Demansionamento dell'Ispettore di polizia penitenziaria

 

Tar Lazio – Sezione prima quater – sentenza 6 giugno 2006, n. 4340 - Presidente e relatore Guerrieri - Ricorrente Giovannoni

 

Fatto

 

Per ventiquattro anni, il Giovannoni ha svolto una brillante carriera, confermata dai rapporti informativi annuali fino al 2000; assegnato presso la Direzione Generale delle risorse materiali dei beni e servizi, ha dovuto svolgere un tipo di lavoro che non corrispondeva alla qualifica di Ispettore Superiore, in base anche alla circolare Sparacia (cfr. la seconda premessa in diritto).

Sulla base di ampia documentazione, anche sanitaria, allegata al ricorso (14 allegati), notificato il 13 gennaio 2004 e depositato il 9 febbraio successivo, dopo aver realizzato di aver ricevuto rapporti informativi per gli anni 2001 e 2002 con valutazione di “mediocre”, invero conosciuti solo il 16 giugno 2003, e dopo aver presentato il mese successivo un ricorso amministrativo, accolto parzialmente (cfr. allegati nn. da 5 a 10), in questa sede, quasi quei rapporti fossero un sintomo del demansionamento lamentato, propone il petitum meglio indicato in epigrafe, deducendo sia la violazione dell’articolo 2103 c.c. sulle mansioni del lavoratore, sia la violazione del diritto fondamentale di ciascun lavoratore ad esprimere la propria personalità sul luogo del lavoro, senza alcun pregiudizio sulla vita professionale e di relazione, secondo i noti principi della Cassazione civile, che riconosce anche il diritto al risarcimento del danno, valutabile anche solo in via equitativa, ai sensi dell’articolo 1226 Cc; d’altra parte (pag. 7 del ricorso) il Giovannoni non esclude di essere stato vittima di mobbing. 

Nonostante che la questione sottoposta all’esame del Collegio fosse sostanzialmente semplice, pur tuttavia non era, comunque, materia valutabile in sede cautelare, per cui fin dalla camera di consiglio del 27 febbraio 2004 fissata su istanza con istanza contenuta nel ricorso, la causa fu rinviata al merito fissato la prima volta all’udienza del 26 aprile successivo. 

Vista la costituzione dell’Avvocatura Generale dello Stato avvenuta il 25 febbraio 2004 (prot. 10841);

Visti il deposito 5 aprile 2004 n. 17900 di parte ricorrente sul “curriculum vitae” del Giovannoni, commentato poi con la memoria successiva; 

Vista la memoria integrativa 13 aprile n. 19317, la quale si riporta alla nota del DAP 19 maggio 2003 n. 2971, che ha motivatamente affermato la giurisdizione esclusiva del g.a. in materia, e successivamente elenca la progressione in carriera dell’odierno ricorrente, le mansioni dal medesimo svolte in ciascuna sede di servizio, il personale (di magistratura, amministrativo, dirigenziale o meno, militare), con cui ha svolto le proprie funzioni; 

Vista la sentenza istruttoria 3764/04, con cui è stata disposta l’acquisizione documentale delle specifiche mansioni svolte dall’odierno ricorrente da mettere a confronto con quelle corrispondenti al profilo professionale proprio della qualifica rivestita, ed ammessa la prova testimoniale sui fatti di causa, disponendo il calendario delle audizioni: il 24 maggio 2004 del dr. Francesco Gianfrotta, del dr. Sebastiano Ardita, e della d.ssa Bruna Brunetti; il 25 maggio, del dr. Guido Briotti, ed i Signori Giovanni Antonio Maiolo e Stefano Sgrilletti; il 27 successivo, della Signora Elda Latino ed i Signori Massimo Magagnino, Renato Romani e Orlando Taschini, fissando la successiva udienza per il 12 luglio 2004; 

Visto il deposito di parte resistente 25917/05 di 10 allegati, in adempimento alla sopra citata sentenza istruttoria, con i quali viene presentata una versione di mansioni attribuite al Signor Giovannoni, asseritamene connaturate al normale lavoro proprio degli uffici amministrativi nei quali ha prestato servizio; in attesa che si completasse la istruttoria, i verbali delle audizioni sono stati trattenuti dal Presidente relatore senza inserirli nel fascicolo di causa per ragioni di “privacy”; 

