Risarcimento danni da demansionamento: danno professionale da dequalificazione e danno all'immagine

 

CORTE DI APPELLO DI GENOVA, Sezione per le controversie di lavoro, 20 dicembre 2006 - Pres. Russo - Est. Ravera - RE. Raffaela (avv. Paolillo) c. TELECOM ITALIA SPA (avv. C. e A. Paroletti)

 

Spostamento da mansioni di legale a quelle di addetta al call center - Danno alla professionalità da dequalificazione - Danno esistenziale e all'immagine- Sussistenza.

 

E' sufficiente richiamare  quanto allegato in ricorso per evidenziare il danno alla professionalità subito dalla ricorrente, danno conseguente al fatto di svolgere mansioni non più in linea (e quindi non equivalenti perché non omogenee) al precedente patrimonio professionale, in un campo, quello del diritto, in continua evoluzione e che richiede continuo aggiornamento: «danno alla professionalità quindi, perché  un tecnico, quale è l’esperto di problemi legali, se  allontanato dal suo ambiente,  perde rapidamente conoscenze, subisce un impoverimento professionale; il non poter continuare ad esercitare la sua professionalità gli fa perdere possibilità di perfezionamento e di arricchimento da utilizzare per lo sviluppo della carriera».  Quanto affermato dalla ricorrente in ricorso, trattandosi di lesione di un bene immateriale,  secondo l’id quod plerumque accidit, è notorio avvenga e ben può ritenersi provato in via presuntiva, tenuto conto della concatenata serie di fatti noti come emergenti dal ricorso.

La ricorrente, inoltre, è passata da una “visibilità” sia interna (interloquiva con gli altri uffici dell’azienda) sia  soprattutto esterna all’azienda di assoluto rilievo (la ricorrente risulta che avesse una propria stanza e  interloquiva con legali esterni all’azienda) ad una mansione meramente esecutiva ma, soprattutto, senza alcuna visibilità, una voce anonima che risponde ad una chiamata telefonica: in altri termini si è passati da una attività visibile ad una non più visibile, da una attività in cui viene speso il proprio nome (v. corrispondenza all’attenzione della dott. Re.) ad una in cui si viene identificati con una sigla (Ge  n. 221). L’inadempimento contrattuale determina quindi un danno esistenziale perché  sono mutati gli aspetti e gli assetti relazionali della ricorrente che non interloquisce più con altri uffici e  con altri legali; il lavoro è stato spersonalizzato e sono venute meno le occasioni per l’espressione e la realizzazione della personalità: l’attività aveva  contenuto prevalentemente intellettuale e ricco di rapporti interpersonali, ora è divenuta meramente esecutiva e priva di rapporti interpersonali. Tutto ciò non riguarda la sfera interna ed emotiva della Re., ma riguarda invece il suo modo d’essere e quindi dati di fatto riscontrabili e verificabili oggettivamente, come appunto sono quelle dianzi espressi  da cui è possibile concludere che Telecom, con la dequalificazione, ha determinato anche una alterazione delle abitudini di vita della lavoratrice.

Per quanto riguarda la liquidazione equitativa del danno patrimoniale, da dequalificazione, il Collegio ritiene possa utilizzarsi, come parametro risarcitorio la retribuzione: la retribuzione misura infatti la prestazione lavorativa e consente quindi  di misurare  il danno conseguente all’avvenuta dequalificazione (cioè l’avere modificato illegittimamente le mansioni). Tenuto poi conto che la ricorrente è stata adibita a mansioni di 7^ livello invece che di 5^, e quindi  due livelli inferiori  rispetto a quelli cui aveva diritto (il che comprova una dequalificazione di una certa gravità), la percentuale di retribuzione può indicarsi nel 50%  della retribuzione globale di fatto spettantele per una mensilità nell’anno 2000 per il numero di mesi in cui è avvenuta la dequalificazione, secondo il seguente calcolo: £ 46.457.649 (retribuzione globale anno 2000) : 14 (numero mensilità annuali)= 3.318.403 (retribuzione globale di fatto anno 2000)  x  92 (numero mesi di dequalificazione) : 2 = £. 152.646.538 (danno alla professionalità). Tale somma, secondo il Collegio, può costituire adeguato ristoro al danno subito.

