Demansionamento:
risarcimento danno biologico ed esistenziale - Trib. Reggio Calabria 11.1.2008
Trib.
Reggio Calabria, sez. lav., 11 gennaio 2008 (proc. 174/05) - Giud. Sapone -
S. (avv. Mina) c. Telecom Spa (avv. Maresca, Romei)
Demansionamento – Danno biologico e all’identità personale – Risarcibilità
e cumulabilità, senza duplicazioni di sorta – Metodologia.
E’ emerso
che i compiti più qualificanti delle precedenti mansioni non vengono più
assegnati al ricorrente nel nuovo profilo.
Tali
circostanze attestano una diversità in termini di prestigio tra le vecchie e
le nuove mansioni e non possono non implicare un diverso tipo di attitudini
lavorative e nozioni utilizzate. È di tutta evidenza come non sia
paragonabile il prestigio di mansioni che portano ad avere contatti solo con
clienti come istituti bancari, prefetture, questure, con quello discendente
da mansioni che invece implicano un contatto con singoli clienti. E ciò
anche a voler prescindere dal dato squisitamente tecnico, ossia dalla
diversità di nozioni impiegate. È la riconoscibilità sociale del ruolo del
lavoratore che muta. La differenza nella dimensione, qualità e prestigio tra
precedenti mansioni e nuove mansioni è tale da provocare un’alterazione
consistente della posizione del ricorrente nell’ambito aziendale.
Dunque, vi
è stato effettivamente un demansionamento ai danni dell’odierno ricorrente.
Il danno
all’identità professionale dà luogo ad una lesione aggiuntiva, autonoma – e
non accessiva – rispetto al danno biologico. Sicché non si dà duplicazione
risarcitoria, nel momento in cui si attribuisce al lavoratore demansionato
un risarcimento aggiuntivo rispetto a quello corrispondente al danno
biologico in applicazione delle tabelle elaborate dai Tribunali.
Svolgimento del processo
Con ricorso
depositato in data 14.6.2005, l’odierno ricorrente, dipendente della T spa,
esponeva di avere sempre svolto mansioni all’interno delle centrali nei vari
settori di trasmissioni e centrali di numeriche; attività queste implicanti,
a dire del ricorrente, elevata conoscenza tecnica, un continuo aggiornamento
professionale, e richiedenti l’intervento su apparati dai quali transitano
le comunicazioni di intere città verso la rete nazionale o internazionale.
Aggiungeva di non avere avuto mai contatti con clienti singoli, tranne che
con grandi clienti, quali banche, prefettura, questura. Esponeva altresì che
dall’1.4.2003 era stato collocato nel CSU servizi, per svolgere attività di
basso profilo professionale; che ciò aveva determinato un demansionamento, a
causa del quale aveva attraversato un lungo periodo di depressione, tanto da
essere stato costretto a ricorrere alle cure di uno psichiatra, con gravi
ripercussioni sulla tranquillità della vita familiare; che a causa dei
problemi di salute, non era stato riconosciuto idoneo alla c.d. salita in
quota, per cui era stato escluso dalla reperibilità, con conseguente danno
patrimoniale.
Chiedeva
pertanto la condanna della società convenuta all’assegnazione delle mansioni
precedenti, di “tecnico di trasmissioni”, o di mansioni equivalenti, nonché
al risarcimento del danno patrimoniale e biologico. Con vittoria di spese e
competenze del giudizio.
La T spa
affermava che il ricorrente, nel contesto di un processo di ristrutturazione
complessivo, insieme a tutti gli altri specialisti professionali, era stato
assoggettato al “riorientamento” professionale sulle attività dei nuovi
servizi offerti alla clientela; che, contrariamente a quanto sostenuto dal
ricorrente, erano rimaste a lui affidate attività trasmissive; che,
contrariamente a quanto asserito dal ricorrente, anche nella nuova attività
era prevista la reperibilità e che il ricorrente aveva ininterrottamente
partecipato alle turnazioni di reperibilità fino al gennaio 2005. Negava
quindi la sussistenza di un demansionamento in pregiudizio del ricorrente e
chiedeva pertanto il rigetto della domanda.
Sentiti
testimoni, espletata ctu, la causa è stata decisa all’udienza dell’11.1.08.
Motivi della decisione
1.-
Va in primo luogo accertato se l’attribuzione di nuove mansioni all’odierno
ricorrente ha determinato un demansionamento in pregiudizio del medesimo.
Ad avviso
del ricorrente, tale demansionamento discende dalla qualità deteriore dei
compiti nuovi rispetto a quelli precedenti.
