Dequalificazione professionale e danno biologico

 

Tribunale di Firenze, sez. lav. (1° grado) 2 febbraio 2004 – Giud. Nuvoli –X.Y. (avv. Pucci) c. Azienda Z. (avv. Papaleoni, Gennarelli)

 

Dequalificazione professionale di funzionario di banca – Risarcimento del danno – Compete – In ragione del 60% della retribuzione mensile della qualifica  di funzionario (dal 1985 al 2001) -  Danno biologico di natura non permanente – Inabilità temporanea della durata di 20 mesi – Compete- Criteri di liquidazione.

 

L'istruttoria espletata prova, ad avviso del giudicante, l'avvenuta dequalificazione lamentata dal ricorrente; le mansioni a questi affidate, per il loro limitato contenuto professionale, non possono ritenersi adeguate rispetto alla qualifica di funzionario rivestita, e attribuita a coloro che, investiti di “specifiche mansioni con responsabilità diretta ed elevato grado di professionalità, vengano inquadrati nella categoria superiore a quella impiegatizia ed abbiano, di regola, alle proprie dipendenze un adeguato numero di impiegati”.

Considerata la notevole differenza tra le mansioni assegnate e quelle previste dalla declaratoria del livello di inquadramento del ricorrente, e la rilevante durata del periodo di dequalificazione (che determina un aggravamento progressivo del danno - cfr. Trib. Milano 22.12.2001 in Riv. Crit. Dir. Lav. 2002, 377), appare equo riconoscere a titolo di risarcimento del danno per dequalificazione l'importo pari al 60% della retribuzione prevista per la qualifica di funzionario di grado IV dal 15.11.1985 (data di assegnazione alla filiale H) fino alla cessazione del rapporto (18.4.2001).

Per quanto concerne la domanda di risarcimento del danno biologico, l'espletata c.t.u. medico legale  ha concluso che il comportamento di Azienda Z. S.p.A. ha determinato l'insorgenza nel ricorrente di un “disturbo da disadattamento prolungato” della durata di 20 mesi, senza che sia residuato danno biologico permanente. Il danno biologico da invalidità temporanea (quantificato dal c.t.u. in 20 mesi) va liquidato, secondo i criteri adottati da questo Tribunale, in complessivi L. 60.000.000 (L. 100.000 x 600 giorni), pari a € 30.987,41 già rivalutati ad oggi.

 

Fatto e diritto

Con ricorso al Tribunale di Firenze, in funzione di giudice del lavoro, il sig. X.Y. ha convenuto in giudizio Azienda Z. S.p.A., esponendo:

• di prestare attività lavorativa subordinata alle dipendenze della convenuta dal 5.11 1968;

• di essere stato addetto dal 14.10.1974 al 15.11.1985 alla segreteria amministrativa dell'ufficio economato, svolgendo mansioni attinenti gli acquisti e gli approvvigionamenti;

• il ricorrente, ritenendo che i dirigenti a lui gerarchicamente superiori non prestassero adeguata attenzione alla riduzione dei costi e a una migliore gestione dei servizi e delle forniture, aveva chiesto nel 1985 un colloquio con il Presidente di Azienda Z. S.p.A., che veniva peraltro negato;

• successivamente a tale iniziativa, il ricorrente era stato trasferito all'ufficio della filiale H e adibito a mansioni dequalificanti, circostanza accertata con sentenza 21.10.1986 del Pretore di Firenze, che aveva dichiarato nullo il trasferimento;

• il 25.11.1986 Azienda Z. S.p.A. aveva comminato al ricorrente la sanzione di tre giorni di sospensione, confermata anche a seguito di impugnazione giurisdizionale;

• in data 4.12.1986 il ricorrente era stato nuovamente trasferito al Servizio Esattoria (oggi Concessioni), e adibito a mansioni di contenuto professionale inferiore anche a quelle (pur dequalificanti) svolte presso la filiale H;

• tale condotta illegittima, configurabile come mobbing, aveva provocato nel ricorrente una grave sofferenza psico - fisica, che aveva determinato un danno all'integrità psico fisica quantificabile nel 30%;

• la dequalificazione subita aveva altresì provocato un danno alla professionalità del ricorrente;

• il ricorrente aveva inoltre riportato un danno biologico del 30%, oltre al danno morale, e a spese per L. 40.000.000.

Tanto premesso, previo accertamento dell'illegittimità della condotta datoriale, ha chiesto condannarsi Azienda Z. S.p.A. al risarcimento: a) del danno alla professionalità, quantificato in misura non inferiore al 50% delle retribuzioni, da elevarsi al 100% per il periodo dal 1.3.1999; b) del danno biologico del 30%, oltre al danno per invalidità temporanea; c) del danno morale; d) del danno emergente, nella misura di L. 40.000.000.

Costituitasi in giudizio, la convenuta Azienda Z. S.p.A. ha contestato la domanda, chiedendone il rigetto; in via riconvenzionale, ha chiesto accertarsi 1'infondatezza delle domande attrici.

