministrativa, notificato il 18 luglio 2000, con due motivi.

L' intimato si è costituito con controricorso, resistendo, e proponendo ricorso incidentale per il riconoscimento della indennità supplementare, sotto due profili.

Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c.

Motivi della decisione

Vanno preliminarmente riuniti il ricorso principale ed il ricorso incidentale proposti avverso la stessa sentenza, ai sensi dell'art. 335 c.p.c.

Con il primo motivo la ricorrente principale si duole del riconoscimento del danno alla professionalità in totale carenza di prova, anche nell'entità; deduce omessa, insufficiente e contraddittoria  motivazione su punto decisivo della controversia (art. 360, nn. 5 c.p.c.).

Assume che il danno alla professionalità presuppone la dequalificazione, ma è una entità distinta ed ulteriore rispetto alla prima.  Lamenta che il giudice di appello abbia riconosciuto il danno senza motivare sul punto.

Il motivo non è fondato.

Nella giurisprudenza di questa Corte convivono due orientamenti sul punto, uno più antico, per il quale "Il prestatore di lavoro che chieda la condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno (anche nella sua eventuale componente di danno alla vita di relazione o di cosiddetto danno biologico) subito a causa della lesione del- proprio diritto di eseguire la prestazione lavorativa in base alla qualifica professionale rivestita, lesione idonea a determinare una dequalificazione del dipendente stesso, deve fornire la prova dell'esistenza di tale danno, la quale costituisce presupposto indispensabile per una sua valutazione equitativa.  Tale danno non si pone infatti quale conseguenza automatica di ogni comportamento illegittimo rientrante nella sopraindicata categoria, onde non è sufficiente dimostrare la mera potenzialità lesiva della condotta datoriale, facendo carico al lavoratore che denunzi il danno subito fornirne la prova in base alla regola generale dell'art. 2697 cod. civ”' (Cass. 11 agosto 1998 n. 7905; Cass. 18 aprile 1996 n. 3686).

L'altro, più recente, secondo il quale il demansionamento professionale di un lavoratore non solo viola lo specifico divieto di cui all'art. 2103 cod. civ. ma ridonda in lesione del diritto fondamentale, da riconoscere al lavoratore anche in quanto cittadino, alla libera esplicazione della sua personalità nel luogo di lavoro con la conseguenza che il pregiudizio correlato a siffatta lesione, spiegandosi nella vita professionale e di relazione dell'interessato, ha una indubbia dimensione patrimoniale che lo rende suscettibile di risarcimento e di valutazione anche equitativa, secondo quanto previsto dall'art. 1226 cod. civ. (Cass. 18 ottobre 1999 n. 11727, che ha cassato la sentenza impugnata la quale aveva respinto la domanda di risarcimento del danno proposta dal lavoratore demansionato sull'assunto del mancato assolvimento, da parte dello stesso, dell'onere probatorio relativo alla sussistenza di un danno patrimoniale in qualche modo risarcibile; Cass, 6 novembre 2000  n.14443).

Nel caso di specie la Breda aveva censurato con l’appello incidentale la sentenza del Tribunale perché avrebbe arbitrariamente statuito l'obbligo di risarcire i danni al Pierantoni per la presunta forzata inattività e inoperosità cui era stato costretto, laddove il medesimo dal gennaio 1994 non era stato inattivo e non aveva pertanto subito alcun danno alla professionalità.

Il giudice di appello ha replicato che le risultanze testimoniali sono favorevoli alla sussistenza dei presupposti per il risarcimento per la riduzione dei poteri di dirigente e non sono smentite dalla documentazione prodotta in grado di appello.

Il giudice del merito, con accertamento in fatto a lui demandato, ha quindi statuito che, in relazione alla durata della inoperosità, ed alle altre circostanze di fatto relative, sussistono i presupposti per il risarcimento del danno, così superando la problematica dualistica posta dalla ricorrente.