Ritiene
questo giudice che tale assunto abbia ricevuto sufficiente conferma
dall’istruttoria, ed in particolare dalle deposizioni testimoniali.
Omissis
Non sono
emersi elementi che inducano a dubitare dell’attendibilità dei predetti
testi, non risultando la sussistenza di rapporti - di interesse, parentela,
stretta amicizia, rancore, ostilità, timore - con le parti in causa tali da
comprometterne la serenità o tali da indurli a rilasciare dichiarazioni non
conformi al vero.
Per cui può
ritenersi raggiunta la prova circa le principali circostanze dedotte dal
ricorrente. Circostanze dalle quelli emerge una sostanziale differenza
qualitativa tra le mansioni precedenti e quelle nuove. Differenza
ravvisabile in primo luogo nella tipologia dei destinatari: singoli utenti
nelle mansioni di destinazione, grandi clienti o traffico comunicativo
globale nelle precedenti.
Dalla prova
testimoniale è emerso che i compiti più qualificanti delle precedenti
mansioni non vengono più assegnati al ricorrente nel nuovo profilo.
Tali
circostanze attestano una diversità in termini di prestigio tra le vecchie e
le nuove mansioni e non possono non implicare un diverso tipo di attitudini
lavorative e nozioni utilizzate. È di tutta evidenza come non sia
paragonabile il prestigio di mansioni che portano ad avere contatti solo con
clienti come istituti bancari, prefetture, questure, con quello discendente
da mansioni che invece implicano un contatto con singoli clienti.E
ciò anche a voler prescindere dal dato squisitamente tecnico, ossia dalla
diversità di nozioni impiegate. È la riconoscibilità sociale del ruolo del
lavoratore che muta.
La
differenza nella dimensione, qualità e prestigio tra precedenti mansioni e
nuove mansioni è tale da provocare un’alterazione consistente della
posizione del ricorrente nell’ambito aziendale.
Dunque, vi
è stato effettivamente un demansionamento ai danni dell’odierno ricorrente.
Ne consegue
la condanna della società ad assegnare il ricorrente in mansioni
equivalenti.
2.-
Omissis
3.-
Va rigettata la domanda di risarcimento del danno patrimoniale, non
essendo stata acquisita idonea prova circa la perdita economica subita, ed
in particolare circa la perdita connessa alla reperibilità.
4.-
In ordine alla domanda di risarcimento del danno alla professionalità,
reputa questo giudice senz’altro ravvisabile un danno esistenziale, sub
specie di danno all’identità professionale. Vi sono infatti indizi
gravi, precisi e concordanti circa la sussistenza di ripercussioni del
demansionamento oltre la dimensione strettamente tecnica. Non ci si trova
in presenza solo di una sotto-utilizzazione del bagaglio di nozioni, ma di
un mutamento in negativo del significato esistenziale dell’attività
lavorativa, divenuta fonte di disagio e di malessere.
Gli indizi
sono i seguenti: a) la notevole durata del demansionamento; b) la visibilità del demansionamento, all’interno dell’azienda, essendo stato
l’odierno ricorrente spostato ad altro reparto; c) la reazione negativa
del ricorrente, che a seguito del demansionamento ha cominciato a soffrire
di insonnia, ed ha intrapreso una terapia medica. Soprattutto il
demansionamento ha determinato una patologia, il disturbo dell’adattamento
grave con ansia e umore depresso.
4.1.-
Giova ora esporre sinteticamente i criteri di massima ai quali questo
giudice ritiene di doversi attenere nella quantificazione del danno non
patrimoniale da pregiudizio all’identità professionale nel luogo di lavoro,
species del danno esistenziale.
Ad avviso
di questo giudice, il criterio spesso utilizzato in giurisprudenza,
consistente nel determinare il danno da demansionamento in una percentuale
della retribuzione presenta l’inconveniente di determinare un’ingiustificata
disparità di trattamento, dal momento che porta ad un risarcimento
differenziato in ragione della retribuzione. È pertanto preferibile fare
riferimento ad un parametro disancorato dal livello reddituale.
4.2.-
Un parametro che può costituire un punto di partenza oggettivo e
sufficientemente affidabile può essere rappresentato dalla misura massima
prevista per il risarcimento del danno biologico permanente in
relazione all’età del danneggiato.
Però anche
questo criterio desta qualche perplessità, riguardo al danno esistenziale da
demansionamento. Infatti, quest’ultimo tipo di danno non si presenta, in
linea di principio, come un danno permanente. Nella normalità dei
casi, si tratta di danno che può essere, in un periodo più o meno lungo,
riassorbito a seguito della reintegrazione nelle mansioni precedenti o in
mansioni equivalenti. È un danno quindi in linea di principio essenzialmente
temporaneo.