Vista poi la ulteriore sentenza istruttoria 12 luglio 2004 n. 9111, con cui è stata rinnovata la convocazione del Cons. Sebastiano Ardita e del dr. Guido Briotti (entrambe impossibilitati ad intervenire nei giorni a suo tempo previsti), disposta ex novo quella dell’odierno ricorrente, rinunciando, infine, a quella del dr. Gianfrotta (da tempo, non più in servizio presso il DAP): le audizioni si sono svolte il 16 novembre 2004 (ore 10) quella del dr. Briotti e (ore 11) quella del Signor Giovannoni, nonché il giorno 23 successivo quella del Cons. Sebastiano Ardita. 

I verbali delle audizioni sono stati poi formalmente comunicati alle parti in causa in busta chiusa con avviso di segreteria del 25 novembre 2004 e ritirate da entrambe le parti il giorno successivo, di fatto dando alle medesime tutto il tempo per presentare eventuali memorie o “motivi aggiunti”. 

Vista la memoria ricorrente 21 gennaio 3785 con quattro allegati (da 1 a 4) in replica alla versione Brunetti offerta in sede di audizione 24 maggio 2005, e altri cinque (da 1/A a 5/A) in replica alla versione del Cons. Sebastiano Ardita, offerta in sede di audizione 23 novembre 2004; 

Visto il deposito ricorrente 9 giugno 2005 n. 31041 di cinque documenti, ad integrazione e conferma dei documenti depositati in precedenza; 

Vista la memoria conclusionale 16 giugno 2005 n. 32418 della sola difesa ricorrente; 

Uditi alla pubblica udienza del 1 luglio 2005, gli avvocati presenti come da verbale; 

Diritto

Visti gli articoli 1, comma 1, 4, comma 2, 32, comma 3, e 35, comma 4della Costituzione; 

Vista la lettera circolare del D.G. dr. Sparacia 6 dicembre 2002 (doc. n. 11 allegato al ricorso) in tema di rapporti informativi, nella quale si parla espressamente anche di rapporti “spesso non redatti con la dovuta attenzione, né con adeguata motivazione a sostegno di valutazioni negative”; 

Vista, da ultimo, la Direttiva 24 marzo 2004 della Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della Funzione Pubblica, pubblicata sulla G.U. 5.4.04 n. 80, nel caso consegnata al Cons. Sebastiano Ardita durante la sua audizione; 

Considerato che dalla lettura della “causa petendi” - a fronte di una carriera costellata di numerosi successi - risulta decisamente predominante la lesione della dignità professionale, del fondamentale diritto al lavoro, dell’immagine del lavoratore, sia pure nel ristretto periodo (sei mesi del 2001, interi anni 2002 e 2003 e sei mesi del 2004), con riferimento a quanto depositato in atti (attestati, lettere, rapporti informativi, esposto denuncia, oo.dd.ss.) ed alla motivazione, lesioni originate anzitutto dalla “mancata assegnazione di mansioni proprie della qualifica di Ispettore Superiore posseduta” (pag. 2 e 3 del ricorso), dal “demansionamento subìto in quel periodo, dai comportamenti vessatori” (p. 7), “in parte lesivi alla salute psicofisica” (p. 5), da cui i “danni economici diretti” per assenze forzate “e indiretti” (per le cure sostenute). 

Ritenuto che – rispetto al quadro sopra descritto - la doglianza sui “rapporti informativi” negativi costituisce solo un sintomo del demansionamento lamentato, e non l’oggetto di una formale impugnazione a sé stante; 

Il petitum riguarda a) la declaratoria del diritto a svolgere le mansioni corrispondenti alla qualifica di Ispettore Superiore di Polizia Penitenziaria teoricamente dall’aprile 2001 fino al giugno 2004 (cfr. pagg. 9 e 13), in quanto fosse in servizio presso uffici amministrativi dell’Amministrazione Centrale, qualifica di fatto sistematicamente disconosciuta con un “demansionamento” immotivatamente applicato a danno del solo ricorrente e non di altri con pari qualifica in servizio presso analoghi uffici amministrativi, né applicato per temporanee “esigenze di servizio”, delle quali agli atti non esiste ragionevole traccia, nonché b) il risarcimento del danno, secondo i principi affermati dalla giurisprudenza della Suprema corte di Cassazione.