Infatti il giudice del merito, accertata l'esistenza di una dequalificazione, può desumere l'esistenza del relativo danno, determinandone anche l'entità in via equitativa, con processo logico giuridico attinente alla formazione della prova, anche presuntiva (sufficiente di per sé sola a sorreggere la decisione: Cass. 18 gennaio 2000 n. 491), in base agli elementi di fatto relativi- alla durata della dequalificazione, e alle altre circostanze relative al caso concreto.

In tali termini la sentenza impugnata non appare censurabile.

Con il secondo motivo di ricorso la ricorrente, deducendo insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia (art. 360, nn. 5 c.p.c.) censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha riconosciuto la gratifica di bilancio senza motivare sul punto.

Il motivo è inammissibile.

La sentenza impugnata ha rigettato l'appello incidentale della Breda, odierna ricorrente principale, la quale censurava il riconoscimento delle differenze sulla gratifica natalizia obiettando che la gratifica era annuale, proporzionata al periodo lavorato, e condizionata all'approvazione dei bilanci che negli anni 1993 e 1994 non erano stati approvati.

Il giudice d'appello ha ritenuto adeguata la motivazione del Tribunale, che ha riconosciuto le gratifiche di bilancio complessivamente in L. 36.660.000, di cui 12.000.000 relativamente all'anno 1993 e L. 18.660.000 per il periodo di lavoro nell'anno 1994, quali anticipi da conguagliare al momento della definitiva liquidazione, “secondo quanto previsto dall'allegato alla lettera di assunzione del 26 giugno 1991”.

A fronte dì tale motivazione che dà conto, concisamente come richiesto dall'art. 132 c.p.c. dei motivi dell'impugnazione e di quelli della decisione, era onere della ricorrente, a pena di ammissibilità dell' impugnazione, contestare la ragione della decisione tratta dalla clausola del contratto di assunzione.

Con il primo motivo il ricorrente incidentale, deducendo omessa motivazione su punto decisivo della controversia (art. 360, n. 5 c.p.c.), censura la sentenza impugnata nella parte in cui non ha riconosciuto la indennità supplementare.

Egli pretende di averne diritto in base alla teoria della c.d. efficacia reale del preavviso, secondo la quale nel contratto di lavoro a tempo indeterminato la dichiarazione di recesso ha efficacia non nel momento in cui viene emessa ma nel momento in cui viene a scadere il termine del preavviso, che nella specie sarebbe scaduto 8 mesi dopo il 31 luglio 1994, quando era già entrato in vigore il comma 2bis L. 27 dicembre 1994, n. 738 (Conversione in legge, con modificazioni, del D.L. 22 novembre 1994, n. 643, recante norme di :interpretazione e di modificazione del D.L. 19 dicembre 1992, n. 487, convertito, con modificazioni, dalla L. 17 febbraio 1993, n. 33 e successive integrazioni, concernente la soppressione dell'EFIM) il quale consente ai dirigenti delle società finanziarie caposettore, delle società di servizi e delle società di servizi finanziari, controllate dall'EFIM, di usufruire dei trattamenti indicati nell'articolo 3, comma 2-quater, del decreto-legge 19 dicembre 1992, n. 487, convertito, con modi-ficazioni, dalla legge 3-7 febbraio 1993, n. 33, come previsto per i dirigenti EFIM.

Il Tribunale di Roma ha affermato che il rapporto di lavoro è cessato il 31 luglio 1994, quando la Breda ha disposto il licenziamento del Pierantoni con effetto immediato, con dispensa dal lavoro per il periodo di preavviso, pagandogli contestualmente la relativa indennità sostitutiva del preavviso.

Il Pierantoni ha censurato tale affermazione davanti al giudice d'appello, deducendo di avere impugnato tempestivamente la quietanza liberatoria.