4.3.-
È allora preferibile adottare quale parametro di riferimento l’importo
previsto dall'art. 139 primo comma d.lgs. n. 209/05 - e diffuso in
giurisprudenza anche al di fuori dell’area degli incidenti stradali - per il
danno biologico temporaneo per ogni giorno di inabilità assoluta,
ossia l’importo di € 40,00 per ogni giorno (arrotondando la cifra di €
39,37).
Tale
importo, per come si evince dall'art. 139 secondo comma del d.lg. n. 209/05,
è comprensivo dell’«incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli
aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato».
A questo
punto, posto che nella fattispecie in esame non vi è lesione dell’integrità
psico-fisica, occorre stabilire qual è, entro tale valore massimo, la quota
riferibile alla sola lesione fisica, al fine di scorporarla dall’importo
complessivo. Giova poi fissare la quota massima riferibile al tipo di danno
da demansionamento. In proposito, in adesione a suggerimenti provenienti da
accreditata dottrina, si può procedere ad una distinzione tra gli ambiti
di vita sui quali il danno incide. Precisamente si può operare una
quadripartizione, distinguendo i seguenti ambiti di vita: attività biologico-sussistenziali, relazioni
familiari, attività lavorativa, altre attività socialmente gratificanti. Si deve
quindi assegnare a ciascun ambito vitale la quota massima riferibile entro
il valore massimo di partenza (€ 40,00).
Ritiene
questo giudice di assegnare la quota del 33,00% (1/3 circa) all’ambito
biologico-sussistenziale, del 30% a quello familiare, del 30% a quello
lavorativo, e la restante quota (del 7%) all’ambito residuale
culturale-ricreativo.
Di
conseguenza la quota massima riferibile all’ambito lavorativo è pari ad €
12,00.
4.4.-
Occorre poi procedere ad un adeguamento. Ciò in quanto il danno da
demansionamento, secondo l’id quod plerumque accidit, si proietta al
di là del periodo durante il quale si è materialmente protratta
l’assegnazione di mansioni inferiori. Infatti il riassorbimento del
pregiudizio recato al patrimonio professionale dall’adibizione a mansioni
inferiori non si realizza normalmente in coincidenza con la reintegrazione
nelle precedenti mansioni, occorrendo un altro periodo più o meno ampio per
sanare il vulnus arrecato a quel corredo di
attitudini-esperienza-nozioni in cui si sostanzia l’identità professionale.
L’ampiezza
di questo periodo non può essere fissata in via astratta, occorrendo
distinguere a seconda della più o meno alta obsolescenza che connota la
prestazione lavorativa di cui si discute.
Ma ancora
prima occorre avere riguardo all’ampiezza del periodo di mancato svolgimento
delle mansioni pregresse. È infatti ragionevole ritenere che l’ampiezza del
periodo di recupero sia direttamente proporzionale alla lunghezza del
periodo di mancato svolgimento di mansioni equivalenti. Costituisce
massima di comune esperienza quella secondo cui quanto più lungo è il
periodo trascorso prestando un’attività lavorativa di livello inferiore,
tanto più elevato sarà il pregiudizio al patrimonio professionale e quindi
tanto più lungo sarà il tempo necessario per il recupero della pregressa
identità professionale.
Ciò
puntualizzato - e premesso che nella presente fattispecie si è in presenza
di mansioni caratterizzate da media obsolescenza - è plausibile
ritenere che in linea di principio, salvo dunque la prova di circostanze
peculiari, il periodo di recupero in caso di attività lavorativa connotata
da mediaobsolescenza sia pari ad 1/3 del periodo di
mancato svolgimento delle mansioni.
Cosicché la
misura giornaliera del danno va aumentata di 1/3 (o, che è lo stesso, può
essere aumentato di 1/3 il numero di giorni da computare.
4.5.-
Nella fattispecie in oggetto il periodo di demansionamento che può venire in
rilievo è di 800 giorni (1.4.03-14.6.05).
Ai fini del
risarcimento va considerata una misura inferiore a quella massima
giornaliera relativa all’ambito lavorativo, trattandosi di demansionamento
di media gravità.
4.6.-
Punto essendo ravvisabile nella fattispecie in oggetto un’incidenza negativa
sugli altri ambiti vitali, essa deve ritenersi assorbita dal risarcimento da
riconoscere a titolo di danno biologico permanente, in questo essendo
incorporata l’incidenza normale sull’aspetto dinamico-relazionale. Ciò in
quanto le ricadute sulla sfera delle relazioni familiari sono in massima
parte legate al danno psichico accertato dalla ctu. Ragion per cui se si
tenesse conto anche in sede di determinazione del danno all’identità
professionale della ripercussioni sulla vita familiare, si avrebbe una
duplicazione del risarcimento.