Per quanto riguarda il danno all’immagine si ritiene invece equa  la somma di 45 milioni, somma che tiene conto  soprattutto della durata della dequalificazione (ad oggi circa otto anni) della sua gravità (due livelli),  del fatto che di essa si è avuta conoscenza sia all’interno che all’esterno dell’azienda.

 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso depositato nella cancelleria della Pretura di Genova, Sezione Lavoro il 3/12/98 la Dott.ssa Raffaela Re. conveniva in giudizio la Sip deducendo i seguenti elementi di fatto:

Di essere laureata in giurisprudenza e di essere stata assunta in data 13/7/84 dalla Società assicuratrice Meie in qualità di impiegata 5° livello di cui al CCNL di settore e di avere prestato attività lavorativa presso l’ufficio sinistri.

Che la Sip, nel 93, ricercava una laureata in legge da inserire nell’ufficio legale di Genova; essendo venuta in contatto con tale società per ragioni del proprio lavoro presso la Meie, si proponeva e quindi, avuta conferma della intenzione da parte della Sip di assumerla, risolveva il rapporto con il precedente datore di lavoro.

Di fatto la Sip l’assunse in data 1.6.93 in qualità di impiegata 7° livello di cui al CCNL aziendale.

Peraltro l’esponente fu immediatamente addetta all’ufficio legale occupandosi in particolare della trattazione pratiche relative a danni a impianti sociali provocati da terzi e di danni provocati da mezzi sociali a terzi e di pratiche legali di vario tipo che le venivano affidate dal responsabile, quali pratiche presso la Prefettura, pignoramenti presso terzi, procedure di espropriazione, stipula e risoluzione di contratti, problematiche e questioni civili, penali, amministrative di vario tipo.

In particolare l’esponente in piena autonomia, facendo ricorso al superiore gerarchico solo quando lo riteneva necessario ed informandolo del risultato raggiunto e dello sbocco che le pratiche avevano avuto, provvedeva:

a) alla istruttoria delle pratiche, contattando gli uffici interessati, acquisendo documentazione presso gli stessi, presso gli uffici pubblici, da terzi;

b) allo studio delle stesse;

c) alla trattativa con le controparti e alla eventuale definizione;

d) a stabilire se trasmettere le pratiche a legali esterni ove riteneva necessario, se procedere giudizialmente o difendersi giudizialmente;

e) a seguire la trattazione delle pratiche con i legali incaricati;

f) a partecipare alle udienze in rappresentanza della Società, sottoscrivendo eventuali transazioni.

Si trattava di compiti che avrebbero dato diritto ad un inquadramento in livello superiore, 5° dove sono inquadrati i dipendenti che svolgono funzioni specialistiche di elevato e particolare livello tecnico professionale comportanti responsabilità ed autonomia di pari rilevanza (notasi che in concreto in tale livello sono inquadrati i venditori, gli assistenti tecnici di rete, di impianti, ecc. compiti certamente di rilievo professionale inferiore) se non in IV° dove sono inquadrati tra gli altri il venditore di sistemi e l’esperto in attività specialistiche.

Il 9/9/96, con il rinnovo del CCNL, l’esponente venne inquadrata al livello C in cui sono ricompresi i lavoratori che, disponendo di conoscenza qualificata e/o di specifiche esperienze maturate nell’ambito organizzativo di appartenenza, sono adibiti allo svolgimento di compiti esecutivi di adeguata complessità, che richiedono autonomia operativa e capacità adattative nell’ambito di metodologie consolidate.

Sennonché, a partire dal 1/9/97, fu allontanata dall’ufficio legale e adibita al servizio 12, dove il lavoro da svolgere consisteva semplicemente nel fornire informazioni relative all’elenco abbonati.