Il Tar dispone in materia di giurisdizione esclusiva, come precisato dello stesso ministero della Giustizia, con nota 19 maggio 2003 n. 2971 inviata per conoscenza alla difesa ricorrente in risposta alla richiesta 30 giugno 2003 di tentativo obbligatorio di conciliazione avanti all’Ufficio Provinciale del Lavoro, che parte ricorrente aveva precedentemente fatto in sede amministrativa (peraltro consentendo all’Amministrazione di conoscere anzitutto l’oggetto del contendere), tentativo dal quale la stessa Amministrazione è decaduta per essere trascorsi invano sei mesi dalla richiesta stessa. 

Nell’esercizio di questa specifica giurisdizione, il Collegio ritiene che dagli atti depositati e dalle stesse risultanze istruttorie non emerga alcun comportamento di chicchessia che – per sistematicità e potenzialità invasiva – possa aver mirato a conseguire un risultato civilistico di “mobbing” ai danni del Giovannoni, civilistico perché anteriore alla legge 228/03 (richiamata a pag. 8), che lo ha nuovamente considerato reato, sia pure ad altro titolo (ora l’articolo 600, 2 c., c. p.), dopo che la sentenza della Corte costituzionale trent’anni prima aveva dichiarato incostituzionale il reato di plagio (già 603 Cp). 

A conferma di tale conclusione, giova sintetizzare in questa sede le possibili “patologie” originate dagli “stress relazionali” dovuti a violenze (fisiche e morali) che potrebbero scatenare un meccanismo alienante del “mobbing”, sia esso “strategico”, cioè secondo una precisa strategia aziendale (di per se possibile anche nel lavoro alle dipendenze di Pa), strategia generalmente messa in atto da più persone in palese “concorso fra loro”, salva la partecipazione inconsapevole di altri soggetti, facilmente adescabili con altre “utilità contingenti”, o solo “emozionale” (o relazionale in senso stretto), provocato cioè da relazioni interpersonali, alterate in modo anomalo dalle motivazioni del soggetto mobbizzante, sì da tracciare una sorta di “scheda tecnica”, per meglio distinguere tale meccanismo da altri comportamenti negativi che generalmente non coinvolgono la personalità tutta della vittima. 

Considerata la finalità additiva (di natura culturale), che, comunque, ridimensiona la vicenda Giovannoni in contesti più limitati, come tali non lesivi delle posizioni processuali né di parte ricorrente né di parte resistente, il relatore – da anni in possesso della documentazione elaborata dal Dipartimento di Medicina del Lavoro e Sicurezza negli ambienti di lavoro di Milano (una delle esperienze cliniche più rappresentative a livello europeo) - si permette di utilizzarla per tracciare sinteticamente il seguente quadro, utile per una “comune riflessione” differenziale: 

“Autore” del mobbing (o più soggetti in concorso fra loro) può essere chiunque (sia esso solo un opportunista, o autoritario di carattere, sia esso, ben oltre le prime apparenze anche “un cattivo e perverso, che – servendosi di un potere (vantato o reale) invade sistematicamente e consapevolmente la sfera privata della vittima, con azioni che possono dirigersi: 

a) contro la persona del soggetto da colpire: azioni che iniziano con apprezzamenti pesanti o con scherzi di cattivo gusto, e con notizie distorte o/e colpevolizzanti la vittima o i suoi familiari, e finiscono con il denigrare in pubblico la vittima (ad es., in un’assemblea del personale, nella quale si impone a tutti i dipendenti di non usare né comprensione né aiuto verso la vittima predestinata); 