Il giudice d'appello ha rilevato che il Pierantoni con la lettera inviata alla Breda il 17 ottobre 1994, dando atto di aver ricevuto le indennità di fine rapporto e l'indennità sostitutiva del preavviso e dichiarando di  impugnare la quietanza liberatoria sottoscritta in occasione del pagamento con la quale aveva affermato di non aver nulla a pretendere, rivolse solo l'istanza per ottenere il riconoscimento dell'indennità supplementare e del risarcimento danni, ma non impugnò la risoluzione del rapporto né la durata dello stesso cosícché la percezione dell'indennità sostitutiva del preavviso ha determinato l'interruzione del rapporto di lavoro al 31 luglio 1994.

Il ricorrente incidentale contesta di avere ricevuto la indennità sostitutiva del preavviso al momento del recesso, e dichiara di avere impugnato con lettera 17.10.1994 la quietanza liberatoria del pagamento del trattamento di fine rapporto e del preavviso, avvenuta successivamente al recesso.

Il motivo non è fondato.

Il preavviso di licenziamento comporta la prosecuzione del rapporto di lavoro e di tutte le connesse obbligazioni fino alla scadenza del termine di preavviso solo nell'ipotesi in cui il lavoratore continui nella prestazione della sua attività, mentre si verifica l'immediata interruzione del rapporto quando intervenga fra le parti un accordo in proposito, anche manifestato per fatti concludenti, come nell’ipotesi di accettazione senza riserve da parte del lavoratore dell'indennità sostitutiva del preavviso (Cass. 29 luglio 1999 n. 8256).

L'esistenza del consenso tramite l'accettazione della indennità sostitutiva del preavviso costituisce accertamento di fatto, che il giudice di appello, con motivazione immune da vizi logici, ha compiuto distinguendo tra contestazione della somma ricevuta e mancata contestazione della cessazione immediata della prestazione lavorativa.

Con il secondo motivo di ricorso incidentale il Pierantoni deduce che in ogni caso, la indennità supplementare gli è dovuta perché direttamente prevista dal contratto collettivo per dirigenti industriali (la cui applicazione al rapporto di lavoro del ricorrente è richiamata nella lettera di assunzione), per il caso di cessazione del rapporto del dirigente a seguito di “ristrutturazione, riorganizzazione, riconversione, ovvero crisi settoriale o aziendale", ipotesi per la quale è stata motivata la cessazione del rapporto di lavoro con il ricorrente, come si evince dalla lettera di licenziamento datata 28.7.94, che cosi si esprime: “... Tale situazione ha determinato una inevitabile riduzione e riorganizzazione delle attività societarie con conseguente ridimensionamento e soppressione di alcune posizioni. Nell’ambito di detto piano rientra anche la funzione da Lei occupata...”.

Il ricorrente deduce che il licenziamento non è stato determinato dalla cessazione della attività della Breda Costruzioni e Progetti (come sostenuto dalla convenuta), ma proprio nell'ambito di quella ristrutturazione alla quale il Ccnl ricollega il  pagamento della indennità supplementare.

Anche questo ultimo motivo è infondato.

Come riferito dal ricorrente e non contestato da controparte, il contratto collettivo per i dirigenti industriali prevede a loro favore una indennità supplementare per il caso di cessazione dei rapporto del dirigente nelle distinte ipotesi di "ristrutturazione, riorganizzazione, riconversione, ovvero crisi settoriale o aziendale".

Il giudice di appello, con statuizione non censurata, ha escluso che nel caso in esame ricorresse l'ipotesi di crisi aziendale.

Il ricorrente appunta le sue censure sull'ipotesi di riorganizzazione delle attività societarie, rientrante nella previsione contrattuale, e con la quale è stato motivato il suo licenziamento.

Ma anche questa ipotesi è stata esclusa dal giudice di merito, con accertamento in fatto a lui demandato, secondo il quale la liquidazione coatta amministrativa non ha implicato di per sé i processi previsti dalla norma contrattuale invocata.