A partire poi dal 18/6/98 veniva addetta ai servizio 187 e 188 ove si tratta di fornire informazioni agli utenti in relazione ad alcuni servizi che la Sip fornisce ai propri abbonati.

Sulla base di tali premesse di fatto osservava che le mansioni svolte dal 1/6/93 al 30/8/97 erano proprie di inquadramento superiore a quello riconosciuto sia sotto il vigore del vecchio che del nuovo contratto e che i compiti svolti a partire dal 1/9/97 erano nettamente dequalificanti rispetto alle mansioni svolte in precedenza.

In conseguenza chiedeva:

«che il Pretore di Genova, ritenuta la propria competenza:

A) dichiari che la esponente ha svolto mansioni proprie ed ha diritto all’inquadramento nel 4°  (o, salvo gravame, E) livello di cui al C.C.N.L. per i lavoratori della SIP, poi TELECOM 30/6/92 e successivo rinnovo, nonché nel Livello F (o, salvo gravame, e) di cui al C.C.N.L. TELECOM 9/9/96.

Conseguentemente, condanni la TELECOM ITALIA S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore con sede in TORINO, VIA SAN DALMAZZO n. 15 (Cap. 10122), a riconoscere all’esponente il suddetto inquadramento e a corrisponderle le differenze di trattamento economico e normativo derivante, nella misura da accertarsi in corso di causa.

B) Dichiari che la TELECOM ITALIA S.p.A., attribuendo alla esponente i compiti di operatrice addetta al servizio 12 prima e al numero 187-188 poi ha posto in essere una dequalificazione; conseguentemente condanni la Società convenuta a non adibire la esponente a tali compiti e servizi e a risarcire il danno procurato nella misura da accertarsi in corso di causa anche in via equitativa.

C) Il tutto con rivalutazione dalle singole scadenze al saldo ed interessi sugli importi rivalutati e con vittoria di spese ed onorari del giudizio».

Si costituiva in giudizio la Telecom, che era nel frattempo succeduta alla Sip, la quale contestava le domande attrici.

Veniva svolta un’ampia istruttoria testimoniale, istruttoria che integrava la amplissima documentazione fornita dalla ricorrente.

Terminata la escussione dei testi, all’esito di discussione orale, il Tribunale pronunciava sentenza con cui così decideva:  

«Il giudice, pronunciando sentenza definitiva, così decide:

dichiara che la ricorrente, a decorrere dalla data di assunzione, ha diritto all’inquadramento al 5° livello sulla base del c.c. del settore del 1992, nonché all’inquadramento al livello E sulla base del successivo contratto collettivo del 1996;

condanna la convenuta a corrispondere alla attrice, a titolo di differenze retributive maturate sino al 31/12/2000, euro 11.143,78, oltre rivalutazione dalle singole scadenze al saldo, e gli interessi legali sulla somma capitale di cui sopra via via rivalutata e per i periodi sopra specificati;

dichiara la Telecom tenuta a corrispondere alla attrice le ulteriori differenze retributive, maturate dal 1/1/2001 ad oggi, oltre accessori;

respinge nel resto le domande attrici;

compensa per un terzo le spese di lite; condanna la convenuta a rifondere alla attrice i residui due terzi che liquida in complessivi euro 8.000,00 (oltre CPA ed IVA) di cui euro 10,00 per esborsi».

Avverso la sentenza ha proposto appello la lavoratrice che  si duole del fatto che il Tribunale sebbene da un lato abbia riconosciuto l’avvenuta dequalificazione professionale, dall’altro non abbia riconosciuto alla ricorrente  risarcimento alcuno, ritenendo erroneamente il risarcimento del danno assorbito dalle differenze retributive liquidate a seguito dall’accertato svolgimento di mansioni superiori, differenze retributive che peraltro erano state liquidate quale conseguenza del sotto inquadramento.  Contestava poi quanto asserito dal tribunale in ordine alla mancata liquidazione del danno non patrimoniale ritenuto risarcibile dal primo giudice nella sola figura di danno morale quale conseguenza di reato e non anche nel c.d. danno esistenziale. Chiedeva quindi il risarcimento del danno conseguente all’avvenuta dequalificazione che veniva indicato in quello sia patrimoniale che non patrimoniale, alla professionalità, alla persona, all’immagine, esistenziale.