Fallito il tentativo di conciliazione, escussi testi, espletata c.t.u. medico legale, all'odierna udienza la causa è stata discussa e decisa cerne da separato dispositivo, del quale è stata data lettura.

Risulta dagli atti che il trasferimento del Sig. Y., disposto presso la filiale H della Azienda Z. S.p.A., è stato dichiarato nullo con sentenza del Pretore di Firenze in data 21.10.1986 per violazione dell'art. 2103 c.c., sia sotto il profilo della carenza di ragioni giustificatrici del trasferimento, che sotto il profilo della mancata equivalenza delle mansioni. Successivamente, dal dicembre 1986 il ricorrente è stato trasferito presso il servizio esattoria; in tale settore, come è risultato dall'istruttoria testimoniale espletata, egli ha sostanzialmente svolto mansioni di consegna e ritiro di documentazione contabile presso la Banca d'Italia, senza peraltro avere autonomia decisionale in caso di problemi (in tale ipotesi, intervenivano infatti altri soggetti - teste L.), e di raccolta quadrimestrale di dati contabili. Intorno alla seconda metà degli anni '90, il ricorrente fu poi assegnato a gruppi di lavoro creati presso il servizio esattoria (testi R., B.), ma non è emerso quali fossero, in tale contesto, le specifiche mansioni del sig.Y.

L'istruttoria espletata prova, ad avviso del giudicante, l'avvenuta dequalificazione lamentata dal ricorrente; le mansioni a questi affidate, per il loro limitato contenuto professionale, non possono ritenersi adeguate rispetto alla qualifica di funzionario rivestita dal Sig. Y., e attribuita a coloro che, investiti di specifiche mansioni con responsabilità diretta ed elevato grado di professionalità, vengano inquadrati nella categoria superiore a quella impiegatizia ed abbiano, di regola, alle proprie dipendenze un adeguato numero di impiegati (cfr. le declaratorie di cui ai ccnl 1983, 1991, 1995 - del resto il contratto integrativo 11.4.1991 prevede per il funzionario di grado IV mansioni quali direzione di filiale, di uffici di rappresentanza, esercizio di professione forense etc.), mentre il ccnl 11.7.1999 (peraltro, successivo al periodo per cui è causa) definisce quali quadri direttivi i lavoratori che, pur non appartenendo alla categoria dei dirigenti, siano stabilmente incaricati dall'azienda di svolgere, in via continuativa, mansioni che comportino elevate responsabilità funzionali e elevata preparazione professionale e/o particolari specializzazioni, e che abbiano maturato una significativa esperienza, nell'ambito di strutture centrali e/o nella rete commerciale, ovvero elevate responsabilità nella direzione, nel coordinamento e/o controllo di altri lavoratori.

La sussistenza di una dequalificazione, costituendo inadempimento dell'obbligazione facente capo ad datore di lavoro ex art. 2103 c.c., determina la responsabilità risarcitoria della Azienda Z. S.p.A.; dall'avvenuto pensionamento del ricorrente, consegue invece la sopravvenuta carenza di interesse ad agire rispetto al capo di domanda relativo alla reintegrazione in mansioni confacenti.

Considerata la notevole differenza tra le mansioni assegnate e quelle previste dalla declaratoria del livello di inquadramento del ricorrente, e la rilevante durata del periodo di dequalificazione (che determina un aggravamento progressivo del danno - cfr. Trib. Milano 22.12.2001 in Riv. Crit. Dir. Lav. 2002, 377), appare equo riconoscere a titolo di risarcimento del danno per dequalificazione l'importo pari al 60% della retribuzione prevista per la qualifica di funzionario di grado IV dal 15.11.1985 (data di assegnazione alla filiale H) fino alla cessazione del rapporto (18.4.2001).

Per quanto concerne la domanda di risarcimento del danno biologico, l'espletata c.t.u. medico legale (cfr. relazione dr. G. F. depositata il 7.10.2002 e supplemento di relazione depositata 1'8.7.2003) ha concluso che il comportamento di Azienda Z. S.p.A. ha determinato l'insorgenza nel rag. Y. di un disturbo da disadattamento prolungato della durata di 20 mesi, senza che sia residuato danno biologico permanente.

Parte ricorrente ha contestato tali conclusioni, insistendo (cfr. note critiche 3.1.2003) per il riconoscimento di un danno biologico permanente.

Ad avviso del giudicante, non rilevano le osservazioni svolte in ordine alla valutazione della personalità del danneggiato ai fini dell'affermazione della responsabilità civile del soggetto danneggiante, ovvero in ordine alla valutazione, da parte del consulente, delle; condotte di Azienda Z. S.p.A. come inadeguate a giustificare un disturbo da disadattamento di maggiore ampiezza dì quello diagnosticato; infatti, ove il danno lamentato non sussistesse (come sostenuto dal consulente) nei termini dedotti dal ricorrente, sarebbe irrilevante la valutazione della personalità della parte ovvero della maggiore o minore gravità delle condotte della datrice di lavoro.