b) contro la sua funzione lavorativa: una continua interferenza sui compiti della vittima, impartendo (o facendo impartire) direttive volutamente confuse, lacunose, erronee e contraddittorie (*), anche sottraendo la documentazione necessaria per il lavoro, sì da generare nella vittima una insicurezza comportamentale; cambio strumentale degli ordini di servizio (*) al fine di attribuirle poi uno “scarso rendimento” (*), se non anche errori e responsabilità; frequenti ed improvvisi spostamenti della stanza assegnata, che a volte assume una finalità punitiva: (ad es., si è anche arrivati anche all’isolamento della vittima in una stanza senza finestre, ovvero in altra, apparentemente normale, ma dotata proditoriamente di un banco d’asilo sul quale far lavorare la vittima (con buona pace delle “disposizioni ergonomiche”), sotto lo sguardo (potenzialmente generalizzato) del restante personale, severamente diffidato dal segnalare il fatto alla polizia, …. 

c) contro il suo ruolo: riduzione dei compiti, per affidarli ad altro soggetto di notorio più basso livello (*), o assegnazione di compiti privi di significato logico e produttivo: per es., l’ordine di rimuovere fascicoli da un piano all’altro, nonostante la presenza di una ditta con appalto di facchinaggio (con buona pace per lo sciupio del danaro pubblico), ed il giorno seguente  l’ordine di servizio inverso (di riportare i fascicoli al piano dove già erano il giorno prima, sì da provocare nella vittima la consapevolezza di essere inutile al punto da essere emarginato fisicamente o/e anche socialmente;

d) contro lo status della vittima: disconoscimento dei compensi economici corrispondenti al livello di assunzione, o sottrazione dei buoni pasto, abolizione degli incarichi attribuibili alla qualifica posseduta (*), interruzione delle occasioni di informativa, di istruzioni, di spiegazioni, fino a sdolcinate promesse di soluzioni, per concludere poi con un invito a dimettersi o a lasciare quell’ambiente di lavoro; 

il tutto finalizzato ad un progressivo isolamento fisico, morale e psicologico dall’ambiente di lavoro, sì da lasciare la vittima nella convinzione che è solo colpa sua se non vale nulla, per cui è meglio che se ne vada”; 

Non si abbia a pensare che certi comportamenti “mobbizzanti”, tra lo squallido ed il perverso, rappresentino solo “situazioni limite”, essendo, al contrario, molto più diffusi di quanto non si possa immaginare anche nei cc.dd. “paesi civili”, e in ambienti di lavoro sia privati che nelle amministrazioni pubbliche; anzi, alcuni esempi riportati nella “scheda tecnica” sono fatti realmente avvenuti nelle pp.aa., nominalmente “al di sopra di ogni sospetto”, nelle quali – in aperta violazione della circolare della Funzione Pubblica 24.3.04 (cfr la terza premessa in diritto) – i casi di “autoritarismo e di perversione dei suoi autori” dovrebbero essere denunciati, ed il giudice penale (al quale, forse, manca ancora una sensibilità ed una coscienza adeguata) dovrebbe sottoporli a rigorose “visite psichiatriche” per evitare che continuino a far danni su vittime inconsapevoli e sprovvedute; al contrario, squallidi e perversi sono anche coloro che si trovano nella posizione gerarchicamente idonea per eliminare la causa, perché preferiscono coprire i responsabili per non fare scandalo, quel tanto da mettersi immeritatamente la coscienza a posto (!?!), sottoponendo a visita non gli autori ma le vittime, più facilmente additabili al pubblico ludibrio !!! 

Nulla di tutto questo può riscontrarsi nel caso di specie, com’è facile desumere dagli atti di causa, nel senso che nella vicenda Giovannoni, ricorrono sì “episodi sistematici” (individuati con una (*) nella c.d. “scheda tecnica” delle due pagine precedenti), ma nessuno di questi ha una potenzialità invasiva da coinvolgere la personalità tutta e l’esistenza stessa della vittima, anche se non si escludono conseguenze psicosomatiche in un soggetto sensibile, quale si è dimostrato il Giovannoni; dalle stesse risultanze istruttorie risultano sì attività svolte in danno dell’odierno ricorrente, ma nulla che possa ricondursi alla ipotesi di cui al nuovo 2 comma dell’articolo 600 del Cp (ora sapientemente novellato dalla legge 228/03, nel senso che non emerge né un elemento soggettivo (comportamento) né quello oggettivo (azione sistematica finalizzata ad un risultato invasivo dell’esistenza stessa della vittima), per cui il Collegio non percepisce alcuna necessità di un previo rinvio al giudice penale. 