Telecom spa si costituiva in giudizio e chiedeva il rigetto del ricorso.

Alla odierna udienza i difensori discutevano la causa che veniva decisa dal Collegio con separato dispositivo di cui veniva data pubblica lettura.

MOTIVI DELLA DECISIONE

La sentenza di primo grado è stata impugnata dalla lavoratrice quanto alle conseguenze economiche: nessun appello principale e neppure incidentale ha avuto ad oggetto la domanda di errato inquadramento e di successiva dequalificazione professionale accertata in primo grado dal tribunale.

Sul punto è quindi sceso il giudicato.

Peraltro la sentenza di primo grado merita di essere ripresa nella motivazione per quanto riguarda l’accertamento delle mansioni in concreto svolto dalla Re., perché da tale accertamento (ormai in giudicato) è poi possibile svolgere le considerazioni che inducono il Collegio a ritenere fondata la domanda della lavoratrice per quanto riguarda la sussistenza del  danno da dequalificazione professionale e da immagine. Per quanto riguarda le altre voci di  danno patrimoniale varranno invece le considerazioni che si svolgeranno in seguito.

Il tribunale ha affermato che:

«I testi escussi (vedi sopra) hanno (tranne il Trufelli) configurato la Re. quale referente, od uno dei referenti, dell’ufficio legale della Telecom; la documentazione prodotta ed appena esaminata conferma puntualmente, come si è visto, tali deposizioni.

Accertate le mansioni svolte dalla attrice presso l’ufficio legale della convenuta va ora esaminata la contrattazione collettiva del settore nella parte in cui delinea lo inquadramento professionale dei dipendenti Telecom.

Nel periodo interessato dalla presente controversia si sono succeduti due contratti collettivi.

Il primo contratto del 1992, il secondo dell’ottobre 1996.

Il primo contratto prevede la distinzione delle categorie in livelli, si parte dal livello 9, che è il più basso per arrivare al livello 1. Il contratto stesso dispone fra l’altro, in relazione agli impiegati, quanto segue “Agli impiegati assegnati ai vari livelli organizzativi per i quali non sono previste specifiche posizioni di lavoro e che svolgono funzioni di contenuto specialistico saranno attribuite le seguenti posizioni di lavoro: livello quinto –assistente ad attività specialistiche”.

Ora le mansioni svolte dalla Re., quale referente dell’ufficio legale, e sopra descritte, ben possono qualificarsi tra le attività specialistiche cui allude la norma appena trascritta. Esse infatti presuppongono una adeguata preparazione giuridica che consenta di affrontare le problematiche connesse alle trattative per eventuali transazioni, e consenta altresì di seguire la trattazione delle controversie in sede giudiziaria; come si è visto la attrice seguiva tale trattazione non limitandosi a tenere il calendario delle udienze, ma in modo ben più pregnante.

E se si segue il criterio ermeneutico delineato dal secondo comma dell’articolo 1362 c.c., il comportamento aziendale conferma la interpretazione sopra prospettata.

Infatti il rappresentante dell’azienda ha fra l’altro dichiarato “possono dire che l’ufficio legale era così costituito: un soggetto ad esso preposto, un laureato c.d. in  iter con funzioni di referente professionale…il laureato in iter venita assunto al livello quinto…”. Ora, come si è visto, la attrice per le mansioni svolte a decorrere dalla sua assunzione, ben poteva qualificarsi referente dell’ufficio legale, con conseguente inquadramento al quinto livello.

La Re. ha quindi diritto, sin dalla assunzione, ad essere inquadrata al livello quinti secondo lo inquadramento delineato dal contratto collettivo del 1992. E’ subentrato, nel 1996, un nuovo contratto collettivo (anch’esso prodotto) che ha delineato un nuovo inquadramento secondo i livelli da A ad H (il livello A è il più basso). Per quanto attiene al passaggio dalle vecchie qualifiche alle nuove il contratto del 1996 contiene una apposita tabella di equiparazione in forza della quale al preesistente quinto livello corrisponde il livello E.