In conclusione il Collegio ritiene che il giudice del merito abbia risolto con equilibrata decisione il conflitto tra le contrapposte pretese, nel che risiede la funzione giudiziaria, nel rispetto delle norme legali e contrattuali applicabili; il che costituisce altresì motivo per la totale compensazione delle spese processuali del presente giudizio.

 

P.Q.M.

 

Riunisce i ricorsi e li rigetta.  Spese del presente giudizio compensate.

(pubblicata in Lavoro e previdenza Oggi, 11-12/2001, p. 1623) 

 

II

'I'ribunale di  Milano 4 maggio 2001, est.  Martello, Barbieri (avv.  Calabrese) c. Telecom Italia Mobile Tim (avv.  Pessi).

 

Art. 2103 c.c. - Adibizione del lavoratore a mansioni inferiori - Dequalificazione - Sussistenza - Danno alla professionalità - Oneri probatori - Ricorso all'art. 115 c.p.c - Ammissibilità - Danno alla professionalità - Quantificazione - Valutazione equitativa – Criteri - Danno da perdita di chances – Insussistenza (in presenza di promozioni discrezionali, non automatiche)

 

L’assegnazione del lavoratore a mansioni in concreto inferiori comporta un’ illegittima dequalificazione quand'anche rimanga invariato il livello formale di inquadramento.

In caso di demansionamento, il danno al patrimonio professionale causato dall’impossibilità per il lavoratore di svolgere le precedenti mansioni costituisce «fatto notorio» che il giudice, in base all'art. 115 c.p.c., può  porre a fondamento dello decisione senza bisogno di prova.

La determinazione del danno alla professionalità in senso stretto va compiuta in via equitativa, con riferimento alla quota della retribuzione globale nel periodo di demansionamento corrispondente alla parte di retribuzione che compensa la capacità professionale del lavoratore (in fattispecie il danno alla professionalità  è stato risarcito in misura pari al 72% della retribuzione mensile per ogni mese di demansionamento).

L'assegnazione a mansioni diverse e inferiori non produce danno da perdita di chances quando la promozione a un livello superiore a quello attribuito prima del demansionamento non sia automatica.

 

(...) 1. Sulle mansioni

Va preliminarmente osservato che - ai fini della valutazione sul demansionamento scarsa rilevanza ha la considerazione dei formale inquadramento attribuito al lavoratore, poiché bisogna aver riguardo alle mansioni svolte in fatto e nel concreto.

Si deve, quindi, avere riguardo alle mansioni svolte dal ricorrente prima e dopo l’ l/3/99, data della sua assegnazione alle mansioni di«Assistente ad attività specialistiche senior».

Ciò posto, si può e si deve fare rilevare, innanzitutto, che - pur nel mantenimento dello stesso livello di inquadramento - non pochi e non lievi dubbi possono essere espressi in ordine all'equivalenza fra le due figure professionalità.

Ma, ben oltre tale considerazione, si deve osservare che i compiti in fatto svolti dal ricorrente dopo la data predetta sono risultati essere del tutto privi di corrispondenza e inferiori a quelli previsti nella declaratoria della figura professionale formalmente attribuita.

In tal senso vanno valutate le prove testimoniali che, in termini sostanzialmente concordanti, hanno descritto le attività in fatto svolte da Barbieri come attività di tipo meramente esecutivo e con contenuto professionale e concettuale alquanto limitato. E’ emerso, infatti, dalle testimonianze che il ricorrente - nelle ultime mansioni - doveva limitarsi al mero inserimento in computer dei dati forniti da altri uffici, compiendo quindi - lui che era inquadrato nel livello E - le stesse attività di altri dipendenti di livello B e sotto il coordinamento di una dipendente di livello C: si vedano in tal senso le dichiarazioni della teste Cattaneo, della teste Fontana («Barbieri non si occupava d'altro»), della teste Marzi («Il  Barbieri riceveva gli ordini di servizio da Cattaneo, che provvedeva anche ad autorizzare ferie e permessi»).