Non resta, allora, che valutare l’effetto del demansionamento, in astratto concepibile anche come misura collettiva, ma nel caso applicato unicamente nei confronti del Giovannoni, e non anche nei confronti di altri che hanno lavorato con lui (gli assistenti Renato Romani e Paolo Romani, l’ispettore Giovanni Antonio Maiolo, in un contesto in cui il ricorrente era già Ispettore Superiore), e non certo per “occasionali esigenze di servizio”, delle quali – nonostante la versione esposta con la nota 17 maggio 2002 n. 25917 e relativi allegati - non esiste né una traccia generalizzabile per tutti coloro che fossero in servizio presso uffici amministrativi, né una plausibile giustificazione. 

Il periodo de quo agitur formalmente inizia in aprile 2001, come risulta dall’ordine di servizio n. 7 del 28 marzo 2001 a firma del Direttore dell’Ufficio Centrale Detenuti e Trattamento dr. Francesco Gianfrotta (cfr. all. n. 1 prodotto con la memoria ricorrente 21.1.05), che inequivocabilmente definisce l’Ispettore Superiore Giovannoni come “adibito allo smistamento della posta”, pacificamente non coerente con la citata qualifica (cfr. A.N.Q. per l’Amministrazione Penitenziaria, in all. n. 3, prodotto come sopra, applicabile non solo al personale in servizio presso le strutture penitenziarie ma anche a quello in servizio presso l’Amministrazione Centrale del Dipartimento); al primo, fa seguito l’ordine di servizio n. 27 dell’11 ottobre 2001 a firma del medesimo Direttore (cfr. all. n. 2, prodotto con la stessa memoria) in cui si parla dell’Ispettore Superiore Giovannoni, come “attualmente in forza alla “Segreteria Reparto 5°”, sia assegnato fino a nuovo ordine alla Divisione II di questo Ufficio”, senza alcuna formale funzione, il che equivale ad essere esposto ad attività variabili di giorno in giorno, secondo le estemporanee volontà del Direttore della Divisione II, formulazione che mal si addice dopo i primi due o tre mesi di assestamento organizzativo dovuto alla diversa competenza degli Uffici del DAP; il periodo di demansionamento in esame termina inequivocabilmente a giugno 2004, poiché dal 1° luglio successivo il Giovannoni risulta essere stato assegnato all’Ufficio Coordinamento Traduzioni e Piantonamenti sotto la diretta dipendenza del Capo del DAP, dr. Giovanni Tinebra, con le funzioni di Capo Settore, finalmente di nuovo coerenti con la qualifica ricoperta. 

E’ ben vero che l’attività svolta dal personale in servizio presso gli uffici dell’Amministrazione Penitenziaria Centrale non ha lo stesso mansionario applicabile ai colleghi che prestano servizio presso le strutture penitenziarie, tantomeno identici parametri, ma è altrettanto vero che non esiste alcuna plausibile ragione per cui il demansionamento avrebbe dovuto colpire solo il Giovannoni, e non anche altri impiegati di pari grado, impegnati in analoghi uffici amministrativi o/e servizi dell’Amministrazione Centrale; non resta, quindi, che concludere che le incombenze quotidiane affidate all’odierno ricorrente avessero una finalità punitiva, e – ammesso e non concesso che il suo carattere fosse, per così dire, “difficile”, non si spiega perché, una volta ottenuto il trasferimento ad altro ufficio, la sua personalità è stranamente tornata ad essere positiva e collaborativa, come lo era già stata per ventiquattro anni precedenti. 

E se il soggetto …. “difficile” non fosse il Giovannoni, ma altri che ha trovato nel primo solo un facile bersaglio ? 