Alla ricorrente compete, quindi, dopo l’entrata in vigore del contratto collettivo del 1996, il livello E. Va quindi dichiarato il suo diritto al suddetto inquadramento, nonché ad essere assegnata a mansioni ad esso corrispondenti».

La sentenza sul punto è assolutamente precisa  nell’indicare che la Re. svolgesse di fatto mansioni di quinto livello riferibile alla funzione di referente dell’Ufficio legale: i passaggi motivazionali del tribunale sono stati sopra appositamente sottolineati per evidenziare come il primo giudice abbia reiteratamente affermato che la Re. svolgeva di fatto mansioni di referente dell’ufficio legale;  in altri termini, il tribunale ha affermato che la Re. aveva un professionalità specifica e svolgeva attività che presupponevano sia la laurea in giurisprudenza sia la conoscenza della materia assicurativa. Tali circostanze costituiscono oggetto di approfondita valutazione passata in giudicato e da esse bisogna muovere per verificare se dalla dequalificazione accertata dal tribunale sia derivato o meno un danno alla professionalità della ricorrente

Al riguardo giova richiamare la recente sentenza delle sezioni unite della Suprema corte (sent. 24.3.2006, n. 6572) secondo cui «proprio a causa delle molteplici forme che può assumere il danno da dequalificazione, si rende indispensabile una specifica allegazione in tal senso da parte del lavoratore (…) le modalità e le peculiarità della situazione in fatto, attraverso i quali possa emergere la prova del danno. Non è quindi sufficiente prospettare l’esistenza della dequalificazione, e chiedere genericamente il risarcimento del danno, non potendo il giudice prescindere dalla natura del pregiudizio lamentato, e valendo il principio generale per ci il giudice – se può sopperire alla carenza di prova attraverso il ricorso alle presunzioni ed anche alla esplicazione dei poteri istruttori ufficiosi previsti dall’art. 421 c.p.c.- non può invece mai sopperire all’onere di allegazione che concerne sia l’oggetto della domanda, sia le circostanze in fatto su cui questa prova trova supporto».

Facendo applicazione di tale condivisibile orientamento è possibile innanzitutto rilevare che la ricorrente ha allegato in ricorso le seguenti circostanze:

- di essere laureata in giurisprudenza;

- di avere lavorato, prima di passare alla Telecom presso società assicuratrice;

- di avere lavorato in Telecom all’ufficio  legale e di avere ivi svolto mansioni di 5^ livello;

- di avere poi svolto mansioni meramente esecutive e ripetitive al servizio 12 , 187 e 188, descrivendo le mansioni ivi svolte (il 12 è il servizio abbonati e il lavoro consisteva nell’identificare sul terminale il numero o indirizzo richiesto, e poi inviarlo in automatico al cliente, v. pag. 4 ricorso; il servizio 187 e 188 sono invece servizi di informazione alla clientela in relazione a vari servizi che la Telecom offre agli utenti, sulle bollette, canoni ecc, v. ricorso pag. 5 e 6);

che questi ultimi compiti erano «mille miglia» lontani dalla professionalità della ricorrente, professionalità per la quale era stata assunta e che aveva sempre espletato (v. pag. 7 ricorso);

- che il danno alla professionalità derivava dal fatto che «un tecnico quale è l’esperto di problemi legali allontanato dal suo ambiente perde rapidamente conoscenze, subisce un impoverimento professionale»;

- che il non poter continuare ad esercitare la sua professionalità gli fa perdere «possibilità di perfezionamento e di arricchimento da utilizzare per lo sviluppo della carriera».

Ritiene il Collegio che le sopraelencate allegazioni in fatto determinino il diritto della Re. ad ottenere il risarcimento del danno professionale,  consistito, nel caso specifico dall’impoverimento della capacità professionale acquisita e dalla mancata acquisizione di una maggiore capacità, non emergendo invece elementi per ritenere allegato il danno per c.d. perdita di chance, cioè di ulteriori possibilità di guadagno.