4.7.-
Non può essere invece ritenuto compreso nell’ammontare a titolo di danno
biologico il danno esistenziale da pregiudizio all’identità professionale.
Infatti le tabelle sul danno biologico sono comprensive dell’incidenza
normale della lesione dell’integrità psico-fisica sugli aspetti
dinamico-relazionali, tra cui anche quello lavorativo. Ma in esse il danno
biologico costituisce il prius e le ripercussioni relazionali il posterius. Il vero fatto generatore del danno contemplato nelle tabelle
dei vari Tribunali è costituito dalla lesione dell’integrità psico-fisica.
La componente dinamica costituisce il riflesso di tale lesione, per cui
l’ammontare risultante dalle tabelle copre le conseguenze dannose correlate,
secondo una valutazione di normalità, alla predetta lesione. L’aspetto
dinamico-relazionale incorporato nelle tabelle, per così dire, accede
alla componente statica, costituendo comunque una proiezione, uno sviluppo
della lesione dell’integrità psico-fisica.
Nel caso di
specie invece l’incidenza sulla sfera lavorativa costituisce il prius
e la lesione dell’indennità premio di servizio il posterius.Il
che rende evidente come il danno all’identità professionale dia luogo ad una
lesione aggiuntiva, autonoma – e non accessiva – rispetto al danno
biologico. Sicché non si dà duplicazione risarcitoria, nel momento in cui si
attribuisce al lavoratore demansionato un risarcimento aggiuntivo rispetto a
quello corrispondente al danno biologico in applicazione delle tabelle
elaborate dai Tribunali.
Il che non
toglie la necessità di tener conto del risarcimento del danno biologico in
sede di quantificazione del danno all’identità professionale, procedendo
all’assorbimento di quella parte riferibile prevalentemente alla lesione
dell’integrità psico-fisica. Di questo si è detto al punto precedente,
escludendo, ai fini della determinazione della misura giornaliera del danno
all’identità professionale, la quota corrispondente all’incidenza su ambiti
diversi da quello lavorativo.
4.8.-
Non si ravvisano infine nella presente fattispecie circostanze peculiari
idonee a giustificare, in analogia con quanto previsto dall'art. 139 terzo
comma d.lg. 209/05, un aumento fino ad 1/5 dell’ammontare del danno
risarcibile.
4.9-
Dunque la misura giornaliera del danno esistenziale sub specie di
danno all’identità professionale è pari ad € 12,00. Cifra ottenuta
aumentando la cifra di € 9,00 di 1/3, in relazione al tempo necessario per
il recupero dell’identità professionale. O, più precisamente – ma ciò non
muta il risultato – la misura giornaliera è di € 9,00, ma il numero di
giorni da computare va aumentato di 1/3, in ragione del tempo necessario per
il recupero dell’identità professionale.
Sicché
l’importo da attribuire a titolo di danno esistenziale, sub specie di
danno all’identità professionale da demansionamento, ammonta ad € 9.600,00.
5.-
Quanto al danno biologico, dalla ctu - le cui risultanze, siccome tratte
all'esito di diligente indagine, questo giudice ritiene di far proprie ed
alle quali integralmente rinvia – è emerso che il ricorrente è affetto da
disturbo dell’adattamento grave con ansia e umore depresso. Patologia che il
ctu ha accertato essere riconducibile al demansionamento. Tale affezione
determina un danno biologico stimato dal ctu in misura pari al 12%.
Facendo
applicazione, come in precedenti occasioni, della tabella del Tribunale di
Roma, e considerando l’età del ricorrente al momento dell’attribuzione delle
nuove mansioni, l’importo spettante a titolo di danno biologico è pari ad €
18.140,00.
6.-
Dunque il danno risarcibile ammonta alla complessiva somma di € 27.740,00
somma da considerarsi già rivalutata, essendo state applicata la tabella del
2007. Su tale importo spettano gli interessi legali sulla somma originaria
annualmente rivalutata.
7.-
Le spese processuali seguono la soccombenza e si liquidano in complessivi €
2.700,00, di cui 1.450,00 per onorario e 10,00 per esborsi, oltre rimborso
forfetario sulle spese generali in ragione del 12,5 % sull'importo degli
onorari, IVA e CP come per legge, nonché le spese di ctu, che liquida in
complessivi € 260,00, di cui 230,00 per onorario, oltre IVA e CP come per
legge, comprensivi dell'acconto concesso, in favore del dott. Walter
Cavallari.