Una conferma indiretta del demansionamento lamentato è contenuta nella circolare 24 marzo 2004 della Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della Funzione Pubblica, a firma del Ministro della F.P., Luigi Mazzella (già Avvocato Generale dello Stato), circolare pubblicata nella G.U. n. 80 del 5 aprile 2004, con particolare riferimento alle direttive auspicate al punto 4, sub II che parla di “variabili critiche” (dalla lettera A alla lettera N); “variabili critiche” (sempre possibili in qualsiasi ufficio) che – a giudicare dalla nota 17 maggio 2004 n. 0185231 a firma del Direttore dell’Ufficio del Contenzioso, e depositato in giudizio dalla Avvocatura dello Stato in pari data – non sembrerebbero neanche esistere nel caso in esame, dal momento che (a pag. 4 di quel documento) si parla di “mansioni delicate e/o di tutta rilevanza affidate al Giovannoni”, senza precisare quali, né documentarle con ordini di servizio, per cosi dire “riabilitativi” di una funzione adeguata alla qualifica, sottoscritti dall’interessato, quasi che i disagi vissuti dal ricorrente fossero solo una sua fantasia.

In quel documento non si fa cenno alle due malattie, che il ricorrente assume essere conseguenza del demansionamento, ma non sono prive di significato né la circostanza che la d.ssa Briotti abbia incluso anche i giorni di congedo o di permessi sindacali fra i 44 giorni di malattia (tutto … è utile per sostenere uno “scarso rendimento”, e colpire meglio il “malcapitato”, né l’altra che le stesse malattie siano state poi dichiarate come “dipendenti da causa di servizio” dal Comitato di verifica. 

La presenza di “rapporti di servizio” negativi è allora facilmente riconducibile ad una discrasia di valutazione tra il diretto superiore che le ha redatte, nell’ottica di voler “giustificare” il supposto “scarso rendimento” (cfr il terzo “*” della lettera b della scheda tecnica a pag. 6, sempre che non abbia influito la stessa presentazione del ricorso prima in sede amministrativa e poi al Tar), ed il superiore che le ha sottoscritte. Esopo con l’immagine delle “due bisaccie” … doceat.

Conferma tale conclusione la circostanza che il Giovannoni, l’anno successivo al trasferimento operativo dall’1 luglio 2004, abbia ottenuto un rapporto informativo di segno diametralmente opposto a quelli che hanno costituito sintomo del demansionamento dedotto. 

La Sezione lavoro della Corte di cassazione (fra le altre, le sentenze 15449/00, 15868/02, 2763/03, 12553/03, 8271/04, 9129/04, 10157/04, 10361/04, e 15955/04) si è costantemente orientata nel riconoscere il “diritto fondamentale del lavoratore alla libera esplicazione della sua personalità su luogo del lavoro, ovvero … ad eseguire la prestazione in base alla qualifica riconosciutagli ed alle corrispondenti mansioni assegnate”; conseguentemente, “ove le prestazioni dovessero essere – per la loro natura, o per la loro entità (consistenza), e durata (non anche per emergenza, o esigenze occasionali) inferiori, o/e meno qualificanti, rispetto a quelli a lui spettanti, il fatto stesso (del demansionamento) costituisce un danno sia alla vita professionale che alla vita di relazione (in termini di immagine, o/e di autostima o eterostima), come tale, risarcibile anche in via equitativa ai sensi dell’articolo 1226 Cc, specie in mancanza di uno specifico elemento di prova, esclusa, comunque, la mera potenzialità lesiva della condotta datoriale”. 

Nel caso specifico, gli elementi confermativi del demansionamento si rinvengono nelle quotidiane incombenze materialmente assegnate al Giovannoni, anche indipendentemente dai formali ordini di servizio sopra citati, ed è più che credibile la versione del Giovannoni, secondo cui, nel periodo più critico, l’attività predominante corrispondeva di fatto a mansioni più di un commesso che di Ispettore Superiore, e meno credibile quella della d.ssa Bruna Brunetti in sede di audizione del 24 maggio 2004, secondo cui il Giovannoni aveva il compito di coordinare il personale (18 persone) e di avere contatti con organi ed uffici esterni, circostanze contestate da parte ricorrente con la documentazione prodotta con la memoria 21 gennaio 2005 (all. nn. da 1 a 4) e mai ribadite dalla difesa resistente, tanto meno credibile perché tale dottoressa avrebbe fatto affermazioni quantomeno equivoche o contraddittorie, sia nell’includere fra i giorni di assenza ingiustificata anche giorni di congedo e di permessi sindacali, sia nell’aver dato ad intendere che anche il Giovannoni avrebbe potuto beneficiare dell’ordine di servizio interno n. 2, valevole per tutto l’anno 2002 sulle prestazioni del lavoro straordinario, che, a ben vedere, prevede come potenziali beneficiarie ben 23 unità, di cui solo una per la Divisione II, nella quale erano in servizio altre tre unità oltre al Giovannoni. 