La citata sentenza della sezioni unite, da utilizzarsi quale paradigma,  pone quale esempio il seguente che si attaglia proprio alla situazione dianzi descritta.

La Corte afferma infatti che il «pregiudizio non può essere riconosciuto in concreto, se non in presenza di adeguata allegazione, ad esempio deducendo l’esercizio di una attività (di qualunque tipo), soggetta ad una continua evoluzione, e comunque caratterizzata da vantaggi connessi all’esperienza professionale destinati a venire meno in conseguenza del loro mancato esercizio per una prezzabile periodo di tempo».

I dati  dianzi esposti consentono allora di affermare che l’attività allegata e provata di referente legale (e comunque accertata di 5^ livello) è sicuramente soggetta a continua evoluzione e si caratterizza proprio per i vantaggi connessi all’esperienza professionale, vantaggi destinati a venire meno anche rapidamente, in quanto la materia è soggetta per sua natura a continua evoluzione, richiedendo continuo aggiornamento.

Inoltre,  a completamento di quanto accertato dal tribunale, deve aggiungersi che la Re. lavorava in precedenza presso la Società di assicurazione MEIE e la sua utilizzazione in Telecom è avvenuta a sviluppo di conoscenze già acquisite.

Quest’ultimo argomento consente di affermare che la dequalificazione subita dalla ricorrente sia stata non solo di tipo verticale (dal 5° al 7° livello), come appunto affermato dal tribunale, ma anche di tipo orizzontale, perché le nuove mansioni (addetta al servizio 12 e poi 187-188) non possono certamente considerarsi omogenee alla professionalità in precedenza già acquisita (presso MEIE) e poi proseguita presso Telecom: l’adibizione ai citati servizi, anche se ritenuti strategicamente importanti, non sono però in linea né con il livello di inquadramento né tantomeno con le conoscenze acquisite in precedenza dalla ricorrente.

La mobilità orizzontale infatti deve salvaguardare la specifica professionalità maturata dal lavoratore (cioè il corredo di nozioni e patrimonio di esperienze acquisite) professionalità che non può essere dispersa a seguito del mutamento di mansioni (Cass. 20.3.2004, n. 5651; Cass. 1.9.2000, n. 11457; Cass. 2.6.2000, n. 7395) .  In sostanza perché le nuove mansioni possano definirsi equivalenti a quelle di provenienza,  è necessario che esse siano idonee a consentire l’utilizzazione, il perfezionamento e l’accrescimento del patrimonio professionale già acquisiti (cfr. Cass. 22.4.1995, n. 4561; Cass. 30.7.2004, n. 14666; Cass. 12.4.2005, n. 7453 secondo cui lo l’equivalenza che legittima lo jus variandi del datore di lavoro deve essere non solo nel senso di pari valore professionale delle mansioni, considerate nella loro oggettività ma anche come attitudine delle nuove mansioni a consentire la piena utilizzazione o anche l’arricchimento del patrimonio professionale del lavoratore acquisito nella pregressa fase del rapporto).

Al riguardo invece è sufficiente richiamare  quanto allegato in ricorso per evidenziare il danno alla professionalità subito dalla ricorrente, danno conseguente al fatto di svolgere mansioni non più in linea (e quindi non equivalenti perché non omogenee) al precedente patrimonio professionale, in un campo, quello del diritto, in continua evoluzione e che richiede continuo aggiornamento: “danno alla professionalità quindi, perché  un tecnico, quale è l’esperto di problemi legali, se  allontanato dal suo ambiente,  perde rapidamente conoscenze, subisce un impoverimento professionale; il non poter continuare ad esercitare la sua professionalità gli fa perdere possibilità di perfezionamento e di arricchimento da utilizzare per lo sviluppo della carriera”.  Quanto affermato dalla ricorrente in ricorso, trattandosi di lesione di un bene immateriale,  secondo l’id quod plerumque accidit, è notorio avvenga e ben può ritenersi provato in via presuntiva, tenuto conto della concatenata serie di fatti noti come emergenti dal ricorso.