La discrepanza interna alla figura di assistente senior, poi, emerge con ancor maggior risalto ove si considerino i profili delle mansioni in fatto svolte da Barbieri quando era venditore senior.  In tale prospettiva sono sufficienti le dichiarazioni testimoniali, dalle quali si evince che in precedenza il ricorrente «curava direttamente i rapporti con i clienti», “elaborava le offerte specificamente conformate sulle esigenze dei clienti», coordinava l’attività di assistenti alle vendite, si occupava dei recupero dei crediti sollecitando i pagamenti presso i clienti e stimolando gli adempimenti successivi.

Si vedano, in proposito, le dichiarazioni della teste Fontana e, soprattutto, del teste Fumagalli. diretto superiore di Barbieri.

La descrizione delle mansioni testé illustrate fa emergere con significativa chiarezza nell'attività di Barbieri i caratteri di autonomia, di profonda conoscenza del mercato del prodotto e dei servizi, di iniziativa commerciale di rapporti diretti con la clientela che connotano la figura del venditore e che sono dei tutto assenti da quella dell'assistente e - comunque e risolutivamente - dall'attività in fatto commessa al ricorrente dopo il 1/3/99.

Le considerazioni che precedono portano a concludere che, in effetti, le ultime mansioni assegnate al ricorrente hanno comportato una dequalificazione, che non è esclusa dall'identità del livello di inquadramento professionale né dal mantenimento dei trattamento economico di base.

L'accertata dequalificazione comporta l'obbligo della convenuta di adibire il ricorrente nelle mansioni in precedenza svolte o in altre equivalenti.

1.a. Dalla predetta dequalificazione deriva, inoltre, l'obbligo della convenuta di risarcire il connesso danno alla professionalità.

In relazione a tale danno, va affermata preliminarmente la sua ammissibilità, posto che non si può dubitare (né la convenuta lo contesta, in linea di principio) del carattere patrimoniale del pregiudizio connesso al mancato svolgimento dei lavoro e delle proprie mansioni.

La convenuta sostiene la necessità di una prova rigorosa dell'esistenza dei danno.

In proposito si osserva che -anche a voler escludere che il danno sia in re ipsa - il pregiudizio connesso all'impossibilità di svolgere le proprie mansioni rientra fra le nozioni di comune esperienza; e che la valutazione di tale circostanza può essere fatta anche in base al c.d. «fatto notorio», costituente canone legale di prova, ai sensi dell'art. 115 c.p.c.

Infatti va riconosciuto che l'impossibilità di svolgere il lavoro per il quale si è idonei, comporta un decremento o, quanto meno, un mancato incremento della professionalità, intesa come l'insieme delle conoscenze teoriche e delle capacità pratiche che si acquisiscono da parte del lavoratore con il concreto esercizio della sua attività lavorativa; o, anche, come il bagaglio di esperienze e di specifiche abilità che si conseguono con l'applicazione concreta delle nozioni teoriche acquisite.

La professionalità di un lavoratore dipende ed è costituita non solo dalle nozioni teoriche ma dalle capacità applicative delle stesse nella prassi lavorativa; essa si forma nel rapporto con le esigenze concrete poste dalla pratica quotidiana e viene conservata, se non anche stimolata e incrementata, dall'attività quotidiana e dalla pratica.

In tale prospettazione è evidente che la forzata inattività del lavoratore determinata dalla assegnazione a compiti del tutto diversi e inferiori a quelli suoi propri determina per il lavoratore un pregiudizio al suo bagaglio professionale, che si traduce in un danno patrimonialmente valutabile.

In ordine alla determinazione del danno subito dal ricorrente, si osserva che la difesa del ricorrente, consapevole della difficoltà di tale determinazione, si rimette alla valutazione equitativa del Giudice, pur indicando come parametro quello della retribuzione percepita dal ricorrente.