Erronea, d’altra parte, è l’affermazione del Cons. S. Ardita, allorché in sede di audizione parla di asserito “abbandono del posto di lavoro”, proprio nel momento in cui il Giovannoni era impegnato a raccogliere dati a mezzo telefono per relazionare con urgenza al Ministero, perché in realtà i turni di presenza (fra cui quella del Giovannoni dalle ore 07,57 alle ore 17,30, da questi pienamente rispettati) erano stati espressamente autorizzati dal Direttore dell’Ufficio, e, nonostante ciò il Giovannoni, alla comunicazione di asserite impellenti esigenze di servizio, è tornato nuovamente in servizio non appena rintracciato. Queste ed altre circostanze contestate da parte ricorrente con la documentazione prodotta con la memoria 21 gennaio 2005 (all. nn. da 1/A a 5/A) non sono state mai ribadite dalla difesa resistente, né con memoria conclusionale, né oralmente nella udienza pubblica. 

Anche a voler mandare indenni i primi due o tre mesi di assestamento organizzativo dovuto alla diversa competenza degli Uffici del DAP, così come anticipato nel secondo brano intero del § 2, periodo in cui si è “tutti coinvolti a fare un pò di tutto”, indipendentemente dalle mansioni formalmente coerenti alla qualifica, il Collegio ritiene che il demansionamento sia durato dal luglio 2001 al giugno 2004, e per tale periodo di 36 mesi dev’essere riconosciuto (o/e ripristinato ora per allora) 

a) lo stipendio coerente alla qualifica ricoperta, comprensiva della misura degli straordinari se ed in quanto svolti, ed ogni altro automatismo connesso alla qualifica stessa; su ciascuna quota mensile di stipendio, ove all’epoca non corrisposta nella misura dovuta, dev’essere calcolato l’interesse di mora del 0,417 % pari ad 1/12 del 5 % annuo, decorrente dal giorno del consueto accredito mensile fino a 45 successivi alla udienza di trattazione; 

b) il risarcimento del danno, quantificabile in via equitativa in 300 euro al mese per 36 mesi, indipendentemente dalle voci ricorrenti o saltuarie della retribuzione mensile goduta (chè, esigendo motivazioni associate o dissociate dalle voci, variabili ora per il decorso del tempo ora per la effettiva prestazione, imporrebbero la gestione di un foglio excell). 

Liquida a carico dell’Amministrazione Penitenziaria il pagamento a favore del Giovannoni sia delle spettanze stipendiali, con gli interessi di mora come sopra precisato ove non pagate allora nella misura dovuta, sia del risarcimento del danno nella misura complessiva di 10.800 (diecimilaottocento) euro, nonché in favore di uno solo dei legali che rappresentano la difesa ricorrente le spese di giudizio (competenze ed onorari), che si liquidano in 1.500 (millecinquecento) euro, comprese le incidenze previdenziali ed assistenziali. 

 

PQM

 

La Sezione prima quater del Tar del Lazio accoglie il ricorso in epigrafe, e per l’effetto invita il DAP ad annotare l’accoglimento sul foglio matricolare del Giovannoni, ed inoltre 

a) dichiara il diritto di svolgere le mansioni corrispondenti alla qualifica rivestita; 

b) dichiara avvenuto un illegittimo demansionamento per il periodo indicato in motivazione; 

c) condanna l’Amministrazione al pagamento a favore del Giovannoni di quanto sopra già liquidato in motivazione a titolo di risarcimento dei danni consequenziali, nonché la difesa ricorrente alle spese di giudizio, come sopra già liquidate. 

 

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