In particolare il livello di studio della ricorrente, il vissuto lavorativo della Re. prima presso MEIE poi presso Telecom, la durata dell’avvenuto demansionamento iniziato nel settembre 1997 ed accertato quantomeno al 30.4.2005, portano  a ritenere provato il danno  subito dalla lavoratrice (ex art. 115, 2° comma  cpc).

A diversa conclusione deve invece giungersi per l’invocato (nella discussione orale) danno patrimoniale da c.d. perdita di chance.

Tale voce di danno infatti non risulta allegata in ricorso.

Abilmente nella discussione orale si è cercato di recuperare questa profilo di danno patrimoniale ponendo l’accento sulla progressione in carriera propria del 5^ livello e sulla circostanza che in Telecom era stato indetto un concorso documentato dalle produzioni della Società.

Ma di tutto ciò non c’è stata alcuna allegazione in ricorso in cui i riferimenti fattuali alla professionalità sono in termini di depauperamento del bagaglio delle conoscenze acquisite, e nessun riferimento risulta fatto invece alla perdita di future occasioni di guadagno (progressione in carriera).

Il danno derivante dalla perdita di chance non è una mera aspettativa di fatto, ma una entità patrimoniale a sé stante, economicamente e giuridicamente suscettibile di autonoma valutazione, di cui l’interessato ha però l’onere di provare, sia pure in modo presuntivo o secondo un calcolo di probabilità, i presupposti per il raggiungimento del risultato sperato ed impedito dalla condotta illecita, della quale il danno risarcibile deve essere conseguenza immediata e diretta (Cassazione 3999/03, 11340/98, 10748/96). Ma nel caso di specie nulla è stato allegato in ordine allo sviluppo della carriera della ricorrente (sviluppo neppure allegato in ricorso) ed il concorso emergente dagli atti riguardava profilo professionale inferiore rispetto a quello acquisito dalla Re. (livello D), per cui da esso non può trarsi alcun argomento a favore della ricorrente.

Merita invece accoglimento la domanda relativa al danno non patrimoniale all’identità professionale sul luogo di lavoro, all’immagine o alla vita di relazione o comunque alla lesione del diritto fondamentale del lavoratore alla libera esplicazione della sua personalità nel luogo di lavoro, tutelato dagli artt. 1 e 2 Cost. (c.d. danno esistenziale), danni per i quali le allegazioni sono puntuali.. Infatti in ricorso la ricorrente ha allegato che a seguito del demansionamento «prima era la dott. Re. ora è l’operatrice GE n. 221», espressione che riassume con efficacia il danno alla identità professionale sul luogo di lavoro e alla  immagine, tanto più che il lavoro che svolgeva la ricorrente (come descritto in ricorso e poi provato) richiedeva contatto non solo con altri uffici pubblici ma con avvocati con cui seguiva la trattazione delle pratiche, rappresentando poi la società alle udienze e sottoscrivendo eventuali transazioni (v. ricorso pag. 3,  lettere in atti avv. Marchese e Ciurlo,  deposizioni testimoniali e soprattutto quanto accertato dal tribunale e non impugnato in ordine al fatto che la ricorrente seguiva le controversie non con  attività routinaria ma provvedeva allo «studio delle pratiche giudiziarie, per acquisire una buona conoscenza delle stesse, seguire nel merito la relativa trattazione, ed essere così in grado, tra l’altro, di indicare al difensore della Telecom i mezzi istruttori da dedurre in sede giudiziaria» sentenza pag. 25).