Al riguardo, parte ricorrente deduce la sussistenza di stato depressivo consistente in una tristezza continuata. Il consulente d'ufficio sostiene che si tratta di una tristezza spiccata, mentre parte ricorrente sostiene che tale tristezza spiccata continuativa configura uno stato depressivo; peraltro, il c.t.u. specifica esattamente (pag. 8, 2° cpv., relazione depositata il 7.10.2002) l'assenza di sintomi tipici dello stato depressivo.

Per quanto concerne la diagnosi di disturbo da disadattamento prolungato, formulata dal c.t.u., il ricorrente sostiene che tali disturbi hanno la caratteristica di essere transitori, e di risolversi nell'arco di due anni circa (come del resto afferma anche il c.t.u. - cfr. relazione depositata il 7.10.2002 pag. 8 cpv.); peraltro, parte ricorrente deduce che l'inizio dello stato patologico risale a epoca ben anteriore a quella indicata dal c.t.u. (il quale ha affermato che il disturbo si è circoscritto in venti mesi circa, da aprile 1999 a novembre 2000), facendo riferimento ad assenze per malattia nel 1998, e ai certificati dr. Z. in data 15.3.1999 e dr. M. in data 19.3.1999, che attestano l'esistenza di stati patologici anche per periodi precedenti, e, quanto alla data finale, al certificato Clinica del lavoro in data 20.11.2000, nel quale viene attestata la persistenza della situazione patologica.

Le conclusioni peritali sono peraltro avvalorate dalla considerazione che le assenze per malattia sostanzialmente coincidono, per gli anni 1999 e 2000, al danno biologico temporaneo accertato dal c.t.u.; le assenze del 1997 e 1998 si riferiscono invece ad altre patologie, mentre quelle precedenti sono di entità irrilevante, e quindi non confermano la esistenza di un danno temporaneo (cfr. relazione integrativa depositata l' 8.7.2003 pagg. 6 e 7). Il certificato dr. Z. è relativo al periodo successivo al gennaio 1997, mentre per il periodo precedente attesta di aver avuto in cura occasionalmente il Sig. Y.; il certificato dr. M., pur attestando una situazione patologica pregressa, non è idoneo a documentare l'entità invalidante della stessa. Comunque, entrambi i certificati riferiscono di una regressione della patologia nei periodi non lavorativi, circostanza che conferma il termine finale indicato dal c.t.u., posto che, in base alla stessa certificazione prodotta dal ricorrente, la sintomatologia è collegata allo svolgimento dell'attività lavorativa. Ne consegue che, ad avviso del giudicante, non appaiono contraddittorie le motivazioni del consulente d'ufficio in ordine alla quantificazione del periodo di invalidità temporanea.

Per quanto concerne il rivendicato danno biologico permanente, il ricorrente sostiene che si è verificato un disturbo post traumatico da stress, a suo avviso contraddittoriamente escluso dal c.t.u.. Peraltro, anche nelle note critiche depositate il 3.1.2003 parte ricorrente non specifica in base a quali elementi sia possibile evidenziare, e quantificare, un danno permanente; ed è comunque decisivo rilevare che i tests psicologici acquisiti dal c.t.u. escludono la sussistenza di un danno permanente.

Ne consegue che le conclusioni peritali appaiono congruamente motivate, e sono pienamente attendibili e utilizzabili ai fini della decisione.

Il danno biologico da invalidità temporanea (quantificato dal c.t.u. in 20 mesi) va liquidato, secondo i criteri adottati da questo Tribunale, in complessivi L. 60.000.000 (L. 100.000 x 600 giorni), pari a € 30.987,41 già rivalutati ad oggi.

Non può essere riconosciuto il danno morale, non essendo ravvisatale ipotesi di reato; neppure può essere riconosciuto il rimborso delle spese, in quanto non documentate (al riguardo, la relazione dr. Gilioli - doc. 17 ric. - le ipotizzava in L. 40.000.000 per due anni a decorrere dal 25.5.1999, e quindi fino al maggio 2001, mentre non è stato documentato alcun esborso a tale titolo, neppure in corso di causa).

La domanda merita quindi accoglimento nei sensi di cui in dispositivo.

Ex art. 91 c.p.c., la soccombente Azienda Z. S.p.A. va condannata al pagamento delle spese processuali sostenute da controparte, che, tenuto conto del valore della causa (scaglione di valore indeterminabile rilevante di cui alla tariffa forense approvata con d.m. 5.10.1994 n. 585) e dell'attività svolta, si liquidano come da dispositivo; vanno inoltre poste a carico della convenuta le spese di c.t.u., liquidate come da separato decreto.

La sentenza è provvisoriamente esecutiva ex lege.

P.Q. M.

Il Giudice, definitivamente pronunciando sul ricorso proposto da X.Y. con atto depositato in data 27.6.2000, respinta ogni diversa istanza, eccezione e deduzione:

Firenze, 10 novembre 2003 (dep. 6.2.2004)

II Giudice del lavoro

(Dr. Vincenzo Nuvoli)

 

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