Ritiene il Giudice che tale parametro possa essere utilizzato come termine di riferimento ma non integralmente accolto, come pure sostiene il ricorrente richiedendo un risarcimento pari alle retribuzioni maturate nel periodo di lontananza dal lavoro.

Va rilevato, infatti, che la retribuzione vale a compensare diversi e vari elementi, quali il tempo di lavoro, la penosità fisica di esso, lo sforzo intellettuale e anche - ma non solo - la capacità professionale del lavoratore, cioè la professionalità, che certamente connota e caratterizza i predetti elementi ma non li esaurisce né li esclude.

Tale valutazione, per altro, pare conforme all'ispirazione dell'art. 36 della Costituzione, che rapporta la retribuzione non solo alla «qualità» dei lavoro (identificabile anche nella professionalità); ma anche alla «quantità»: di tempo, di fatica ecc..

Ebbene, è evidente che gli aspetti inerenti la quantità o, per meglio dire, la parte fisica e materiale della prestazione lavorativa sono coinvolti solo parzialmente nel caso di ridotta attività, con innegabile vantaggio per il lavoratore e con correlativa esclusione di un danno risarcibile.

Va, infine, precisato che taluni dei danni connessi al mancato svolgimento di attività di lavoro possono essere evitati dal lavoratore con l'impiego dell'ordinaria diligenza che l'art. 1227 c.c. impone al creditore.

Nel caso di specie, inoltre, devono essere considerate negativamente anche le particolari modalità e le circostanze del demansionamento, disposto in occasione di un dissenso del ricorrente sulla determinazione della retribuzione variabile.

Così fissati i criteri per la valutazione equitativa del danno, occorre precisare che il danno va determinato con riferimento al periodo di tempo corrente dalla data dell'1/3/99 a quella dell'effettiva reimmissione in servizio, come meglio specificato in dispositivo.

Considerato che la retribuzione globale mensile del ricorrente di lire 2.194.000 nette (come dedotto in ricorso e non contestato da controparte), si liquida in via equitativa il danno alla professionalità subito dal ricorrente per ogni mese di dequalificazione in misura di lire 1.600.000 (un milione seicentomila) complessive e comprensive degli accessori fino alla data odierna.

1.b. Quanto all'asserito danno all'immagine e alla professionalità, si osserva che in ricorso nessuna specifica deduzione viene svolta, né in fatto, relativamente alla loro esistenza, né in diritto, relativamente al titolo: per altro il risarcimento predetto deve essere globalmente inteso, cioè comprensivo anche dei danno all'immagine e alla professionalità, come ritenuto anche dalla sentenza Pret. Milano 7/1/97, richiamata dallo stesso ricorrente.

l.c. Si deve rigettare, infine, la domanda relativa alla perdita di chances, che il ricorrente collega alla possibilità - frustrata dall'assegnazione di mansioni diverse e inferiori - di ottenere il passaggio al successivo livello F.

In proposito si osserva - innanzitutto e in via astratta - che anche nel profilo professionale di Assistente ad attività specialistiche è previsto il livello F.

Ma, ancor più, si deve osservare che il passaggio in questione è alquanto ipotetico ed eventuale, mancando un automatismo della promozione.

Infatti, come si riconosce nello stesso ricorso, il passaggio di livello avviene tramite e a seguito di accertamento professionale.  E che a esso si accompagna anche una valutazione discrezionale del datore di lavoro.

Sul punto, quindi, il lavoratore è titolare di una mera aspettativa, che però non può dar luogo al sorgere di un diritto.

(omissis)

 

(pubblicata in D&L, Riv. crit. dir. lav. 2001, 705, con annotazione. In senso conf.  Pret. Milano 20.7.99, ibidem 1999, 885; Pret Milano 19.2.1999, ibidem 1999, 375).

 

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