La ricorrente è quindi passata da una “visibilità” sia interna (interloquiva con gli altri uffici dell’azienda) sia  soprattutto esterna all’azienda di assoluto rilievo (la ricorrente risulta che avesse una propria stanza e  interloquiva con legali esterni all’azienda) ad una mansione meramente esecutiva ma, soprattutto, senza alcuna visibilità, una voce anonima che risponde ad una chiamata telefonica: in altri termini si è passati da una attività visibile ad una non più visibile, da una attività in cui viene speso il proprio nome (v. corrispondenza all’attenzione della dott. Re.) ad una in cui si viene identificati con una sigla (Ge  n. 221). L’inadempimento contrattuale determina quindi un danno esistenziale perché  sono mutati gli aspetti e gli assetti relazionali della ricorrente che non interloquisce più con altri uffici e  con altri legali; il lavoro è stato spersonalizzato e sono venute meno le occasioni per l’espressione e la realizzazione della personalità: l’attività aveva  contenuto prevalentemente intellettuale e ricco di rapporti interpersonali, ora è divenuta meramente esecutiva e priva di rapporti interpersonali. Tutto ciò non riguarda la sfera interna ed emotiva della Re., ma riguarda invece il suo modo d’essere e quindi dati di fatto riscontrabili e verificabili oggettivamente, come appunto sono quelle dianzi espressi  da cui è possibile concludere che Telecom, con la dequalificazione, ha determinato anche una alterazione delle abitudini di vita della lavoratrice.

Occorre adesso quantificare i danni.

Il criterio, in linea generale,  non può che essere equitativo, anche se, per quanto riguarda il danno patrimoniale, da dequalificazione, il Collegio ritiene possa utilizzarsi, come parametro risarcitorio la retribuzione: la retribuzione misura infatti la prestazione lavorativa e consente quindi  di misurare  il danno conseguente all’avvenuta dequalificazione (cioè l’avere modificato illegittimamente le mansioni). Tenuto poi conto che la ricorrente è stata adibita a mansioni di 7^ livello invece che di 5^, e quindi  due livelli inferiori  rispetto a quelli cui aveva diritto (il che comprova una dequalificazione di una certa gravità), la percentuale di retribuzione può indicarsi nel 50%  della retribuzione globale di fatto spettantele per una mensilità nell’anno 2000 per il numero di mesi in cui è avvenuta la dequalificazione, secondo il seguente calcolo:

£ 46.457.649 (retribuzione globale anno 2000) : 14 (numero mensilità annuali)= 3.318.403 (retribuzione globale di fatto anno 2000)  x  92 (numero mesi di dequalificazione) : 2 = 152.646.538 (danno alla professionalità). Tale somma, secondo il Collegio, può costituire adeguato ristoro al danno subito.

Per quanto riguarda il danno all’immagine si ritiene invece equa  la somma di 45 milioni, somma che tiene conto  soprattutto della durata della dequalificazione (ad oggi circa otto anni) della sua gravità (due livelli),  del fatto che di essa si è avuta conoscenza sia all’interno che all’esterno dell’azienda.

Le spese di primo grado pertanto, attesa la soccombenza di Telecom, nella misura già liquidata dal primo giudice, devono essere poste integralmente a carico della Società convenuta.

Nel resto la sentenza merita conferma.

Le spese del grado, nella misura indicata in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Definitivamente pronunciando sull’appello proposto contro la sentenza n. 886 emessa in data 20.4.2005 dal tribunale di Genova,

in parziale riforma dell’impugnata sentenza:

- condanna Telecom Italia spa a pagare a Re. Raffaela a titolo di dequalificazione professionale una somma in euro pari a lire 152.000.000 ed una somma a titolo di perdita di immagine in euro apri a lire 45.000.000 oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali da oggi al saldo.

- Condanna Telecom Italia spa a rifondere integralmente all’appellante le spese di lite di primo grado nella misura liquidate globalmente in € 12.000,00

- Conferma nel resto

- Condanna Telecom Italia spa a rifondere all’appellante le spese di lite di questo grado che liquida in € 12,00 per esborsi, € 1500,00 per diritti ed € 7500,00 per onorari oltre rimborso spese generali, IVA e CPA.

 

Genova, 20.12.2006

 

Il Presidente

Giovanni Russo

Il Consigliere est.

Enrico Ravera

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